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Autore: The queen of darkness    19/02/2013    2 recensioni
Come potrà Morte sopportare una ragazzina viziata del settecento?
(E' la prima volta che scrivo una Nonsense che non sia triste o deprimente, ma ho cercato di infonderci una vena demenziale. non abbiate timore di dirmi se ho fallito, purchè siate costruttivi nelle vostre critiche)
Genere: Comico, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Morta, eh? – disse annoiata la fanciulla, sventolando aggraziatamente il proprio ventaglio ricamato davanti al naso all’insù.
-Esattamente – rettificò per l’ennesima volta. Cosa c’era di tanto difficile da capire? Era da mezz’ora che andavano avanti così, e si trovavano sempre al punto di partenza.
La ragazza stette in silenzio per un po’, prima di storcere la bocca in una smorfia. –Non vi credo.
Morte avrebbe voluto urlare per la frustrazione: in migliaia di anni non gli era mai capitata un’esperienza simile. Sembrava che quell’anima fosse concentrata esclusivamente sui pizzi della propria gonna, ampia e ingombrante, con forti richiami settecenteschi.
Non era raro che ci si dimenticasse del proprio trapasso, ma la memoria tornava subito, dopo qualche istante. In fondo si trattava del trauma più grande della propria vita (e anche l’ultimo). E la signorina là davanti aveva diversi motivi per essere presente a sé stessa, in quanto aveva subito strazianti dolori per quasi una settimana, prima che la tisi la uccidesse definitivamente.
Se non era arrivato prima era solo a causa dei disordini dell’epoca in cui era vissuta: le file dell’aldilà erano un po’ troppo piene per preoccuparsi subito della viziata figlia di un barone francese.
-Non avrei motivo di mentirvi, milady – disse, cercando di contenersi.
L’altra inarcò un sopracciglio dorato: -Da quando in qua la gente ha bisogno di un motivo per dire menzogne?
In effetti, il ragionamento di quella mente semplicistica filava liscio, e tale risposta lo lasciò abbastanza dubbioso. Se avesse avuto ancora delle labbra, le avrebbe corrucciate in un’espressione interrogativa.
Nel frattempo, l’interlocutrice aveva già ricominciato a fissare i merletti che le cingevano il grembo, accarezzando con dita distratte gli sbuffi e le crinoline sottili che coprivano la rete metallica responsabile della forma a mongolfiera della metà inferiore del suo corpo sottile.
Era la creatura con la minor capacità di attenzione con cui aveva mai avuto a che fare.
-Vi prego, ascoltatemi – disse Morte, esasperato. Era stanco, molto stanco. Aveva allestito un palco non indifferente per farla stare a suo agio nella sala, creando lampadari in cristallo e lussuose superfici dorate. Materiale non restituibile alla fabbrica e che gli era costato una fortuna vera e propria. Tutto per quella ragazzina viziata.
-Per favore, smettetela di raccontarmi frottole – sbuffò, mettendogli il broncio. Non andava bene così; doveva rimanere tranquilla, anche annoiata andava bene.
-Vi giuro, sono sincero. Sono il primo a non avere ragione d’ingannarvi: se proprio non vi fidate, guardate il mio viso – disse. Era conscio che fosse la sua ultima spiaggia.
La ragazza si volse annoiata verso il teschio scarnificato che le stava di fronte, fasciato in uno smoking elegante, prima di ri-posare lo sguardo sul proprio vestito rosa pallido. –Cos’ha di strano il vostro viso?
La mascella di Morte rischiò sul serio di frantumarsi a terra. –La domanda giusta sarebbe cosa non ha di particolare, milady.
-Oh, suvvia, quante storie per un po’ di magrezza! – esclamò, sempre disinteressata alla conversazione. Trattenne uno sbadiglio coprendolo con le dita guantate e sottili.
-E allora come spiegate questo colorito?
-Siete fortunato – disse senza guardarlo, -avete trovato il profumiere più abile di Parigi, con un belletto simile.
Le dita scheletriche si stavano già tendendo verso il suo collo arcuato: come diamine era possibile non capire che uno scheletro in vestito non poteva che essere un’entità sovrannaturale? Era morta il 5 maggio 1754, alle sei e mezza della sera, nel suo letto, in fondo al corridoio dell’ala sinistra del palazzo reale a Parigi, Francia, Europa, mondo. Come si faceva a non capire una cosa tanto semplice?
Morte digrignò i denti un’ennesima volta: non la strangolava solo perché non avrebbe avuto comunque il potere di ucciderla più di quanto la malattia non avesse già fatto. –Glielo dico ancora, milady: lei è morta il 5 maggio del 1754, di tisi, nel suo letto, nel palazzo reale di Parigi.
-Che sorte triste… - sospirò, guardando malinconicamente fuori dalla finestra.
Morte cominciò ad intravedere una luce nel tunnel. Forse, con un pizzico di fortuna, si era ricordata di tutto e avrebbe potuto reincarnarsi, finalmente. Quel colloquio si stava protraendo per troppo tempo, ormai.
Ma la ragazza non aveva finito il suo discorso, lasciando che gli occhi le si illuminassero per un attimo. –Non sarebbe meglio una morte in vecchiaia, mano nella mano con il principe azzurro, circondata dai figli e dai nipoti? Magari non raggrinzita del tutto, ma ancora con una bella pelle liscia, eh?
Il teschio nudo si scosse lentamente, esasperato. Avrebbe potuto morderla: ecco, sì, un bel morsetto ben assestato, proprio lì, sulla carotide, un molare bello preciso stampato sulla carne bianca e liscia. Non sarebbe morta ma avrebbe fatto male comunque, no?
-…e poi anche un bel castello dove lasciare la vita, con le pareti in pietra grezza ma non troppo e dei candelabri d’oro…
Forse era meglio un dito in un occhio, un’unica falange ficcata completamente nel bulbo, con un bello “squerch” come colonna sonora, e rigirare fino a quando la gola rosea non si fosse infiammata a furia di gridare.
-…e dei cavalli. Oh, sì, io aaaamo i cavalli, sono degli animali tanto graziosi! L’ideale per morire. Uno bianco, sicuramente, con una criniera lunga e lucida, setosa…
Anche un bel calcio sugli stinchi, in fondo, faceva un male terribile. Magari, sfruttando i calcagni privi di carne, avrebbe potuto prendere la parte appuntita e…sdeng! Un’unica mossa liberatoria, il massimo giro della rotula, come se si stesse preparando a lanciare un giavellotto e fosse deciso a scagliarlo il più lontano possibile.
-…come dimenticare le posate d’argento? Ci sono di quelle forchettine delicatissime che sono uno spettacolo, così graziose e sottili! Ah, quanto sarebbe bello che l’ultimo pasto venisse consumato con esse! Oh, e naturalmente anche dai calici dallo stelo lungo…
E che dire delle mosse di wrestling? Magari la gente in vita lo faceva per dare spettacolo, ma non era certo piacevole ricevere una di quelle sediate sulla testa, con violenza, perché anche se era gracile ci sapeva fare quando si trattava di stendere l’avversario.
-…giustamente il letto dovrà essere a baldacchino, ma molto, molto spazioso, tipo quelli di Messer Flaubert, erano davvero comodissimi! Dormirci era uno spettacolo…
-Basta! – strillò Morte, saltando di scatto dalla sedia assomigliando più che mai ad un primate che scopre il fuoco. –Tu! – guardò la ragazza con le orbite vuote fiammeggianti.
L’interessata tremò, interrompendosi subito e guardandolo con occhi sgranati dal terrore, perché la figura fino a quel momento seduta in modo composto sulla sedia si era trasformata in due metri di pure ossa, con brandelli di stoffa nera fra una costola e l’altra.
-Ne ho abbastanza! Reincarnati!
-No! – piagnucolò la fanciulla, parandosi il viso con gli avambracci davanti agli occhi. –Non voglio!
-Non vuoi? – all’improvviso, tutte le fiamme e gli zampilli di lava cessarono, e lo smoking elegante tornò a coprire i bordi spigolosi del corpo. –Questa mi è nuova.
La principessina si riscosse subito: con cautela abbassò le braccia, guardandolo circospetta. –Esatto. Quel sonno che avevo prima, o quello che era, mi piaceva un sacco. Cavalcavo il mio pony e scorrazzavo per il palazzo senza far nulla, facendomi corteggiare dai principi di passaggio e…
-Ok, basta così – tagliò corto Morte, che ne aveva già sentito abbastanza. –Non so se si possa fare, ma credo che prima tu ti debba rendere conto di essere morta.
La ragazza abbassò lo sguardo. –Lo so – disse piano.
-Lo sapevi da prima e mi hai fatto fare tutta questa scena? – disse incredulo l’altro.
Subito lei cominciò a frignare. –Tu mi sgridi sempre!
-No, no, va bene stai calma, calma – disse subito, aspettando che le finte lacrime scomparissero dai suoi occhi marroni eccessivamente grandi.
Si risedette sulla sua sedia e, con uno schioccare di falangi, fece comparire il libro delle “649207393739202 regole per sopravvivere nell’aldilà (capito il gioco di parole?)”, che era riuscito a pagare dopo 850 mila rate settimanali da 15 dollari e 65 centesimi l’una.
-Vediamo…- disse, cominciando a sfogliare il volume, -…eccolo qui, “Reincarnazione: per chi non vuole rimetterci la pelle”.
-Potresti evitare di leggere anche quest’umorismo decisamente inappropriato? – chiese annoiata la fanciulla.
-Sì, sì, adesso ascolta qui – disse soprapensiero. Scorse tutti paragrafi, ma non trovò nessuno che facesse al caso suo. Cercò anche nel capitolo “Rifiuto, per i morti a cui non piace il riciclaggio”, ma nulla: niente che accennasse al desiderio di continuare a dormire in eterno. Parlava di diversi casi di anime che non volevano vivere di nuovo, ma esponeva altre alternative. –Non trovo nulla – disse con disappunto.
La principessa sbuffò. –Sicuro di aver cercato ovunque?
-Sì.
-Sicuro sicuro?
-Sì.
-Sicuro sicurissimo?
-Diamine, l’hai visto quant’è grande questo libro? Dopo ho un altro appuntamento, sai, non posso mica perdere tutto il mio tempo con te – sbottò irritato. Richiuse l’opera titanica barcollando sotto il suo peso, e minacciando di far spaccare a metà la seggiola su cui era appoggiato, in equilibrio precario.
-E allora che si fa? – chiese delusa.
Il suo sguardo ricadde sul fondo del libro, dove c’era un numero di telefono. “Casi speciali e fuori dall’ordinario”, recitava una scritta arancione a caratteri cubitali.
Schioccò le ossa delle dita, producendo un suono macabro. –Ci sono! Proviamo a chiamare qui, vediamo cosa dicono.
In una nuvola di fumo apparve un cellulare touch-screen, che le porse per digitare il numero: lui non poteva farlo, in quanto il calore corporeo era del tutto assente sui polpastrelli. Beh, neanche quelli c’erano.
La ragazza gli diede l’attrezzo una volta fatto, mentre una voce metallica prese a recitare una cantilena soporifera. “Digiti 1 per…digiti 2 per…digiti 4 per…”, ma nulla di utile. Dopo quasi un’ora, in cui la fanciulla si addormentò, arrivò la comunicazione che faceva al caso suo: -Prema 5292749392738392 se un’anima si rifiuta di reincarnarsi e vuole tornare al sonno eterno.
Prendendo in prestito la mano inerte, digitò la successione con rapidità, onde evitare di dimenticarla, e attese qualche secondo. La voce femminile cominciò a scandire lentamente le istruzioni da seguire, e lui si fece attento, posizionando l’oggetto proprio dove una volta c’era il suo padiglione auricolare.
-Lasciare che l’anima si addormenti. Prema 5292749392738393 per….
Morte schizzò dalla sedia, lanciando il telefono in aria. Era stato così semplice! La principessa si era già addormentata, e ciò gli avrebbe risparmiato migliaia di pillole di sonnifero, che usava sui morenti troppo agitati e che, tra l’altro, costavano un sacco.
Fra la telefonata e il palcoscenico, quell’appuntamento gli era valso una miniera d’oro, o poco più, ma ne era valsa la pena.
Soddisfatto, controllò il pendolo sopra al camino: era in perfetto orario per un altro incontro. Prima di andarsene, avvicinò la bocca composta, essenzialmente, da denti , sussurrò all’orecchio della principessa: -Ci vediamo fra cinquecento anni, Cosette.
Poi, uscendo dalla stanza e chiudendo a chiave la porta, controllò la propria agenda, sbarrando il nome dell’anima appena lasciata con una stilografica nera.
Sotto, in precisi e ordinati caratteri, si poteva leggere chiaramente: “Miss Josefine De Maurice, tubercolosi, 1765, Francia. Sorella minore di Cosette De Maurice (5 maggio 1754, Francia)”.
 
  
  
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