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Autore: Ireth    22/06/2003    35 recensioni
Legolas e Sarah, un elfo e una ragazza umana... La storia di un amore talmente intenso da sfidare il destino scritto dai Valar... Aspetto commenti!
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Legolas, Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 1: Giorni amari

Un’altra giornata uguale a mille altre già trascorse… Grigia, piatta, terribilmente noiosa.
Compagni di scuola e professori irritanti; ore trascorse in una lentezza quasi irreale.
Sentimenti ed emozioni bloccati, come congelati, nel lento susseguirsi di quei giorni, tutti uguali, come i rintocchi di un pendolo.

Da quanto tempo stava così? Da quanto aveva smarrito la sua serenità?
Forse nemmeno lo ricordava più, forse non l’aveva mai saputo.
I giorni divenivano sempre più vuoti, e il suo umore sempre più nero, la sua voglia di sorridere sempre più debole e il suo cinismo e la sua amarezza sempre più pronunciati.

Era un tipo complicato Sarah, lo era sempre stata, persino prima che quell’ombra calasse su di. Mal tollerata dai compagni, perché troppo sincera ed indifferente alla mentalità comune e considerata strana dagli adulti, perché incapace di tenere per se le sue opinioni.

Essere diversi a 17 anni era difficile, e lei lo sapeva. Poche le cose che amava fare: disegnare cantare, scrivere storie e poesie, leggere… leggere Tolkien. Chissà perché quello scrittore la attirava tanto? Leggeva i suoi libri continuamente, consecutivamente, li conosceva a memoria.

Com’era possibile legarsi così tanto a dei personaggi immaginari? Già, solo immaginari…
Come avrebbe voluto che i fatti narrati in quei libri fossero reali; come avrebbe voluto che quei personaggi esistessero realmente.
Gli elfi, quanto adorava quella razza. Fragili come steli d’erba ma fragili come diamanti, misteriosi e allo stesso tempo incredibilmente semplici; belli, belli da perdere la testa, troppo meravigliosi per essere reali. Come avrebbe desiderato vivere in quelle terre incantate, con gli elfi, come una di loro.

Ogni volta che qualcosa o qualcuno la distoglieva dalle sue fantasie e dai suoi lunghi viaggi mentali avrebbe voluto addormentarsi e non svegliarsi mai più; oppure svegliarsi altrove, ma lontana da quella vita.

“Sarah, ma che hai?”
La voce di Martina, la sua più cara amica, l’unica che la capiva (o almeno ci provava) e che le stava sempre accanto.
“Ancora cattivi pensieri?”
Come poteva spiegarle la sua frustrazione? La sua voglia di sparire? Martina che capiva tutto e che sapeva tutto di lei, anche della sua passione per gli elfi. Martina che la ascoltava, mentre imparava a pronunciare la lingua di quelle creature, appresa a fatica dai libri di Tolkien.
“E’ ancora per lui?”
Parlava del loro professore di filosofia, entrato in classe in quel momento.
“Ma insomma! Perché non parli?”
“Scusa Martina, e tutto ok… Il solito mal di testa…”
“Perché non ti fai vedere da un dottore? Sono settimane che non stai bene, riesci a dormire di notte?”

Cara Martina, sempre a preoccuparsi. No, non era per “lui” che stava così male; lui stava affievolendosi insieme al resto della sua vita.
Lui, che per un attimo era stato la sua speranza, una possibilità di felicità svanita subito, dopo essersi mangiato il suo cuore.

Tre mesi prima, in gita a Parigi con la sua classe, un branco d’imbecilli rumorosi e molesti come una mandria di gnu.
Quell’ultima sera all’albergo, mentre i suoi compagni rumoreggiavano in una stanza all’ultimo piano, lei era scesa nel giardino buio e seduta in un angolo appartato aveva riflettuto a lungo; Sarah passava la maggior parte del tempo a riflettere. Detestava cordialmente una buona metà dei suoi compagni e per l’altra metà provava fredda indifferenza, solo Martina era diversa, solo Martina sapeva quanto bene voleva a quell’uomo, il suo professore, di vent’anni più grande di lei. Se solo la vita non fosse stata così complicata…
Lui aveva la fede al dito, e questo bastava.
Canticchiava tra se e se un motivetto in Sindarin appreso da chissà quale polveroso libro di Tolkien, un canto di profonda tristezza e solitudine, quando lui era apparso.
“Sempre in giro, Sarah?!”
“Potrei fare a lei la stessa domanda…” Sempre quel tono di sfida che tutti detestavano ma che sembrava divertire immensamente lui.
“Passeggio… i tuoi compagni stanno tenendo in piedi l’intera città col loro casino. Ora puoi rispondermi anche tu.”
Chissà perché le uscirono quelle parole dalle labbra.
“Canto in elfico!” Subito arrossi, lui sorrise.
Avevano parlato a lungo, Sarah si sentiva così a suo agio… poi una domanda a bruciapelo.
“Perché sei infelice, Sarah? Potrai ingannare quei cretini dei tuoi compagni con questa Maschera da dura, ma non me.”

Perché gli occhi le si erano riempiti di lacrime? Perché lui l’aveva guardata in quel modo? Perché l’aveva baciata? A ripensarci ora, a mente fredda si sentiva morire, non avrebbe mai dimenticato quella notte, non avrebbe dovuto permetterglielo, non avrebbe dovuto fare l’amore con lui. Non avrebbe mai dimenticato quella stanza in quell’albergo rumoroso, dove lui le aveva detto che la amava, che la desiderava.
Sarah era stata immensamente felice…Per poco, ma lo era stata.

Tornati a casa avevano continuato ad amarsi per un breve mese, di nascosto da tutti, col terrore di essere scoperti, solo Martina sapeva; Lui la voleva, non faceva che ripeterglielo, voleva lasciare la moglie e vivere per sempre con lei, poi…
“Sarah, mia moglie è incinta, me lo ha detto ieri sera…”
“………..”
“Perché non dici nulla?”
“………..”
“Insomma, di qualcosa!”
“Cosa vuoi che dica? Stai cercando di comunicarmi che finisce qui?”
“Che altro posso fare? Sto per diventare padre. Ti amo, in un modo tremendo, ma ho quasi quarant’anni e un bimbo in arrivo. Tu ne hai appena diciassette e puoi rifarti una vita.”
“Allora tanti saluti! Ti ho amato anch’io ma evidentemente ho fatto un errore a credere a tutte le tue belle parole. Arrivederci professore! Ci vediamo domani!”

Erano passati due mesi e non si erano più parlati, lui ci aveva provato a discutere, ma lei lo aveva sempre respinto; evitava il suo sguardo e gli rivolgeva la parola solo per rispondere a qualche interrogazione.
Si, forse quella brutta storia la faceva soffrire ancora un pochino, ma non era di certo per lui che stava così male, che affogasse pure in mezzo a pannolini, pappe e biberon… Il problema era la sua vita che andava in pezzi.
Si sentiva disperatamente sola e inutile, i giorni e i mesi le scivolavano tra le dita senza che riuscisse a trarne qualcosa di positivo, solo seccature, dolore e un’immensa tristezza. Non sapeva che fare del suo futuro non aveva idea su che strada prendere; odiava la sua vita ma nello stesso tempo desiderava ardentemente avere una vita migliore, lontana da quella città, da quel paese, da quel mondo, da quell’epoca… Tante volte si chiedeva: ma che diavolo ci faccio qui? E non sapeva trovare risposta, né nel mondo che la circondava né dentro di se… Non riusciva a comprendere il suo ruolo, lo scopo della sua vita… Non sapeva chi era. Questo la faceva stare tremendamente male. Avrebbe voluto addormentarsi per sempre e non svegliarsi mai più.

Quella notte si addormentò tra le lacrime di un pianto sconsolato e disperato, dopo aver riletto per l'ennesima volta le pagine di Tolkien e aver sognato quelle terre e quelle creature incantate e meravigliose.
Per molte ore, durante la notte, qualcuno la osservò, seduto a terra, accanto al suo letto… Qualcuno che se ne andò al sorgere del pallido sole d’inizio inverno… prima che Sarah si svegliasse.

  
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