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Autore: MishaLaMezzElfa    20/02/2013    1 recensioni
Ecco la mia prima ff su Manson: l'ho scritta anni fa, di getto, ed ho deciso di pubblicarla dopo molto tempo.
"«Non mi odi?»
«Dovrei? Ho accettato di sposarti, di crescere nostro figlio e di vivere con te sapendo a cosa andavo incontro: un’esistenza sublime con una donna magnifica, forte e dolce, segnata dalla vita ma ancora in grado di stupirsi per le piccole cose. Il passato non conta baby, ciò che è fatto non si può cambiare e, comunque, non lo modificherei per niente al mondo: tu, Kimihiko e il bambino in arrivo siete la cosa migliore che sia capitata nel mio mondo oltre alla musica.»."
*Il titolo è una citazione di "Heart shaped glasses", che ho modificato: nel testo originale il colore è blu, non nero ("Piccola ragazza, chiudi quegli occhi, quel blu* mi fa andare fuori di testa")
Genere: Drammatico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Kimihiko non correre!»
«Va bene mamma!»
Un lieve sospiro.
«Guarda avanti tesoro!»
Il bambino continua a correre guardandosi intorno mentre la madre lo osserva, qualche metro indietro, camminando lentamente.
In quel momento il ragazzetto, distratto da una farfalla blu, inciampa, finendo contro un passante, completamente assorto nella lettura di alcuni fogli.
«Kimihiko!» Urla la donna, accelerando il passo per raggiungere il figlioletto caduto a terra: l’uomo sembra destarsi, scuotendo la testa non senza sorpresa.
Lui porge una mano al piccolo, aiutandolo ad alzarsi e lo fissa con espressione sbigottita: hanno entrambi gli occhi verdi, i capelli castani e gli stessi tratti marcatamente giapponesi.
Lascia andare il braccio del bambino, che ricade a terra con un lieve tonfo.
«Che cosa fai?» Urla irata la donna aiutando il ragazzino. «Come ti permetti? Capisco che mio figlio ti abbia urtato, ma…» S’interrompe un attimo per guardare l’uomo in viso. «… Non mi sembra il caso di…»
Le parole le muoiono in gola.
«Shun?»
«Aiko? Sei davvero tu?» L’uomo, Shun, cerca di abbracciarla ma lei si ritrae, stranita e quasi impaurita dalla sua presenza.
La osserva con attenzione, notando che in quei sette anni non era cambiata affatto: gli stessi capelli lunghi, corvini e gli stessi immensi occhi neri, nei quali perdersi era sempre stato semplice per lui; l’unica vera differenza era la sua pancia cresciuta, segno di una gravidanza e, probabilmente, d’un’imminente parto.
«Cosa ci fai qui? Non dovresti essere in Giappone?» Domanda Aiko con tono indagatore.
«T’infastidisce così tanto che io sia in America? Puoi stare tranquilla, non ti stavo cercando: ho smesso da moltissimo tempo di aspettare tue notizie. Sono qui per un lavoro, hanno ingaggiato la band in un locale e devo incontrarmi con i proprietari.» La sua espressione è vuota, gli occhi verdi continuano a fissare il bambino di fronte a lui; vorrebbe dire qualcosa, ma non sa trovare le parole giuste: è come se vi fosse un ostacolo vero e proprio, un impedimento fisico, che gli impedisce di parlare.
«Sono contenta per te.» Asserisce lei con, malcelato, falso entusiasmo.
«Ne dubito.» Ghigna lui, mostrando leggermente la dentatura bianchissima.
Aiko china il capo imbarazzata, ma non dice nulla, confermando che la verità è proprio quella.
«Tu invece? L’ultimo posto in cui credevo di poterti incontrare è proprio Los Angeles, per di più con un bambino. Identico a me.» Shun calca il tono sull’ultima frase, ricevendo un’occhiata dura da parte di Aiko.
Uno squillo sopprime sul nascere un potenziale litigio: è il cellulare della donna.
«Pronto? Ciao Tesoro! Sì, sto arrivando… È qui con me, te lo passo.» Porge il cellulare al figlio.
«Ciao papà! Sto bene e tu?» Sorride felice. «La mamma sta parlando con un signore perché sono caduto e gli sono andato addosso.». Resta in ascolto qualche istante, il sorriso si fa più largo. «Va bene papà!»
Chiude la telefonata, porgendo il ricevitore alla madre, visibilmente in ansia: «Mamma, papà è venuto a prenderci!» Esclama il bambino con aria gioiosa, indicando un’auto che ha appena parcheggiato a pochi metri da loro.
Dalla vettura emerge un uomo alto, i capelli lunghi fino e metà schiena, nerissimi, e gli occhi castani, fissi sulla donna e sul ragazzino.
Shun lo osserva per qualche istante, incredulo: di fronte a sé c’è uno dei più conosciuti cantanti metal dell’intero universo, Marilyn Manson, in tutta la sua magnificenza e sfacciataggine.
Kimihiko si lancia fra le braccia del cantante, che lo solleva da terra: «Hey ometto! Che combini? Vai addosso alle persone?» Domanda ridendo, felice che il piccolo sia illeso, mentre si avvicina a una sorridente Aiko.
La bacia sulle labbra: un bacio veloce e casto, ma pregno d’amore e affetto.
Shun si sente davvero fuori posto: quand’era stata l’ultima volta che lui stesso aveva baciato con tanto trasporto? Tre mesi fa? Sette? Un anno fa, forse? Oppure erano due?
Ad interrompere il filo dei suoi pensieri fu Manson: «Salve! Io sono Brian Warner, lieto di fare la tua conoscenza!».
«Il piacere è tutto mio, Signor Warner. Lei è un mito! Quasi dimenticavo: io sono Shun Oe.»
Il cantante lo osserva severo: «Sei stato ingaggiato al “Black cat” con il tuo gruppo?».
«Sì, perché?» Risponde Shun con timore.
L’espressione di Brian si fa più distesa, gioviale addirittura: «Great! Che fortuna trovarti qui: sono stato io ad ingaggiarti nel locale di mia moglie Aiko.»
Shun sente il sangue gelarsi nelle vane, incapace di comprendere appieno ciò che gli sta accadendo: Aiko era sposata, nonostante ciò che era accaduto fra loro in passato.
«Perfetto Shun! Ci vediamo domattina al “Black cat per le prove. Bye Shun!»
La coppia si allontana, lasciandolo lì, solo con i suoi pensieri e rancori.
 
 
Aiko non avrebbe mai pensato di poter rivedere Shun, non vivo perlomeno.
«Hey, sei un po’ distante oggi. Cosa c’è?». Brian si siede sul divano accanto alla moglie: il suo tono è carico di premura e preoccupazione insieme.
Lei lo osserva, indecisa se aprire il suo cuore all’uomo della sua vita, oppure se continuare a sopprimere quel dolore sordo che la tormenta da sette lunghi anni, mentre lui continua a fissarla con dolce insistenza.
Aiko decide di dirgli tutto, di buttare fuori ciò che la tormenta, quello che nessuno in quella piccola città ai bordi di Los Angeles sapeva né tantomeno immaginava: il suo tragico passato in Giappone.
Brian l’aveva conosciuta per caso, durante un concorso per band emergenti a cui lei aveva partecipato come paroliere: l’uomo si era innamorato di un testo scritto da lei e, in pochissimo tempo, l’aveva prima assunta come aiutante e poi corteggiata.
Aveva accettato di sposarla e amarla senza conoscere nulla del suo passato, aveva acconsentito a dare il proprio cognome al bambino che portava in grembo e lo aveva accettato come suo; gli diceva sempre  “Kimihiko Brian Warner sei proprio un bravo ometto”, poi scoppiavano a ridere entrambi.
Aveva accettato tutto questo senza dire una parola, ma era arrivato il momento di essere sinceri.
«Brian, c’è una cosa che ti devo dire.». L’uomo sembra spaventato, ma con gli occhi la esorta a parlare.
«Sono nata  e cresciuta in Giappone, mio padre e mia madre si lasciarono quando avevo tre anni e io rimasi con mio padre. Lui mi ha sempre considerato “la sua bambina” intoccabile e pura: non tollerava che frequentassi i miei compagni di classe e, soprattutto, non tollerava Shun, il mio migliore amico ai tempi del liceo.»
«Shun? Quello con cui ho parlato oggi?». Le chiede lui interrompendola.
«Già, proprio lui. Ad ogni modo, io e Shun eravamo grandi amici e rimanemmo tali fin quando lui mi chiese di fidanzarci.». Si ferma per osservare il marito, geloso di quell’uomo che per lei non significava più nulla da anni.
«Accettai, ma tenemmo segreta la nostra relazione, ci provammo perlomeno ma quando, un anno dopo, rimasi incinta non potei più mentire a mio padre: non era mai stato un cattivo papà ma quella volta urlò che l’avevo tradito, che ero una sgualdrina, che per lui ero morta e mi buttò fuori di casa. Non potevo chiedere a nessuno, tantomeno a Shun, così preso dalla band, di mantenere me e il bambino in arrivo. Decisi di andarmene, senza dire nulla a nessuno e così feci: trascorsi qualche giorno da mia madre, poi, grazie ad un’amica ottenni un lavoro e potei stabilirmi qui. Il resto lo sai, ovviamente.». Aiko abbassa lo sguardo, vergognandosi della sua meschinità, ma Brian l’abbraccia, tenendola stretta a sé.
«Non mi odi?»
«Dovrei? Ho accettato di sposarti, di crescere nostro figlio e di vivere con te sapendo a cosa andavo incontro: un’esistenza sublime con una donna magnifica, forte e dolce, segnata dalla vita ma ancora in grado di stupirsi per le piccole cose. Il passato non conta baby, ciò che è fatto non si può cambiare e, comunque, non lo modificherei per niente al mondo: tu, Kimihiko e il bambino in arrivo siete la cosa migliore che sia capitata nel mio mondo oltre alla musica.».
Aiko non riesce più a trattenere le lacrime: Brian la stringe ancor più a sé, rischiando quasi di farle male.
«Non devi piangere, te l’ho già detto mille volte.».
Lei annuisce, sussurrando qualcosa riguardante gli ormoni e la gravidanza.
«A proposito! Come sta la nostra bambina?». Chiede lui posando una mano sul pancione della donna.
«Molto bene. Siamo agli sgoccioli ormai, dobbiamo scegliere un nome.». Aiko sorride, gli occhi un po’ gonfi ma sinceramente felici.
«Mi piacerebbe chiamarla Wakana.». Afferma lui con convinzione.
«Ma è un nome giapponese! Avevamo deciso di darle un nome americano!»
«Lo so, ma mi piace così tanto: significa “armonia”, “produttrice di musica”. È perfetto!».
Aiko non sa come controbattere: «Se ne sei convinto allora va bene: Wakana Warner. Suona bene, no?».
L’uomo posa le labbra sul ventre della donna: «Hai sentito piccolina? Fra poco verrai a farci compagnia!».
Scocca un bacio al pancione: «Andiamo a dormire, domani sarà una giornata molto intensa.».
 
 
 
 
 

ANGOLO DI MISHA
 
Prima fan fiction su Manson (artista che adoro): l’ho scritta circa quattro anni fa e ho deciso di riportarla senza grosse correzioni: vi prego, siate clementi con la me di quattro anni fa XD
Scherzi a parte, mi piacerebbe sapere che ne pensate, anche con una minuscola recensione:)
Grazie mille a coloro che leggeranno e recensiranno J

Un bacio
 
Misha
  
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