Avevo in mente una Rose/Ten, ma quando ho iniziato a scrivere mi sono accorta che avevo in mente Nine, almeno, nelle prime due storie. Quindi, starò sulla generica Rose/Dottore, anche se alcune sono indubbiamente Ten.
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I. Look over there
“Lassù.
Tra
le stelle. Ovunque”.
Quante volte hai guardato il cielo.
Quante volte hai amato
le stelle.
“Ti sembrerà di
poterle toccare”.
Era la luce della luna ad illuminarti
gli occhi. Era per i
sogni che piangevi.
“Potrai correre, senza
fermarti mai”.
Tu vuoi correre senza fermarti mai.
“Non sarai più
sola”.
Non saremo più soli. Il
cielo è troppo grande per sentirci
soli.
“Potrei cadere mentre
corro”
“Prenderò la tua
mano. Non cadrai mai”
Ma vuoi cadere.
“Mi basta che mi aiuti
a rialzarmi”
II. To the last syllabe of
recorded time
“Per sempre”
“Non può essere
per sempre. Non puoi essere per sempre”
“Hai il mio per sempre”
“A volte, per sempre
è soltanto un secondo”
“Hai quel secondo”
Tieni stretta la sua mano.
Farà in modo che tu non la lasci
mai. Mai, finché respiri. Finché il tempo ne
avrà memoria. Fino all’ultimo
frammento di tempo di cui si avrà memoria. Anche quando non
respirerai più.
L’ombra delle tue dita sarà sempre fra le sue. Il
tuo per sempre. Il suo per
sempre.
“Morirai”
“Prima o poi”
“Troppo presto”
“E tu prendimi finché
sono viva”
III. Supernova
Il cielo era azzurro, quel giorno.
Ridevi. Abbiamo camminato
tra gli alberi, e mi hai preso la mano. Faceva freddo, ma le tue dita
erano
calde. Mi hai parlato di un posto lontano, e i tuoi occhi brillavano.
Camminavamo
vicini, quel giorno, e io ho amato il cielo.
“Come sono le stelle quando
muoiono?”
Non ricordo perché te
l’ho chiesto. Ero curiosa. Ero sempre
curiosa. Per un attimo, ho pensato di averti intristito. Ma tu mi hai
sorriso
di nuovo, e anche se i tuoi occhi brillavano così tanto, hai
guardato nei miei.
“Sono luce. Luce e
dolore”
E io mi sono sentita malinconica. Ho
stretto la tua mano,
per non lasciarti andare, e tu mi hai stretto più vicino.
IV. Anachronism
“Io non dovrei essere
qui”
“No. Non dovresti
essere qui”
“Ma neanche tu dovresti
essere qui”
“Per me è
diverso”
Per te è sempre diverso.
Tu puoi fare tutto ciò che vuoi. È
tutto tuo. Appartiene tutto a te. Ti comporti come se il cielo dovesse
rispondere alla tua voce. Ma non è così. Non
è così affatto.
“Sono fuori dal mio tempo.
Non è pericoloso?”
“Non puoi fare niente
di male. Ci sono io”
“Sono fuori posto”
“Non sei fuori posto”
Capì solo dopo tanto
tempo. Capì troppo tardi che non era
più fuori dal suo tempo. Che non era più fuori
posto. Che non sarebbe stata mai
più fuori posto. Era al posto giusto, al momento giusto. Era
esattamente dove
doveva essere. Al tuo fianco.
V. The only adventure
“Dovrai viverla anche per
me. Io non posso farlo”
“Vorresti?”
“Non posso”
“Non è vero”
Non vuoi. Non vuoi, e non vuoi
ammetterlo. Ti giustifichi.
Ti regali una scusa. La verità è grigia come un
filo di fumo. Non vuoi, perché
hai paura. Paura che ti piaccia. Paura che ti frantumi, in minuscoli
pezzi,
frammenti di te che neanche pensavi di avere.
“Certo”
E la lasci lì, gli occhi
grandi e vivi, e i tuoi sono così
stanchi. Lei merita di più. Merita una mano che la stringa.
“Non mi importa”
Certo che le importa.
Lo vuole quanto lo vorresti tu.
“Mi basta essere
qui”
Ma a te non basta che
lei sia qui.
“Non voglio essere solo
qualcuno che ha bisogno di te”
Ma tu vuoi essere
qualcuno che ha bisogno di lei.
VI. New every morning
“Quando hai aperto gli
occhi, ho avuto paura”
Eri diverso. Ho avuto paura che mi
avessi dimenticato. I
tuoi occhi erano diversi. Non volevo che mi guardassi. Volevo solo
fuggire,
correre, correre, correre.
Ma poi, ho pensato a te. Correre.
Corri. Tu mi hai detto di
correre. Sarei tornata correndo da te. Lo sapevo. Non subito. O forse
sì. Ma
sarei sempre tornata. La mia mano è gelida, senza la tua.
“Come puoi
sopportarlo?”
Cambiare. Cambiare
all’improvviso. Diventare qualcun altro.
Come puoi farlo? Io non lo sopporterei. Io sarei perduta. Non riuscirei
mai a
fidarmi di me.
“Non dirlo come se
fosse terribile”
Un po’, lo è. Ma
non voglio dirtelo. Non voglio che tu
smetta di sorridere. Quando volevo fuggire, è stato vederti
sorridere che mi ha
fatto restare.
“I tuoi occhi sono diversi.
Non hai paura che i tuoi occhi
siano diversi?”
E allora, li ho guardati. Li ho
guardati davvero, per la
prima volta. Avrei dovuto capirlo, lì, allora, in
quell’istante. Avrei dovuto
capire che sarebbe stato in quegli occhi, in quegli occhi, che avrei
cucito il
mio cuore. Lì, dove avrei lasciato il mio futuro, il mio
passato. Lì, ho
ricamato me. Non mi serve. Prendi tutto tu. Finché fa
brillare i tuoi occhi,
prendilo. Posso vivere lì.
“Forse. No. Non serve”
“Ma sei così
diverso”
“Ma i tuoi occhi non
cambiano mai”
Mi sono svegliata, quella mattina, e
tu eri accanto a me. E
ti ho voluto per sempre.
VII. Sing the blues
“La musica è
triste, a volte”
“Sai, alcune razze
comunicano con la musica”
“Dev’essere
bellissimo”
E lei non ti guarda. Sta guardando il
cielo. Lei ama
guardare il cielo. Là, tra le stelle,
dov’è il tuo cuore, dov’è il
tuo amore.
La sua bocca danza, e la musica si lega alla tua.
Le sue dita ti sfiorano, i suoi occhi
ti passano oltre, i
suoi capelli un’aura di luce. Musica. Note. Quella melodia.
Lacrime. Troppe
lacrime. Dai suoi occhi, dai tuoi. Non è la morte che vuoi
cantare. È lei. Il
suo volto tra le mani, e di nuovo la sua bocca, e le stelle si
allontanano. E
lei è dentro di te, e ti chiedi quando sia entrata, quando
l’hai fatta entrare,
ma è troppo tardi, e vuoi tenerla dentro di te. E tu sei
dentro di lei, e forse
lei ha sempre voluto farti entrare, e non lasciarti uscire mai. Ma lei
è più
forte. Lei sa amare, sa volere, sa tenere. Tu hai paura. È
lei che guida. Lei bacia
le tue lacrime. Lei ti stringe la mano quando vuoi lasciarla. Lei non
ha paura.
Il suo cuore ti appartiene, perché lei sa volerlo. E tu
vorresti darle tutto,
darle te, ma hai sempre avuto paura. Troppa paura.
E adesso, è troppo tardi.
Adesso, lei è una stanza
vuota.