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Autore: May Jeevas    17/02/2013    7 recensioni
-E allora promettiamocelo! Diventeremo professionisti insieme!
Risate di ragazzini nella pre adolescenza.
-Certo, e vinceremo la J-League così come abbiamo vinto questo campionato nazionale!
-Giuralo sul mignolo!
-Lo giuro sul mignolo!
E altre risate. Le voci di quei ricordi improvvisamente gli sembrarono suonare troppo infantili, troppo immature per una promessa del genere.
La mia versione sulla convocazione in J-League della Coppia d'Argento. Dedicata a Melanto
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hajime Taki/Ted Carter, Teppei Kisugi/Johnny Mason
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Glielo dirò domani… pensò Teppei mentre fissava il soffitto sdraiato sul letto. Erano passati dieci giorni da quando era stato convocato dal Cerezo Osaka e ancora non lo aveva detto a nessuno. A parte alla sua famiglia. E a Mamoru. E a Yuzo. A Kishida. Urabe. Nitta. In pratica tutta l’ex Nankatsu.
Tranne uno.
Il ragazzo si girò su un fianco, stizzito. Dal comodino, una foto che lo ritraeva col suo migliore amico sembrava sorridergli beffarda. Eccoli lì, durante uno dei ritiri della Nankatsu, neanche un anno prima, spalla contro spalla, sorridenti, senza ombre né segreti. Cos’era cambiato da allora?
Si girò con ancora più stizza.
Grosso errore.
La gigantografia della squadra dei pulcini della Shutetsu spiccava sul muro. I suoi genitori gliela avevano regalata subito dopo il campionato nazionale a Yumuri Land. Un sé stesso in miniatura al fianco di Hajime, altrettanto minuscolo, sorrideva. Due rospetti di cinque anni che avevano appena cominciato a fare i primi passi per realizzare il loro sogno.
-Ciao! Io sono Teppei. Anche tu sei attaccante? Piacere di conoscerti!
-Hajime! Tieniti sotto porta, appena posso ti faccio un assist!
Le loro voci infantili rimbombavano nella testa, come se volessero uscire.
-E allora promettiamocelo! Diventeremo professionisti insieme!
Risate di ragazzini nella pre adolescenza.
-Certo, e vinceremo la J-League così come abbiamo vinto questo campionato nazionale!
-Giuralo sul mignolo!
-Lo giuro sul mignolo!
E altre risate. Le voci di quei ricordi improvvisamente gli sembrarono suonare troppo infantili, troppo immature per una promessa del genere.
Il piumone gli sembrò diventare opprimente. Soffocante. Corse in bagno e con movimenti frenetici fiondò la testa sotto il getto gelato del rubinetto. Quando alzò la testa, il suo riflesso lo guardava dallo specchio, i rivoli d’acqua che correvano come ruscelli dai capelli e dal viso bagnandogli il collo e la schiena, provocandogli brividi.
Stava impazzendo, se lo sentiva. Cazzo, era appena stato convocato dal Cerezo Osaka, era praticamente un professionista! Aveva coronato il suo sogno!
E allora perché…
Perché quel peso sullo stomaco? Perché tutta quella tensione, tensione negativa, che lo stava soffocando? Si rese conto che anche il cuore batteva ad un ritmo irrequieto nel suo petto.
Perché?
Batté con forza un pugno contro il muro, appoggiando la fronte sulle piastrelle fresche, bene accolte dalla sua fronte che era tornata a essere bollente.
Sì, stava impazzendo e non sapeva perché.
Non lo sapeva, non lo capiva.
Avrebbe dovuto fare salti di gioia, festeggiare, correre da Hajime per condividere con lui questo momento così importante. Avrebbe dovuto dirgli che nonostante fossero stati in squadre diverse avrebbero dato il massimo.
Ecco quello che avrebbe dovuto fare.
Quello che aveva fatto, invece, era stato rifugiarsi nel silenzio stampa verso il suo migliore amico, tenergli segreta la sua convocazione e allontanarsi da lui, sempre di più, mascherandolo bene; non credeva che Hajime sospettasse qualcosa. Ma perché non voleva dirglielo? E perché ogni volta che pensava al suo migliore amico sentiva un disagio misto a qualcos’altro nello stomaco?
La realtà gli piombò addosso come una doccia gelata, impietrendolo. Era l’unica spiegazione a tutto. L’irrazionale paura di questo cambiamento, la reticenza nel volerlo dire proprio a Hajime…
Si aggrappò con entrambe le mani al lavandino mentre le gambe cedevano sotto il suo peso. Appoggiò la fronte al suo avanbraccio, chiudendo gli occhi e cercando di riprendere un ritmo di respirazione regolare, mentre quel pensiero prendeva forma nella sua testa e prepotente lottava per essere esternato quasi come se fosse lì da tempo immemore e non avesse aspettato altro che essere riconosciuto.
-Sono innamorato di Hajime…- mormorò il ragazzo sentendo un dolore al petto, non capendo a cosa fosse dovuto. –Sono innamorato del mio migliore amico…-
 
Il vento freddo di Novembre gli spettinava i riccioli mentre la testa ciondolava in avanti, cercando di non cedere al sonno. Da quella maledetta notte in cui aveva avuto l’illuminazione celeste l’insonnia si era impossessata di lui. Si era alzato prestissimo ed era uscito, voleva respirare aria fredda, con calma, ragionare. Si era seduto su una panchina del parco vicino a casa sua a riflettere. Da quanto, non lo sapeva
Tre giorni.
Tre maledetti giorni in cui aveva dormito sei ore in tutto, stando larghi.
Tre giorni in cui aveva ignorato i messaggi di Hajime, e quando aveva risposto alle sue chiamate aveva detto di stare poco bene, rendendo in questo modo credibili le sue risposte a monosillabi.
Si sfregò gli occhi doloranti. Stava arrivando al limite. Tra una settimana sarebbe partito per Osaka e ancora non aveva detto niente a Hajime.
Si sentiva in colpa, terribilmente.
E si sentiva un vigliacco.
 
-Eccolo qui il nostro campione!- la voce di sua madre lo investì con la potenza di un megafono nelle orecchie ancora intontite dal sonno.
Hajime guardò la cucina cercando di vincere la stanchezza mattutina, mentre senza neanche rendersene conto un sorriso genuino e sincero si facevastrada sul suo viso.
La sera prima sua madre gli aveva consegnato una lettera proveniente da Tokyo, dicendo che era arrivata quella mattina.
Non poteva lontanamente immaginare che quella lettera avrebbe cambiato radicalmente la sua vita.
L’urlo di giubilo che aveva lanciato una volta letta era intriso della gioia più pura che i suoi genitori avessero mai potuto sentire.
Convocato in J-League. Professionista. Il suo sogno.
Improvvisamente sveglio e in un momento di felicità massima, corse ad abbracciare i genitori, fregandosene del fatto che avesse già diciannove anni compiuti. Poi si precipitò in bagno, a vestirsi e si fiondò fuori. Non vedeva l’ora di dirlo a Teppei. Da che erano stati in Europa avevano preso l’abitudine di fare colazione all’occidentale nelle grandi occasioni. E poi in Francia non si mangiava affatto male.
Corse verso la casa del suo migliore amico, cercando di non pensare all’atteggiamento che quest’ultimo aveva avuto nei suoi confronti negli ultimi giorni.
Se fosse dovuto solo alla malattia, non lo sapeva. Ammesso che fosse davvero malato.
Cacciò via questi pensieri. Malato, arrabbiato o altro, restava sempre il suo migliore amico, quindi la festa-colazione avrebbe dovuto beccarsela in ogni caso.
Comprò due caffelatte e due brioches con crema in un bar vicino a casa di Teppei. Mentre si avviava a passo svelto per non fare raffreddare la colazione si concesse di pensare all’unica ombra, se così si potesse definire, di quella situazione.
Lui e Teppei, compagni storici fin dalla Shutetsu, non sarebbero più stati in squadra insieme.
Non più il sette e il nove.
Non più Silver Combi.
Scosse la testa, deciso. Aveva già preso in considerazione questa ipotesi.
Avversari, sì, ma legati ancora, sempre e comunque, dal loro sogno comune. Il calcio.
Sarebbe bastato quello. Ne era sicuro. E poi, la loro amicizia non poteva venir meno per un fatto così assurdo.
Amicizia…
Si ritrovò a pensare anche a quella parola.
No, quella che c’era tra lui e Teppei non era amicizia, almeno da parte sua.
Sospirò, premendo il campanello.
Il viso sorridente della signora Kisugi comparve dalla porta della villetta.
-Buongiorno, Hajime, come stai? Entra, entra pure, caro!- esclamò riconoscendo il ragazzo.
-Grazie, signora Kisugi, sono venuto a trovare Teppei, è in camera sua?-
La donna scosse il capo, dispiaciuta.
-Mi dispiace, Hajime, ma stamattina è uscito molto presto, credo sia andato a correre nel parco qui dietro. Se lo vuoi aspettare in casa…
-No, non si preoccupi, signora, grazie! Lo raggiungo io, arrivederci!- esclamò il ragazzo, sorridendo.
Sempre a passo spedito si diresse verso il parco, mentre ritornava con la mente al discorso di prima.
Si era accorto che quello che provava per Teppei era più grande dell’amicizia fraterna durante quel terribile ritiro col Mister Gamo. Ogni giorno si allenavano fino allo sfinimento, procurandosi nuovi tagli, escoriazioni, lividi eccetera. Vederlo così fragile gli aveva provocato un sentimento di protezione che non aveva sentito per nessun altro e quella volta che aveva dovuto cambiargli le bende prima di andare a dormire aveva sentito come se l’aria fosse stata carica di elettricità. Fare due più due per capire quei sentimenti era stato così terribilmente facile che se n’era quasi spaventato. E se in quel ritiro non era crollato lo doveva soprattutto a Yuzo, povero sventurato che l’aveva beccato in quella che si poteva benissimo definire uno stato di crisi d’identità massima e che l’aveva rassicurato e aiutato a capire questo nuovo sentimento. Più volte gli aveva detto di parlarne col diretto interessato, ma la risposta dell’ex ala della Nankatsu era sempre stata negativa. Ci mancava solo quello, la loro amicizia non ne sarebbe uscita viva. Quel pensiero lo aveva terrorizzato fin da subito, così per adesso aveva deciso di non dirgli niente e di continuare a fare la parte del migliore amico, come al solito.
Trovò Teppei seduto su una panchina e si avvicinò sorridente, sedendosi di fianco all'ex compagno d scuola.
-Sono contento che oggi ti senta meglio! Colazione pronta e offro io!- disse allegro porgendogli la brioches e uno dei caffelatte. Il futuro attaccante del Cerezo Osaka sobbalzò quasi spaventato. Si era quasi abbandonato al sonno prima che venisse raggiunto da Hajime.
Hajime.
Il suo migliore amico gli sorrideva, raggiante. Si sentì ancora più in colpa per avergli mentito sul suo stato di salute. Prese il bicchiere di carta fumante che gli stava porgendo e si ricordò cosa significava per loro la colazione occidentale.
-E cosa festeggiamo?- chiese cercando di sorridere. Averlo così vicino non aiutava. Non aiutava per niente. E perché improvvisamente il sorriso dell’attaccante gli sembrava così tremendamente bellissimo? Sentì le guance andare a fuoco e per non pensarci bevve un sorso generoso del caffelatte. E fu la lingua ad andargli a fuoco. 
Ululò di dolore lasciando la presa sul bicchiere che rotolò a terra, riversando il liquido ancora bollente sulla stradina sterrata del parco. Kisugi era scattato in piedi, premendosi le mani sulla bocca.
Hajime non seppe se ridere o dispiacersi davanti a quella scena, quindi decise per una via di mezzo. Si alzò, sorridendo e si avvicinò al compagno.
-Aspetta, fammi vedere, ti sei ustionato la lingua?- disse, allungando le mani verso quelle del compagno, ancora premute contro le labbra.
La reazione di Teppei fu immediata.
-NO!- urlò, allontanandosi di due passi e continuando a tenersi le mani sulle labbra. –No, davvero, va tutto bene, vado solo a casa a dare un’occhiata e poi… senti ci vediamo, uh? Scusa, ti spiego dopo…- rispose per poi dandogli le spalle e correre verso casa.
Era accaduto tutto così in fretta che Hajime faceva fatica a capire che cosa, effettivamente, fosse successo. Guardò l’ex compagno di squadra allontanarsi correndo, quasi come se stesse scappando da qualcosa. E quel sospetto, quella vocina che aveva nella testa e che gli diceva che era successo qualcosa, che forse Teppei ce l’aveva con lui, divenne più grande fino a prendere la consistenza di una certezza. Sospirò, frustrato, fissando il punto dove, neanche un minuto prima, era seduto l’amico.
-Festeggiamo perché ieri sera mi hanno convocato per giocare nel Tokyo Verdy. E volevo che tu fossi il primo a saperlo, Tep…- mormorò, il freddo che condensava le parole sussurrate in nuvolette di vapore.
Si mise a sorseggiare il suo caffelatte con calma, riflettendo sulla ragione che spingeva l’amico a comportarsi così nei suoi confronti. Quando girò lo sguardo vide il portafoglio di Teppei abbandonato sulla panchina. Doveva essergli caduto dalla tasca del giubbotto. Sospirò, avviandosi verso casa sua per riportarglielo.
Ad aprirgli, fu ancora la madre di Teppei.
-Ciao, Hajime, Teppei è tornato pochi minuti fa, se vuoi salire in camera sua…-
-No, grazie… volevo solo dargli questo, gli è caduto dal giubbotto…- spiegò il ragazzo porgendo il portafogli.
-Oh, grazie mille, caro! Guarda, non so dove abbia la testa quel distratto di mio figlio, capisco l’emozione di essere stato convocato, ma…
Hajime sentì come se un pozzo si aprisse sotto i suoi piedi.
-Con… convocato?- chiese, la voce più roca del normale.
-Si, la convocazione del Cerezo Osaka. Ma… non te l’ha detto?- chiese, stupita.
Il pozzo lo inghiottì.
-Scusi, devo andare,  i mie genitori mi stanno aspettando. A presto, signora Kisugi.- riuscì a dire, prima di dirigersi quasi correndo verso casasua.
Teppei era stato convocato per giocare in J-League.
Teppei era stato convocato per giocare in J-League.
Teppei era un professionista, e lui non lo sapeva.
Si sentì umiliato, tradito. Stupido. Lui aveva subito pensato a un modo per festeggiare col suo migliore amico mentre Teppei non glielo aveva nemmeno detto.
Delusione e rabbia si mescolavano nel suo stomaco.
Telefonò a Mamoru, giusto per controllare. Gli disse della sua convocazione col Verdy e fece una battuta che ormai tutto il quartetto della Shutetsu era sistemato.
La risposta che non avrebbe voluto sentire arrivò spietata alle sue orecchie.
Mamoru lo sapeva. Yuzo lo sapeva. Tutti lo sapevano.
Tutti. Tranne lui.
 
Non moriva dalla voglia di festeggiare, ma d’altronde Yuzo era stato così gentile a mettere a disposizione la casa che come poteva dire di no? Inoltre era davvero, come l’aveva definita il portiere, una sorta di festa d’addio, prima che ognuno cominciasse una nuova avventura in una nuova città. Per tutta la serata, Teppei lo aveva ignorato. O almeno, aveva finto di ignorarlo. Avevano conversato del più e del meno. Discorsi che avrebbe potuto fare con chiunque. Anche il suo congratularsi per la convocazione in J-League era stato molto formale e anonimo. Ma adesso non aveva più intenzione di subire quell’atteggiamento, non da lui.
I festeggiamenti erano finiti e stavano tornando a casa a piedi. Camminavano l’uno di fianco all’altro, restando muti. Teppei sentiva che tra poco sarebbe arrivata la tempesta. E che forse se lo meritava anche.
-Allora, tutto bene?- chiese Taki, continuando a fissare il marciapiede. L'altro sospirò silenziosamente.
-Certo, tutto bene.- mentì.
Hajime si fermò, lo sguardo sempre basso. Anche Teppei si fermò, girandosi verso il compagno.
-Ne sei sicuro?- chiese un’altra volta, e il tono era quello di chi stava andando un’ultima possibilità. Ma a che cosa?
-Si, sicuro…- rispose un po’ incerto.
Hajime alzò lo sguardo improvvisamente, il viso furioso e gli occhi che brillavano minacciosi e delusi.
-E quando avresti avuto intenzione di dirmi che sei stato convocato nel Cerezo Osaka?- sibilò il ragazzo mentre odio, delusione e rabbia sgorgavano da quelle parole, investendo Teppei che se ne sentì travolto. Il suo cuore smise di battere per un momento, per poi riprendere più vivo e terrorizzato che mai. Scalpitava, galoppava e correva, battendogli contro la cassa toracica, facendogli male. Sentì le sue labbra aprirsi per dire qualcosa, ma il cervello non mandò le parole.
-Pensavi di telefonarmi dopo esserti trasferito a Osaka? O forse pensavi di non telefonarmi neanche e sparire come si fa con i compagni di classe che si conoscono appena?- ringhiò ancora l’ex ala della Nankatsu. Non era arrabbiato, era furioso. Per tutta la serata aveva aspettato, sperato, che l’amico si fosse deciso a dirglielo, visto anche il motivo della festa. Speranza vana. Era deluso. Era ferito. Ferito dall’ultima persona che si sarebbe aspettato capace di una cosa simile.
Dal canto suo, Teppei si sentiva divorato da un senso di colpa devastante. Si sentiva sprofondare in un pozzo che lui stesso aveva scavato. Che fosse stata una cosa stupida lo sapeva, ma non aveva potuto farne a meno. Perché sapeva che se glielo avesse detto, sarebbe andato sicuramente a tastare anche l’argomento distanza-amicizia-rapporto, e non sarebbe riuscito a fermarsi o a negare. E Hajime non poteva sapere, non poteva.
-Pensavi che non sarei stato felice per te? Che solo perché io non avevo ancora ricevuto la convocazione del Verdy non avrei festeggiato insieme a te? È questo il valore che dai alla nostra amicizia? RISPONDIMI!- il tono irato e allo stesso tempo intriso di disperazione costrinse Teppei a uscire dal blocco in cui si era rifugiato.
-N… no, io…- riuscì ad articolare, ma scoprì di non essere in grado di continuare. Non aveva scuse. Non gli veniva in mente nessuna giustificazione plausibile.
-E… e allora… perché…?- sussurrò Hajime, la rabbia svanita di colpo, vinta dalla tristezza e dal desiderio si capire, di assicurarsi che erano ancora in tempo per salvare la loro amicizia. Tremava, Hajime, il viso fisso sul terreno. Teppei alzò lo sguardo verso il suo migliore amico. Sembrava così fragile mentre cercava con tutte le sue forze di trattenere le lacrime. Si sentì un verme. Dovette fare violenza a sé stesso per non correre ad abbracciarlo, rassicurarlo, dirgli che sarebbe andato tutto bene.
Ma non c’era niente che andasse bene in quel momento.
La loro amicizia stava andando a rotoli, tra pochi giorni sarebbero partiti e ci sarebbero stati quattrocento chilometri a separarli.
Tempo. Teppei si rese conto che era quello tutto ciò di cui aveva bisogno. Tempo per accettare questo cambiamento, per accettare sé stesso, per stare vicino a Hajime. Tempo per capire.
Del fottuto tempo che loro non avevano.
E sentì una rabbia cieca e travolgente nascere come fuoco nel suo petto, incendiandolo.
Rabbia per la situazione.
Rabbia verso sé stesso.
Rabbia perché non voleva perderlo.
Strinse i pugni così forte che sentì le unghie entrargli nei palmi, ma il dolore, quello vero, era dentro di lui.
Loro, che erano stati spalla contro spalla da che avevano cinque anni, ora si trovavano a due metri di distanza, ognuno chiuso nel dolore involontariamente causato dall’altro. E ogni minuto che aspettavano, delle barriere spesse come il cemento armato si ergevano tra loro, allontanandoli sempre di più. Teppei poteva vederle, e avevano dei nomi queste barriere. Rabbia, Tristezza, Silenzio… e poi la più grande, la più spessa, quella che torreggiava su tutte.
Amore.
Era lì, tra di loro, a dividerli.
Immensa.
E sapere che era stato lui stesso a costruirla faceva male. Aveva ferito Hajime, la persona più importante, e questo non poteva accettarlo. Con una smorfia che non descriveva minimamente il disagio che provava in quel momento, realizzò che probabilmente avrebbero fatto meglio a stare distanti per un po’. Il realizzarlo gli riempì la bocca di un amaro insopportabile, sapeva che non era la soluzione giusta, sapeva che stava scappando, lo sapeva. Lui, che sul campo non si faceva remore ad affrontare avversari come Jito e Hiyuga, stava scappando davanti al suo migliore amico.
-Ne parliamo domani, va bene?- ma in realtà non era una domanda. Era una supplica nascosta dietro un tono tagliente e indifferente.
Senza aspettare una risposta si girò, pronto ad avviarsi verso casa.
-Col cazzo che va bene.- il ringhio di Hajime arrivò basso e sommesso, come quello di un predatore pronto ad attaccare. Se si fosse girato, Teppei avrebbe visto il lampo di determinazione pura negli occhi del suo migliore amico. Perché se l’ex numero nove non aveva il coraggio di tirare fuori le palle e affrontare un dannato problema di cui ignorava la causa, allora il futuro attaccante del Verdy le avrebbe tirate fuori per entrambi. Aveva paura di perderlo, di aver fatto qualcosa che l’aveva ferito, ma usò quella paura per caricare l’adrenalina che sentiva scorrergli per tutto il corpo. E attaccò.
Teppei si ritrovò contro il muro, l’avanbraccio sinistro di Hajime che premeva sulla sua gola seppur senza una pressione dolorosa, e la sinistra che gli teneva il polso.
Il viso troppo vicino…
-Lasciami…- ma fu un sussurro così debole che si perse nell’aria prima che l’amico lo sentisse.
-Adesso tu mi spieghi perché cazzo hai deciso di escludermi dalla tua vita di punto in bianco, e finché non mi darai una ragione valida nessuno di noi due torna a casa.- specificò il ragazzo, mostrando una determinazione che finora aveva riservato solo sul campo da calcio.
-Non… non è come pensi…- cercò di cominciare Teppei, ma fu subito interrotto.
-Non importa quello che penso, perché adesso tu mi dirai le cose come stanno!- un sibilo. Un ordine. –Se ho fatto una stronzata di cui non mi sono reso conto, me lo dici. Se ti ho ferito, me lo dici. E risolviamo la cosa, perché io non ci sto a perdere il mio migliore amico senza una ragione più che valida. E pensavo che anche per te fosse lo stessoma a quanto pare mi sbagliavo.- il tono era rabbioso, irato. Tagliente.
-No, davvero… lasciami!- quasi urlò il ragazzo costretto contro il muro.
-È per quando ti ho rubato il pranzo alle elementari?- continuò a chiedere Hajime, non dandogli tregua mentre Teppei continuava a divincolarsi.
-No, no…-
-Per quel calcio che ti ho dato durante un allenamento?-
-No…- e un altro strattone.
-Per quando sei caduto nella Senna?-
-No!- ringhiò, non sopportando più quella situazione.
-E allora dimmi che cosa ho fatto, dannazione! Dimmi perché io…-
-Non c’entri niente tu! Sono io che sono così stupido da essermi innamorato del mio migliore amico!- l’aveva detto. L’aveva urlato. Senza rendersene conto crollò sulla spalla di Hajime e la tensione accumulata in tutti quei giorni uscì tra i singhiozzi e le lacrime che non riusciva a trattenere. Si sentiva uno stupido, un idiota. E adesso che aveva cominciato non riusciva più a smettere.
-Come facevo… a dirtelo? Come facevo… a spiegarti che… che quando mi hanno convocato… la prima cosa che ho pensato è stata… che saremmo stati avversari…? Che non saremo più stati vicini di casa…? Come? E… e poi… io…
Nemmeno si rese conto che le braccia di Hajime lo stavano abbracciando, accarezzandogli la schiena in maniera protettiva, sul viso un sorriso meravigliato, sorpreso. Felice.
-Teppei, io…- tentò di tranquillizzarlo ma l’altro lo fermò.
-E poi… il cappuccino… la brioches… il parco… portafoglio…-
Hajime dovette collegare le parole per capire di cosa l’amico stesse parlando.
-Se vuoi te ne compro un altro…- mormorò, divertito. Non riusciva a smettere di sorridere.
-In bagno… l’acqua… i poster… noi!- ululò Teppei, cercando inutilmente di spiegargli quando si fosse reso conto dei suoi veri sentimenti.
Hajime cercò di staccarsi da lui per rassicurarlo, ma l’altro non voleva saperne di mollarlo.
-Teppei…- l’amico si aggrappò ancora di più alla sua felpa. -Oh, per l’amor del cielo!- esclamò, un po’ stizzito, ma per la maggior parte impaziente. Non avrebbe saputo aspettare oltre. Si divincolò un po’ bruscamente e riuscì a liberarsi, per poi rituffarsi subito tra le sue braccia e imprigionare la bocca di Teppei con la propria.
Fu impressionante realizzare quanto perfettamente le loro labbra si completassero a vicenda, come se non avessero aspettato altro. Si esplorarono, lambirono, scoprirono. Amarono.
Hajime si allontanò un attimo, rimanendo comunque vicinissimo al viso del compagno.
-Va meglio adesso?- chiese sorridendo.
Gli occhi di Teppei erano sgranati come se lo vedessero per la prima volta.
-Da… da quando…?- domandò, confuso e incredulo. Era come se tutti i neuroni avessero subito un elettroshock. Morti. Andati.
-Diciamo solo che ti trovo molto sexy con delle fasciature addosso…- disse lui, malizioso e vago.
Il ragazzo rifletté sul significato di quelle parole.
-Da allora?- chiese, abbracciandolo forte e tranquillo, accucciandosi sulla sua spalla.
-Sì, da allora. E ringrazia Yuzo se durante il ritiro non ti sono saltato addosso…-
-Yuzo lo sa?- chiese ancora, sorpreso.
-Sì, e grazie al cielo, se no sarei impazzito, te lo giuro.- confessò il futuro attaccante del Verdy.
-Capisco cosa intendi…- ammise l’altro, la voce ovattata dalla giacca del compagno.
Uno spiffero di vento li fece rabbrividire.
-… ti va di venire a casa mia a parlare? Ho freddo…- mormorò Teppei, rafforzando ancora di più la stretta. Hajime non rispose, ma si separò da lui e cominciarono ad avviarsi. Tutta l’ansia e la tensione rimaste si sciolsero definitivamente quando le loro dita si cercarono, intrecciandosi.
Mezz’ora dopo erano seduti ai piedi del letto di Teppei, la musica del Signore Degli Anelli riempiva la stanza dalle casse della tv che i ragazzi avevano acceso. Sapevano entrambi che non avrebbero seguito neanche un minuto, avevano troppe cose di cui parlare e tanto da scoprire.
L’alba li trovò addormentati, la testa di Teppei nell’incavo di Hajime e la testa dell’ex numero sette appoggiata a quella del compagno, il braccio che lo cingeva dietro la schiena.
 
L’aria fresca di Marzo annunciava la primavera riempendo l’aria del profumo delicato dei fiori di ciliegio. Quella domenica pomeriggio c’era un gran via vai di gente per le vie di Osaka. Gli appassionati di calcio si dirigevano verso lo Stadio Nagai, ansiosi di assistere alla prima partita della stagione. Parlavano tra loro, chiacchieravano e facevano previsioni sulla partita. Lo stadio si stava riempendo velocemente e non ci volle molto prima che le tribune fossero gremite di tifosi con gli stendardi e le magliette dei colori della loro squadra del cuore. Un gruppo di tifosi scese da un pullman organizzato tenendo un lenzuolo bianco. Una volta raggiunti gli spalti lo aprì completamente, rivelando il disegno di un enorme condor dal bellissimo color verde.
Le grida si moltiplicarono quando le formazioni scesero in campo e si posizionarono. A centrocampo, due giovani erano uno di fronte all’altro, già pronti nelle loro posizioni di gioco. Il trentanove con la divisa rosa e il trentasette con la divisa bianca. Sorrisero, gli occhi illuminati da una luce bellissima.
Il fischio dell’arbitro dichiarò l’inizio della partita.
 
 
 
 
 
 
Angolino di May
 
Wow, fa uno strano effetto pubblicare una storia dopo tre anni e mezzo. Questa è la mia prima fic su Capitan Tsubasa  e la prima shonen-ai che abbia mai scritto in vita mia.
Ah, le cose che possono cambiare in tre anni! XD
Innanzitutto una mega, ultra, stra grazie a Melanto è d’obbligo, per avermi fatto passare il blocco della scrittrice, per avermi ispirato a pensare alla convocazione in J-League e soprattutto per essersi offerta di betarmi *strizzola forte forte*. Questa fan fiction è dedicata a lei, dal profondo del cuore! Grazie mille!!! ;)
A presto, spero!
May
   
 
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