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Autore: Emera96    20/02/2013    4 recensioni
Questa storia è ambientata nell’arena, quando i Favoriti trovano Katniss e decidono di lasciar passare la notte e di ucciderla la mattina seguente. Ma non tutti i Favoriti riescono a dormire. E si sa la notte porta consiglio… e non solo.
Cato/Katniss.
Storia classificata terza nel contest 'La coppia più strana' di Giacopinzia.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cato
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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La notte ti porta consiglio.

 

allora.
lo scopo del contest era creare un pairing assurdo.
quindi, ho pensato a Kat e Cato, e per una tradizionalista come me è stata una sfida scrivere la storia.
Inoltre andava inserita una frase, che è riportata in corsivo, e un luogo, in questo caso Bora Bora. 
Spero vi piaccia. 


 

C’è un momento esatto in cui sai con certezza che sei alla fine di tutto.
Che non potrai mantenere una promessa fatta a te stessa, che non potrai tornare nel tuo Distretto con un sorriso fiero e la morte nel cuore. C’è un momento, in cui sai che poche ore ti separano dalla morte, e in quel preciso momento, capisci il significato del tempo.
 
Il tempo sprecato, il tempo che non passa e si trascina lento, respiro dopo respiro, più passano i minuti e più la vita e il suo soffio sembrano volare altrove, lontani da te.
E mentre i tuoi occhi vagano, cercando un punto fisso in cui incantarsi per non accorgersi di quel silenzio irreale che c’è intorno a te, basta un fruscio per portarti indietro, alla realtà.
Una realtà in cui tu non sei più chi tiene insieme tutto, come un burattinaio che fa muovere i suoi burattini, coi loro fili quasi invisibili.
Una realtà in cui tu sei solo uno dei burattini, una realtà in cui i tuoi fili stanno per spezzarsi, fino a farti cadere nel baratro. Verso un vuoto senza alcuna fine.
 
Ma non è stato sempre così, non sempre tutto è girato intorno agli Hunger Games.
C’è stato un ‘prima’.
Un prima degli orrori, delle morti più crude e atroci in diretta, un ‘prima’ in cui i Distretti erano liberi da Capitol City e dal suo ridicolo giochino. In cui non c’era ansia per la Mietitura, né bambini strappati dalle loro famiglie e uccisi da altri ragazzi. Tutto questo, ottanta anni fa, poteva essere solo il brutto sogno di qualcuno, o la più nera premonizione di chissà chi.
 
Adesso, pensare a un tempo in cui tutto questo era irreale, mi fa solo sentire peggio.
 
Con attenzione, mi guardo intorno, sporgendomi leggermente per controllare se i Favoriti stiano ancora riposando ancora. Individuo in un attimo Clove, stretta attorno al suo coltello, ancora macchiato di sangue. ‘Un sangue che presto si mischierà col mio’ , penso.
Mi chiedo come una ragazza astuta come lei possa essere così vuota. Una ragazza che sente i brividi lungo la schiena solo quando impugna il suo coltello e lo scaglia verso qualcuno.
Non importa chi, dove, quando. L’importante per Clove, è centrare sempre il suo bersaglio.
Noto anche Glimmer, impassibile e all’apparenza innocente, che dorme accoccolata a Marvel, il ragazzo del Distretto 1. Cerco di non guardare Peeta, fingendo che ‘Il Ragazzo Innamorato’ non mi abbia davvero tradito, che sia solo l’ennesima allucinazione di questi assurdi giochi. Ma i miei occhi sembrano non volersi staccare da quel viso pulito, corrucciato in un espressione triste. E mentre i miei occhi si soffermano sul volto di Peeta, e sulle mie labbra si forma la parola ‘traditore’, mi accorgo con un minuto di ritardo che manca Cato, che è seduto proprio davanti a me, sul ramo dell’albero in cui mi sono arrampicata.
 
 
- Certo che per essere una cacciatrice così astuta ti distrai facilmente. – mi dice Cato, la voce melliflua che si insinua nella mia mente come il sibilo strozzato di una serpe.
 
Inclina leggermente la testa, come per osservarmi meglio sotto la pallida luce della luna, con uno sguardo divertito, come se nei miei occhi leggesse ogni mio singolo pensiero, senza che io possa reagire al suo controllo. Come se potesse ipnotizzarmi, con un semplice sguardo mirato.
 
-  Non riesco ad allenarmi molto, sono troppo impegnata a non farmi uccidere. –
-  Beh, in quello sei abbastanza brava, Katniss. – risponde lui, sorridendo.
 
 
 
 
Sentire il mio nome pronunciato da lui non fa che accrescere la mia rabbia.
Quel nome, quel fiore scelto da un padre di cui ricordo a malapena i lineamenti, storpiato dalla sua aria strafottente, dalla sua decisione nell’ottenere sempre quel che vuole.
Perché non ha saputo aspettare la mattina per uccidermi? Perché ha deciso di non concedermi nemmeno qualche ora di vita in più? Ma soprattutto. se vuole davvero uccidermi, perché Cato, una macchina da guerra umana, è totalmente disarmato?
 
- Che intenzioni hai, Cato? –
- Solo le migliori. – risponde lui, con semplicità.
 
Mentre cerco di convincermi che questo sia solo un sogno uscito male, mi soffermo sul suo viso e scopro per la prima volta i suoi occhi. Piccoli e cattivi, ma di un blu intenso, che riesce a trasmettermi la calma in questo momento di panico più totale. Blu, blu come il mare più profondo. Blu come il mare di quel luogo paradisiaco di cui mi parlava mio padre qualche anno prima di morire nelle miniere.
‘Papà, ma prima c’erano davvero città bellissime? Città diverse da queste?’
‘Sì Katniss’ rispondeva lui, con dolcezza. ‘Sai, mio padre mi raccontò di una città, una minuscola isola nel bel mezzo dell’oceano. Si chiamava Bora Bora. Mi raccontava di quel suo mare così cristallino che potevi quasi rifletterti in esso. Un mare di un blu così intenso da non esistere nemmeno in natura. Mi diceva sempre che quel colore così intenso era quasi capace di stregarti, e che poteva attirarti in acqua, senza che nemmeno te ne rendessi conto. ‘
‘E non esistono cose di quel colore qui nel Distretto 12, papà?’ chiedevo io, l’ingenuità che ancora mi apparteneva, intatta nonostante gli Hunger Games.
‘Se mai troverai qualcosa di quel colore, faresti bene a tenerla con te.’
Solo dopo aver ripensato a quelle parole, adesso così adatte alla situazione, mi accorgo che da qualche minuto sto fissando Cato, il mio probabile carnefice, con sguardo perso.
 
-  Non mi hai ancora detto cosa ci fai qui, comunque. - dico, secca.
-  Vorrei che tu diventassi mia alleata, Katniss. – risponde Cato, quasi nascondendosi.
-   Che cosa?! –
 
In quale mondo parallelo io e Cato facciamo parte della stessa squadra?
 
-  Tu vuoi vincere almeno quanto me. Certo, tu lo fai per motivi del tutto stupidi, e cercherò di passarci sopra, ma abbiamo una cosa in comune: vogliamo vincere. E se non posso vincere io, di sicuro una che ha preso 11 nell’Addestramento lo merita, come seconda scelta. – risponde Cato, deciso nell’affermare le sue convinzioni.
-  Preferirei morire adesso piuttosto che allearmi con una persona priva di cuore, cervello e di morale come te. Ho promesso di vincere, e vincerò. Ma vincerò da sola. –
 
Come attratto dal mio rifiuto, Cato si avvicina.
Seppure nel buio più profondo, riesco a riconoscere un sorriso sghembo e calcolatore attraversargli il viso, e sento il sangue gelarsi. Quello non è certo un sorriso amichevole.
Più si avvicina, e più sento una strana tensione salire, fino a mischiarsi con la voglia inspiegabile di annullare quei pochi centimetri di distanza. E quando vedo le sfumature grigie dei suoi occhi blu come quel mare che posso solo immaginare, mi volto nella direzione opposta.
 
Come potrei davanti a un intera nazione che ha creduto in me per il mio coraggio, per il sacrificio fatto per mia sorella, e per i miei valori, cedere davanti a un paio di occhi azzurri?
Come posso cadere nella trappola di qualcosa così ingannevole, solo perché mi illudo che sia minimamente cambiato? Cato è Cato.
Cato è un prodotto ben riuscita della crudeltà e del cinismo di Capitol City. Una persona in cui l’unico ideale è offrirsi volontario per essere la star di uno show freddo e calcolato, in cui le vite delle persone contano meno di quelle delle mie prede del Distretto 12. Sono solo ‘vittime’.
 
 
-  No! Io non voglio nemmeno respirare l’aria di qualcuno che per divertimento uccide le persone. Tu, tu sei solo un ibrido, una pedina nelle mani esperte di Capitol City. Mi disgusti! – sussurro, per non farmi sentire dai Favoriti ancora addormentati.
Le tue labbra dicono che ami, i tuoi occhi dicono che odi. –  sussurra Cato al mio orecchio, le parole che mi solleticano e mi fanno ribrezzo allo stesso tempo.
-   I miei occhi hanno sempre avuto ragione. -  rispondo con convinzione, tenendomi stretta al ramo, per paura di cadere o peggio, di essere spinta giù proprio da lui.
-  Avvicinati. – ordina lui, irremovibile.
- No. –
- Ho detto di avvicinarti. –
 
E con tutta la forza del suo corpo possente, mi attira a sé quasi facendomi cadere dal ramo. Strattonandomi, mentre cerco di opporre resistenza, prende il mio viso nelle sue grandi mani, callose a causa dell’estenuante allenamento mortale che ha fatto sin da bambino.
E quando sento le sue labbra premere sulle mie, capisco che sto attraversando un punto di non ritorno. Dapprima restia, sento le sue mani scivolare sui miei fianchi, in un movimento fluido e che assomiglia fin troppo ad un abbraccio. Sento la sua lingua cercare la mia con prepotenza, e senza pensare troppo alle conseguenze di quell’azione sconsiderata, mi lascio andare a lui.
 
E cerco una via di uscita.
Mentre ci fondiamo in una cosa sola, un’unica anima in due corpi così diversi, cerco di trovare delle scuse per tutto questo. Cerco di pensare a quando, dopo la sfilata dei carri, sentivo pesare il suo sguardo su di me, e mi chiedevo cosa si trovasse dietro quel ragazzo sanguinario del 2.
Provo a pensare a un Cato diverso, un Cato bambino che avrebbe preferito vivere in un Distretto diverso per non dover affrontare un allenamento in cui, l’unico comando è uccidere, o ferire.
 
Un Cato innocente, con un’amica immacolata, senza macchie, strappi o morti sulla coscienza.
Qualcuno di cui poterti fidare senza dover riflettere a proposito di un possibile inganno, qualcuno che sei sicuro non ti torcerebbe un capello. Ma sono consapevole che questa non è la realtà dei fatti, e che sono solo scuse accantonate una sopra l’altra, per cercare di capire.
 
Le mie labbra calde cercano di addolcire quel bacio così sbagliato, cercando di trovarci una ragione più profonda, un qualcosa che possa giustificare quello che tutta Panem sta vedendo proprio adesso, in diretta nazionale.
 
Penso alla reazione di chi sta guardando questo errore.
Penso a Prim, la mia sorellina. Penso a come il suo cuore così grande possa reagire ad un errore che potrebbe costarmi la vita. E al pensiero delle lacrime che le solcano il viso, e sentendo un dolore lancinante al solo pensiero, cerco di distrarmi.
Ma inevitabilmente, penso a Gale.
Penso al suo sguardo deluso, a quegli grigi umidi delle lacrime che, per pudore o per fingersi forte, ricaccerà indietro, l’amaro in bocca che scivola fino ad arrivare allo stomaco.
 
E i baci diventano dieci, venti, cento.
Le mie mani, minuscole e rigide, strette nelle sue, grandi e forti.
Il cuore che martellando mi fa scoppiare la testa, sfiancato dal crescente senso di colpa.
I miei occhi, di quel grigio che al chiarore della luna, sembra un po’ più acceso, immersi nei suoi, di quel colore maledettamente infinito che è riuscito a catturarmi.
 
Ci fermiamo qualche minuto, come se bastassero un centinaio di secondi a cancellare una serie interminabile di scelte sbagliate.
 
 
-  Cambi idea in fretta, ragazza in fiamme. – mi canzona lui, nel modo più subdolo.
-   Non pensare che questo possa cambiare minimamente le cose tra noi. – rispondo.
-   Mi stai chiedendo di scendere da questo albero? –
 
Fingendomi infreddolito, mi appoggio alle sue spalle larghe, e cerco il suo abbraccio.
D’altra parte, Cato sorride, soddisfatto della sua impresa, e avvicinandomi a me continua il suo folle gioco, in cui io sono solo una bambola, fragile e indifesa nelle sue mani esperte.
Zittisco la vocina ingombrante che rappresenta la mia parte razionale, e il gioco continua.
 
Più a lungo.
Con più prepotenza.
Con troppa consapevolezza per tornare indietro e dimenticare.
 
La notte passa in un attimo, il tempo che ancora una volta si prende gioco di me e della mia pazienza. I baci continuano, e continuano, sempre più intensi, e con loro cresce la voglia di averne ancora e ancora. Ma mi accorgo troppo tardi della luce nascente del sole, e delle intere ore passate con lui, una preda fin troppo facile nei suoi personali Hunger Games.
E sentendomi sporca, mi allontano da lui con la stessa violenza cieca e indifferenza con cui ero stata attratta.
 
 
- Ti odio, Cato. –
- Lo so, Katniss. -
 

 
 
 
 
   
 
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