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Autore: The queen of darkness    22/02/2013    5 recensioni
Perchè forse è solo una questione di proporzioni: è l'unica spiegazione che riesco a trarre, quando tutto sembra cadere, e mi sembra spontaneo cercare di rimanere in piedi, a sfidare la corrente.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Accadde per caso, che mi innamorassi di lei.
O meglio, il mio non era proprio amore, perché certe volte la odiavo, come mai ho odiato nessuno.
Guardavo i suoi occhi, profondi pozzi di taciute verità, che talvolta assumevano la forma di quelli che hanno le volpi quando ridono, e sembrava quasi che persino i suoi denti diventassero aguzzi.
Era il vampiro della mia anima, l’unica che riuscisse veramente ad uccidermi quando voleva.
Ogni tanto, mi perdevo nella massa intricata dei suoi capelli sottili: glieli toccavo spesso, e lei mi lasciava fare, seguendo le linee immaginarie che potevano essere scorte solo da quello sguardo profondo . Erano pieni di nodi, ma a lei non importava essere femminile, e non lo era.
Si truccava, metteva un unico rigo di matita sotto le ciglia corte, nero come le sue pupille, che cercavano di parlarmi: non le ho mai detto che non le donava, perché non la preferivo nemmeno senza.
Forse era bella, ma non lo saprei dire con certezza, perché quando si ama non si è mai oggettivi. So solo che aveva degli anfibi neri, e li portava sempre, tante matite colorate, una bic blu con cui si scarabocchiava le mani e una lunga fila di scale, prima di raggiungere quello che lei chiamava “il mio perverso nido”.
Non so cosa vedesse di bello nella vita, ma ogni tanto aveva il coraggio di sorridere. E se lo faceva, non con scherno, non con cinismo, non con sarcasmo, non con tristezza, allora era vero. Sembrava quasi serena, mentre ti guardava, dritto negli occhi, e ti mostrava i denti.
Cosa mi legava a lei, proprio non lo so, ma era così forte che dovevo per forza seguirla come un’ombra. Avete presente quella sensazione di essere un libro che parla di una storia filosofica e rimane sullo scaffale perché nessuno lo vuole leggere? Ecco, lei mi prendeva per il dorso e scorreva tutte le mie pagine, sentiva quello che avevo da dire.
Talvolta correva, ma per farlo aveva bisogno della notte e di un parco vuoto; diceva di sentirsi un po’ meno rotta se il freddo le tagliava i polmoni, se le gambe le davano altro a cui pensare.
Lei aveva un dono, però, ed era forse questo a distinguerla da tutti gli altri, e non il fatto che si mordesse a sangue le labbra, che fosse singolare in ogni movenza e che non conoscesse il profumo dei fiori: lei sapeva scrivere.
Buttava sulla carta tutti i suoi demoni, e quando lo faceva si sentiva libera. Ogni tanto era frustrata perché non trovava le parole, e ci giocava sopra. Ma trovava sempre un modo per dire quello che le passava per la testa.
Era abbastanza perversa, ma non nel senso che tutti pensano. “Perverso” era il suo aggettivo preferito, fra tutti gli altri. Lei li amava indistintamente, ma quello era il suo prediletto.
Sentilo, come rotola sulla lingua, mi diceva, ed era il suo modo per farmi capire che le piaceva davvero tanto.
Provavo invidia per la perversione, in quei momenti, perché lei l’amava, ci viveva dentro. Vivere per modo di dire, perché lei non viveva mai davvero, ma moriva un po’ ogni giorno, quando il sole sorgeva o spariva dietro l’orizzonte.
Delle volte ho come l’impressione che nemmeno lei sapesse quello che voleva davvero, ma che si fosse abituata alla sua condizione e non ne immaginava una diversa. Era questa la sua personale perdizione, credo, ma con lei non si poteva mai sapere.
Aveva la musica dentro al sangue. Non nel senso che sapesse suonare o cantare, ma perché la aiutava a vivere la sua strana vita morente, una situazione a cui non si può dare un nome.
Una cosa è certa, ovvero che era in bilico costantemente, rischiava sempre di cadere e farsi male, ma presumo ormai godesse del frantumarsi nell’altra sponda, lasciare che i propri pezzi si spargessero.
Perché lei era fatta così, a pezzi, piccoli frammenti di una persona per certi versi speciale e altri monotona.
Era per questo che la amavo.
Era per questo che la odiavo.
Accadde per caso, che mi innamorassi di lei: so solo che d’un tratto divenne parte del mio respiro, del mio cuore, della mia visuale, del mio modo di vedere le cose.
Era per questo che mi lasciava indifferente.
Era per questo che non riuscivo a scacciarla dalla mia mente.
Perché lei era una parte di me.
Perché lei…sono io.
  
  
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