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Autore: Demolition    20/02/2013    1 recensioni
Grifondoro. Sebastian non avrebbe sopportato la vergogna, se fosse capitato in quella Casa. Suo padre e, più in generale, tutta la sua famiglia gli aveva sempre ricordato quanto poco fossero dotati gli studenti Grifondoro e soprattutto quanto Sebastian avrebbe disonorato la Casata Smythe, se non fosse stato ammesso a Serpeverde.
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I primi quattro anni di Sebastian Smythe ad Hogwarts.
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Hunter Clarington, Sebastian Smythe
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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I anno
 
Sebastian serrò nervosamente le dita attorno al metallo freddo del carrello su cui erano caricati i suoi bagagli. Il suo nuovo gufo lo guardava curiosamente con i suoi occhi penetranti, al di là delle sbarre della gabbia dove Sebastian lo aveva chiuso di malavoglia.
«Avanti, Sebastian» lo incoraggiò sua madre, posandogli la mano esile sulla spalla.
Era una donna molto bella e suo figlio aveva ereditato gli occhi verdi e brillanti proprio da lei, così come la sua eleganza e il suo portamento. Il padre di Sebastian, invece, era un uomo rigido, che si lasciava andare molto raramente a manifestazioni d’affetto nei confronti del figlio e che amava metterlo continuamente sotto pressione nei modi più svariati.
«Ricorda che tutta la tua famiglia è stata a Serpeverde» gli ricordò, giustappunto, per l’ennesima volta, senza sorridere.
«Non preoccuparti, tesoro, non capiterai a Tassorosso… né tantomeno a Grifondoro» lo rassicurò la signora Smythe, passandogli delicatamente una mano tra i capelli castani.
Grifondoro. Sebastian non avrebbe sopportato la vergogna, se fosse capitato in quella Casa. Suo padre e, più in generale, tutta la sua famiglia gli aveva sempre ricordato quanto poco fossero dotati gli studenti Grifondoro e soprattutto quanto Sebastian avrebbe disonorato la Casata Smythe, se non fosse stato ammesso a Serpeverde.
«Al massimo puoi capitare a Corvonero» gli aveva concesso sua nonna, un’elegante signora anziana famosa per la collezione di teste di elfi domestici che teneva nel salotto della sua villa. Sebastian, una volta, aveva avuto la malsana idea di chiederle chi avesse decapitato quelle creature e si era ritrovato coinvolto in un’ animata discussione su quanto gli elfi domestici fossero degli esseri inferiori e su quanto dovessero essere orgogliosi di far parte dell’arredamento.
Sebastian tossì, inalando il fumo del treno in partenza. Attorno a lui gli altri studenti salutavano le famiglie, caricavano i propri bagagli, inseguivano i propri animali domestici.
«Non fare amicizia con le persone sbagliate» gli ricordò la signora Smythe, gettando un’occhiata ad una famiglia lì vicino: una ragazzina stava salutando i suoi genitori, entrambi vestiti con abiti da Babbani.  
«Sarà un giorno molto felice quando verrà vietata l’educazione magica ai figli dei Babbani» commentò aspramente il signor Smythe, sputando a terra con rabbia.
Sebastian si morse un labbro, aspettando la fine di quello scoppio d’ira.
«Au revoir, Maman» mormorò stancamente, chinandosi appena per baciare la madre sulle guance fredde.
«Facci avere tue notizie» si raccomandò rigidamente il signor Smythe, tendendogli la mano.
«Arrivederci, Padre» lo salutò Sebastian senza sorridere, stringendo le dita magre dell’uomo.
Senza guardarsi indietro il ragazzino si fece strada tra la folla di studenti e cercò faticosamente di far entrare i bagagli nel treno.
«Serve aiuto?» gli chiese un ragazzino, tendendogli una mano con un sorriso.  
Sebastian lo guardò un po’ confuso, prima di annuire debolmente e stringere la mano in risposta.
«Io sono Hunter Clarington» annunciò allegramente il ragazzo, dando una forte spinta alla valigia di Sebastian. 
«Sebastian» mormorò l’altro, salendo sul treno dietro al suo bagaglio.
«Sebastian come?» chiese Hunter, avviandosi lungo il corridoio del treno alla ricerca di uno scompartimento vuoto.
«Smythe» sussurrò il ragazzino, arrossendo un poco.
Sapeva benissimo che cosa voleva dire il suo cognome nel mondo dei Maghi, conosceva alla perfezione l’espressione di terrore che si dipingeva sui visi di chi apprendeva quale fosse la sua famiglia. Eppure Hunter non reagì negativamente: si limitò a sorridergli e a cercare un paio di posti liberi.
«Smythe?» esclamò una voce fredda e strascicata, dietro di loro.
Hunter e Sebastian si voltarono, trovandosi di fronte ad un ragazzino dai capelli chiarissimi e il viso scarno. Dietro di lui vi erano due tipi dall’aspetto poco rassicurante, entrambi ben piazzati e con un’espressione stupida dipinta in viso.
«Io sono Malfoy, Draco Malfoy» si presentò Draco con un ghigno, tendendo la mano.
Sebastian aveva sentito parlare suo padre dei Malfoy più volte: erano una potente famiglia di maghi che aveva fedelmente servito il Signore Oscuro per anni. Più volte suo padre li aveva elogiati, esaltandoli come una delle poche famiglie rispettabili ancora esistenti.
A Sebastian, tuttavia, Draco non ispirava simpatia.
«Sebastian Smythe» rispose freddamente il ragazzino, ricordandosi suo padre.
Alcuni ragazzi attorno a loro guardarono nervosamente Sebastian e Draco, affrettandosi a cercare uno scompartimento dove sedersi. Era chiaro che i loro nomi incutevano timore e rispetto.
«Anche tu del primo anno?» si informò Malfoy. Prima di aspettare la risposta, accennò ai due tizi alle sue spalle. «Questi sono Tiger e Goyle, sicuramente finiremo tutti e tre a Serpeverde.»
«Sì, penso che anche io verrò assegnato là» mormorò Sebastian, scrutando con attenzione Malfoy.
«E tu saresti…?» chiese Draco, guardando Hunter con un ghigno malevolo.
«Hunter Clarington» si presentò nuovamente il ragazzino, guardando Sebastian con espressione confusa.
«Non conosco il tuo nome, la tua famiglia è Purosangue?»
Sebastian guardò curiosamente il suo compagno di viaggio, sentendo un peso sullo stomaco.
«Puro-che?» chiese Hunter, scrollando le spalle.
Con sommo orrore di Sebastian, Draco scoppiò in una risata malevola.
 
 
II anno
 
«Ti devo parlare, Seb» mormorò Hunter, tormentandosi le mani e ignorando l’occhiataccia dell’altro.
«Non qui» sibilò Sebastian, gettando un’occhiata nervosa verso gli altri Serpeverde, che stavano guardando Hunter come qualcosa di disgustoso.
«Pensavo fossimo amici» disse, guardando intensamente quelle iridi verdi.
«Non ho voglia di essere preso in giro per il resto della giornata» ammise Sebastian, ignorando la risata malevola di Draco Malfoy, alle sue spalle.
«Solo perché siamo Grifondoro e Serpeverde» esclamò Hunter, mordendosi un labbro e trattenendo le lacrime.
«Non è solo questo, è anche… sei figlio di Babbani, sai cosa sta succedendo a quelli come te, no?» sibilò Sebastian, alzandosi nervosamente dal tavolo e afferrando Hunter per la manica del maglione.
La Sala Grande era insolitamente silenziosa in quel periodo: gli studenti erano sempre sul chi va là, come si aspettassero di essere pietrificati da un momento all’altro. Perché, in effetti, sembrava fosse proprio ciò che stava succedendo a Hogwarts.
“La Camera dei Segreti è stata aperta” recitava quell’orribile scritta sulla parete del secondo piano, dove era stata pietrificata la gatta di Gazza.
Sebastian aveva prontamente scritto a suo padre per informarsi su quella antica leggenda, dal momento che gli insegnanti si erano mostrati molto restii a dare informazioni sull’argomento. Quello che suo padre gli aveva raccomandato, in risposta, era di non preoccuparsi: presto l’ordine magico sarebbe stato ristabilito.
Sebastian aveva capito subito cosa intendeva il signor Smythe: chiunque fosse nato Babbano, in quel momento si trovava in pericolo. Compreso Hunter.
«Puoi… puoi venire con me?» mormorò Hunter, allontanandosi nervosamente dal tavolo dei Serpeverde, l’unico, nella Sala Grande, dove ancora gli studenti ridevano e scherzavano come se nulla fosse. Era chiaro che la maggior parte di essi la pensava come il signor Smythe.
Attraversarono la Sala Grande in silenzio e non parlarono finché non si ritrovarono in un corridoio deserto.
«Non credo sia il caso di passare così tanto tempo insieme» mormorò Sebastian, contento di essere lontano dagli occhi degli altri Serpeverde.
«Hai paura che ti pietrifichino perché te ne vai in giro con me?» ribatté Hunter, con una risata sprezzante.
«Esatto» sussurrò Sebastian, stringendosi nelle spalle.
Il sorriso si congelò sulle labbra di Hunter. Il ragazzino fissò a lungo l’amico senza proferire parola, augurandosi di aver capito male. Verde contro rosso, Serpeverde contro Grifondoro: mai, come in quel momento, si erano sentiti così diversi.
«Non puoi dire sul serio… non…» balbettò Hunter, serrando i pugni fino a farsi male.
«Non puoi metterti nei miei panni?» sbottò Sebastian, afferrando il polso dell’altro con veemenza. «Non vedi cosa sta succedendo? Quel ragazzino con la macchina fotografica, quel Finch-Fletchley, ora anche l’amica di Potter! Loro sono tutti…»
«Avanti dillo» ringhiò Hunter, in tono di sfida.
«Mezzosangue» sbottò Sebastian, stringendo il polso dell’altro.
Si sentiva così simile a suo padre, in quel preciso momento: così superiore, così perfetto. Un vero Serpeverde.
 
 
III anno
 
«Muoviti Smythe, non ho voglia di congelare» biascicò Draco, pestando nervosamente la neve sotto i suoi piedi.
I tetti di Hogsmeade erano ricoperti da un manto bianco e la Stamberga Strillante, in lontananza, non faceva più così paura, ora che era decorata dalla neve.
«Sì, è che ho lasciato una cosa a I Tre Manici di Scopa» borbottò il ragazzo, prima di voltarsi e correre in direzione del bar.
Era un luogo caldo ed accogliente, particolarmente frequentato dagli studenti in quel periodo così freddo. Sebastian si morse il labbro inferiore osservando le spalle di Hunter Clarington, seduto ad un tavolo all’angolo del bar. Perché Sebastian non aveva dimenticato nulla a I Tre Manici di Scopa, a dire la verità e forse si sarebbe ucciso piuttosto che ammetterlo, ma Hunter gli mancava, gli mancava davvero.
Era seduto con altri Grifondoro del suo anno, ragazzi di cui Sebastian non conosceva il nome: non si era mai dato la pena di scoprirlo, sebbene condividesse con loro alcuni corsi. Sorseggiava un boccale di Burrobirra, ridendo con i suoi amici e osservandoli scambiarsi le figurine delle Cioccorane. Gli occhi di Sebastian indugiarono sul piccolo neo che Hunter aveva sulla guancia: gli era sempre piaciuto un sacco, una piccola stella isolata, una impercettibile imperfezione che lo rendeva così elegante, così particolare. Hunter posò il boccale e scoppiò in  una risata, le labbra arrossate ancora sporche di Burrobirra. Fu in quel momento che i loro occhi si incontrarono: un impercettibile istante, un secondo prima che entrambi distogliessero lo sguardo. Ancora una volta rosso contro verde, Grifondoro contro Serpeverde. Hunter si pulì la bocca con una manica del mantello e chinò la testa verso il tavolo, senza più sorridere; Sebastian, invece, si inginocchiò e finse stupidamente di cercare qualcosa sul pavimento.
«Tutto bene, caro?» si informò un’anziana signora, osservando il suo strano comportamento.
«Oh, io… sì» mormorò Sebastian, lanciando un’occhiata veloce verso il tavolo di Hunter. Il ragazzo stava passando la sciarpa rossa e gialla attorno al collo, così come i suoi amici.
«Beh, se hai problemi col tuo amico dovresti parlarci» gli consigliò la signora, con una risatina, sorseggiando una tazza di tè.
«Non credo mi voglia parlare» mormorò Sebastian, fissando Hunter farsi largo tra i numerosi tavoli e sparire fuori dal locale. «Sono stato… l’ho trattato male» aggiunse, scrollando le spalle.
 
IV anno
 
Sebastian osservò a lungo Pansy Parkinson ridere con altre ragazze del loro anno. Il viso irregolare distorto in un ghigno altezzoso, la ragazza aveva passato l’intera mattina a vantarsi con chiunque fosse così stupido da ascoltarla di essere stata invitata da Draco Malfoy.
Sebastian non si era mai reso conto di quante ragazze ci fossero ad Hogwarts, né aveva mai desiderato baciare una, a dire la verità. Semplicemente, non si era mai soffermato a pensare a loro come qualcosa da… toccare, accarezzare, baciare. Esistevano, semplicemente. Erano sue compagne di corso, sue amiche, sue conoscenti, qualcuno con cui condividere il banco e non di certo il letto.
E poi, all’improvviso, un giorno, le studentesse erano diventate ragazze. Hogwarts sembrava essersi popolato di studentesse ghignanti ad ogni angolo del castello, di ragazze che non facevano altro che parlare di quel dannato Ballo, dei loro accompagnatori, dei vestiti che avrebbero indossato, delle acconciature su cui si sarebbero cimentate.
Il divertimento preferito di Draco Malfoy era diventato improvvisamente tormentare Sebastian con quella odiosa domanda, quel tarlo che lo preoccupava costantemente: con chi ci vai, al Ballo?
Sebastian distolse lo sguardo da Pansy e si concentrò sul suo piatto pieno di salsicce; non aveva la benché minima idea di come fare a invitare una ragazza al Ballo del Ceppo.
«Devi muoverti, ne stanno rimanendo poche» sbuffò Millicent Bulstrode, sistemandosi i capelli e lanciando un’occhiataccia a Pansy.
«Tu con chi ci vai?» si informò Sebastian, chiedendosi chi fosse stato così cieco da invitare un mostro simile.
«Nessuno» rispose Millicent con un sorriso eloquente.
«Non ho intenzione di invitarti» puntualizzò Sebastian, tagliando con violenza una salsiccia e gettando un’occhiata fugace al tavolo dei Grifondoro.
«Oh, con chi vuoi andarci? Con il tuo amichetto?» ribatté la ragazza con tono tagliente, indispettita dal comportamento di Sebastian.
«Chi?» sbuffò lui, lasciando cadere la forchetta sul piatto e strozzandosi con la carne.
«Ah, guardi più lui che qualsiasi ragazza, Smythe» ghignò Pansy, interessandosi al discorso.
«Che cazzata» borbottò Sebastian, afferrando la borsa e alzandosi velocemente dal tavolo dei Serpeverde. Avrebbe invitato una ragazza, una ragazza qualsiasi, avrebbe infilato un vestito elegante e sarebbe andato al Ballo del Ceppo con lei.
Ogni suo buon proposito si congelò nell’istante in cui i suoi occhi caddero sul tavolo dei Grifondoro e in particolare sul profilo regolare di uno di loro.
 
 
«Clarington, aspetta» ansimò Sebastian, correndo lungo il corridoio del primo piano.
Hunter era lì, con un paio di Grifondoro del suo anno; la borsa di pelle sistemata sulla spalla, il mantello alzato fino al mento, Hunter si voltò per osservarlo correre nella sua direzione.
«Smythe» lo salutò freddamente, osservando Sebastian piegarsi in due con una mano nello stomaco e ansimare per la corsa che aveva appena fatto.
«Ti… sto… inseguendo… da dieci… minuti» sibilò il Serpeverde, lanciando un’occhiata di rimprovero a Hunter che, tuttavia, sfoderò un sorriso flebile.
«Sì beh, noi stavamo scendendo per Erbologia» mormorò il ragazzo, cercando di evitare le iridi verdi di Sebastian.
«No! Aspetta!» esclamò lui, con il fiato corto.
Hunter si voltò nervosamente verso gli altri Grinfondoro, facendo loro segno di andare. Con un’ultima occhiata di disgusto verso Sebastian, loro acconsentirono, avviandosi verso le scale. 
«Cosa volevi dirmi?» chiese Hunter in tono piatto.
Sebastian si morse un labbro, passandosi una mano tra i capelli. Era passato così tanto tempo da quando si erano parlati l’ultima volta. Era tutto sbagliato.
«Io… con chi ci vai, al Ballo?» mormorò, senza pensarci troppo.
Hunter non rispose subito. Dapprima sgranò gli occhi, chiedendosi forse perché Sebastian gli stesse chiedendo una cosa simile quando l’ultima volta che gli aveva parlato l’aveva fatto per insultarlo pesantemente. Poi l’espressione di stupore lasciò lentamente il posto a un ghigno ironico.
«Vuoi scherzare, Smythe?» esclamò, alzando un sopracciglio.
«Rispondi, ti prego» ansimò Sebastian, serrando i pugni e gettando uno sguardo dietro di sé. Lo faceva spesso, come un tic nervoso: sentiva sempre il bisogno di controllare che non ci fossero altri Serpeverde in giro.
«Con…» mormorò Hunter, stringendo gli occhi nel disperato tentativo di inventare il nome di una ragazza. «Con nessuno» ammise infine, quando i suoi sforzi furono palesi.
«Oh.»
Sebastian chinò gli occhi a terra, infilando nervosamente le mani nelle tasche dei pantaloni. Se solo Hunter avesse detto un nome, un solo nome, un nome qualsiasi, avrebbe reso le cose così semplici. Sarebbe stato così semplice fuggire, voltarsi e ritornare ad essere Grifondoro contro Serpeverde, nemici eterni, due esseri incompatibili. Ma Hunter non aveva un’accompagnatrice, non aveva una ragazza e questo rendeva tutto così complicato.
«Io…» mormorò Sebastian, guardando fugacemente Hunter «Io mi chiedevo se ti andava di venirci con me.»
Boom. Aveva gettato la bomba ed ora non avrebbe dovuto far altro che raccogliere i pezzi della sua dignità, distrutta per sempre da quel neo sulla guancia, da quel collo così elegantemente coperto dalla sciarpa rossa e gialla, da quelle labbra rosse, quegli occhi glaciali. Hunter Clarington aveva completamente distrutto la sua dignità di Smythe, di Serpeverde. Era semplicemente Sebastian, di fronte a lui, quel ragazzino insicuro che Hunter aveva conosciuto al binario 9 e ¾, quattro anni prima.
E ora Hunter lo fissava come se lo vedesse per la prima volta, le guance arrossate, le dita strette attorno alla tracolla della borsa. La sua espressione era indecifrabile: sorpresa, rabbia, stupore.
«Ok, fa niente, è una cosa stupida, è…» borbottò Sebastian, distogliendo lo sguardo dall’altro e girando sui tacchi.
Le dita di Hunter si strinsero precipitosamente attorno al suo polso e Sebastian arrossì, voltandosi nuovamente.
«Devo mettermi elegante, vero?» chiese Hunter, senza sorridere, tenendo gli occhi fissi su quelli dell’altro.
 
Non gli importava di nessuno, non gli importava dei commenti di Pansy Parkinson, né delle occhiate sconvolte che Malfoy gli riservava ogni due minuti, né degli sguardi straniti degli altri studenti.
Stretto contro il corpo di Hunter, la testa posata sulla sua spalla, non c’era niente di più bello per lui. Le mani dell’altro strette sulla sua schiena andavano a sfiorare il vestito elegante e Sebastian si beava di quella carezza delicata, del profumo leggero di Hunter, dei capelli di lui che gli solleticavano le guance.
Volteggiavano lentamente nella Sala Grande, inciampando a volte sui loro stessi piedi, ridacchiando, complici e sfiorandosi appena, quasi avessero paura di rompere quella magia che si era creata. Le luci erano soffuse e la musica lenta e romantica, ma soprattutto Sebastian non era stretto ad una ragazza qualsiasi, ma al suo Hunter. Grifondoro, Mezzosangue, Hunter, a Sebastian non importava nulla di cosa fosse.    
Le loro divise erano nei loro rispettivi dormitori, il rosso e il verde non avrebbero rovinato nulla, quella notte: nei loro vestiti da Ballo, Hunter e Sebastian non erano mai stati così uguali, così perfetti, così felici.
 

 
 

 

 

  
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