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Autore: Mils    17/02/2013    4 recensioni
quanto può brillare una persona? talmente tanto da oscurare il proprio passato? una persona può essere talmente ricca da comprare persino l'amore?
lei ha bisogno di soldi.
lui ha i soldi e ha bisogno di una copertura.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kristen Stewart, Robert Pattinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2 capitolo.


# money is the anthem of success




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Pov Kristen




Kristen!” sento le urla di mio fratello mentre sale le scale, chiamandomi. “Kristen, dove sono i miei jeans!?”. Rido tra me e mi siedo sul letto, con indosso i jeans di Cameron. Naturalmente non sono esattamente come quando li ho trovati, ho riportato qualche modifica, tipo qualche taglio qua e là per farli sembrare come quelli di una vera rockstar.
Cameron entra in camera mia, furioso.
I miei jeans, Kristen”.
Mi alzo in piedi.
La sua faccia, appena vede cosa ho fatto ai suoi jeans, cambia completamente, passando da furiosa e incredula a incazzato nero. “NO, dimmi che NON E' VERO! Ti ammazzo! Kristen, ti giuro che ti ammazzo sul serio questa volta!” mi salta addosso, finiamo tutti e due sul letto, io sto ridendo come una matta mentre lui è serissimo e cerca in qualche modo di togliermi i jeans di dosso, anche se entrambi sappiamo che ormai sono irrecuperabili. “Questa volta me la paghi, Kristen! Sei una cogliona, non c'è da dire altro. Vediamo che faccia fai tu se rompo un paio delle tue felpe o non te ne presto più delle mie!”.
No, dai, lo sai che amo le tue felpe” protesto, senza smettere di ridere.
Un cazzo. Sei una stupida. Mamma lo sa?”.
Secondo te? Ovvio che no”.
Eh certo. Cristo santo, ma perché? Perché doveva capitare proprio a me una sorella cogliona come te, eh? I miei jeans preferiti, cazzo!”.
Eddai, ora sono più carini. Però mi stanno larghi...”.
Ovvio, sei una nana e io sono il doppio di te, scema”.
Non sono una nana!”.
Sei alta un metro e un tappo di bottiglia, come altro dovrei definirti?”.
Almeno ho gusti nel vestire migliori dei tuoi, questi jeans adesso sono molto più carini”.
Erano belli, adesso fanno schifo. Quando inizierai a metterti una gonna?”.
Faccio una smorfia, Cameron sa benissimo del mio odio per tutti gli abiti prettamente femminili. Ecco perché rubo molta della sua roba. “Mai, mai, mai, mai, mai, MAI”.
Oddio, non avrò più abiti”.
Gli bacio la guancia e lo spingo giù dal mio letto. “Ti voglio tanto bene, Cammy”.


Mi sveglio di soprassalto.
Sono nel mio letto.. sono nel mio letto”, continuo a pensarlo, a ripeterlo nella mia testa, per tranquillizzarmi.
Mi porto una mano al cuore, batte a mille e ho gli occhi lucidi. Cameron.. oddio, quanto mi manca. Non lo sogno quasi mai ma stanotte, chissà perché, mi sono addormentata con in testa lui, i suoi occhi così simili ai miei, i tatuaggi sul braccio, il modo in cui mi abbracciava e mi lasciava fare praticamente tutto quello che volessi.
Mi alzo dal letto e vado verso il mio “armadio”, frugo un po' e alla fine trovo quello che stavo cercando. I jeans di Cameron. Sono vecchi e fuori moda ma sono i suoi e sono bellissimi, se mi concentro molto hanno ancora il suo profumo e mentre li indosso mi torna in mente il sogno, e ho di nuovo gli occhi lucidi.
Mr Bowie viene a strusciarsi contro una mia gamba prima di dirigersi verso la sua ciotola dell'acqua. Mi inchino e gli do una grattatina dietro l'orecchio, lui mi ringrazia con un sonoro “meo, pff, mew” che traduco come un “buongiorno anche a te”. Mi infilo una felpa nera e vado a prendermi un bicchiere di latte in cucina. Mr Bowie mi segue, venendomi dietro mentre mi muovo per la stanza, cercando di riscaldarmi strofinandomi le mani sulle braccia. Questa dannata casa è sempre fredda, non ho riscaldamento e infatti a casa mia non mancano mai coperte, cuscini, borse dell'acqua calda e piumoni, insieme a una buona dose di cioccolata in polvere da preparare nel cucinino.
Me ne sto giusto preparando una per fare colazione quando sento il cellulare vibrare sul tavolo. È una chiamata, è Robert. È passata una settimana dal nostro ultimo incontro e in questi giorni non ho avuto tempo per pensare alla sua proposta né a quello che ci siamo detti, ho lasciato che il ricordo del nostro incontro venisse accantonato in un angolo della mia testa, in attesa di essere dimenticato. E invece ecco che il ricordo viene a bussare alla mia porta.
«Pronto?».
«Buongiorno, Kristen. Spero che tu non ti sia dimenticata del nostro accordo in questi giorni», mi ero dimenticato di quanto potesse sembrare più vecchio mentre parla, è come se fosse due persone diverse, come se ogni tanto si dimenticasse dell'età che ha.
«No.. non l'ho fatto», anche se avrei voluto tanto farlo e ci ho anche provato ma poi tu hai rovinato tutto chiamandomi e facendomi sentire di nuovo la tua voce.
«Fantastico. Possiamo vederci, oggi?».
«Ehm...».
«Domani è domenica, Kristen. Ricordi cosa ti ho chiesto?», eccome se me lo ricordavo: avrei dovuto fingere davanti a tutta la sua famiglia di essere la sua amata e adorata fidanzata. Io non ero brava a fingere.
«Si..».
«Bene. Oggi, quindi, possiamo vederci? Dobbiamo mettere in chiaro alcune cose, come ti ho già accennato al nostro scorso incontro», ma Cristo santo, deve per forza parlarmi come se fossi la sua segretaria personale? E io dovrei fingere di amare questo ragazzo? Lo sopporto a malapena quando mi parla, cazzo.
«Ah.. uh, certo.. oggi, si..».
«Ti vengo a prendere a casa tua?».
«No!», la sola idea che Robert veda dove vivo mi mette in imbarazzo, anche se so che non dovrei. Non tutti nascono in una casa che ha soldi alle pareti, alcuni devono farsi il culo e accettare il poco che hanno.
«Oh... come vuoi. Ci vediamo al posto dell'altra volta, allora? Ti va' meglio?».
«Decisamente, si».
«Ottimo. A tra poco, Kristen».
«A dopo, Robert...» chiudo il telefono e mi rendo conto di aver bruciato la cioccolata.
Impreco a voce alta e cerco di porre rimedio, ma è troppo tardi, è bruciata.
E anche il pentolino che stavo usando lo è.
Bene, fantastico, penso.
"Che la mia giornata di merda abbia inizio".
All'improvviso i miei vecchi jeans non vanno più bene mentre mi ricordo che tipo di posto è quello dove mi devo incontrare con Robert. Vado nel mio armadio e cerco i pantaloni più carini che ho ma alla fine lascio perdere e mi metto un paio di jeans, il più "carino" che ho e anche il più femminile possibile e mi tolgo di controvoglia la felpa di mio fratello, infilandomi un maglione blu un po' troppo largo che cerco di sistemare come meglio posso ma alla fine il risultato è sempre lo stesso quindi lascio perdere, non assomiglierò mai alle ragazze che frequentano i posti che frequenta Robert, spunterò sempre, è inutile pure provarci. Saluto Mr Bowie ed esco di casa.
Ci metto più di mezz'ora a piedi, più dell'altra volta, o forse è solo perché questa volta so cosa mi aspetta e cerco di rimandare il nostro incontro il più possibile. Ma alla fine arrivo e Robert mi sta aspettando fuori per entrare con me. Quando lo vedo, cerco di nascondere il fatto che mi manca il fiato, è bellissimo con la camicia bianca, la giacca nera elegante e i pantaloni dello stesso colore, sembra appena uscito da un ufficio e forse è proprio così. Ha la cravatta allentata e le mani infilate nelle tasche davanti dei pantaloni, un'aria rilassata, mi sorride appena mi vede e per un istante mi fermo in mezzo alla strada per poi correre per raggiungerlo.
«Ciao».
«Buongiorno, Kristen. Dormito bene?».
«Uhm, si... allora.. uh».
«Vogliamo entrare? Ho prenotato un tavolo isolato per noi due».
«Okay..».
Mi apre la porta e me la tiene aperta finché non entro, come un vero gentleman, il che mi mette terribilmente in imbarazzo perché questo non fa' altro che far girare tutti i presenti verso di noi e vengo subito squadrata dalla testa ai piedi.
Robert mi appoggia una mano sul fianco per condurmi al tavolo e io sono tentata dal scostarmi, mi sento davvero in soggezione con lo sguardo di mezza sala ancora su noi due. Mi chiedo cosa stiano pensando tutti quanti, qualcosa come "cosa ci fa' uno come lui con una.. come quella?" e hanno ragione, neanche io ci crederei. E infatti è tutta una finzione.
Un cameriere ci raggiunge e ci indica il nostro tavolo, «Da questa parte, signor Pattinson, la stavamo aspettando».
Non guarda a me.
Non mi chiede neanche quale sia il mio cognome.
Parla solo con Robert, ignorandomi palesemente.
Non che mi importi, ovvio.
Il tavolo è isolato come ha detto Robert, in un angolo del locale e come ha fatto il primo giorno Robert mi scosta la sedia e mi invita a sedermi davanti a lui.
«Ti piace il posto?» mi chiede, gentile.
«Si.. va bene».
«Possiamo cambiarlo, se vuoi. Possiamo cambiare locale», si è accorto che mi sento in soggezione o è solo un modo per dirmi che può prenotare un tavolo per due, all'ultimo minuto, in un qualunque locale di New York senza problemi?
«Va benissimo qui».
«Perfetto. Allora, come stai?».
«Ehm, bene, grazie..».
Un cameriere arriva e ci porge un menù.
«Per me un caffè e basta, grazie..», sembra che stia per aggiungere qualcos'altro ma poi si blocca e mi fissa, in attesa. Si è ricordato di come ho reagito quando ha ordinato al mio posto.
Apro il menù e do un'occhiata a quello che offre il posto, anche se so già quello che prenderò, ma voglio prendere tempo per capire meglio la situazione. Robert mi sta facendo ordinare, grazie a Dio. «Una cioccolata calda, per favore», porgo il menù al cameriere, che prende il mio e quello di Robert e se ne va' con le nostre ordinazioni.
«Ti piace la cioccolata?».
«A chi non piace?».
«A me».
«Oh...», non avevo mai conosciuto una persona a cui non piacesse la cioccolata.
«Non ne vado matto, diciamo. Ed è proprio di questo che volevo parlarti, Kristen».
«Vuoi parlarmi del fatto che non ti piace la cioccolata?», sono confusa.
Robert accenna un sorriso divertito, «No. Di quello che mi piace o non mi piace. Per fingere di essere la mia ragazza davanti alla mia famiglia devi sempre i miei gusti... e io devo sapere i tuoi, ovviamente».
Ah.
Giusto.
Sotto al tavolo, inizio a tormentarmi le mani.
«Si.. okay..».
«A te piace la cioccolata».
«A te no, invece».
«Mi piace il gelato, però».
«Anche a me».
«Al pistacchio».
«Odio il pistacchio. Mi piace crema e cioccolato al latte».
«Dolce o salato?».
«Tutti e due».
«Salato».
Il cameriere arriva con le nostre ordinazioni, interrompendo quel piacevole scambio di informazioni. Non mi ero neanche accorta di quanto facilmente mi ero ritrovata a parlare con lui di quello che mi piaceva. Adesso che l'incantesimo è stato rotto mi rendo conto che forse dovrei darmi una calmata, non sono abituata a farmi conoscere da una persona così in fretta e senza neanche conoscerla bene.
«Devi andare a lavoro, dopo?» chiedo, mentre affondo il cucchiaino nella cioccolata.
«Si. Ma ci vediamo a pranzo» dice, senza neanche guardarmi e girando il suo cucchiaino nel caffè aspettando che si freddi.
«Cosa?».
«A pranzo. Sei con me».
«Non me l'hai neanche chiesto», che idiota.
«Kristen, dobbiamo parlare. Domani è domenica, c'è molto di cui parlare», il suo tono di voce è fermo, serio, completamente diverso da quello che stava usando prima.
«E se avessi degli impegni?».
Lui mi guarda, scocciato. «Ce li hai?».
«Forse».
«Annullali. Hai preso un impegno con me e io ho bisogno di stare con te, oggi, a pranzo, fine della storia. Ora mangia, non abbiamo tutto il giorno».
Sono stordita. Chi si crede di essere? Okay, abbiamo un impegno e io ho detto che avrei accettato ma adesso vorrei tanto potermi rimangiare la parola. Questo ragazzo sembra una specie di tiranno in carriere e mi fa' saltare i nervi il modo in cui si rivolge a me.
«Non sei abituato a stare con una ragazza, vero?».
Solleva lo sguardo su di me, accigliato e forse anche arrabbiato, ma faccio finta di non notarlo. «Cosa te lo fa' pensare, si può sapere?».
«Mi tratti una merda».
L'espressione si addolcisce un po'. «Sono solo di fretta, Kristen.. scusami, okay? Mangia, per piacere, dobbiamo andare».
«Dove?».
«Lo scoprirai dopo. Adesso puoi mangiare?».
«Non ho più fame», mento, sto morendo di fame.
«Non ti piace? Vuoi ordinare altro?».
«No.. ehm, va bene questo.. solo, non ho tanta fame».
«Mangia almeno un po'» mi prega.
«Che lavoro fai, esattamente?», decido che cambiare argomento è la cosa migliore.
«Lavoro con mio padre, te l'ho già detto. Faccio tante cose, te lo spiegherò più avanti».
«Mh, okay..».
Mangio la mia cioccolata, è calda, densa e buonissima ma continuo a sentirmi gli occhi di Robert addosso per tutto il tempo. Mi tornano in mente le sue parole, "sei terribilmente bella" mi ha detto al nostro primo incontro, lo pensa davvero?
«Hai finito?».
«Si..».
«Bene, andiamo allora» si alza e viene verso di me per aiutarmi ad alzarmi dalla sedia ma io sono più svelta e mi alzo da sola. «Oh». Tira fuori un bigliettone da cinquanta dal portafogli che ha in una tasca della giacca e lo poggia sul tavolo. «Vieni». Una semplice colazione costa così tanto?
Molte persone si girano verso di noi mentre percorriamo la sala e usciamo dal locale. La giornata si è fatta più fredda e mi pento di non essermi messa qualcosa di più pesante o di non essermi portata con me una giacca.
Solo quando Robert ci si avvicina mi accorgo che c'è una macchina davanti al locale. Robert apre lo sportello del passeggero e si china per parlare con qualcuno all'interno, sicuramente l'autista personale. Quando si solleva di nuovo si gira verso di me, chiude lo sportello e apre quello di dietro. «Prego», lo tiene aperto, aspettando che io entri.
«E' la tua macchina?».
«Una delle tante che uso per andare in giro per la città, si. John è il mio autista».
«Ah..», mi avvicino ed entro dentro la macchina, sedendomi sui sedili, che sono comodi e caldi, c'è il riscaldamento.
Un uomo si gira verso di me dal posto del guidatore, è sui cinquant'anni e ha due occhi color cioccolato buoni e gentili. Indossa un capello da autista blu, elegante e forse un po' troppo formale per essere nel ventunesimo secolo. «Buongiorno signorina».
«B.. buon.. buongiorno a lei».
Robert si siede accanto a me, chiudendo lo sportello. «John, lei è miss Kristen Stewart e la vedrai molto spesso nei mesi seguenti», mesi?, mesi?, «per favore, portaci dove abbiamo stabilito».
John annuisce, sorridendo. «Come vuole lei, signor Pattinson».
La macchina si mette in moto ma quasi non la sento mentre inizia a correre, superando di gran lunga la maggior parte delle macchine in strada. Mi allontano un po' da Robert, tutta questa storia della macchina e dell'autista personale mi ha fatto ricordare bruscamente quanto ricco sia e sopratutto quanto povera sia io messa in confronto a lui. Mi metto le mani in grembo e cerco di sembrare occupata a fare.. qualcosa.
«Dove stiamo andando?» chiedo, una volta che il silenzio è diventato davvero troppo insopportabile e mi sono stancata di osservare il paesaggio fuori dal finestrino.
«Ti piacciono le sorprese?».
«Nessuno ti ha insegnato che non si risponde a una domanda con un'altra domanda?», forse non dovrei essere così acida – sopratutto visto che non siamo soli e John, davanti a noi, ci osserva dallo specchietto, attento – ma l'idea di essere dentro quest'auto così costosa senza avere la mia idea di dove io stia andando mi manda fuori di testa.
«No.. in effetti no», sembra quasi divertito, ma non posso saperlo con certezza visto che non mi guarda neanche, ha il viso rivolto verso la strada che scorre, «in collegio mi hanno insegnato tante cose, ma questa proprio no.. ero abituato a rispondere con una domanda o una mia riflessione durante l'ora di dibattito, mi spiace».
Collegio?
È stato il collegio?
Chissà perché, l'idea di Robert con una divisa scura, seria, non mi sorprende.
«Be'..», tutte quelle informazioni mi hanno colto un po' in contropiede, non mi aspettavo una risposta del genere, «te lo dico io allora».
Restiamo in silenzio, di nuovo.
Ma ancora una volta questa assenza di discorso mi manda fuori di testa.
«No...» sussurro.
Finalmente si gira verso di me, «No, cosa?».
«No. Non mi piacciono le sorprese. Dove stiamo andando?».
«Devo conoscerti assolutamente molto meglio di adesso, Kristen, abbiamo bisogno di passare del tempo insieme. Pensavo di portarti a fare una passeggiata a Central Park se non ti dispiace».
«Central Park...?», no.
No, per favore, Central Park no.
Ma perché proprio lì?
Distolgo lo sguardo da quello di Robert mentre un milione di ricordi mi tornano in mente.
Chuck che mi prende per mano.
Chuck che mi bacia.
Chuck che mi porta sulle rive del lago al centro del parco.
Chuck e io che passeggiamo.
Poi un altro ricordo, più recente.
Chuck che mi urla contro.
Chuck che mi dice che non sono brava a fare un cazzo, che una migliore di me la trova quando vuole e che non sono neanche brava a letto.
Chuck che sbatte la porta, io che crollo a terra.
Io che piango, un polso slogato.
«Ehi?».
La voce di Robert mi riporta – grazie a Dio – alla realtà. «Non andiamo a Central Park...» dico prima di rendermene conto.
«Non vuoi andarci..?».
«No..» lo prego, «per favore..».
«Posso sapere il motivo..? Non ti piace? Non ti piacciono i parchi?».
«Non voglio andarci.. e basta».
«Sei allergica a qualcosa?» insiste.
«Cazzo, Robert, non voglio andarci e basta!» scatto, ormai sull'orlo delle lacrime. Lo odio, in questo momento lo odio e basta.
Lui si irrigidisce e si mette seduto composto sul posto, diventando – se possibile – ancora più freddo e distante del solito. «Va bene».
«Grazie...».
«John!».
«Si, signore?».
«Cambio di programma. Portaci al mio appartamento, per favore. In fretta».
«Si, signore, subito», incrocia anche il mio sguardo e sembra quasi che voglia dirmi qualcosa ma io ho ancora gli occhi troppo lucidi per permettere a qualcuno di guardarmi così attentamente.
Per il resto del viaggio io non apro bocca e neanche Robert, continuo a guardare New York svegliarsi dal finestrino di una macchina che costa più del mio appartamento.



Pov Robert




Non oso guardare verso di lei, ho come paura che si possa arrabbiare con me di nuovo. Il modo in cui mi risponde, spesso brusco e scortese, non l'avevo mai provato. Nessuno si è mai rivolto a me in questo modo, forse hanno sempre avuto tutti troppa paura della mia reazione o del mio nome per farlo, invece a lei non sembra importare molto. Tiro fuori il cellulare e leggo che c'è un messaggio di mia sorella Victoria: "Non vedo l'ora di vederti domani, ti voglio bene, ci manchi. ps. Mamma mi ha detto che porterai una ragazza, spero per te che sia vero!!", come al solito mia sorella non si fa' scappare l'ultima novità in famiglia. All'improvviso non sono più sicuro di volerci andare. Prima ero più tranquillo, pensavo che con Kristen sarebbe stato più facile, e invece mi sto rendendo conto che con lei non è come con tutte le altre, non bastano un paio di regali costosi e qualche parolina dolce, con lei ci vorrà molto di più. Qualcosa di nuovo anche per me.
John si ferma proprio davanti al mio palazzo.
Thomas ci sta aspettando all'entrata, appena vede l'auto si prepara già ad aprirmi la porta.
«Siamo arrivati?» mi chiede Kristen.
«Si».
Apro lo sportello ed esco, tenendolo aperto per fare uscire anche lei, cosa che fa' poco dopo, mettendo in mostra le sue bellissime gambe mentre scende dall'auto. Dio, sono stupende e non voglio immaginare come siano senza quei dannati jeans che le coprono ai miei occhi.
«Buongiorno, Thomas» lo saluto.
«Buongiorno signor Pattinson! Vedo che ha compagnia oggi..», sorride amichevolmente a Kristen, mi volto per vedere la sua reazione e scopro con piacere che è in imbarazzo. Il colorito rosso dona particolarmente sulle sue guance.
«Si, Thomas, lei è miss Stewart».
Lui si toglie il capello e lo appoggia sul petto, sopra il cuore. «E' un piacere conoscerla, signorina. Io sono Thomas, faccio il portinaio in questo palazzo da quando ero giovane come lei se non di più e conosco il signor Pattinson da quando era un bambino», come al solito, la parlantina di Thomas ha preso il sopravvento e mi chiedo se annoi Kristen quasi quanto annoi me. Non che Thomas mi stia antipatico, è una delle poche persone che mi piace davvero, ma quando inizia a parlare non la smette più e spesso i suoi monologhi possono andare avanti anche per delle ore. «E che bambino! Il signor Pattinson era il bambino più educato, intelligente e sveglio che io abbia mai visto!».
«Okay, Thomas, basta così. Abbiamo da fare», appoggio una mano sul fianco di Kristen e la spinge gentilmente verso la porta dell'edificio.
Thomas annuisce. «Si.. mi scusi... mi lascio trasportare, lo sa.. arrivederci, signorina Stewart».
Kristen si scosta da me e si avvicina a Thomas, porgendogli una mano. «Per favore, mi chiami Kristen. "Signorina Stewart" mi sa tanto di nobile e io non lo sono di certo». Decido di tirarla via prima che dica troppo. «Kristen, vieni» la chiamo da dentro il palazzo.
Thomas le stringe la mano, entusiasta. Kristen gli ha appena dato il via libera per ore e ore di discorsi lunghissimi senza saperlo.
«E' stato un piacere conoscerla, Thomas».
«Il piacere è tutto mio, signorina Kristen».
Finalmente Kristen mi raggiunge e lasciamo Thomas dietro di noi mentre entriamo. Ci dirigiamo verso la zona degli ascensori. Ho scelto questo palazzo perché non è come gli altri che ha costruito mio padre, è molto più funzionale e pratico, nessuna stupida stanza in più, semplicemente una zona all'entrata dove ci sono gli ascensori che conducono direttamente ognuno nel proprio appartamento. Il mio è il numero 3.
«Cosa ci facciamo nel tuo appartamento?» chiede lei mentre aspettiamo l'ascensore, che per fortuna non tarda un secondo di più ad arrivare.
«Visto che non sei voluta andare al parco ho pensato che il mio appartamento sarebbe andato bene lo stesso per parlare», le porte dell'ascensore si chiudono velocemente davanti a noi, lasciandoci soli.
«Di cosa dobbiamo parlare?».
«Del nostro patto, ovvio».
«Si, ma cosa esattamente? Abbiamo già deciso le regole».
«No, affatto. Abbiamo solo disegnato le linee iniziali. E poi devo sapere qualcosa su di te, voglio che i miei genitori pensino che siamo una coppia felice, ricordi?».
«Giusto..».
«Vedrai, andrà bene. Mi basta sapere giusto qualche cosa».
«Okay...».
Le porte si aprono e siamo nel mio appartamento.
Mentre entro dentro mi giro verso Kristen per osservare la sua reazione nel vedere dove vivo, mi scopro curioso di sapere cosa pensa e cosa prova nel trovarsi qui. Ma lei ha come indossato una maschera adesso, non mostra nessuna espressione, semplicemente si guarda intorno, attenta, vigile. È come un animale in gabbia. È pronta a scattare in qualunque momento.
Il soggiorno si apre sulla cucina, ampia e moderna. «Vuoi qualcosa?».
«No».
«Sicura? Neanche un bicchiere d'acqua?».
«No, grazie», sembra quasi scocciata.
«Va bene..», mi ha fatto pure passare la voglia di bere anche a me.
Forse è meglio andare subito al dunque.
«Allora.. dobbiamo parlare di un paio di cose».
Kristen si appoggia al muro, incrociando le braccia al petto, come in posizione di difesa.. o di attacco. «Finalmente. Allora, dimmi tutto..».
«Devi sapere qualcosa sulla mia famiglia, non pensi?».
Non mi guarda neanche, «Se proprio insisti..».
«E io dovrei sapere qualcosa sulla tua».
La vedo pietrificarsi sotto il mio sguardo. Solleva il viso e mi fulmina con gli occhi. «Qui nessuno ha mai parlato di raccontare i cazzi della mia famiglia in giro. È una finzione, inventati che sono orfana, no?».
Dio, ma perché deve sempre fare così?
Deve sempre essere scorbutica e terribilmente permalosa anche se io non ho fatto proprio un cazzo. Adesso perché si è arrabbiata, le ho solo chiesto della sua famiglia. Non voglio sapere tutto, giusto i nomi nel caso mio padre me li chieda visto che lui conosce mezza New York. «Orfana?».
«Già.. in.. inventa, no?».
«Come vuoi. Mi inventerò qualcosa».
«Fantastico».
«Mi padre si chiama Richard, ma questo sicuramente lo saprai già».
«Io non so proprio un cazzo di te, non sei Madonna o Justin Bieber, non trovo le tue foto semplicemente aprendo il giornale. A essere sincera, non ti avevo mai visto prima che venissi a rompere al locale», oggi sta proprio esagerando, il suo tono trasuda sarcasmo e mi sto incazzando anche io, nessuno mi aveva mai parlato così e non sopporto che qualcuno lo faccia.
«Kristen, vuoi quei soldi? Perché se non li vuoi la porta hai visto dov'è», sto bluffando, non la lascerei mai andare via, anche a costo di pagarla il doppio.
«Vaffanculo».
«Come, prego?».
«Vaffanculo. Non mi hai sentito? VAFFANCULO. Ma chi ti credi di essere, Dio sceso in Terra? Non ti rendi conto che hai solo ventitré anni e appena apri bocca sembri un vecchio bisbetico? Non puoi costringere le persone a fare tutto quello che vuoi tu, neanche con un milione di dollari ci riuscirai mai, hai capito?».
«Kristen..», sento che la situazione mi sta scivolando via dalle mani, sto lentamente perdendo il controllo e io odio quando succede. Ho bisogno di avere sempre io il controllo totale di quello che mi succede attorno, è più forte di me. «io non sto costringendo nessuno, hai frainteso».
«Ah, no?» chiede, ironica.
«No» dico, deciso. Non permetterò a una ragazzina di prendere il sopravvento in una cosa che ho in mano io. «Quindi, ti pregherei di calmarti».
Lei alza gli occhi al cielo e incrocia le braccia sul petto. «Tutto questo è assurdo.. questa situazione è assurda! Non ho ancora capito cosa ci faccio qui! Perché non ti trovi una fidanzata vera e la facciamo finita? Non ci sopportiamo a vicenda, ne hai appena avuto la prova, Robert».
Io? Una fidanzata? Adesso? Non è il caso. «Non puoi capire. Che ne dici di cambiare argomento e di passare a qualcosa di più.. allegro? Vestiti».
Kristen solleva un sopracciglio, scettica. «Vestiti? Che vorresti dire con "vestiti"?».
«Voi ragazze amate i vestiti, no?».
«Intendi quelle ragazze con il rossetto, i tacchi alti e le gonne corte che incontri mentre vai a lavoro nel tuo elegante ufficio? Quelle ragazze? Perché a me non piacciono i vestiti, mi spiace».
Cristo santo, non ci posso credere. Ho beccato l'unica ragazza in tutta New York che non va matta per i vestiti, come è possibile? Prendo un bel respiro e cerco di mantenere la calma. Si tratta solo di affari, mi ricordo, è come se stessi trattando con un cliente particolarmente difficile per un contratto. «Per incontrare i miei genitori dovrai vestirti in modo da fare bella figura di fronte a loro, capisci?», spero con tutto il cuore che non inizi un nuovo litigio ma le miei speranza si confermano vane quando la vedo fulminarmi con lo sguardo.
«Non puoi decidere come mi devo vestire».
«E' lavoro, ricordi? Immagina che sia, non so, come una divisa. Come la divisa che indossi per lavorare in quell'orrendo ristorante..».
«Che hai contro il posto in cui lavoro? Non tutti sono figli di papà, sai? Dio, sei proprio uno stronzo..».
Non sopportavo di essere insultato. «Tu lavori per me! Vuoi chiudere quella cazzo di bocca e capire che non sei qui per dirmi quello che pensi ma semplicemente per eseguire i miei ordini! Cazzo..», non urlo, non spesso almeno, ma Kristen mi fa saltare i nervi, mi fa andare fuori di testa in un modo che non mi è mai successo prima. Sono sempre stato un tipo molto pragmatico, calmo, riflessivo, ma anche severo e mi piace farmi rispettare.. ma non facendo il matto, non così. Ma lei mi porta oltre il limite di sopportazione.
Kristen mi fissa, un po' incredula un po' offesa e forse anche un po' compiaciuta per avermi fatto perdere le staffe.
«Fanculo, io non sono un cazzo di oggetto, me ne vado».
«C..cosa? Kristen, aspetta..», ma lei si è già voltata e si sta dirigendo verso la porta come una furia.
La seguo, andandole dietro.
«Non puoi andartene, abbiamo un patto!».
«Fottiti, Pattinson. Sei solo un pazzo».
«Kristen, aspetta..».
E' agitata, si vede. Ci mette un po' ma alla fine riesce ad aprire la porta, ha le mani che le tremano.
Esce nel piccolo e sterile androne che precede la porta dell'ascensore.
«Non aspetto un bel niente, Pattinson. Cazzo, sei uno stronzo e io non voglio avere niente a che fare con gli stronzi, non di nuovo...», clicca il bottone e si attacca al muro accanto all'ascensore, dandomi le spalle.
«Kristen, ascoltami» dico.
«Oh, ma ancora qui sei? Vattene, non voglio parlarti. Facciamo finta di non esserci mai conosciuti. Tu non sei mai entrato in quel ristorante durante il mio turno e io non ho mai accettato niente da te, okay? Okay, ciao».
Quel tono mi fa incazzare soltanto.
Come può piantarmi in asso, adesso?
Pensavo che avessimo un accordo.
«Kristen..».
Mi interrompe di nuovo, «Ho detto ciao! Vattene, Robert..».
«Kristen, tu hai bisogno di quei soldi», uso il mio peggior tono di voce, so perfettamente di sembrare meschino, arrogante e si, anche un grandissimo stronzo, ma mi sento perso vedendo la situazione scivolare via dalle mie mani. Non so perché, ma non voglio che se ne vada. So che potrei trovare altre centomila ragazze ma non sono lei, ormai è come se stessi facendo una sfida con me stesso. Kristen è come un cavallo selvaggio che mi sono promesso di riuscire a domare.
Kristen si gira lentamente verso di me, ha gli occhi leggermente lucidi ma lo sguardo è a fuoco. «Sai Robert, hai ragione, io ho bisogno di quei soldi. Ma sai di cosa non ho bisogno? Della tua pietà», le porte dell'ascensore si aprono e lei ci entra dentro subito,
«Addio, Robert».
Le porte dell'ascensore si chiusero davanti a lei.



Pov Kristen




Arrivai a casa di corsa, con le lacrime agli occhi.
Che idiota, che idiota che ero stata, ma cosa avevo in testa? Accettare una proposta del genere da un ragazzo come lui, sono stata proprio una sciocca, non ho riflettuto abbastanza come ogni volta. Ma perché devo sempre prendere la decisione sbagliata? Perché, per una volta, non posso prendere la strada giusta e arrivare da qualche parte? No, io devo sempre sbagliare, andare a sbattere contro qualche muro e ritrovarmi in un vicolo cieco da cui non riesco a uscire da quando sono bambina. La mia vita è così e non mi sono ancora abituata, è incredibile.
Mr Bowie balza giù dal letto e mi viene vicino, strofinandosi contro le mie caviglie.
Mi piego per dargli una grattatina dietro l'orecchio, «Sono stata una cogliona... ma perché devo sempre ficcarmi in situazioni del genere? Forse avrei dovuto pensarci di più.. non so. E adesso? E se continua a cercarmi..?», una stretta allo stomaco mi fece capire che forse un po' ci speravo anche. Ma solo perché se mi avesse cercato ancora avrei potuto mandarlo a fanculo una seconda volta, eh. Non avevo nessuna intenzione di avere a che fare con lui di nuovo.
Anche se, quando il telefono squillò, per poco non urlai.
«P..pronto?».
«Kristen», fanculo, è Bob, il mio capo, «sono io».
«Si.. che vuoi?».
«Sei libera?».
«Perchè?».
«Avrei bisogno di te a lavoro, è urgente».
«Ma è il mio giorno libero!».
«Ti pago l'extra! Andiamo, mi servi. Una delle ragazze si è data malata e io non ho nessuno che la sostituisca, mi sei rimasta solo tu, per favore».
Mi alzai e cominciai a camminare per la stanza, con Mr Bowie che mi osservava da sopra le zampe pelose. «Bob, non mi sento tanto bene neanche io però..», non era una bugia, dopo la litigata con Robert non mi sentivo proprio in grado di reggere a ore e ore di lavoro e ragazzini idioti.
«Kristen, ti ho detto che ti pago l'extra. Ti lascio un giorno libero la prossima settimana, okay?».
Un giorno libero? Tutto per me? Dove potevo semplicemente starmene a casa, tranquilla, tutto il giorno, a leggere, al caldo? «Va bene..» accettai, già pregustandomi la sensazione delle coperte e del pigiama.
«Grazie! A dopo».
Ma per ora devo prepararmi per andare a lavoro.
Mi infilo in bagno e mi faccio una doccia veloce e mi metto un maglione largo e un paio di jeans vecchi prima di scappare fuori di casa e saltare sulla mia moto. Durante il viaggio verso il lavoro mi torna in mente la faccia di Robert mentre le porte dell'ascensore si chiudevano davanti a me, sembrava incazzato ma c'era anche qualcos'altro, qualcosa che non sono riuscita a capire appieno. Senza dubbio era furioso e in un certo senso sono contenta di essere riuscita a farlo smuovere un po', ho avuto l'impressione – in quel poco tempo in cui abbiamo provato a conoscerci – che tutto il suo essere fosse imprigionato, era come se ogni cosa che dicesse o facesse fosse trattenuta da un limite. Davanti a Robert c'era un muro, un muro tra lui e tutto il resto del mondo. Un muro tra me e lui.
Quando arrivo al ristorante Bob mi sta aspettando all'entrata, sembra parecchio in ansia ma fa un largo sorriso appena mi vede. «Kristen! Oh grazie al cielo, sei arrivata! Pensavo che mi dessi buca e invece.. eccoti qua. Sbrigati, forza!» mi incita mentre io scendo con calma dalla moto e mi tolgo il casco che mi ha trasformato i capelli in una massa informe più di quello che sono di solito.
«Sono qua, sono qua, calmo».
«C'è un sacco di gente! Non ho mai visto tanta gente in un solo tavolo in questo posto da quando l'ho aperto e sono tutti ricchi sfondati! Ricchi sfondati, capisci! Questi lasciano mance da pazzi!».
Ricchi sfondati? In un posto come questo? Che ci fanno?
Bob mi precede mentre entriamo e una volta aperta la porta mi accorgo che ha ragione. Seduti tutti a un tavolo – un unione di due tavoli da dieci – ci sono almeno una ventina di persone che sembrano pronte per una sala di gala, il che mi ricorda gli amici di Robert quando è venuto qui.
«Vatti a cambiare, in fretta, dai!».
«Vado, vado!».
Passo davanti al gruppo di ragazzi e mi accorgo che alcuni visi mi sono leggermente famigliari ma non mi soffermo più di tanto perché Bob mi sta tenendo d'occhio. Mi cambio in fretta, maledicendo ogni cinque secondi la divisa, perché non posso mettermi un paio di pantaloni della tuta e una felpa gigante? Ho freddo, sono stanca e vorrei solo dormire un po', ho mesi e mesi di sonno arretrato e non ho mai il tempo di farmi una dormita come si deve, forse è per questo che sono sempre acida con tutti.
Quando esco fuori tutta la tavolata dei ricchi sfondati si gira verso di me e vedo che iniziano a parlottare tra di loro, e chissà perché la me paranoica mi dice che stanno parlando proprio di me e non sono cose carine.
Mi faccio forza e mi avvicino.
Un tipo con un completo italiano e un'aria da figlio di papà che salta incredibilmente all'occhio, si gira verso di me e mi sorride, un sorriso parecchio viscido che mi fa venire un brivido di paura lungo la schiena. «Ciaaaaao», c'è troppo entusiasmo nella sua voce.
«Ciao», guardo le altre persone presenti al tavolo, «cosa volete?».
«Allora sei tu la ragazza per cui Pattinson ci ha dato buca l'altra sera» dice un ragazzo che avrà giusto tre o quattro anni più di me. Mi squadra dalla testa ai piedi mettendomi in soggezione.
Robert? Che c'entra Robert con loro?
«Se non dovete ordinare io posso tornare anche dopo..».
«Ho chiesto a Rob se potevamo vederci per un pranzo insieme prima del lavoro e sapete cosa mi ha detto, ragazzi?» chiede il tipo che mi ha parlato per primo. «Che aveva un impegno importante e ci avrebbe raggiunto dopo. Che dite, lo chiamo e gli dico di raggiungerci qua?» mi lancia un'occhiata maliziosa e io vorrei sprofondare. Non voglio vedere Robert, sono ancora arrabbiata con lui.
«Fai un po' come vuoi, non so di cosa tu stia parlando».
«Io invece penso che tu lo sappia benissimo».
«Pensala un po' come cazzo vuoi».
Me ne torno dietro al bancone, dove Bob mi guarda chiedendomi con lo sguardo spiegazioni su quello a cui ha appena assistito ma io scuoto la testa, non ho voglia di parlarne. Non ho voglia di parlare, e basta.
Ma perché ho accettato di fare questo turno?
Ma perché ho accettato di fare la finta fidanzata di Robert Pattinson?
Per fortuna poco dopo entra una famiglia con tre bambini piccoli che occupano il resto del mio turno, un'ora e mezza dopo sono sul punto di andare a cambiarmi per tornare a casa quando sento quelli dell'altro tavolo ridere e chiamare a gran voce qualcuno e quando mi giro verso di loro noto Robert entrare dalla porta con un'espressione tutt'altro che felice. Sembra furioso. Sono indecisa se correre via, nascondermi dietro il bancone o nel ripostiglio delle scope ma poi lui si gira verso di me e io mi paralizzo.
Oh, cazzo.
Robert non si avvicina neanche ai suoi amici, viene dritto verso di me.
«Kristen, possiamo parlare un secondo?».
«No».
Sul suo viso si forma una piacevole espressione accigliata. «Non fare storie, per favore. Dobbiamo parlare e lo sai benissimo anche tu, solo preferirei non farlo davanti a tutti e qualcosa mi dice che non vuoi farlo neanche tu».
«Tu non sai un accidenti di quello che voglio io».
«Perché tu non mi dai la possibilità di saperlo!» urla, poi mi afferra per il gomito e mi trascina via, verso la prima porta che troviamo e ciò il ripostiglio delle scope.
Quando chiude la porta mi ritrovo sola con lui, praticamente al buio.
«Si può sapere che cazzo ti prende?» urlo.
«Dobbiamo parlare e se l'unico modo per farlo è chiuderti dentro..» si guarda intorno, accorgendosi per la prima volta di dove ci troviamo, «dentro un ripostiglio delle scope, be', allora lo faccio. La scenata che hai fatto prima.. non l'ho capita», lentamente la sua espressione sicura scivola via, mostrando un Robert più confuso, meno fermo nelle sue decisioni.
«Non.. non l'hai capita?».
Si passa una mano fra i capelli, frustrato con se stesso. «No. Io non ho.. non credo di aver capire fino in fondo quello che mi stavi dicendo, ero troppo arrabbiato e non stavo ragionando quindi, per favore, potresti spiegarti meglio?».
Per un attimo pensai che mi stesse prendendo in giro.
«Tu davvero non sei abituato a sentirti dire “no” da una persona, non è così?».
Robert rimase in silenzio per qualche secondo, poi sbuffò. «Ho vissuto in una famiglia dove tutto quello che volevo ottenevo, si Kristen. Non sono.. abituato a non ottenere quello che voglio, okay? E tu mi stai mandando al manicomio. Parli in un modo che non capisco».
«E tu sei abituato a capire sempre tutto, eh?».
«Esatto».
«Hai una laurea in questo?».
«Cosa?».
«No, niente. Solo mi chiedevo se avessi tipo una laurea in questo, tipo un dottorato in “stronzologia” o “dominatore nato”, perché è questo che sei, o almeno è questo che fai vedere. Tu comandi le persone ma non riesci a comandare me perché io non te lo permetto ed è questo che ti fa impazzire, semplicemente ti sei incazzato perché non hai la situazione sotto il tuo comando. Il che è alquanto infantile, lasciamelo dire».
Proprio quando sono sul punto di uscire dal ripostiglio perché sicura che Robert non aprirà più bocca lui mi risponde: «Ecco, adesso ti sei spiegata bene, grazie».
«Come, prego?», è il mio turno di essere confusa.
«Prima, durante la tua scenata a casa mia, non avevo capito bene cosa intendessi, adesso invece ti sei spiegata benissimo e mi hai fatto capire come mi vedi. Tu mi vedi esattamente come voglio essere visto dal mondo».
«Vuoi che gli altri pensino che tu sia uno stronzo?».
«No», si passa di nuovo la mano fra i capelli, che adesso sono scompigliati ad arte, «voglio solo che le persone capiscano che non sono una persona con la quale possono scherzare. Sono giovane, è vero, ma ho un impero fra le mie mani e non mi piace essere sottovalutato».
«Tu. Sei. Davvero. Pazzo.» sillabo bene, nel caso non capisse neanche questa volta.
«Definiscimi come vuoi, io so chi sono».
«Si, un pazzo».
Si morse il labbro per trattenere quello che, a prima vista, sembra un sorriso divertito. «Grazie mille. Comunque sia, non sono certo venuto qui solo perché quei coglioni dei miei amici mi hanno detto di farlo, volevo chiarire con te e risparmiarti le battute cretine dei miei amici che, sicuramente, ti avranno già infastidito..».
«Si, un po', ma ancora non ho capito perché sei venuto qua allora».
«Mi dispiace, ho cercato di arrivare il prima possibile. Sono venuto qua per chiarire, te l'ho appena detto».
«Chiarire cosa? Mi hai trattato come se fossi un oggetto e io me ne sono andata, non c'è altro da dire».
«Te l'ho detto, hai frainteso».
«Si, hai ragione, mi hai trattato direttamente come se fossi una bambola, volevi decidere direttamente anche come dovessi vestirmi», tutta la rabbia che avevo provato durante il nostro litigio e che poi era lentamente sbollita, adesso ritorna prepotente a farsi sentire.
Robert si strofina la faccia con le mani, mostrandomi un bel orologio che costa più del mio appartamento. «Forse non mi sono spiegato bene. Tu mi servi, Kristen. Ti ho scelto perché sapevo che saresti andata bene per aiutarmi ma se continui così non posso che ricredermi, ti stai comportando come una bambina. Okay, forse anche io ho messo del mio in questa situazione ma non puoi pretendere molto da me, non sono portato per i rapporti di coppia, ecco perché mi servi tu. Non voglio relazioni nella mia vita, non adesso, sicuramente neanche in un futuro prossimo, sono molto concentrato sul mio lavoro e una relazione mi occuperebbe solo tempo che preferisco spendere in altro modo, capisci? Mi servi, quindi, per favore, troviamo un modo per continuare quello che abbiamo iniziato senza ucciderci a vicenda, va bene?».
No.
No, che non va bene.
Non intendo farmi trattare come una bambina, non mi interessa quanto belli siano i tuoi discorsi.
E non mi interessa neanche che la tua voce sia così sensuale persino mentre parla di una cosa tanto squallida.
Sei così bravo a fare i discorsi, ma non intendo cascarci.
«Non credo di riuscirci, mi spiace».
«Ma...».
«Mi dispiace, Rob..» lo supero ed esco dal ripostiglio.
Bob mi aspetta fuori, le braccia incrociate sul petto.
Sembra parecchio scocciato.
«Kristen, mi spieghi gentilmente cosa stai combinando?».
«Niente..».
«Ah si? Niente? A me sembra invece che tu ti stia facendo i cazzi tuoi sul lavoro, andandotene allegramente nel ripostiglio delle scope con un cliente!».
Sento la porta dietro di me chiudersi e la presenza di Robert alle mie spalle e lotto contro me stesse per non girarmi. È tutta colpa sua se adesso sono nei casini con il capo.
«Bob, mi dispiace.. non è come sembra, io non..».
Lui solleva una mano per zittirmi. «Non mi interessano le tue scuse! Mi hai lasciato da solo con una tavolata di venti persone e nessuna cameriera, Kristen!».
«Lo so e mi dispiace ma se tu..» inizio ad agitarmi, saltellando sul posto. Sento gli occhi di Robert dietro di me e c'è un imbarazzato silenzio in tutto il ristorante.
«Niente “ma”. Non voglio sentire scuse. Questa è l'ultima volta che ti permetto di fare una cosa del genere, Kristen, perché...».
«Ehm, scusi?», Robert mi viene accanto, intromettendosi.
Bob lo guarda senza capire, «Ha bisogno di una mano?».
«Volevo solo dire una cosa su Kristen. So che lei è molto arrabbiato con lei e ha ragione ma se permette vorrei dire una cosa in sua difesa.. è colpa mia se Kristen non è stata al suo posto, oggi. Quindi, ecco..», infila una mano nella tasca della giacca e tira fuori un portafogli che apre e prende due banconote da cinquanta dollari, «pensa che possano bastare per rimediare alla lacuna nel suo staff di oggi?».
Bob non sta più fissando Robert, fissa solo le banconote fra le sue mani.
«Certo! Grazie mille, signor...».
«Pattinson. Robert Pattinson. E questi sono per avere Kristen per il resto della giornata», tira fuori altri soldi e li mette direttamente nelle mani di Bob, che non dice niente ma sorride come un bambino. Dio, che schifo.
Robert mi afferra di nuovo per il braccio e mi scorta gentilmente verso la porta.
Mi sento come se mi avesse appena comprata e forse l'ha fatto davvero.
«Ma che fai..?» chiedo, ormai sull'orlo di una crisi isterica.
«Abbiamo un pranzo domenicale domani, ti ricordi?».
«E tu ti ricordi che io ti ho detto che non voglio avere più niente a che fare con te?».
Lui alza gli occhi al cielo e un angolo delle sue labbra si solleva verso l'alto in un sorriso sghembo, davvero carino. «Ti sei già scordata? Non accetto “no” come risposta».





*





Siamo di nuovo nel suo appartamento, sono seduta sul divano, da sola. Robert è andato a chiamare una sua “amica” che si occuperà del “fattore vestiti” per domani. Mi chiedo chi sia e perché non possa vestirmi come voglio. Mi tormento le mani, agitandomi sul posto e guardandomi intorno; il suo appartamento è davvero grande e ha talmente tanta roba costosa dentro che ho paura di rompere qualcosa soltanto respirando. Mi sento davvero a disagio nel suo appartamento, ogni cosa che c'è qua dentro mi ricorda quanto io e Robert siamo diversi e sopratutto il motivo per cui sono qua. Chissà, magari se fossi nata in una famiglia più ricca avrei incontrato Robert in un'altra maniera, magari a quest'ora saremmo persino amici o...

«Tutto fatto, Julie sta arrivando», la voce di Robert che entra nella stanza interrompe – per fortuna – i miei pensieri.
«Chi è Julie?» chiedo.
«Julie è un'amica, si occupa di moda e ti aiuterà a trovare gli abiti adatti per domani tenendo conto dei tuoi gusti personali. Io non posso occuparmene, so già che litigheremmo e basta quindi ho chiamato lei» mi sorride e i pensieri di poco prima mi tornano alla mente, ma che mi succede? Basta, basta, basta. Io non lo sopporto e lui mi ha letteralmente comprata per usarmi per i suoi comodi, come posso anche solo lontanamente pensare a lui come un amico?
«Oh...».
«Non ti va bene..?» si avvicina, sedendosi accanto a me sul divano bianco.
«E' okay».
«Fidati, Julie è bravissima nel suo lavoro. Aiuta persino le mie sorelle, qualche volta».
Le sue sorelle, giusto. Robert ha due sorelle. Come ha fatto un ragazzo con due sorelle in casa a diventare così freddo? «Parlami di loro», non so perché lo dico ma lo faccio, sono curiosa di scoprire un lato di Robert diverso, più intimo, più famigliare. Forse dentro di me spero di scoprire che dietro questa armatura che lui sfoggia c'è un ragazzo come tutti gli altri. Mi giro verso di lui, incontrando il suo sguardo.
«Victoria è la più grande, ha venticinque anni e si occupa di giornalismo. Insieme al suo fidanzato si occupa di una testata giornalistica emergente. Elizabeth – Lizzie, per famiglia e amici – è la più piccola e si è appena laureata a quasi ventidue anni, vive non molto lontano da qui e penso che, se vi conosceste, diventereste grandi amiche», sembra quasi contento di raccontarmi delle sue sorelle, si vede che le ama davvero tanto. Mi chiedo se anche loro siano belle come lui.
È davvero bello..
«Wow... sembrano.. due donne di successo», al contrario di me.
«Victoria è molto ambiziosa, si. Lizzie è più per “cogli il momento”, ma solo perché è ancora giovane, deve fare le sue esperienze prima di mettere la testa apposto una volta per tutte e decidere cosa fare delle sua vita», il tono serio con cui lo dice mi fa pensare alla mia vita, a come a diciannove anni in stia andando da nessuna parte. Le sorelle di Robert hanno già una laurea e un lavoro stabile e sicuro mentre io cosa ho? Una soffitta che mi fa da casa e un gatto egocentrico.
«Non haa solo ventidue anni, ha tempo..».
«Io ne ho ventitré e so esattamente cosa voglio dalla vita, lo so da quando avevo sedici anni».
«E cosa vuoi?», i suoi occhi si fanno di un azzurro più scuro, riesco quasi a vedere i suoi pensieri agitarsi dentro le sue iridi.
«Voglio avere il controllo di tutto, te l'ho detto», si fa più vicino, fissandomi a sua volta negli occhi, dandomi moto quasi di caderci dentro, la sua voce è quasi un sussurro.
Sembra sul punto di dire qualcos'altro quando il citofono suona, interrompendoci.
«Deve essere Julie, vado io» mi sorride e si alza per andare a rispondere, lasciandomi sola e tempo per pensare.
Ha davvero due occhi bellissimi.
Due occhi che non sembrano affatto quelli di una persona cattiva né egocentrica.
Sembrano gli occhi di un bambino ma hanno anche la malizia di un ragazzino.
Non sembrano incastrarsi con il suo corpo, non fanno parte della maschera che indossa. Se una persona guardasse Robert dritto negli occhi in un momento di distrazione vedrebbe forse chi è veramente?
«Kristen, ti presento Julie».
Robert è in piedi sulla soglia e accanto a lui c'è una bella ragazza sui venticinque anni – forse anche meno – con lunghissimi capelli neri e due occhi a mandorla dello stesso colore. È alta come Robert e indossa una gonna nera a vita alta con una camicia bianca a maniche larghe che terminano con due bottoncini che stringono sui polsi, indossa un paio di tacchi non troppo alti ed è accuratamente truccata per mettere in risalto i tratti asiatici – occhi grandi e labbra piene e rosse come il fuoco – è davvero bella e mi sorride, amichevole.
Balzo in piedi come una molla e per poco non rischio di perdere l'equilibrio.
Julie allarga il sorriso – forse vorrebbe solo ridere della mia imbranataggine – si allontana da Robert e mi porge la mano, «Sono davvero felice di conoscerti, Robert mi ha parlato di te prima al telefono ma non credevo che facesse sul serio».
Oddio, le ha detto tutto?
Le ha detto proprio tutto sul motivo per cui sono qua? Non ci credo.
Sento le guance diventarmi rosse.
«Mi ha detto del suo corso di attrice, sono davvero curiosa di sapere qualcosa di più a riguardo. Ho sempre trovato la recitazione molto affascinante» aggiunge, stringendo con vigore la mia mano. Ha una stretta sicura, salda.
Recitazione? Che corso di recitazione? «Uhm, piacere mio...», guardo Robert in cerca di spiegazioni ma lui non dà segni di imbarazzo. Mi guarda e sorride, semplicemente.
«Julie, ricordati cosa ti ho detto».
Lei fa finta di chiudersi la bocca con una zip. «Si, certo! Non aprirò bocca con nessuno, me l'hai detto Robert», Julie mi lascia la mano e si rivolge a me. «Tranquilla, Robert mi ha detto che il corso che stai seguendo è molto riservato, mi ha detto anche che hai molto talento e che ti ha scelto proprio per questo. Certo, scommetto che la sua famiglia avrebbe preferito una fidanzata vera per lui ma credo che imparerai a conoscerlo molto presto e a capire che Robert Pattinson non è proprio tipo da lasciar perdere il lavoro per amore» nel suo tono di voce noto un velo di tristezza e subito mi sorge il dubbio: hanno avuto una relazione? Certo, lei è davvero bella e dal modo in cui è vestita scommetto che viene dal suo stesso mondo. Ha più punti di me sicuramente.
Robert le appoggia una mano sulla spalla, «Julie, ci lasci un secondo da soli? Devo parlare con Kristen di una cosa. Perché non vai a prenderti qualcosa da bere? Ho dato due settimane libere ai domestici ma dovrebbe esserci ancora del vino se lo cerchi bene».
«Certo. Porto da bere per tutti così poi, io e Kristen, possiamo cominciare» mi guarda e vedo che è emozionata all'idea, sicuramente più di me che me la sto facendo sotto all'idea di ritrovarmi da sola con lei e tutti quei vestiti. «Vedrai, sarà stupendo. Ho già un'idea di dove andare per prima cosa», mi fa l'occhiolino per poi sparire in cucina.
Appena Julie è abbastanza lontana mi volto di scatto verso Robert, «Si può sapere cosa cazzo le hai detto?».
«Ho solo colorato un po' la verità» fa spallucce, un'espressione innocente che lo rende persino credibile.
«Di che corso di recitazione stava parlando?».
«Le ho detto che sei una giovane attrice in ascesa, che devi fare pratica per un ruolo e che quindi ti ho presa con me per “recitare” la parte della mia fidanzata, diciamo che le ho detto che dovevi fare pratica per immedesimarti nel ruolo».
Spalanco gli occhi, furiosa. «Perché mai hai detto una cosa del genere? Hai solo complicato tutto!» mi sforzo di tenere un tono di voce bassa ma è difficile, «Mi hai messo in bocca una bugia che non ho detto» mormoro a denti stretti.
«Come ho detto, ho solo colorato la realtà. E poi non sei contenta che ti abbia dipinta come un'attrice di talento?».
«NO!».
«Abbassa la voce, Kristen».
«No, perché non è verità..».
«Potrebbe esserlo, però».
«Che intendi?».
«Quello che fai per me, è recitare. Se sarai brava, potresti davvero riflettere sul fatto di intraprendere la carriera di attrice, potrei aiutarti».
«Cioè comprarmi la carriera esattamente come hai comprato me».
Sul viso di Robert si dipende un'espressione corrucciata. «Io non ti ho..».
«Eccomi!».
Julie viene verso di noi tenendo in mano una bottiglia di vino e tre bicchieri di cristallo che dondolano pericolosamente fra le sue mani smaltate.
Mi affretto a prendere il mio bicchiere prima che precipiti a terra. «Grazie..».
«Di cosa parlavate voi due?» chiede, lanciando un'occhiata prima a me e poi a Robert, vedo un lampo di malizia coprire i suoi occhioni a mandorla.
«Di niente, solo che Kristen non vede l'ora di iniziare. Questo progetto è davvero molto importante per lei» dice Robert, ha di nuovo indossato la sua maschera\armatura.
Julie versa il vino nel suo bicchiere e poi nel mio.
Solleva in alto il suo calice invitandomi a un brindisi.
«Che abbia inizio la nostra trasformazione!», esulta.
«Che la fortuna mi assista...».




Pov Robert




Stavo scrivendo sul mio computer quando qualcuno bussò alla porta del mio ufficio. Avevo deciso di mettermi in pari con il lavoro mentre Kristen stava fuori con Julie.
«Avanti!».
«Siamo tornate!», Julie entrò nella stanza come un tornado, come sempre. Julie e Lizzie erano buone amiche dalle elementari, avevano frequentato le stesse scuole private, la stessa parrucchiera e le stesse feste fin da quando erano piccolissime. Poi Julie aveva preso l'indirizzo moda all'università mentre Lizzie aveva preso economia come le aveva consigliato mio padre – continuando però a seguire i suoi corsi extra di pittura, canto e ballo – e le loro strade si erano divise per un po' ma adesso avevano ripreso a frequentarsi ed era come se il tempo non fosse mai passato. Julie era a pranzo a casa nostra una settimana si e l'altra no.
«Oh, giusto in tempo per la cena», controllai l'ora sul computer prima di spegnerlo, 8:20.
Sollevai lo sguardo e vidi Julie, ma non fu lei ad attirare la mia attenzione, piuttosto la figura minuta dietro di lei.
Kristen.
Era ancora indecisa se entrare o meno e riuscivo a scorgere solo la metà del suo corpo. Così mi alzai io e le andai incontro.
Julie si fece da parte e batté le mani tutta contenta quando vide l'espressione estasiata che comparse sul mio viso senza che potessi farci niente.
Kristen era.. incantevole.
Non che prima non lo fosse, ma vestita in quel modo non sembrava neanche più lei, sembrava più grande, più matura, meno sfacciata e molto più timida. Indossava una gonna grigia a vita alta che lasciava scoperte le sue bellissime gambe candide, una canotta bianca di seta con una scollatura a cuore e una giacca blu scuro a maniche lunghe. Indossava persino un paio di tacchi di almeno nove centimetri.
«Kristen.. complimenti, sei.. sei..», perché non riuscivo a trovare le parole giusto? Io faccio discorsi davanti a centinaia di persone e non riesco a trovare le parole giusto per descrivere come è vestita lei?
«E' bellissima, si» mi viene in soccorso Julie, stringendo le braccia di Kristen con le mani e spingendola dentro la stanza, davanti a me.
Kristen abbassò lo sguardo, imbarazzata.
«Si, sei bellissima» dico.
Noto che le sue gote prendono colore. Julie non l'ha truccata e ne sono felice, la sua pelle è perfetta e il suo viso è stupendo anche senza bisogno di alcun cosmetico. «G..grazie» balbetta.
«Sarai perfetta domani, mia madre ti adorerà».
«Uhm... okay...».
Ma vedo che c'è qualcosa che non va'.
Non è contenta, i suoi occhi sono spenti.
Non le importa niente degli abiti di alta moda, non le piace come le stanno e si vede.
Si muove agitata sui tacchi, in bilico tra lo stare in piedi e precipitare sul tappeto.
Sto per chiederle se va tutto bene quando Julie si mette in mezzo. «Questo è l'abbigliamento che avrà domani ma stavo anche pensando a un abito. All'inizio abbiamo provato qualcosa come venti vestiti ma Kristen ha detto che si sentiva a suo agio con un vestito così abbiamo optato per un completo gonna-camicia per darle un'aria sofisticata. Ma ho un abito che sarebbe perfetto su di lei! Basta che mi fai uno squillo domani mattina, anche alle cinque del mattino, e te lo porto», come sempre Julie è efficiente e disponibile ventiquattro ore su ventiquattro, ama proprio il suo lavoro.
Kristen però non sembra della stessa idea perché fissa Julie con un'espressione che, se ci fosse un traduttore, sarebbe “no, ti prego, un abito no! Non mettermi così in mostra, per piacere...”.
«No, grazie Julie. Così va benissimo».
Kristen mi lancia un'occhiata riconoscente.
«Oh, va bene! Be', allora vi lascio, devo andare fuori a cena con amici. Ci vediamo uno di questi giorni, Robert», si gira verso Kristen e l'abbraccia. Vedo Kristen restare rigida per qualche secondo per poi ricambiare goffamente l'abbraccio, muovendosi in modo scoordinato in quegli abiti non suoi. «Kristen, è stato davvero un piacere lavorare con te. Dovremmo uscire insieme uno di questi giorni, magari ci organizziamo con Lizzie, la sorella di Robert. Oh, e stai davvero benissimo, non esitare a farmi chiamare da Robert per quel vestito, è tuo quando vuoi, te lo presto. Ciao!» la lascia andare, si sistema la borsa sulla spalla ed esce chiudendosi la porta dietro di sé.
Una volta rimasti soli è Kristen la prima a parlare.
«Allora.. vado... vado bene..?» chiede, tenendo lo sguardo basso sulle sue scarpe.
«Vai benissimo. Adesso è proprio il caso che andiamo a cena, John ci sta aspettando di sotto in macchina».
Lei si morde il labbro, «Non ho molta fame..».
«Hai camminato tutto il giorno, devi avere fame».
«Non tanta..».
«Mangerai qualcosa lo stesso. Forza, andiamo».
Lei si sistema la giacca e usciamo dal mio appartamento senza dire altro. In ascensore continua a non guardarmi neanche, tenendo sempre lo sguardo basso e quando entriamo in macchina rivolge un saluto frettoloso a John per poi rivolgere il viso verso il finestrino, una mano appoggiata sulla bocca, osservando il passaggio per tutto il viaggio. New York si illumina davanti a noi, le luci di tutti i negozi e ristoranti sono accese quando arriviamo davanti a uno dei miei ristoranti preferiti.



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John viene ad aprirci e Kristen scende per prima.

Si guarda intorno a bocca aperta.
«Non ci sei mai venuta prima?» le chiedo.
«Non credo di aver mai messo piede in questa parte della città, a dire il vero...» mi dice mentre un cameriere ci scorta al nostro tavolo.
Prima che Kristen possa precedermi mi avvicino alla sua sedia e mi affretto ad allontanarla dal tavolo per farla sedere. Lei mi guarda e accenna un sorriso per poi sedersi, le sue gambe sono davvero bellissime e attirano sempre di più la mia attenzione.
«Tu... tu frequenti sempre posti del genere..?» chiede dopo che abbiamo ordinato – filetto al sangue per me e un'insalata per lei per mio grande dispiacere, avrebbe bisogno di mangiare un po' di più sopratutto dopo la sua camminata.
«Che intendi con “posti del genere”?».
«Così... pieni di... gente ricca, dove bisogna prenotare il tavolo».
«Non ho prenotato».
«No?».
«No. Il locale è di mio padre, ho un tavolo libero ogni volta che voglio».
Lei storce la bocca in una smorfia e prende un sorso di vino. «Avrei dovuto immaginarlo... tuo padre possiede praticamente tutta New York».
«Una specie, si».
«E di conseguenza anche tu».
«Diciamo che sono agevolato in parecchie cose».
«Parecchie cose vorrai dire!».
Accenno un sorriso, «Va bene.. parecchie cose, hai ragione».
Una cameriera porta le nostre ordinazioni e iniziamo a mangiare.
«Sei sicura che non vuoi prendere altro? L'insalata non riempie come una bistecca» le faccio notare.
«Va bene così..», gioca un po' con l'insalata, sembra persa nei suoi pensieri.
«Vuoi un pezzo del mio filetto?».
«No.. grazie».
«Un altro po' di vino?» sollevo la bottiglia e cerco di fare il mio sorriso più amichevole ma lei scuote la testa e io rimetto giù la bottiglia. Ogni mio sforzo con lei è inutile. Ogni tanto mi sorride, mi parla, e per un po' di tempo è come se stesse davvero cercando di comunicare con me ma basta un attimo di distrazione che ecco che un muro si piazza davanti a me. Eppure io voglio vedere oltre quel muro, perché lei è diventata la mia nuova sfida. Cosa c'è oltre quel muro?
«Domani a che ora devo essere nel tuo ufficio...?» chiede di punto in bianco, dieci minuti di silenzio dopo.
«Vengo a prenderti io, non c'è tempo per andare nel mio ufficio».
«NO» scatta subito.
«Kristen, parlo seriamente. Non c'è tempo, dammi il tuo indirizzo», tiro fuori il cellulare per segnarlo ma lei continua a scuotere la testa.
«Non se ne parla».
«Che ha che non va casa tua, si può sapere?».
«N...niente... solo, vengo io».
«Kristen..».
«Robert, ho detto che vengo io, e che cazzo! Vengo io, non rompere».
Non mi va di litigare, non ora che stavo iniziando a fare un po' di conversazione con lei – poca e deludente, ma è un inizio - «Va bene... come vuoi. Vieni alle sei».
«Di mattina? Scherzi?».
«Dobbiamo essere da mia madre entro le sette e mezza».
«Ma non era un pranzo domenicale?».
«A mia madre piace organizzare le cose in grande, ci vorrà lì anche per la colazione.. e forse per cena».
«No.. non starò a casa dei tuoi genitori tutto il santo giorno, scordatelo» mi fulmina con lo sguardo mentre lo dice, minacciandomi con gli occhi.
«Ho detto forse, Kristen. Non scaldarti tanto, per carità» sollevo un braccio e chiamo un cameriere, chiedendo il conto, che mi viene portato pochi minuti dopo.
«Andiamo, ti accompagno a casa».
Kristen si alza e si sistema la giacca, stizzita. «Grazie della proposta, ma rifiuto, me ne torno a casa da sola».
Mi alzo a mia volta, terrorizzato che scappi via prima che abbia modo di calmarla. «E come? Non sai neanche in che zona della città ci troviamo».
«Siamo a New York, un modo si trova sempre» dice, voltandosi e dirigendosi verso l'uscita.
Tiro fuori una banconota da duecento dollari e la lascio sul tavolo prima di correrle dietro. Le afferro il braccio un secondo prima che esca dal locale così le stringo il gomito e varchiamo la soglia insieme.
«Robert, lasciami!».
Stringo la presa. «Non intendo lasciarti vagare per la città da sola, Kristen».
«Prenderò un taxi» strattona per farsi lasciare ma io non mollo la presa.
«Non da sola».
«Sono sempre stata sola, non capisco dove sia il problema adesso!» urla, e volta il viso dall'altra parte ma riesco comunque a scorgere i suoi occhi brillare alla luce della luna. Quando torna a guardarmi, però, sono di nuovo asciutti e anche arrabbiati. «Robert, ho detto di lasciarmi il braccio. Adesso».
Allento la presa contro voglia e la spingo gentilmente verso la mia macchina, «Lascia che ti accompagni a casa, per favore».
«NO!».
«Kristen!».
«Ho detto di no! E ADESSO LASCIAMI ANDARE!» visto che si dimena come una pazza la lascio andare ma mi avvicino di più, pronto ad afferrarla nel caso scappasse via.
«Calmati!» le ordino.
«Oh, Dio. Vaffanculo, Robert» fa per andarsene ma l'afferro di nuovo d'istinto, attirandolo a me.
Lei si dimena e mi spinge via.
«Va bene! Va bene!» la lascio e infilo una mano nella giacca, prendo il portafogli e lo apro. «Cristo, hai un carattere di merda, sei la persona più testarda e folle che io abbia mai conosciuto ma non per questo ti lascerò andare in giro per New York da sola. Non vuoi venire con me? Va bene! Ma almeno accetta che ti paghi il taxi e controlli che sia un tipo affidabile».
«Non accetto soldi da te!».
«Dovrai farlo. Per forza» dico, alludendo ai soldi che le darò per il suo “piccolo aiuto”.
«E' un'altra cosa! Adesso... adesso non devi darmeli. Mi hai già pagato la cena, io non voglio che tu mi dia altri soldi!».
Non l'ascolto.
Le prendo la mano e mi giro in cerca di un taxi.
Subito uno si ferma davanti a noi.
Kristen si sta agitando ma la ignora un'altra volta, avvicinandomi al finestrino e parlando con il conducente del taxi. «Deve portare una signorina a casa, ecco i soldi per la corsa, spero che bastino», gli do cento dollari visto che non ho idea di dove viva Kristen e di quanto sarà lunga la corsa. L'uomo prende i soldi senza dire niente.
Apro lo sportello e spingo Kristen dentro il taxi, chiudendo lo sportello.
«Sei uno stronzo!» urla lei.
«Ci vediamo domani, Kristen. Sarai bellissima».
Faccio un cenno al taxista e la macchina parte.
Continuo ad osservare la macchina fin quando non sparisce nel traffico.
Vado verso la mia, dove John mi sta aspettando e mi apre lo sportello.
Il cellulare vibra dentro la tasca interna della giacca.
Da: “Kristen”.
Messaggio: “Sei un grandissimo stronzo! Non permetterti mai più a pagarmi qualcosa, non ho bisogno della tua carità!”.
Le rispondo subito:
Non mi dispiace pagarti le cose. Buonanotte, Kristen. Non vedo l'ora che sia domani, sogni d'oro”.


Okay, in realtà pensavo che sarebbe stato molto più lungo ma visto che alcuni mi hanno

chiesto quando avrei postato e io ho risposto “presto”, ecco qua...
ehm, non so che dire.
Questa storia mi ha preso un sacco e spero che vi piaccia almeno la metà
di quanto piace a me.
Robert è un po', come dire..?, non stronzo.
Be', ditemelo voi.
Sapete che amo sapere la vostra opinione.
Scusate per il ritardo ma ho avuto da fare con la scuola e ho avuto anche l'influenza.
Sicuramente dovrei dire anche altro ma mi verrà tutto in mente una volta che avrò
pubblicato quindi è inutile.
Vi voglio bene,
grazie mille,
lasciate tante recensioni.






















   
 
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