2 capitolo.
# money is the anthem of success
Pov
Kristen
“Kristen!”
sento le urla di mio fratello mentre sale le scale, chiamandomi.
“Kristen, dove sono i miei jeans!?”. Rido tra me e
mi siedo sul
letto, con indosso i jeans di Cameron. Naturalmente non sono
esattamente come quando li ho trovati, ho riportato qualche modifica,
tipo qualche taglio qua e là per farli sembrare come quelli
di
una vera rockstar.
Cameron
entra in camera mia, furioso.
“I
miei jeans, Kristen”.
Mi
alzo in piedi.
La sua
faccia, appena vede cosa ho fatto ai suoi jeans, cambia
completamente, passando da furiosa e incredula a incazzato nero.
“NO,
dimmi che NON E' VERO! Ti ammazzo! Kristen, ti giuro che ti ammazzo
sul serio questa volta!” mi salta addosso, finiamo tutti e
due sul
letto, io sto ridendo come una matta mentre lui è serissimo
e
cerca in qualche modo di togliermi i jeans di dosso, anche se
entrambi sappiamo che ormai sono irrecuperabili. “Questa
volta me
la paghi, Kristen! Sei una cogliona, non c'è da dire altro.
Vediamo che faccia fai tu se rompo un paio delle tue felpe o non te
ne presto più delle mie!”.
“No,
dai, lo sai che amo le tue felpe” protesto, senza smettere di
ridere.
“Un cazzo.
Sei una stupida. Mamma lo sa?”.
“Secondo
te? Ovvio che no”.
“Eh
certo. Cristo santo, ma perché? Perché doveva
capitare
proprio a me una sorella cogliona come te, eh? I miei jeans
preferiti, cazzo!”.
“Eddai,
ora sono più carini. Però mi stanno
larghi...”.
“Ovvio, sei
una nana e io sono
il doppio di te, scema”.
“Non
sono una nana!”.
“Sei
alta un metro e un tappo di bottiglia, come altro dovrei
definirti?”.
“Almeno ho
gusti nel vestire
migliori dei tuoi, questi jeans adesso sono molto più
carini”.
“Erano
belli, adesso
fanno schifo. Quando inizierai a metterti una gonna?”.
Faccio una smorfia,
Cameron sa
benissimo del mio odio per tutti gli abiti prettamente femminili.
Ecco perché rubo molta della sua roba. “Mai, mai,
mai, mai,
mai, MAI”.
“Oddio,
non avrò più abiti”.
Gli
bacio la guancia e lo spingo giù dal mio letto.
“Ti voglio
tanto bene, Cammy”.
Mi
sveglio di soprassalto.
“Sono
nel mio letto.. sono nel mio letto”, continuo a pensarlo, a
ripeterlo nella mia testa, per tranquillizzarmi.
Mi
porto una mano al cuore, batte a mille e ho gli occhi lucidi.
Cameron.. oddio, quanto mi manca. Non lo sogno quasi
mai ma
stanotte, chissà perché, mi sono addormentata con
in
testa lui, i suoi occhi così simili ai miei, i tatuaggi sul
braccio, il modo in cui mi abbracciava e mi lasciava fare
praticamente tutto quello che volessi.
Mi
alzo dal letto e vado verso il mio “armadio”, frugo
un po' e alla
fine trovo quello che stavo cercando. I jeans di Cameron. Sono vecchi
e fuori moda ma sono i suoi e sono bellissimi, se mi concentro molto
hanno ancora il suo profumo e mentre li indosso mi torna in mente il
sogno, e ho di nuovo gli occhi lucidi.
Mr
Bowie viene a strusciarsi contro una mia gamba prima di dirigersi
verso la sua ciotola dell'acqua. Mi inchino e gli do una grattatina
dietro l'orecchio, lui mi ringrazia con un sonoro “meo, pff,
mew”
che traduco come un “buongiorno anche a te”. Mi
infilo una felpa
nera e vado a prendermi un bicchiere di latte in cucina. Mr Bowie mi
segue, venendomi dietro mentre mi muovo per la stanza, cercando di
riscaldarmi strofinandomi le mani sulle braccia. Questa dannata casa
è sempre fredda, non ho riscaldamento e infatti a casa mia
non
mancano mai coperte, cuscini, borse dell'acqua calda e piumoni,
insieme a una buona dose di cioccolata in polvere da preparare nel
cucinino.
Me ne sto giusto
preparando una per fare colazione quando sento il cellulare vibrare
sul tavolo. È una chiamata, è Robert.
È passata
una settimana dal nostro ultimo incontro e in questi giorni non ho
avuto tempo per pensare alla sua proposta né a quello che ci
siamo detti, ho lasciato che il ricordo del nostro incontro venisse
accantonato in un angolo della mia testa, in attesa di essere
dimenticato. E invece ecco che il ricordo viene a bussare alla mia
porta.
«Pronto?».
«Buongiorno,
Kristen. Spero che
tu non ti sia dimenticata del nostro accordo in questi
giorni»,
mi ero dimenticato di quanto potesse sembrare più vecchio
mentre parla, è come se fosse due persone diverse, come se
ogni tanto si dimenticasse dell'età che ha.
«No..
non l'ho fatto», anche se avrei voluto tanto farlo e ci ho
anche provato ma poi tu hai rovinato tutto chiamandomi e facendomi
sentire di nuovo la tua voce.
«Fantastico.
Possiamo vederci, oggi?».
«Ehm...».
«Domani è
domenica,
Kristen. Ricordi cosa ti ho chiesto?», eccome se me lo
ricordavo: avrei dovuto fingere davanti a tutta la sua famiglia di
essere la sua amata e adorata fidanzata. Io non ero brava a fingere.
«Si..».
«Bene. Oggi, quindi,
possiamo
vederci? Dobbiamo mettere in chiaro alcune cose, come ti ho
già
accennato al nostro scorso incontro», ma Cristo santo, deve
per
forza parlarmi come se fossi la sua segretaria personale? E io dovrei
fingere di amare questo ragazzo? Lo sopporto a malapena quando mi
parla, cazzo.
«Ah.. uh,
certo.. oggi, si..».
«Ti
vengo a prendere a casa tua?».
«No!»,
la sola idea che Robert veda dove vivo mi mette in imbarazzo, anche
se so che non dovrei. Non tutti nascono in una casa che ha soldi alle
pareti, alcuni devono farsi il culo e accettare il poco che hanno.
«Oh... come vuoi. Ci
vediamo al posto dell'altra volta, allora? Ti va' meglio?».
«Decisamente,
si».
«Ottimo. A tra poco,
Kristen».
«A dopo,
Robert...» chiudo il telefono e mi rendo conto di aver
bruciato
la cioccolata.
Impreco a voce
alta e cerco di porre rimedio, ma è troppo tardi,
è
bruciata.
E anche il pentolino
che stavo usando lo è.
Bene,
fantastico, penso.
"Che
la mia giornata di merda abbia inizio".
All'improvviso
i miei vecchi jeans non vanno più bene mentre mi ricordo che
tipo di posto è quello dove mi devo incontrare con Robert.
Vado nel mio armadio e cerco i pantaloni più carini che ho
ma
alla fine lascio perdere e mi metto un paio di jeans, il più
"carino" che ho e anche il più femminile possibile e
mi tolgo di controvoglia la felpa di mio fratello, infilandomi un
maglione blu un po' troppo largo che cerco di sistemare come meglio
posso ma alla fine il risultato è sempre lo stesso quindi
lascio perdere, non assomiglierò mai alle ragazze che
frequentano i posti che frequenta Robert, spunterò sempre,
è
inutile pure provarci. Saluto Mr Bowie ed esco di casa.
Ci
metto più di mezz'ora a piedi, più dell'altra
volta, o
forse è solo perché questa volta so cosa mi
aspetta e
cerco di rimandare il nostro incontro il più possibile. Ma
alla fine arrivo e Robert mi sta aspettando fuori per entrare con me.
Quando lo vedo, cerco di nascondere il fatto che mi manca il fiato,
è
bellissimo con la camicia bianca, la giacca nera elegante e i
pantaloni dello stesso colore, sembra appena uscito da un ufficio e
forse è proprio così. Ha la cravatta allentata e
le
mani infilate nelle tasche davanti dei pantaloni, un'aria rilassata,
mi sorride appena mi vede e per un istante mi fermo in mezzo alla
strada per poi correre per raggiungerlo.
«Ciao».
«Buongiorno,
Kristen. Dormito
bene?».
«Uhm,
si... allora.. uh».
«Vogliamo
entrare? Ho prenotato un tavolo isolato per noi due».
«Okay..».
Mi apre la porta e me la tiene
aperta
finché non entro, come un vero gentleman, il che mi mette
terribilmente in imbarazzo perché questo non fa' altro che
far
girare tutti i presenti verso di noi e vengo subito squadrata dalla
testa ai piedi.
Robert mi
appoggia una mano sul fianco per condurmi al tavolo e io sono tentata
dal scostarmi, mi sento davvero in soggezione con lo sguardo di mezza
sala ancora su noi due. Mi chiedo cosa stiano pensando tutti quanti,
qualcosa come "cosa ci fa' uno come lui con una.. come quella?"
e hanno ragione, neanche io ci crederei. E infatti è tutta
una
finzione.
Un cameriere ci
raggiunge e ci indica il nostro tavolo, «Da questa parte,
signor Pattinson, la stavamo aspettando».
Non
guarda a me.
Non mi chiede
neanche quale sia il mio cognome.
Parla
solo con Robert, ignorandomi palesemente.
Non
che mi importi, ovvio.
Il
tavolo è isolato come ha detto Robert, in un angolo del
locale
e come ha fatto il primo giorno Robert mi scosta la sedia e mi invita
a sedermi davanti a lui.
«Ti
piace il posto?» mi chiede, gentile.
«Si..
va bene».
«Possiamo
cambiarlo, se vuoi. Possiamo cambiare locale», si
è
accorto che mi sento in soggezione o è solo un modo per
dirmi
che può prenotare un tavolo per due, all'ultimo minuto, in
un
qualunque locale di New York senza problemi?
«Va
benissimo qui».
«Perfetto.
Allora, come stai?».
«Ehm,
bene, grazie..».
Un
cameriere arriva e ci porge un menù.
«Per
me un caffè e basta, grazie..», sembra che stia
per
aggiungere qualcos'altro ma poi si blocca e mi fissa, in attesa. Si
è
ricordato di come ho reagito quando ha ordinato al mio posto.
Apro
il menù e do un'occhiata a quello che offre il posto, anche
se
so già quello che prenderò, ma voglio prendere
tempo
per capire meglio la situazione. Robert mi sta facendo ordinare,
grazie a Dio. «Una cioccolata calda, per favore»,
porgo
il menù al cameriere, che prende il mio e quello di Robert e
se ne va' con le nostre ordinazioni.
«Ti
piace la cioccolata?».
«A
chi non piace?».
«A
me».
«Oh...»,
non avevo mai conosciuto una persona a cui non piacesse la
cioccolata.
«Non ne vado
matto, diciamo. Ed è proprio di questo che volevo parlarti,
Kristen».
«Vuoi
parlarmi del fatto che non ti piace la cioccolata?», sono
confusa.
Robert accenna un
sorriso divertito, «No. Di quello che mi piace o non mi
piace.
Per fingere di essere la mia ragazza davanti alla mia famiglia devi
sempre i miei gusti... e io devo sapere i tuoi, ovviamente».
Ah.
Giusto.
Sotto al tavolo, inizio a
tormentarmi
le mani.
«Si..
okay..».
«A te piace la
cioccolata».
«A te no,
invece».
«Mi piace il gelato,
però».
«Anche a
me».
«Al
pistacchio».
«Odio
il pistacchio. Mi piace crema e cioccolato al latte».
«Dolce o
salato?».
«Tutti e
due».
«Salato».
Il
cameriere arriva con le nostre ordinazioni, interrompendo quel
piacevole scambio di informazioni. Non mi ero neanche accorta di
quanto facilmente mi ero ritrovata a parlare con lui di quello che mi
piaceva. Adesso che l'incantesimo è stato rotto mi rendo
conto
che forse dovrei darmi una calmata, non sono abituata a farmi
conoscere da una persona così in fretta e senza neanche
conoscerla bene.
«Devi
andare a lavoro, dopo?» chiedo, mentre affondo il cucchiaino
nella cioccolata.
«Si.
Ma ci vediamo a pranzo» dice, senza neanche guardarmi e
girando
il suo cucchiaino nel caffè aspettando che si freddi.
«Cosa?».
«A pranzo. Sei con
me».
«Non me l'hai
neanche
chiesto», che idiota.
«Kristen,
dobbiamo parlare. Domani è domenica, c'è molto di
cui
parlare», il suo tono di voce è fermo, serio,
completamente diverso da quello che stava usando prima.
«E
se avessi degli impegni?».
Lui
mi guarda, scocciato. «Ce li hai?».
«Forse».
«Annullali. Hai
preso un
impegno con me e io ho bisogno di stare con te, oggi, a pranzo, fine
della storia. Ora mangia, non abbiamo tutto il giorno».
Sono stordita. Chi si crede di
essere? Okay, abbiamo un impegno e io ho detto che avrei accettato ma
adesso vorrei tanto potermi rimangiare la parola. Questo ragazzo
sembra una specie di tiranno in carriere e mi fa' saltare i nervi il
modo in cui si rivolge a me.
«Non
sei abituato a stare con una ragazza, vero?».
Solleva
lo sguardo su di me, accigliato e forse anche arrabbiato, ma faccio
finta di non notarlo. «Cosa te lo fa' pensare, si
può
sapere?».
«Mi
tratti una merda».
L'espressione
si addolcisce un po'. «Sono solo di fretta, Kristen..
scusami,
okay? Mangia, per piacere, dobbiamo andare».
«Dove?».
«Lo scoprirai dopo.
Adesso puoi
mangiare?».
«Non
ho più fame», mento, sto morendo di fame.
«Non
ti piace? Vuoi ordinare altro?».
«No..
ehm, va bene questo.. solo, non ho tanta fame».
«Mangia
almeno un po'» mi prega.
«Che
lavoro fai, esattamente?», decido che cambiare argomento
è
la cosa migliore.
«Lavoro
con mio padre, te l'ho già detto. Faccio tante cose, te lo
spiegherò più avanti».
«Mh,
okay..».
Mangio la mia
cioccolata, è calda, densa e buonissima ma continuo a
sentirmi
gli occhi di Robert addosso per tutto il tempo. Mi tornano in mente
le sue parole, "sei terribilmente bella" mi ha detto al
nostro primo incontro, lo pensa davvero?
«Hai
finito?».
«Si..».
«Bene, andiamo
allora» si
alza e viene verso di me per aiutarmi ad alzarmi dalla sedia ma io
sono più svelta e mi alzo da sola. «Oh».
Tira
fuori un bigliettone da cinquanta dal portafogli che ha in una tasca
della giacca e lo poggia sul tavolo. «Vieni». Una
semplice colazione costa così tanto?
Molte
persone si girano verso di noi mentre percorriamo la sala e usciamo
dal locale. La giornata si è fatta più fredda e
mi
pento di non essermi messa qualcosa di più pesante o di non
essermi portata con me una giacca.
Solo
quando Robert ci si avvicina mi accorgo che c'è una macchina
davanti al locale. Robert apre lo sportello del passeggero e si china
per parlare con qualcuno all'interno, sicuramente l'autista
personale. Quando si solleva di nuovo si gira verso di me, chiude lo
sportello e apre quello di dietro. «Prego», lo
tiene
aperto, aspettando che io entri.
«E'
la tua macchina?».
«Una
delle tante che uso per andare in giro per la città, si.
John
è il mio autista».
«Ah..»,
mi avvicino ed entro dentro la macchina, sedendomi sui sedili, che
sono comodi e caldi, c'è il riscaldamento.
Un
uomo si gira verso di me dal posto del guidatore, è sui
cinquant'anni e ha due occhi color cioccolato buoni e gentili.
Indossa un capello da autista blu, elegante e forse un po' troppo
formale per essere nel ventunesimo secolo. «Buongiorno
signorina».
«B..
buon.. buongiorno a lei».
Robert
si siede accanto a me, chiudendo lo sportello. «John, lei
è
miss Kristen Stewart e la vedrai molto spesso nei mesi
seguenti»,
mesi?, mesi?, «per favore, portaci dove
abbiamo
stabilito».
John
annuisce, sorridendo. «Come vuole lei, signor
Pattinson».
La macchina si mette in moto
ma quasi
non la sento mentre inizia a correre, superando di gran lunga la
maggior parte delle macchine in strada. Mi allontano un po' da
Robert, tutta questa storia della macchina e dell'autista personale
mi ha fatto ricordare bruscamente quanto ricco sia e sopratutto
quanto povera sia io messa in confronto a lui. Mi metto le mani in
grembo e cerco di sembrare occupata a fare.. qualcosa.
«Dove
stiamo andando?» chiedo, una volta che il silenzio
è
diventato davvero troppo insopportabile e mi sono stancata di
osservare il paesaggio fuori dal finestrino.
«Ti
piacciono le sorprese?».
«Nessuno
ti ha insegnato che non si risponde a una domanda con un'altra
domanda?», forse non dovrei essere così acida
–
sopratutto visto che non siamo soli e John, davanti a noi, ci osserva
dallo specchietto, attento – ma l'idea di essere dentro
quest'auto
così costosa senza avere la mia idea di dove io stia andando
mi manda fuori di testa.
«No..
in effetti no», sembra quasi divertito, ma non posso saperlo
con certezza visto che non mi guarda neanche, ha il viso rivolto
verso la strada che scorre, «in collegio mi hanno insegnato
tante cose, ma questa proprio no.. ero abituato a rispondere con una
domanda o una mia riflessione durante l'ora di dibattito, mi
spiace».
Collegio?
È
stato il collegio?
Chissà
perché, l'idea di Robert con una divisa scura, seria, non mi
sorprende.
«Be'..»,
tutte quelle informazioni mi hanno colto un po' in contropiede, non
mi aspettavo una risposta del genere, «te lo dico io
allora».
Restiamo in silenzio, di
nuovo.
Ma
ancora una volta questa assenza di discorso mi manda fuori di testa.
«No...»
sussurro.
Finalmente si gira verso di
me, «No,
cosa?».
«No. Non
mi piacciono le sorprese. Dove stiamo andando?».
«Devo
conoscerti assolutamente molto meglio di adesso, Kristen, abbiamo
bisogno di passare del tempo insieme. Pensavo di portarti a fare una
passeggiata a Central Park se non ti dispiace».
«Central
Park...?», no.
No, per favore, Central Park
no.
Ma perché proprio
lì?
Distolgo lo sguardo
da quello di Robert mentre un milione di ricordi mi tornano in mente.
Chuck che mi prende per mano.
Chuck che mi bacia.
Chuck che mi porta sulle rive
del
lago al centro del parco.
Chuck
e io che passeggiamo.
Poi un
altro ricordo, più recente.
Chuck
che mi urla contro.
Chuck che
mi dice che non sono brava a fare un cazzo, che una migliore di me la
trova quando vuole e che non sono neanche brava a letto.
Chuck
che sbatte la porta, io che crollo a terra.
Io
che piango, un polso slogato.
«Ehi?».
La voce di Robert mi riporta
–
grazie a Dio – alla realtà. «Non andiamo
a Central
Park...» dico prima di rendermene conto.
«Non
vuoi andarci..?».
«No..»
lo prego, «per favore..».
«Posso
sapere il motivo..? Non ti piace? Non ti piacciono i parchi?».
«Non voglio
andarci.. e basta».
«Sei allergica a
qualcosa?» insiste.
«Cazzo,
Robert, non voglio andarci e basta!» scatto, ormai sull'orlo
delle lacrime. Lo odio, in questo momento lo odio e basta.
Lui si irrigidisce e si mette
seduto
composto sul posto, diventando – se possibile –
ancora più
freddo e distante del solito. «Va bene».
«Grazie...».
«John!».
«Si,
signore?».
«Cambio
di programma. Portaci al mio appartamento, per favore. In
fretta».
«Si, signore,
subito»,
incrocia anche il mio sguardo e sembra quasi che voglia dirmi
qualcosa ma io ho ancora gli occhi troppo lucidi per permettere a
qualcuno di guardarmi così attentamente.
Per
il resto del viaggio io non apro bocca e neanche Robert, continuo a
guardare New York svegliarsi dal finestrino di una macchina che costa
più del mio appartamento.
Pov Robert
Non
oso guardare verso di lei, ho come paura che si possa arrabbiare con
me di nuovo. Il modo in cui mi risponde, spesso brusco e scortese,
non l'avevo mai provato. Nessuno si è mai rivolto a me in
questo modo, forse hanno sempre avuto tutti troppa paura della mia
reazione o del mio nome per farlo, invece a lei non sembra importare
molto. Tiro fuori il cellulare e leggo che c'è un messaggio
di
mia sorella Victoria: "Non vedo l'ora di vederti domani, ti
voglio bene, ci manchi. ps. Mamma mi ha detto che porterai una
ragazza, spero per te che sia vero!!", come al solito mia
sorella non si fa' scappare l'ultima novità in famiglia.
All'improvviso non sono più sicuro di volerci andare. Prima
ero più tranquillo, pensavo che con Kristen sarebbe stato
più
facile, e invece mi sto rendendo conto che con lei non è
come
con tutte le altre, non bastano un paio di regali costosi e qualche
parolina dolce, con lei ci vorrà molto di più.
Qualcosa
di nuovo anche per me.
John si
ferma proprio davanti al mio palazzo.
Thomas
ci sta aspettando all'entrata, appena vede l'auto si prepara
già
ad aprirmi la porta.
«Siamo
arrivati?» mi chiede Kristen.
«Si».
Apro lo sportello ed esco,
tenendolo
aperto per fare uscire anche lei, cosa che fa' poco dopo, mettendo in
mostra le sue bellissime gambe mentre scende dall'auto. Dio, sono
stupende e non voglio immaginare come siano senza quei dannati jeans
che le coprono ai miei occhi.
«Buongiorno,
Thomas» lo saluto.
«Buongiorno
signor Pattinson! Vedo che ha compagnia oggi..», sorride
amichevolmente a Kristen, mi volto per vedere la sua reazione e
scopro con piacere che è in imbarazzo. Il colorito rosso
dona
particolarmente sulle sue guance.
«Si,
Thomas, lei è miss Stewart».
Lui
si toglie il capello e lo appoggia sul petto, sopra il cuore.
«E'
un piacere conoscerla, signorina. Io sono Thomas, faccio il portinaio
in questo palazzo da quando ero giovane come lei se non di
più
e conosco il signor Pattinson da quando era un bambino», come
al solito, la parlantina di Thomas ha preso il sopravvento e mi
chiedo se annoi Kristen quasi quanto annoi me. Non che Thomas mi stia
antipatico, è una delle poche persone che mi piace davvero,
ma
quando inizia a parlare non la smette più e spesso i suoi
monologhi possono andare avanti anche per delle ore. «E che
bambino! Il signor Pattinson era il bambino più educato,
intelligente e sveglio che io abbia mai visto!».
«Okay,
Thomas, basta così. Abbiamo da fare», appoggio una
mano
sul fianco di Kristen e la spinge gentilmente verso la porta
dell'edificio.
Thomas
annuisce. «Si.. mi scusi... mi lascio trasportare, lo sa..
arrivederci, signorina Stewart».
Kristen
si scosta da me e si avvicina a Thomas, porgendogli una mano.
«Per
favore, mi chiami Kristen. "Signorina Stewart" mi sa tanto
di nobile e io non lo sono di certo». Decido di tirarla via
prima che dica troppo. «Kristen, vieni» la chiamo
da
dentro il palazzo.
Thomas le
stringe la mano, entusiasta. Kristen gli ha appena dato il via libera
per ore e ore di discorsi lunghissimi senza saperlo.
«E'
stato un piacere conoscerla, Thomas».
«Il
piacere è tutto mio, signorina Kristen».
Finalmente Kristen mi
raggiunge e
lasciamo Thomas dietro di noi mentre entriamo. Ci dirigiamo verso la
zona degli ascensori. Ho scelto questo palazzo perché non
è
come gli altri che ha costruito mio padre, è molto
più
funzionale e pratico, nessuna stupida stanza in più,
semplicemente una zona all'entrata dove ci sono gli ascensori che
conducono direttamente ognuno nel proprio appartamento. Il mio
è
il numero 3.
«Cosa ci
facciamo nel tuo appartamento?» chiede lei mentre aspettiamo
l'ascensore, che per fortuna non tarda un secondo di più ad
arrivare.
«Visto che non
sei voluta andare al parco ho pensato che il mio appartamento sarebbe
andato bene lo stesso per parlare», le porte dell'ascensore
si
chiudono velocemente davanti a noi, lasciandoci soli.
«Di
cosa dobbiamo parlare?».
«Del
nostro patto, ovvio».
«Si,
ma cosa esattamente? Abbiamo già deciso
le regole».
«No, affatto.
Abbiamo solo
disegnato le linee iniziali. E poi devo sapere qualcosa su di te,
voglio che i miei genitori pensino che siamo una coppia felice,
ricordi?».
«Giusto..».
«Vedrai,
andrà bene. Mi
basta sapere giusto qualche cosa».
«Okay...».
Le porte si aprono e siamo nel
mio
appartamento.
Mentre entro
dentro mi giro verso Kristen per osservare la sua reazione nel vedere
dove vivo, mi scopro curioso di sapere cosa pensa e cosa prova nel
trovarsi qui. Ma lei ha come indossato una maschera adesso, non
mostra nessuna espressione, semplicemente si guarda intorno, attenta,
vigile. È come un animale in gabbia. È pronta a
scattare in qualunque momento.
Il
soggiorno si apre sulla cucina, ampia e moderna. «Vuoi
qualcosa?».
«No».
«Sicura? Neanche un
bicchiere
d'acqua?».
«No,
grazie», sembra quasi scocciata.
«Va
bene..», mi ha fatto pure passare la voglia di bere anche a
me.
Forse è meglio
andare
subito al dunque.
«Allora..
dobbiamo parlare di un paio di cose».
Kristen
si appoggia al muro, incrociando le braccia al petto, come in
posizione di difesa.. o di attacco. «Finalmente. Allora,
dimmi
tutto..».
«Devi
sapere qualcosa sulla mia famiglia, non pensi?».
Non
mi guarda neanche, «Se proprio insisti..».
«E
io dovrei sapere qualcosa sulla tua».
La
vedo pietrificarsi sotto il mio sguardo. Solleva il viso e mi fulmina
con gli occhi. «Qui nessuno ha mai parlato di raccontare i
cazzi della mia famiglia in giro. È una finzione, inventati
che sono orfana, no?».
Dio,
ma perché deve sempre fare così?
Deve
sempre essere scorbutica e terribilmente permalosa anche se io non ho
fatto proprio un cazzo. Adesso perché si è
arrabbiata,
le ho solo chiesto della sua famiglia. Non voglio sapere tutto,
giusto i nomi nel caso mio padre me li chieda visto che lui conosce
mezza New York. «Orfana?».
«Già..
in.. inventa, no?».
«Come
vuoi. Mi inventerò qualcosa».
«Fantastico».
«Mi padre si chiama
Richard, ma questo sicuramente lo saprai già».
«Io non so proprio
un cazzo di
te, non sei Madonna o Justin Bieber, non trovo le tue foto
semplicemente aprendo il giornale. A essere sincera, non ti avevo mai
visto prima che venissi a rompere al locale», oggi sta
proprio
esagerando, il suo tono trasuda sarcasmo e mi sto incazzando anche
io, nessuno mi aveva mai parlato così e non sopporto che
qualcuno lo faccia.
«Kristen,
vuoi quei soldi? Perché se non li vuoi la porta hai visto
dov'è», sto bluffando, non la lascerei mai andare
via,
anche a costo di pagarla il doppio.
«Vaffanculo».
«Come,
prego?».
«Vaffanculo. Non mi
hai
sentito? VAFFANCULO. Ma chi ti credi di essere, Dio sceso in Terra?
Non ti rendi conto che hai solo ventitré anni e appena apri
bocca sembri un vecchio bisbetico? Non puoi costringere le persone a
fare tutto quello che vuoi tu, neanche con un milione di dollari ci
riuscirai mai, hai capito?».
«Kristen..»,
sento che la situazione mi sta scivolando via dalle mani, sto
lentamente perdendo il controllo e io odio quando succede. Ho bisogno
di avere sempre io il controllo totale di quello che mi
succede
attorno, è più forte di me.
«io non sto
costringendo nessuno, hai frainteso».
«Ah,
no?» chiede, ironica.
«No»
dico, deciso. Non permetterò a una ragazzina di prendere il
sopravvento in una cosa che ho in mano io. «Quindi, ti
pregherei di calmarti».
Lei
alza gli occhi al cielo e incrocia le braccia sul petto.
«Tutto
questo è assurdo.. questa situazione
è assurda!
Non ho ancora capito cosa ci faccio qui! Perché non ti trovi
una fidanzata vera e la facciamo finita? Non ci sopportiamo a
vicenda, ne hai appena avuto la prova, Robert».
Io?
Una fidanzata? Adesso? Non è il caso. «Non puoi
capire.
Che ne dici di cambiare argomento e di passare a qualcosa di
più..
allegro? Vestiti».
Kristen
solleva un sopracciglio, scettica. «Vestiti? Che vorresti
dire
con "vestiti"?».
«Voi
ragazze amate i vestiti, no?».
«Intendi
quelle ragazze con il rossetto, i tacchi alti e le gonne corte che
incontri mentre vai a lavoro nel tuo elegante ufficio? Quelle
ragazze? Perché a me non piacciono i
vestiti, mi
spiace».
Cristo santo,
non ci posso credere. Ho beccato l'unica ragazza in tutta New York
che non va matta per i vestiti, come è possibile? Prendo un
bel respiro e cerco di mantenere la calma. Si tratta solo di affari,
mi ricordo, è come se stessi trattando con un cliente
particolarmente difficile per un contratto. «Per incontrare i
miei genitori dovrai vestirti in modo da fare bella figura di fronte
a loro, capisci?», spero con tutto il cuore che non inizi un
nuovo litigio ma le miei speranza si confermano vane quando la vedo
fulminarmi con lo sguardo.
«Non
puoi decidere come mi devo vestire».
«E'
lavoro, ricordi? Immagina che sia, non so, come una divisa. Come la
divisa che indossi per lavorare in quell'orrendo
ristorante..».
«Che hai contro il
posto in cui
lavoro? Non tutti sono figli di papà, sai? Dio, sei proprio
uno stronzo..».
Non
sopportavo di essere insultato. «Tu lavori per me! Vuoi
chiudere quella cazzo di bocca e capire che non sei qui per dirmi
quello che pensi ma semplicemente per eseguire i miei ordini!
Cazzo..», non urlo, non spesso almeno, ma Kristen mi fa
saltare
i nervi, mi fa andare fuori di testa in un modo che non mi è
mai successo prima. Sono sempre stato un tipo molto pragmatico,
calmo, riflessivo, ma anche severo e mi piace farmi rispettare.. ma
non facendo il matto, non così. Ma lei mi porta oltre il
limite di sopportazione.
Kristen
mi fissa, un po' incredula un po' offesa e forse anche un po'
compiaciuta per avermi fatto perdere le staffe.
«Fanculo,
io non sono un cazzo di oggetto, me ne vado».
«C..cosa?
Kristen, aspetta..», ma lei si è già
voltata e si
sta dirigendo verso la porta come una furia.
La
seguo, andandole dietro.
«Non
puoi andartene, abbiamo un patto!».
«Fottiti,
Pattinson. Sei solo un pazzo».
«Kristen,
aspetta..».
E' agitata,
si vede. Ci mette un po' ma alla fine riesce ad aprire la porta, ha
le mani che le tremano.
Esce
nel piccolo e sterile androne che precede la porta dell'ascensore.
«Non aspetto un bel
niente, Pattinson. Cazzo, sei uno stronzo e io non voglio avere
niente a che fare con gli stronzi, non di nuovo...», clicca
il
bottone e si attacca al muro accanto all'ascensore, dandomi le
spalle.
«Kristen,
ascoltami» dico.
«Oh,
ma ancora qui sei? Vattene, non voglio parlarti. Facciamo finta di
non esserci mai conosciuti. Tu non sei mai entrato in quel ristorante
durante il mio turno e io non ho mai accettato niente da te, okay?
Okay, ciao».
Quel tono
mi fa incazzare soltanto.
Come
può piantarmi in asso, adesso?
Pensavo
che avessimo un accordo.
«Kristen..».
Mi interrompe di nuovo,
«Ho
detto ciao! Vattene, Robert..».
«Kristen,
tu hai bisogno di quei soldi», uso il mio
peggior tono
di voce, so perfettamente di sembrare meschino, arrogante e si, anche
un grandissimo stronzo, ma mi sento perso vedendo la situazione
scivolare via dalle mie mani. Non so perché, ma non voglio
che
se ne vada. So che potrei trovare altre centomila ragazze ma non sono
lei, ormai è come se stessi facendo una sfida con me stesso.
Kristen è come un cavallo selvaggio che mi sono promesso di
riuscire a domare.
Kristen si
gira lentamente verso di me, ha gli occhi leggermente lucidi ma lo
sguardo è a fuoco. «Sai Robert, hai ragione, io ho
bisogno di quei soldi. Ma sai di cosa non ho bisogno? Della tua
pietà», le porte dell'ascensore si aprono e lei ci
entra
dentro subito,
«Addio,
Robert».
Le porte
dell'ascensore si chiusero davanti a lei.
Pov Kristen
Arrivai
a casa di corsa, con le lacrime agli occhi.
Che
idiota, che idiota che ero stata, ma cosa avevo in testa? Accettare
una proposta del genere da un ragazzo come lui, sono stata proprio
una sciocca, non ho riflettuto abbastanza come ogni volta. Ma
perché
devo sempre prendere la decisione sbagliata? Perché, per una
volta, non posso prendere la strada giusta e arrivare da qualche
parte? No, io devo sempre sbagliare, andare a sbattere contro qualche
muro e ritrovarmi in un vicolo cieco da cui non riesco a uscire da
quando sono bambina. La mia vita è così e non mi
sono
ancora abituata, è incredibile.
Mr
Bowie balza giù dal letto e mi viene vicino, strofinandosi
contro le mie caviglie.
Mi
piego per dargli una grattatina dietro l'orecchio, «Sono
stata
una cogliona... ma perché devo sempre ficcarmi in situazioni
del genere? Forse avrei dovuto pensarci di più.. non so. E
adesso? E se continua a cercarmi..?», una stretta allo
stomaco
mi fece capire che forse un po' ci speravo anche. Ma solo
perché
se mi avesse cercato ancora avrei potuto mandarlo a fanculo una
seconda volta, eh. Non avevo nessuna intenzione di avere a che fare
con lui di nuovo.
Anche se,
quando il telefono squillò, per poco non urlai.
«P..pronto?».
«Kristen»,
fanculo, è
Bob, il mio capo, «sono io».
«Si..
che vuoi?».
«Sei
libera?».
«Perchè?».
«Avrei bisogno di te
a lavoro,
è urgente».
«Ma
è il mio giorno libero!».
«Ti
pago l'extra! Andiamo, mi servi. Una delle ragazze si è data
malata e io non ho nessuno che la sostituisca, mi sei rimasta solo
tu, per favore».
Mi
alzai e cominciai a camminare per la stanza, con Mr Bowie che mi
osservava da sopra le zampe pelose. «Bob, non mi sento tanto
bene neanche io però..», non era una bugia, dopo
la
litigata con Robert non mi sentivo proprio in grado di reggere a ore
e ore di lavoro e ragazzini idioti.
«Kristen,
ti ho detto che ti pago l'extra. Ti lascio un giorno libero la
prossima settimana, okay?».
Un
giorno libero? Tutto per me? Dove potevo semplicemente starmene a
casa, tranquilla, tutto il giorno, a leggere, al caldo? «Va
bene..» accettai, già pregustandomi la sensazione
delle
coperte e del pigiama.
«Grazie!
A dopo».
Ma per ora devo
prepararmi per andare a lavoro.
Mi
infilo in bagno e mi faccio una doccia veloce e mi metto un maglione
largo e un paio di jeans vecchi prima di scappare fuori di casa e
saltare sulla mia moto. Durante il viaggio verso il lavoro mi torna
in mente la faccia di Robert mentre le porte dell'ascensore si
chiudevano davanti a me, sembrava incazzato ma c'era anche
qualcos'altro, qualcosa che non sono riuscita a capire appieno. Senza
dubbio era furioso e in un certo senso sono contenta di essere
riuscita a farlo smuovere un po', ho avuto l'impressione – in
quel
poco tempo in cui abbiamo provato a conoscerci – che tutto il
suo
essere fosse imprigionato, era come se ogni cosa che dicesse o
facesse fosse trattenuta da un limite. Davanti a Robert c'era un
muro, un muro tra lui e tutto il resto del mondo. Un muro tra me e
lui.
Quando arrivo al
ristorante Bob mi sta aspettando all'entrata, sembra parecchio in
ansia ma fa un largo sorriso appena mi vede. «Kristen! Oh
grazie al cielo, sei arrivata! Pensavo che mi dessi buca e invece..
eccoti qua. Sbrigati, forza!» mi incita mentre io scendo con
calma dalla moto e mi tolgo il casco che mi ha trasformato i capelli
in una massa informe più di quello che sono di solito.
«Sono
qua, sono qua, calmo».
«C'è
un sacco di gente! Non ho mai visto tanta gente in un solo tavolo in
questo posto da quando l'ho aperto e sono tutti ricchi sfondati!
Ricchi sfondati, capisci! Questi lasciano mance da pazzi!».
Ricchi sfondati? In un posto
come
questo? Che ci fanno?
Bob mi
precede mentre entriamo e una volta aperta la porta mi accorgo che ha
ragione. Seduti tutti a un tavolo – un unione di due tavoli
da
dieci – ci sono almeno una ventina di persone che sembrano
pronte
per una sala di gala, il che mi ricorda gli amici di Robert quando
è
venuto qui.
«Vatti a
cambiare, in fretta, dai!».
«Vado,
vado!».
Passo davanti al
gruppo di ragazzi e mi accorgo che alcuni visi mi sono leggermente
famigliari ma non mi soffermo più di tanto perché
Bob
mi sta tenendo d'occhio. Mi cambio in fretta, maledicendo ogni cinque
secondi la divisa, perché non posso mettermi un paio di
pantaloni della tuta e una felpa gigante? Ho freddo, sono stanca e
vorrei solo dormire un po', ho mesi e mesi di sonno arretrato e non
ho mai il tempo di farmi una dormita come si deve, forse è
per
questo che sono sempre acida con tutti.
Quando
esco fuori tutta la tavolata dei ricchi sfondati si gira verso di me
e vedo che iniziano a parlottare tra di loro, e chissà
perché
la me paranoica mi dice che stanno parlando proprio di me e non sono
cose carine.
Mi faccio forza e
mi avvicino.
Un tipo con un
completo italiano e un'aria da figlio di papà che salta
incredibilmente all'occhio, si gira verso di me e mi sorride, un
sorriso parecchio viscido che mi fa venire un brivido di paura lungo
la schiena. «Ciaaaaao», c'è troppo
entusiasmo
nella sua voce.
«Ciao»,
guardo le altre persone presenti al tavolo, «cosa
volete?».
«Allora sei tu la
ragazza per
cui Pattinson ci ha dato buca l'altra sera» dice un ragazzo
che
avrà giusto tre o quattro anni più di me. Mi
squadra
dalla testa ai piedi mettendomi in soggezione.
Robert?
Che c'entra Robert con loro?
«Se
non dovete ordinare io posso tornare anche dopo..».
«Ho
chiesto a Rob se potevamo vederci per un pranzo insieme prima del
lavoro e sapete cosa mi ha detto, ragazzi?» chiede il tipo
che
mi ha parlato per primo. «Che aveva un impegno importante e
ci
avrebbe raggiunto dopo. Che dite, lo chiamo e gli dico di
raggiungerci qua?» mi lancia un'occhiata maliziosa e io
vorrei
sprofondare. Non voglio vedere Robert, sono ancora arrabbiata con
lui.
«Fai un po' come
vuoi, non so di cosa tu stia parlando».
«Io
invece penso che tu lo sappia benissimo».
«Pensala
un po' come cazzo vuoi».
Me
ne torno dietro al bancone, dove Bob mi guarda chiedendomi con lo
sguardo spiegazioni su quello a cui ha appena assistito ma io scuoto
la testa, non ho voglia di parlarne. Non ho voglia di parlare, e
basta.
Ma perché ho
accettato di fare questo turno?
Ma
perché ho accettato di fare la finta fidanzata di Robert
Pattinson?
Per fortuna poco
dopo entra una famiglia con tre bambini piccoli che occupano il resto
del mio turno, un'ora e mezza dopo sono sul punto di andare a
cambiarmi per tornare a casa quando sento quelli dell'altro tavolo
ridere e chiamare a gran voce qualcuno e quando mi giro verso di loro
noto Robert entrare dalla porta con un'espressione tutt'altro che
felice. Sembra furioso. Sono indecisa se correre via, nascondermi
dietro il bancone o nel ripostiglio delle scope ma poi lui si gira
verso di me e io mi paralizzo.
Oh,
cazzo.
Robert non si
avvicina neanche ai suoi amici, viene dritto verso di me.
«Kristen,
possiamo parlare un secondo?».
«No».
Sul suo viso si forma una
piacevole
espressione accigliata. «Non fare storie, per favore.
Dobbiamo
parlare e lo sai benissimo anche tu, solo preferirei non farlo
davanti a tutti e qualcosa mi dice che non vuoi farlo neanche
tu».
«Tu non sai un
accidenti di
quello che voglio io».
«Perché
tu non mi dai la possibilità di saperlo!» urla,
poi mi
afferra per il gomito e mi trascina via, verso la prima porta che
troviamo e ciò il ripostiglio delle scope.
Quando
chiude la porta mi ritrovo sola con lui, praticamente al buio.
«Si può
sapere che cazzo
ti prende?» urlo.
«Dobbiamo
parlare e se l'unico modo per farlo è chiuderti
dentro..»
si guarda intorno, accorgendosi per la prima volta di dove ci
troviamo, «dentro un ripostiglio delle scope, be', allora lo
faccio. La scenata che hai fatto prima.. non l'ho capita»,
lentamente la sua espressione sicura scivola via, mostrando un Robert
più confuso, meno fermo nelle sue decisioni.
«Non..
non l'hai capita?».
Si
passa una mano fra i capelli, frustrato con se stesso. «No.
Io
non ho.. non credo di aver capire fino in fondo quello che mi stavi
dicendo, ero troppo arrabbiato e non stavo ragionando quindi, per
favore, potresti spiegarti meglio?».
Per
un attimo pensai che mi stesse prendendo in giro.
«Tu
davvero non sei abituato a sentirti dire “no” da
una persona, non
è così?».
Robert
rimase in silenzio per qualche secondo, poi sbuffò.
«Ho
vissuto in una famiglia dove tutto quello che volevo ottenevo, si
Kristen. Non sono.. abituato a non ottenere quello che voglio, okay?
E tu mi stai mandando al manicomio. Parli in un modo che non
capisco».
«E tu
sei abituato a capire sempre tutto, eh?».
«Esatto».
«Hai una laurea in
questo?».
«Cosa?».
«No,
niente. Solo mi chiedevo se avessi tipo una laurea in questo, tipo un
dottorato in “stronzologia” o “dominatore
nato”, perché
è questo che sei, o almeno è questo che fai
vedere. Tu
comandi le persone ma non riesci a comandare me perché io
non
te lo permetto ed è questo che ti fa impazzire,
semplicemente
ti sei incazzato perché non hai la situazione sotto il tuo
comando. Il che è alquanto infantile, lasciamelo
dire».
Proprio quando sono sul punto
di uscire dal ripostiglio perché sicura che Robert non
aprirà
più bocca lui mi risponde: «Ecco, adesso ti sei
spiegata
bene, grazie».
«Come,
prego?», è il mio turno di essere confusa.
«Prima,
durante la tua scenata a casa mia, non avevo capito bene cosa
intendessi, adesso invece ti sei spiegata benissimo e mi hai fatto
capire come mi vedi. Tu mi vedi esattamente come voglio essere visto
dal mondo».
«Vuoi
che gli altri pensino che tu sia uno stronzo?».
«No»,
si passa di nuovo la mano fra i capelli, che adesso sono scompigliati
ad arte, «voglio solo che le persone capiscano che non sono
una
persona con la quale possono scherzare. Sono giovane, è
vero,
ma ho un impero fra le mie mani e non mi piace essere
sottovalutato».
«Tu. Sei. Davvero.
Pazzo.»
sillabo bene, nel caso non capisse neanche questa volta.
«Definiscimi come
vuoi,
io so chi sono».
«Si,
un pazzo».
Si morse il
labbro per trattenere quello che, a prima vista, sembra un sorriso
divertito. «Grazie mille. Comunque sia, non sono certo venuto
qui solo perché quei coglioni dei miei amici mi hanno detto
di
farlo, volevo chiarire con te e risparmiarti le battute cretine dei
miei amici che, sicuramente, ti avranno già
infastidito..».
«Si, un po', ma
ancora non ho
capito perché sei venuto qua allora».
«Mi
dispiace, ho cercato di arrivare il prima possibile. Sono venuto qua
per chiarire, te l'ho appena detto».
«Chiarire
cosa? Mi hai trattato come se fossi un oggetto e io me ne sono
andata, non c'è altro da dire».
«Te
l'ho detto, hai frainteso».
«Si,
hai ragione, mi hai trattato direttamente come se fossi una bambola,
volevi decidere direttamente anche come dovessi vestirmi»,
tutta la rabbia che avevo provato durante il nostro litigio e che poi
era lentamente sbollita, adesso ritorna prepotente a farsi sentire.
Robert si strofina la faccia
con le mani, mostrandomi un bel orologio che costa più del
mio
appartamento. «Forse non mi sono spiegato bene. Tu mi servi,
Kristen. Ti ho scelto perché sapevo che saresti andata bene
per aiutarmi ma se continui così non posso che ricredermi,
ti
stai comportando come una bambina. Okay, forse anche io ho messo del
mio in questa situazione ma non puoi pretendere molto da me, non sono
portato per i rapporti di coppia, ecco perché mi servi tu.
Non
voglio relazioni nella mia vita, non adesso, sicuramente neanche in
un futuro prossimo, sono molto concentrato sul mio lavoro e una
relazione mi occuperebbe solo tempo che preferisco spendere in altro
modo, capisci? Mi servi, quindi, per favore, troviamo un modo per
continuare quello che abbiamo iniziato senza ucciderci a vicenda, va
bene?».
No.
No,
che non va bene.
Non intendo
farmi trattare come una bambina, non mi interessa quanto belli siano
i tuoi discorsi.
E non mi
interessa neanche che la tua voce sia così sensuale persino
mentre parla di una cosa tanto squallida.
Sei
così bravo a fare i discorsi, ma non intendo cascarci.
«Non credo di
riuscirci, mi
spiace».
«Ma...».
«Mi dispiace,
Rob..» lo
supero ed esco dal ripostiglio.
Bob
mi aspetta fuori, le braccia incrociate sul petto.
Sembra
parecchio scocciato.
«Kristen,
mi spieghi gentilmente cosa stai combinando?».
«Niente..».
«Ah
si? Niente? A me sembra invece che tu ti stia facendo i cazzi tuoi
sul lavoro, andandotene allegramente nel ripostiglio delle scope con
un cliente!».
Sento la
porta dietro di me chiudersi e la presenza di Robert alle mie spalle
e lotto contro me stesse per non girarmi. È tutta colpa sua
se
adesso sono nei casini con il capo.
«Bob,
mi dispiace.. non è come sembra, io non..».
Lui
solleva una mano per zittirmi. «Non mi interessano le tue
scuse! Mi hai lasciato da solo con una tavolata di venti persone e
nessuna cameriera, Kristen!».
«Lo
so e mi dispiace ma se tu..» inizio ad agitarmi, saltellando
sul posto. Sento gli occhi di Robert dietro di me e c'è un
imbarazzato silenzio in tutto il ristorante.
«Niente
“ma”. Non voglio sentire scuse. Questa è
l'ultima volta
che ti permetto di fare una cosa del genere, Kristen,
perché...».
«Ehm,
scusi?», Robert mi
viene accanto, intromettendosi.
Bob
lo guarda senza capire, «Ha bisogno di una mano?».
«Volevo solo dire
una cosa su
Kristen. So che lei è molto arrabbiato con lei e ha ragione
ma
se permette vorrei dire una cosa in sua difesa.. è colpa mia
se Kristen non è stata al suo posto, oggi. Quindi,
ecco..»,
infila una mano nella tasca della giacca e tira fuori un portafogli
che apre e prende due banconote da cinquanta dollari, «pensa
che possano bastare per rimediare alla lacuna nel suo staff di
oggi?».
Bob non sta più
fissando Robert, fissa solo le banconote fra le sue mani.
«Certo!
Grazie mille, signor...».
«Pattinson.
Robert Pattinson. E questi sono per avere Kristen per il resto della
giornata», tira fuori altri soldi e li mette direttamente
nelle
mani di Bob, che non dice niente ma sorride come un bambino. Dio, che
schifo.
Robert mi afferra di
nuovo per il braccio e mi scorta gentilmente verso la porta.
Mi
sento come se mi avesse appena comprata e forse l'ha fatto davvero.
«Ma che
fai..?» chiedo,
ormai sull'orlo di una crisi isterica.
«Abbiamo
un pranzo domenicale domani, ti ricordi?».
«E
tu ti ricordi che io ti ho detto che non voglio avere più
niente a che fare con te?».
Lui
alza gli occhi al cielo e un angolo delle sue labbra si solleva verso
l'alto in un sorriso sghembo, davvero carino. «Ti sei
già
scordata? Non accetto “no” come risposta».
*
Siamo
di nuovo nel suo appartamento, sono seduta sul divano, da sola.
Robert è andato a chiamare una sua
“amica” che si occuperà
del “fattore vestiti” per domani. Mi chiedo chi sia
e perché
non possa vestirmi come voglio. Mi tormento le mani, agitandomi sul
posto e guardandomi intorno; il suo appartamento è davvero
grande e ha talmente tanta roba costosa dentro che ho paura di
rompere qualcosa soltanto respirando. Mi sento davvero a disagio nel
suo appartamento, ogni cosa che c'è qua dentro mi ricorda
quanto io e Robert siamo diversi e sopratutto il motivo per cui sono
qua. Chissà, magari se fossi nata in una famiglia
più
ricca avrei incontrato Robert in un'altra maniera, magari a quest'ora
saremmo persino amici o...
«Tutto
fatto, Julie sta arrivando», la voce di Robert che entra
nella
stanza interrompe – per fortuna – i miei pensieri.
«Chi
è Julie?» chiedo.
«Julie
è un'amica, si occupa di moda e ti aiuterà a
trovare
gli abiti adatti per domani tenendo conto dei tuoi gusti personali.
Io non posso occuparmene, so già che litigheremmo e basta
quindi ho chiamato lei» mi sorride e i pensieri di poco prima
mi tornano alla mente, ma che mi succede? Basta, basta, basta. Io non
lo sopporto e lui mi ha letteralmente comprata per usarmi per i suoi
comodi, come posso anche solo lontanamente pensare a lui come un
amico?
«Oh...».
«Non ti va
bene..?» si
avvicina, sedendosi accanto a me sul divano bianco.
«E'
okay».
«Fidati,
Julie è bravissima nel suo lavoro. Aiuta persino le mie
sorelle, qualche volta».
Le
sue sorelle, giusto. Robert ha due sorelle. Come ha fatto un ragazzo
con due sorelle in casa a diventare così freddo?
«Parlami
di loro», non so perché lo dico ma lo faccio, sono
curiosa di scoprire un lato di Robert diverso, più intimo,
più
famigliare. Forse dentro di me spero di scoprire che dietro questa
armatura che lui sfoggia c'è un ragazzo come tutti gli
altri.
Mi giro verso di lui, incontrando il suo sguardo.
«Victoria
è la più grande, ha venticinque anni e si occupa
di
giornalismo. Insieme al suo fidanzato si occupa di una testata
giornalistica emergente. Elizabeth – Lizzie, per famiglia e
amici –
è la più piccola e si è appena
laureata a quasi
ventidue anni, vive non molto lontano da qui e penso che, se vi
conosceste, diventereste grandi amiche», sembra quasi
contento
di raccontarmi delle sue sorelle, si vede che le ama davvero tanto.
Mi chiedo se anche loro siano belle come lui.
È
davvero bello..
«Wow...
sembrano.. due donne di successo», al contrario di me.
«Victoria
è molto
ambiziosa, si. Lizzie è più per “cogli
il momento”,
ma solo perché è ancora giovane, deve fare le sue
esperienze prima di mettere la testa apposto una volta per tutte e
decidere cosa fare delle sua vita», il tono serio con cui lo
dice mi fa pensare alla mia vita, a come a diciannove anni in stia
andando da nessuna parte. Le sorelle di Robert hanno già una
laurea e un lavoro stabile e sicuro mentre io cosa ho? Una soffitta
che mi fa da casa e un gatto egocentrico.
«Non
haa solo ventidue anni, ha tempo..».
«Io
ne ho ventitré e so esattamente cosa voglio dalla vita, lo
so
da quando avevo sedici anni».
«E
cosa vuoi?», i suoi occhi si fanno di un azzurro
più
scuro, riesco quasi a vedere i suoi pensieri agitarsi dentro le sue
iridi.
«Voglio avere il
controllo di tutto, te l'ho detto», si fa
più
vicino, fissandomi a sua volta negli occhi, dandomi moto quasi di
caderci dentro, la sua voce è quasi un sussurro.
Sembra
sul punto di dire qualcos'altro quando il citofono suona,
interrompendoci.
«Deve
essere Julie, vado io» mi sorride e si alza per andare a
rispondere, lasciandomi sola e tempo per pensare.
Ha
davvero due occhi bellissimi.
Due
occhi che non sembrano affatto quelli di una persona cattiva
né
egocentrica.
Sembrano gli
occhi di un bambino ma hanno anche la malizia di un ragazzino.
Non sembrano incastrarsi con
il suo
corpo, non fanno parte della maschera che indossa. Se una persona
guardasse Robert dritto negli occhi in un momento di distrazione
vedrebbe forse chi è veramente?
«Kristen,
ti presento Julie».
Robert
è in piedi sulla soglia e accanto a lui c'è una
bella
ragazza sui venticinque anni – forse anche meno –
con lunghissimi
capelli neri e due occhi a mandorla dello stesso colore. È
alta come Robert e indossa una gonna nera a vita alta con una camicia
bianca a maniche larghe che terminano con due bottoncini che
stringono sui polsi, indossa un paio di tacchi non troppo alti ed
è
accuratamente truccata per mettere in risalto i tratti asiatici
–
occhi grandi e labbra piene e rosse come il fuoco –
è
davvero bella e mi sorride, amichevole.
Balzo
in piedi come una molla e per poco non rischio di perdere
l'equilibrio.
Julie allarga il
sorriso – forse vorrebbe solo ridere della mia imbranataggine
–
si allontana da Robert e mi porge la mano, «Sono davvero
felice
di conoscerti, Robert mi ha parlato di te prima al telefono ma non
credevo che facesse sul serio».
Oddio,
le ha detto tutto?
Le ha detto
proprio tutto sul motivo per cui sono qua? Non ci
credo.
Sento le guance diventarmi
rosse.
«Mi ha detto del
suo corso di attrice, sono davvero curiosa di sapere qualcosa di
più
a riguardo. Ho sempre trovato la recitazione molto
affascinante»
aggiunge, stringendo con vigore la mia mano. Ha una stretta sicura,
salda.
Recitazione? Che corso
di recitazione? «Uhm, piacere mio...», guardo
Robert in
cerca di spiegazioni ma lui non dà segni di imbarazzo. Mi
guarda e sorride, semplicemente.
«Julie,
ricordati cosa ti ho detto».
Lei
fa finta di chiudersi la bocca con una zip. «Si, certo! Non
aprirò bocca con nessuno, me l'hai detto Robert»,
Julie
mi lascia la mano e si rivolge a me. «Tranquilla, Robert mi
ha
detto che il corso che stai seguendo è molto riservato, mi
ha
detto anche che hai molto talento e che ti ha scelto proprio per
questo. Certo, scommetto che la sua famiglia avrebbe preferito una
fidanzata vera per lui ma credo che imparerai a conoscerlo molto
presto e a capire che Robert Pattinson non è proprio tipo da
lasciar perdere il lavoro per amore» nel suo tono di voce
noto
un velo di tristezza e subito mi sorge il dubbio: hanno avuto una
relazione? Certo, lei è davvero bella e dal modo in cui
è
vestita scommetto che viene dal suo stesso mondo. Ha più
punti
di me sicuramente.
Robert le
appoggia una mano sulla spalla, «Julie, ci lasci un secondo
da
soli? Devo parlare con Kristen di una cosa. Perché non vai a
prenderti qualcosa da bere? Ho dato due settimane libere ai domestici
ma dovrebbe esserci ancora del vino se lo cerchi bene».
«Certo. Porto da
bere per tutti
così poi, io e Kristen, possiamo cominciare» mi
guarda e
vedo che è emozionata all'idea, sicuramente più
di me
che me la sto facendo sotto all'idea di ritrovarmi da sola con lei e
tutti quei vestiti. «Vedrai, sarà stupendo. Ho
già
un'idea di dove andare per prima cosa», mi fa l'occhiolino
per
poi sparire in cucina.
Appena
Julie è abbastanza lontana mi volto di scatto verso Robert,
«Si può sapere cosa cazzo le hai detto?».
«Ho solo colorato un
po' la
verità» fa spallucce, un'espressione innocente che
lo
rende persino credibile.
«Di
che corso di recitazione stava parlando?».
«Le
ho detto che sei una giovane attrice in ascesa, che devi fare pratica
per un ruolo e che quindi ti ho presa con me per
“recitare” la
parte della mia fidanzata, diciamo che le ho detto che dovevi fare
pratica per immedesimarti nel ruolo».
Spalanco
gli occhi, furiosa. «Perché mai hai detto una cosa
del
genere? Hai solo complicato tutto!» mi sforzo di tenere un
tono
di voce bassa ma è difficile, «Mi hai messo in
bocca una
bugia che non ho detto» mormoro a denti stretti.
«Come
ho detto, ho solo colorato la realtà. E poi non sei contenta
che ti abbia dipinta come un'attrice di talento?».
«NO!».
«Abbassa
la voce, Kristen».
«No,
perché non è verità..».
«Potrebbe
esserlo, però».
«Che
intendi?».
«Quello
che fai per me, è recitare. Se sarai brava, potresti davvero
riflettere sul fatto di intraprendere la carriera di attrice, potrei
aiutarti».
«Cioè
comprarmi la carriera esattamente come hai comprato me».
Sul viso di Robert si dipende
un'espressione corrucciata. «Io non ti ho..».
«Eccomi!».
Julie
viene verso di noi tenendo in mano una bottiglia di vino e tre
bicchieri di cristallo che dondolano pericolosamente fra le sue mani
smaltate.
Mi affretto a
prendere il mio bicchiere prima che precipiti a terra.
«Grazie..».
«Di cosa parlavate
voi due?»
chiede, lanciando un'occhiata prima a me e poi a Robert, vedo un
lampo di malizia coprire i suoi occhioni a mandorla.
«Di
niente, solo che Kristen non vede l'ora di iniziare. Questo progetto
è davvero molto importante per lei» dice Robert,
ha di
nuovo indossato la sua maschera\armatura.
Julie
versa il vino nel suo bicchiere e poi nel mio.
Solleva
in alto il suo calice invitandomi a un brindisi.
«Che
abbia inizio la nostra trasformazione!», esulta.
«Che
la fortuna mi assista...».
Pov
Robert
Stavo
scrivendo sul mio computer quando qualcuno bussò alla porta
del mio ufficio. Avevo deciso di mettermi in pari con il lavoro
mentre Kristen stava fuori con Julie.
«Avanti!».
«Siamo
tornate!»,
Julie entrò nella stanza come un tornado, come sempre. Julie
e
Lizzie erano buone amiche dalle elementari, avevano frequentato le
stesse scuole private, la stessa parrucchiera e le stesse feste fin
da quando erano piccolissime. Poi Julie aveva preso l'indirizzo moda
all'università mentre Lizzie aveva preso economia come le
aveva consigliato mio padre – continuando però a
seguire i
suoi corsi extra di pittura, canto e ballo – e le loro strade
si
erano divise per un po' ma adesso avevano ripreso a frequentarsi ed
era come se il tempo non fosse mai passato. Julie era a pranzo a casa
nostra una settimana si e l'altra no.
«Oh,
giusto in tempo per la cena», controllai l'ora sul computer
prima di spegnerlo, 8:20.
Sollevai
lo sguardo e vidi Julie, ma non fu lei ad attirare la mia attenzione,
piuttosto la figura minuta dietro di lei.
Kristen.
Era ancora indecisa se entrare
o meno e riuscivo a scorgere solo la metà del suo corpo.
Così
mi alzai io e le andai incontro.
Julie
si fece da parte e batté le mani tutta contenta quando vide
l'espressione estasiata che comparse sul mio viso senza che potessi
farci niente.
Kristen era..
incantevole.
Non che
prima non lo fosse, ma vestita in quel modo non sembrava neanche
più
lei, sembrava più grande, più matura, meno
sfacciata e
molto più timida. Indossava una gonna grigia a vita alta che
lasciava scoperte le sue bellissime gambe candide, una canotta bianca
di seta con una scollatura a cuore e una giacca blu scuro a maniche
lunghe. Indossava persino un paio di tacchi di almeno nove
centimetri.
«Kristen..
complimenti, sei.. sei..», perché non riuscivo a
trovare
le parole giusto? Io faccio discorsi davanti a centinaia di persone e
non riesco a trovare le parole giusto per descrivere come è
vestita lei?
«E'
bellissima, si» mi viene in soccorso Julie, stringendo le
braccia di Kristen con le mani e spingendola dentro la stanza,
davanti a me.
Kristen abbassò
lo sguardo, imbarazzata.
«Si,
sei bellissima» dico.
Noto
che le sue gote prendono colore. Julie non l'ha truccata e ne sono
felice, la sua pelle è perfetta e il suo viso è
stupendo anche senza bisogno di alcun cosmetico.
«G..grazie»
balbetta.
«Sarai
perfetta domani, mia madre ti adorerà».
«Uhm...
okay...».
Ma vedo che
c'è qualcosa che non va'.
Non
è contenta, i suoi occhi sono spenti.
Non
le importa niente degli abiti di alta moda, non le piace come le
stanno e si vede.
Si muove
agitata sui tacchi, in bilico tra lo stare in piedi e precipitare sul
tappeto.
Sto per chiederle se
va tutto bene quando Julie si mette in mezzo. «Questo
è
l'abbigliamento che avrà domani ma stavo anche pensando a un
abito. All'inizio abbiamo provato qualcosa come venti vestiti ma
Kristen ha detto che si sentiva a suo agio con un vestito
così
abbiamo optato per un completo gonna-camicia per darle un'aria
sofisticata. Ma ho un abito che sarebbe perfetto su di lei! Basta che
mi fai uno squillo domani mattina, anche alle cinque del mattino, e
te lo porto», come sempre Julie è efficiente e
disponibile ventiquattro ore su ventiquattro, ama proprio il suo
lavoro.
Kristen però
non sembra della stessa idea perché fissa Julie con
un'espressione che, se ci fosse un traduttore, sarebbe “no,
ti
prego, un abito no! Non mettermi così in mostra, per
piacere...”.
«No,
grazie Julie. Così va benissimo».
Kristen
mi lancia un'occhiata riconoscente.
«Oh,
va bene! Be', allora vi lascio, devo andare fuori a cena con amici.
Ci vediamo uno di questi giorni, Robert», si gira verso
Kristen
e l'abbraccia. Vedo Kristen restare rigida per qualche secondo per
poi ricambiare goffamente l'abbraccio, muovendosi in modo scoordinato
in quegli abiti non suoi. «Kristen, è stato
davvero un
piacere lavorare con te. Dovremmo uscire insieme uno di questi
giorni, magari ci organizziamo con Lizzie, la sorella di Robert. Oh,
e stai davvero benissimo, non esitare a farmi chiamare da Robert per
quel vestito, è tuo quando vuoi, te lo presto.
Ciao!» la
lascia andare, si sistema la borsa sulla spalla ed esce chiudendosi
la porta dietro di sé.
Una
volta rimasti soli è Kristen la prima a parlare.
«Allora.. vado...
vado bene..?»
chiede, tenendo lo sguardo basso sulle sue scarpe.
«Vai
benissimo. Adesso è proprio il caso che andiamo a cena, John
ci sta aspettando di sotto in macchina».
Lei
si morde il labbro, «Non ho molta fame..».
«Hai
camminato tutto il giorno, devi avere
fame».
«Non
tanta..».
«Mangerai qualcosa
lo stesso.
Forza, andiamo».
Lei si
sistema la giacca e usciamo dal mio appartamento senza dire altro. In
ascensore continua a non guardarmi neanche, tenendo sempre lo sguardo
basso e quando entriamo in macchina rivolge un saluto frettoloso a
John per poi rivolgere il viso verso il finestrino, una mano
appoggiata sulla bocca, osservando il passaggio per tutto il viaggio.
New York si illumina davanti a noi, le luci di tutti i negozi e
ristoranti sono accese quando arriviamo davanti a uno dei miei
ristoranti preferiti.
John
viene ad aprirci e Kristen scende per prima.
Si
guarda intorno a bocca aperta.
«Non
ci sei mai venuta prima?» le chiedo.
«Non
credo di aver mai messo piede in questa parte della città, a
dire il vero...» mi dice mentre un cameriere ci scorta al
nostro tavolo.
Prima che
Kristen possa precedermi mi avvicino alla sua sedia e mi affretto ad
allontanarla dal tavolo per farla sedere. Lei mi guarda e accenna un
sorriso per poi sedersi, le sue gambe sono davvero bellissime e
attirano sempre di più la mia attenzione.
«Tu...
tu frequenti sempre posti del genere..?» chiede dopo che
abbiamo ordinato – filetto al sangue per me e un'insalata per
lei
per mio grande dispiacere, avrebbe bisogno di mangiare un po' di
più
sopratutto dopo la sua camminata.
«Che
intendi con “posti del genere”?».
«Così...
pieni di... gente ricca, dove bisogna prenotare il tavolo».
«Non ho
prenotato».
«No?».
«No.
Il locale è di mio padre, ho un tavolo libero ogni volta che
voglio».
Lei storce la
bocca in una smorfia e prende un sorso di vino. «Avrei dovuto
immaginarlo... tuo padre possiede praticamente tutta New
York».
«Una specie,
si».
«E di conseguenza
anche tu».
«Diciamo che sono
agevolato in
parecchie cose».
«Parecchie
cose vorrai dire!».
Accenno
un sorriso, «Va bene.. parecchie cose,
hai ragione».
Una cameriera porta le nostre
ordinazioni e iniziamo a mangiare.
«Sei
sicura che non vuoi prendere altro? L'insalata non riempie come una
bistecca» le faccio notare.
«Va
bene così..», gioca un po' con l'insalata, sembra
persa
nei suoi pensieri.
«Vuoi
un pezzo del mio filetto?».
«No..
grazie».
«Un altro
po' di vino?» sollevo la bottiglia e cerco di fare il mio
sorriso più amichevole ma lei scuote la testa e io rimetto
giù
la bottiglia. Ogni mio sforzo con lei è inutile. Ogni tanto
mi
sorride, mi parla, e per un po' di tempo è come se stesse
davvero cercando di comunicare con me ma basta un attimo di
distrazione che ecco che un muro si piazza davanti a me. Eppure io
voglio vedere oltre quel muro, perché lei è
diventata
la mia nuova sfida. Cosa c'è oltre quel muro?
«Domani
a che ora devo essere nel tuo ufficio...?» chiede di punto in
bianco, dieci minuti di silenzio dopo.
«Vengo
a prenderti io, non c'è tempo per andare nel mio
ufficio».
«NO»
scatta subito.
«Kristen, parlo
seriamente. Non
c'è tempo, dammi il tuo indirizzo», tiro fuori il
cellulare per segnarlo ma lei continua a scuotere la testa.
«Non
se ne parla».
«Che
ha che non va casa tua, si può sapere?».
«N...niente... solo,
vengo io».
«Kristen..».
«Robert, ho detto
che vengo io,
e che cazzo! Vengo io, non rompere».
Non
mi va di litigare, non ora che stavo iniziando a fare un po' di
conversazione con lei – poca e deludente, ma è un
inizio -
«Va bene... come vuoi. Vieni alle sei».
«Di
mattina? Scherzi?».
«Dobbiamo
essere da mia madre entro le sette e mezza».
«Ma
non era un pranzo domenicale?».
«A
mia madre piace organizzare le cose in grande, ci vorrà
lì
anche per la colazione.. e forse per cena».
«No..
non starò a casa dei tuoi genitori tutto il santo giorno,
scordatelo» mi fulmina con lo sguardo mentre lo dice,
minacciandomi con gli occhi.
«Ho
detto forse, Kristen. Non scaldarti tanto, per
carità»
sollevo un braccio e chiamo un cameriere, chiedendo il conto, che mi
viene portato pochi minuti dopo.
«Andiamo,
ti accompagno a casa».
Kristen
si alza e si sistema la giacca, stizzita. «Grazie della
proposta, ma rifiuto, me ne torno a casa da sola».
Mi
alzo a mia volta, terrorizzato che scappi via prima che abbia modo di
calmarla. «E come? Non sai neanche in che zona della
città
ci troviamo».
«Siamo
a New York, un modo si trova sempre» dice, voltandosi e
dirigendosi verso l'uscita.
Tiro
fuori una banconota da duecento dollari e la lascio sul tavolo prima
di correrle dietro. Le afferro il braccio un secondo prima che esca
dal locale così le stringo il gomito e varchiamo la soglia
insieme.
«Robert,
lasciami!».
Stringo la
presa. «Non intendo lasciarti vagare per la città
da
sola, Kristen».
«Prenderò
un taxi» strattona per farsi lasciare ma io non mollo la
presa.
«Non da
sola».
«Sono sempre stata
sola, non
capisco dove sia il problema adesso!» urla, e volta il viso
dall'altra parte ma riesco comunque a scorgere i suoi occhi brillare
alla luce della luna. Quando torna a guardarmi, però, sono
di
nuovo asciutti e anche arrabbiati. «Robert, ho detto di
lasciarmi il braccio. Adesso».
Allento
la presa contro voglia e la spingo gentilmente verso la mia macchina,
«Lascia che ti accompagni a casa, per favore».
«NO!».
«Kristen!».
«Ho
detto di no! E ADESSO LASCIAMI ANDARE!» visto che si dimena
come una pazza la lascio andare ma mi avvicino di più,
pronto
ad afferrarla nel caso scappasse via.
«Calmati!»
le ordino.
«Oh, Dio.
Vaffanculo, Robert» fa per andarsene ma l'afferro di nuovo
d'istinto, attirandolo a me.
Lei
si dimena e mi spinge via.
«Va
bene! Va bene!» la lascio e infilo una mano nella giacca,
prendo il portafogli e lo apro. «Cristo, hai un carattere di
merda, sei la persona più testarda e folle che io abbia mai
conosciuto ma non per questo ti lascerò andare in giro per
New
York da sola. Non vuoi venire con me? Va bene! Ma almeno accetta che
ti paghi il taxi e controlli che sia un tipo affidabile».
«Non accetto soldi
da te!».
«Dovrai farlo. Per
forza»
dico, alludendo ai soldi che le darò per il suo
“piccolo
aiuto”.
«E' un'altra
cosa! Adesso... adesso non devi darmeli. Mi hai già pagato
la
cena, io non voglio che tu mi dia altri soldi!».
Non
l'ascolto.
Le prendo la mano e
mi giro in cerca di un taxi.
Subito
uno si ferma davanti a noi.
Kristen
si sta agitando ma la ignora un'altra volta, avvicinandomi al
finestrino e parlando con il conducente del taxi. «Deve
portare
una signorina a casa, ecco i soldi per la corsa, spero che
bastino»,
gli do cento dollari visto che non ho idea di dove viva Kristen e di
quanto sarà lunga la corsa. L'uomo prende i soldi senza dire
niente.
Apro lo sportello e
spingo Kristen dentro il taxi, chiudendo lo sportello.
«Sei
uno stronzo!» urla lei.
«Ci
vediamo domani, Kristen. Sarai bellissima».
Faccio
un cenno al taxista e la macchina parte.
Continuo
ad osservare la macchina fin quando non sparisce nel traffico.
Vado verso la mia, dove John
mi sta
aspettando e mi apre lo sportello.
Il
cellulare vibra dentro la tasca interna della giacca.
Da:
“Kristen”.
Messaggio:
“Sei un grandissimo stronzo! Non permetterti mai
più a
pagarmi qualcosa, non ho bisogno della tua
carità!”.
Le
rispondo subito:
“Non mi
dispiace pagarti le cose. Buonanotte, Kristen. Non vedo l'ora che sia
domani, sogni d'oro”.
Okay,
in realtà pensavo che sarebbe stato molto più
lungo ma
visto che alcuni mi hanno
chiesto
quando avrei postato e io ho risposto “presto”,
ecco qua...
ehm, non so che dire.
Questa
storia mi ha preso un sacco e spero che vi piaccia almeno la
metà
di quanto piace a me.
Robert
è un po', come dire..?, non stronzo.
Be',
ditemelo voi.
Sapete che amo
sapere la vostra opinione.
Scusate
per il ritardo ma ho avuto da fare con la scuola e ho avuto anche
l'influenza.
Sicuramente
dovrei dire anche altro ma mi verrà tutto in mente una volta
che avrò
pubblicato
quindi è inutile.
Vi
voglio bene,
grazie mille,
lasciate tante recensioni.