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Autore: Melanto    21/02/2013    2 recensioni
[Spin-off di "Huzi" - data di stesura: Aprile 2011]
Tratto dalla storia: "Attraverso i vetri del balcone, Yoshiko osserva la vita che, anche se un po’ titubante, ha ripreso a scorrere. Non si è mai fermata per davvero, a Tokyo, solo rallentata, colpita da un evento che è riuscito ad afferrare anche la terra sotto i loro piedi, scuotendola senza pietà."
Breve oneshot scritta, un paio di anni fa, per l'iniziativa benefica "Autori per il Giappone".
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Taro Misaki/Tom, Yoshiko Yamaoka
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Huzi - the saga'
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PreNota: questa storia è stata scritta due anni fa, per l’iniziativa benefica “Autori per il Giappone” indetta da Lara Manni in seguito al grande terremoto del Tohoku e successivo tsunami che ha colpito la terra del sol levante l’11 Marzo 2011.

E’ anche uno spin-off della mia long fic “Huzi” (di cui vi ritroverete spoiler e riferimenti) ed è cronologicamente collocato tra l’ultimo capitolo e l’epilogo (esattamente a circa cinque anni di distanza rispetto all’ultimo capitolo).

Il maremoto ha causato circa 15.700 vittime con ancora circa 5.000 dispersi, la distruzione delle coste lungo la Prefettura di Miyagi e la distruzione delle coste della città di Sendai e l’aeroporto.

 

Semi e radici

 

«Ti ricordi quando la mamma mi diceva: ‘Non restare a Nankatsu, non vedi quant’è pericolosa? Non vedi quanti terremoti? Torna a casa, a Sendai’
Attraverso i vetri del balcone, Yoshiko osserva la vita che, anche se un po’ titubante, ha ripreso a scorrere. Non si è mai fermata per davvero, a Tokyo, solo rallentata, colpita da un evento che è riuscito ad afferrare anche la terra sotto i loro piedi, scuotendola senza pietà.
«Sì, me lo ricordo.» Taro è seduto in poltrona, fissa lo schermo della televisione dall’audio spento. Le notizie sono continue, dopotutto sono trascorsi solo tre giorni. Nelle immagini che girano a ripetizione, forse quella che più lo ha colpito è stata l’onda che divora i campi coltivati e le serre. Sembra muoversi così lentamente che ancora non riesce a capire come abbia fatto a distruggere ogni cosa, a travolgere addirittura le case per poi farle galleggiare come fossero state zattere di fortuna. Visto dall’alto, sembra tutto così diverso, ingannevole, e dopo non restano che acqua e fuoco, insieme, in un controsenso raggelante.
Altre notizie, i primi numeri della tragedia, la centrale in avaria.
«Io l’ho sempre odiata.»
Taro riesce ad allontanare lo sguardo dalla televisione e cerca la figura di sua sorella. La trova ancora ferma presso il balcone. Sembra quasi che si aspetti l’arrivo improvviso dell’onda. Forse riesce anche a immaginarla; negli occhi ha ancora il lahar che ha distrutto Nankatsu.
«Sendai, dico. L’ho sempre odiata. La mamma voleva a tutti i costi tenermi legata a lei, in quella città. E io la detestavo perché non era niente di più che una prigione.» La mano scivola lentamente e traccia un segno lucido nell’alone prodotto dal calore della pelle sul vetro. «Ero proprio una bambina. Certe cose non si dovrebbero pensare se non se n’è davvero convinti.»
Taro si alza. Ha movimenti pesanti e in generale sente l’intero corpo come fosse invecchiato di colpo. Forse è la preoccupazione o forse solo l’eco dell’acqua che avverte di riflesso anche su di sé; gli impregna i vestiti, lo sprofonda nella terra. A passi lenti raggiunge la sorella.
«Non la rivedrò mai più» decreta quest’ultima. Il dolore prende corpo attraverso la sua voce. «Non come appare nei miei ricordi. Dio, che sta succedendo al mondo?»
«Dovresti chiederlo a Yuzo, è lui l’esperto di famiglia.» Taro lo dice in tono dolce e scherzoso, vuole cercare di allentare la tensione, ma ogni tentativo equivale a soffiare nel vento.
«Già fatto. Mi ha detto che non è stato nulla di anormale, anche se per noi è diventata una catastrofe.» Yoshiko sospira; le sopracciglia aggrottate. «Ero sempre stata convinta che Sendai sarebbe rimasta lì, immutabile, e che avrei mostrato a Hirotaka i luoghi in cui sono cresciuta.» Si gira a guardare suo figlio, seduto a terra, che lancia pezzi morbidi di costruzioni. È ancora troppo piccolo per avere coscienza del ciclo vitale e ride beato. «Non li conoscerà mai.»
«Certo che li conoscerà, avrà i tuoi racconti, mentre i suoi occhi vedranno una Sendai nuova, riemersa dal fango.»
«Lo credevo anche di Nankatsu, ma hanno detto che non sarà più ricostruita e adesso… adesso perdo anche lei.»
«È una situazione diversa, quella, Yoshiko. Abbi fede, Sendai ce la farà e con lei tutte le altre città colpite.» Taro inspira a fondo, cercando nell’aria la sicurezza per credere alle proprie parole. «Ce la faremo tutti, ci rialzeremo. Lo abbiamo sempre fatto.»
Yoshiko appoggia la testa sulla sua spalla. Gli occhi le pungono con insistenza. «E loro? Dove saranno ora?»
La giovane ignora quanto suo fratello sarebbe disposto a pagare pur di avere una risposta sicura a quella domanda. Ma non ne ha nessuna e, come lei, non può fare altro che aspettare. La storia torna indietro e si ripete; luoghi diversi, cause diverse, persone diverse, ma stesso copione.
«Hai avuto notizie di Yuzo? Sai se è arrivato?» domanda il giocatore del Jubilo Iwata.
«No, le linee sono tutte bloccate; me lo aveva già detto prima di partire che sarebbe stato difficile mettersi in contatto. Comunque, a quest’ora credo sia lì.»
«Vedrai che li ritroverà e staranno bene.»
Fuori, gli alberi vengono smossi dal vento di Marzo che sa essere ancora freddo e sbatte insidioso contro i vetri. Dietro i due giovani, Hirotaka ride e sillaba suoni senza senso, mentre il silenzio è un velo che rimane sospeso solo attorno a loro.
Yoshiko lo dissolve con voce incerta.
«La nostra casa è nella circoscrizione di Miyagino.» Copre la bocca per soffocare il pianto, ma le lacrime fuggono lo stesso lungo le guance senza che possa trattenerle, tanto non fanno rumore.
Taro le passa il braccio attorno alle spalle, la stringe.
«È ancora troppo presto per disperarsi.»
«E allora cosa possiamo fare? Cosa ci resta da fare?»
«Avere speranza. Quella non muore mai. Dovresti saperlo.»
Sì, dovrebbe, ma in quel momento non è neppure in grado di pensare. Nella sua testa, proprio come le onde che hanno divorato le coste, si rincorrono suoni di risate e odore di pesce fresco; i fuochi d’artificio brillano nel cielo d’estate e il verde è il filo d’Arianna che unisce la terra al mare.
«Ricordo… ricordo che, da bambina, aspettavo sempre con ansia il Tanabata Matsuri. Mamma mi confezionava uno yukata diverso ogni anno e tutti insieme compilavamo i tanzaku, riempiendo la pianta di bambù sul balcone. Ero piccola, piena di sogni e Sendai mi pareva il centro del mondo.» Piccolo e perfetto. «Credevo che non mi sarei più sentita così dopo Nankatsu, credevo che le mie radici sarebbero sempre rimaste ancorate al terreno. E invece è come se mi avessero mutilata.» Le sue stesse parole le portano a galla i volti e le voci di tutte le persone che ha lasciato in quella città, e sono tante, ognuna con una storia alle spalle e un ruolo diverso nella sua vita. Amici, conoscenti, gente di passaggio. Non importa quanto tempo abbiano trascorso con lei, desidera solo non perderne nessuna. «Chissà se Miiko-san ce l’ha fatta. Ha problemi all’anca e poi… poi è anziana… non può muoversi molto bene. È la mia vicina di casa. Conoscendo mio padre, non la lascerebbe mai indietro… e… e anche Yamashita-san. Abita dall’altra parte della strada, papà va sempre a comprare il giornale all’edicola del figlio.»
Nel frattempo, Tokyo è quasi scomparsa davanti ai suoi occhi, annegata anch’essa in acqua salata che scorre via sulla pelle.
Taro le accarezza adagio la spalla, mentre appoggia la guancia sul suo capo. «Sendai non è distrutta, solo ferita, e le ferite si curano anche se possono lasciare cicatrici profonde. Col tempo sbiadiranno un po’ e faranno meno male. Le radici possono germogliare di nuovo se non dimentichiamo i semi alle nostre spalle, e quei semi siamo noi con le nostre memorie. Ricordala com’era, Yoko, e lei resterà sempre viva dentro di te.»
Yoshiko chiude gli occhi dando colore a immagini seppiate, leggermente sbiadite, le cui figure si muovono lentamente, volteggiando nel verde, nell’odore dell’estate e nel frusciare degli yukata. Sente le risate di altre bambine, a lei sconosciute, riempire l’aria mentre guardano le barche attraccate al molo e quelle dei pescatori, più al largo. La forma del litorale le appare diversa, ma i surfisti sono ancora lì, a cavalcare le onde. Ed è tutto nuovo e tutto uguale nel Tanabata dei desideri, nello yamase che porta la nebbia, negli alberi di zelkova, nell’anziana Miiko-san che coltiva l’orto e in Yamashita-san che legge il giornale sulla soglia dell’edicola. Nelle persone che torneranno a solcare le strade di Sendai e abiteranno le sue case, nelle radici delle piante che sostituiranno quelle spazzate via c’è la vita di ieri e quella di domani.
Un tremulo sorriso riesce a incresparle le labbra, anche se non può smettere di piangere, e quando Yoshiko riapre gli occhi, i tanzaku sono lì, che oscillano nel vento.
«Posso già vederli, questi semi…»

Fine

   
 
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