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Autore: xwhatdoesntkillyou    19/02/2013    1 recensioni
«Non so dire precisamente come mi sentii in quel momento, ma sentii germogliare una strana sensazione che lasciava accrescere uno strano accumulo di nervoso nel mio stomaco. Erano occhi belli, e se dico belli, belli da morire. Occhi che mi trafissero, poiché non ne avevo mai visti di così belli prima di allora. Degli occhi che lasciano un segno dentro, che sai perfettamente che un giorno non potrai mai avere modo di dimenticarli ed ignorarli. Occhi in cui vorrei restare per tutta la vita.»
Corrono i primi anni '40 e a Santa Barbara, sede dell'omonima contea, vivono gli Hudson, una famiglia benestante e dall'animo nobile. I coniugi, essendo entrambi sterili, decidono di adottare una bambina e di darle il nome di Katheryn Elizabeth, la quale ha dieci anni. Un giorno però, la loro vicina di casa, la signora Jenkins, perde la vita a causa di una malattia e arrivano ben presto dei nuovi vicini, i Volkov, due coniugi Sovietici di origine Ebrea che scappano dall'Europa e cercano di trovare fortuna in America. Hanno un figlio della stessa età di Katheryn, che un giorno...
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Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Santa Barbara, 24 Agosto 1940.

Il venticello di fine estate spirava leggiadro in direzione Nord-Ovest ed eseguiva dei piccoli movimenti inconsistenti sulle piccole begonie tuberose di mia madre. Lo sentivo frusciare tenue tra le mie ciocche color oro e avvertivo chissà quale senso di leggerezza internamente, nelle viscere più profonde delle mie membra rosee e vive quanto un frutto estivo ben maturo. Ero distesa su una piccola balla di fieno bionda, con riflessi perlopiù lucenti e con tratti di luce brevemente interrotti. Mi allietavo a trascorrere buona parte delle mie giornate ad osservare la natura. Mi accorgevo di quanto essa fosse piacevole, preziosa, limpida e incontrastabilmente grande e colma di sorprese. Ad un tratto, sentii in lontananza un rombare sordo di un'automobile, che si apprestava a diventare sempre più prossimo alla proprietà dei miei genitori e quella della signora Jenkins. Il suono divenne sempre più vicino, fino a quando riuscii finalmente a scorgere una Buick 56S Coupe nera dell'epoca, alla cui guida vi erano un uomo e una donna dall'aspetto notevolmente raffinato. Provvidi quindi a scendere immediatamente da quella balla di fieno cercando di darmi una ripulita al vestito, ormai stracolmo di piccole spine di paglia. Le guardai e riuscii ad esclamare solo un "Ouch!" dipingendo un'espressione di disapprovazione sul volto, mentre cercavo invano di rimuoverle una ad una ma senza risultati. Nel frattempo, le prima due porte dell'automobile si spalancarono e non mi ero affatto smentita: le persone che avevo precedentemente visto erano di un rango sociale sicuramente alto e di bella presenza. Dovevano essere una coppia. Ad un tratto mi sentii incredibilmente imbarazzata e mi volsi di nuovo di spalle facendo finta di niente, camminando sul piccolo vialetto della mia abitazione per rincasare. Nello stesso istante, sentii una voce mascolina che non avevo mai sentito prima di allora che cercava di richiamare la mia attenzione. - «Scusa?!» era quello che questa voce ripetette per circa due volte, con una piccola inflessione straniera di cui mi accorsi in modo particolare.
Capii che era stato quell'uomo a cercare di attirare la mia attenzione, per cui, per non risultare fin troppo scortese, mi voltai e vidi che continuava a farmi cenno di ascoltarlo, e subito dopo smise. Emise un leggero sorriso spontaneo e mi disse: «E' questa per caso la proprietà di una tale signora Jenkins?», «S-s-sì, è q-questa...» gli risposi accennando un lieve rossore in volto e inceppando qualche parola. L'uomo abbozzò un piccolo sorriso e dicendo qualcosa tra sé e sé, disse: «Ti ringrazio moltissimo.» e cercando di apparire calma e disinvolta, ma con scarsi risultati ovviamente, risposi: «Non c-c'è di che...» voltandomi e proseguendo con un passo piuttosto rapido verso l'entrata di casa mia, lasciando chiudere poi la porta alle mie spalle e ripensando chi fossero quelle due figure magre, alte e aristocratiche.
Presi subito una sedia della cucina, intagliata in puro legno di quercia, la posizionai sotto la finestra e vi montai su in ginocchio, cercando di arrivare al vetro nella speranza di adocchiare qualcos altro.
Tra i due nobili signori, indaffarati a tirar fuori dal portabagagli delle valigie, distinsi un ragazzino biondo quanto la tonalità dei girasoli di un campo, con una carnagione molto candida e delicata quanto la porcellana e con occhi azzurri quanto un cielo primaverile che ospita lieto i primi raggi del sole dopo un gelido Inverno, intenti a fissare verso la finestra della cucina, da cui stavo esattamente osservando il tutto. Mi accorsi del suo sguardo sereno che incrociava il mio e scesi immediatamente dalla sedia, diventando inverosimilmente paonazza in volto.
Non so dire precisamente come mi sentii in quel momento, ma sentii germogliare una strana sensazione che lasciava accrescere uno strano accumulo di nervoso nel mio stomaco. Erano occhi belli, e se dico belli, belli da morire. Occhi che mi trafissero, poiché non ne avevo mai visti di così belli prima di allora.
Degli occhi che lasciano un segno dentro, che sai perfettamente che un giorno non potrai mai avere modo di dimenticarli ed ignorarli. Occhi in cui vorrei restare per tutta la vita.
  
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