We can learn
to love again
Era
calata la sera, a Manhattan.
Emma
si trovava nella sua stanza d’albergo, sotto le coperte, nell’inutile tentativo
di dormire. Era stanca; doveva ancora recuperare la notte insonne passata al
pronto soccorso e riprendersi del tutto dal viaggio, eppure continuava a
rigirarsi nel letto, inquieta. Era ancora scossa per tutto ciò che era successo
quel giorno e i sensi di colpa la stavano divorando.
Aveva
deluso Henry.
Gli
aveva mentito, pur sapendo in cuor suo che la verità prima o poi sarebbe venuta
a galla. Certo, non avrebbe mai immaginato che sarebbe successo in quel modo.
Lei stessa stentava ancora a crederci, dopotutto.
Mai
avrebbe immaginato di rivedere Neal, ma soprattutto mai avrebbe pensato che
fosse proprio quel figlio che il signor Gold cercava così disperatamente, mai
avrebbe creduto che l’unico uomo di cui si era innamorata, e da cui era stata
terribilmente ingannata, provenisse da là,
dalla Foresta Incantata.
Il
mondo era popolato da più di sei miliardi di persone e lei aveva incontrato
l’unica, oltre a lei e ad August, che non era stata colpita da quel maledetto
sortilegio che lei era stata da sempre destinata a spezzare. La probabilità che
ciò accadesse era una su un milione, se non peggio, eppure era successo.
Ancora
non poteva fare a meno di sentirsi manipolata, nonostante ciò che Neal le aveva
detto in quel bar. L’unico colpevole di ciò che era successo era proprio il
Fato, ineluttabile e imprevedibile.
E
quel giorno il Fato aveva annoverato anche Henry tra le sue vittime. Tramite le
azioni e le bugie di Emma lo aveva ferito, deluso, amareggiato.
Emma
non avrebbe mai dimenticato il triste sguardo d’accusa del ragazzino mentre le
diceva che lei e Regina erano uguali, che entrambe non avevano fatto altro che
mentirgli. Era stato il momento esatto in cui il suo cuore si era spezzato, per
la seconda volta in tutta la sua vita.
Neal
ancora non riusciva a credere a ciò che gli era successo quel pomeriggio. Rivedere
Emma, suo padre, scoprire di avere un figlio… Troppe
emozioni e fin troppo intense, per un giorno solo.
Tutto
ciò da cui era sempre scappato, da cui
voleva stare alla larga, da cui aveva sempre cercato rifugio, si era
ripresentato alla sua porta, senza il minimo preavviso. Certo, grazie alla
cartolina di August sapeva che il sortilegio era stato spezzato, ma mai avrebbe
pensato che suo padre sarebbe tornato a cercarlo, anche perché era certo di
aver trovato un buon nascondiglio. Ormai, dopo tutti quegli anni, era
completamente avvezzo ad un mondo normale, senza magia, da non aver messo in
conto che suo padre, l’Oscuro, avrebbe potuto benissimo trovare un modo per
portarcela, dato che non poteva farne a meno. Era stato uno sciocco a non
pensarci.
Eppure,
in fondo, non gli dispiaceva poi così tanto di essere stato trovato.
Non
certo per suo padre, con cui non voleva avere più nulla a che fare. Diceva di
essere cambiato, ma di nuovo gli aveva dimostrato di non essere in grado di
fare a meno della magia, perché era e restava il codardo deriso e odiato da
tutto il villaggio. Con quell’assurda pretesa di volerlo convincere ad andare a
Storybrooke per riportare indietro le lancette dell’orologio fino ai suoi
quattordici anni, non aveva fatto altro che dimostrargli di essere ancora
accecato dal potere che la magia gli aveva conferito e di non essere più
quell’uomo a cui una volta aveva voluto bene.
No,
decisamente non era per Tremotino che era contento.
Era
per Henry, suo figlio.
E
un po’, doveva ammetterlo, anche per aver rivisto Emma.
Nell’oscurità
della stanza, il telefonino di Emma si illuminò all’improvviso, iniziando a
suonare e vibrare. Prontamente, la ragazza lo afferrò e guardò lo schermo. Era
Mary-Margaret.
-
Pronto? – rispose, con voce spenta.
-
Emma! – esclamò sua madre, dall’altro capo del telefono. – Come stai? – le
chiese, con sincera preoccupazione. - È da quando mi hai chiamato oggi che non
ti sei più fatta sentire. È successo qualcosa, vero?
-
Già – confermò Emma, semplicemente. – Dopo che ho chiuso la telefonata, sono
tornata da Gold e gli ho mentito; gli ho detto che suo figlio mi era sfuggito,
ma come potrai ben immaginare non si è arreso tanto facilmente. È entrato a
forza nell’appartamento di Neal – spiegò, cercando di essere il più sintetica
possibile. Raccontare quel che le era accaduto faceva male, le faceva rivivere
le emozioni intense e contrastanti che aveva provato solo qualche ora prima e
che voleva soltanto dimenticare. Non voleva assolutamente ripensare al timore
che l’aveva assalita non appena aveva seguito Gold nell’appartamento del
figlio, a quell’assurda paura di trovarvi segni di una presenza femminile, né
tantomeno voleva ricordare la malinconia data dall’aver trovato
quell’acchiappasogni alla finestra, quell’oggetto testimone della promessa di
una vita normale che Neal le aveva fatto.
-
Non c’era nessuno però, vero? – domandò Mary-Margaret, riscuotendola dai propri
pensieri.
-
No, infatti – rispose Emma. – Gold voleva aspettare che suo figlio tornasse,
per parlargli. Ho cercato di farlo desistere, ma ha capito che gli avevo
mentito e così ha iniziato a urlarmi contro, finché non è arrivato Neal –
proseguì. – Voleva assicurarsi che Gold non mi facesse del male – precisò,
rivolta più a se stessa che alla madre. Nonostante tutto Neal dimostrava di
tenere ancora a lei, forse.
-
E non è andata a finire bene – tirò le somme Mary-Margaret.
-
Per niente – confermò Emma, con un groppo in gola. La faccia delusa di Henry,
che non aveva abbandonato i suoi pensieri per un secondo, da quel pomeriggio,
si fece più vivida nella sua mente e il dolore per avergli fatto del male si
fece ancora più acuto. – Neal ha visto Henry, e non ci ha messo molto a capire
che era suo figlio – continuò, con la voce sempre più incrinata. – Ho dovuto… A quel punto ho dovuto dire la verità, e… Henry non l’ha presa affatto bene. L’ho deluso, Mary-Margaret.
L’ho deluso. Mi ha detto che sono proprio uguale a Regina, sai? – concluse
quindi il racconto, ormai in lacrime. Quel giorno tutte le sue difese erano
crollate dalla base, la sua apparenza da dura era scomparsa ed era tornata di
nuovo a essere quella ragazzina appena maggiorenne, ingenua e dal cuore
spezzato.
-
Oh, Emma! Mi dispiace tanto – esclamò Mary-Margaret, rattristata. Avrebbe tanto
voluto essere con la figlia per starle accanto e offrirle il supporto di cui
aveva bisogno, ma non le era permesso. Si sentiva impotente, inutile.
-
Dispiace anche a me, ma è tutta colpa mia. Avevi ragione tu, Mary-Margaret.
Henry aveva il diritto di sapere la verità su suo padre, avrei dovuto dirgliela
fin da subito, fin dalla prima volta che mi ha chiesto di lui. E invece sono
stata egoista. Gli ho mentito perché non volevo ricordare ciò che sono stata in
passato, e così facendo l’ho ferito. Non sono stata poi così diversa da Regina
– si sfogò, tra un singhiozzo e l’altro.
-
Emma, no! Tu sei agli antipodi rispetto a Regina, lo sai. E lo sa anche Henry,
sono sicura che non pensa davvero quello che ti ha detto. Gli passerà, vedrai –
cercò di rincuorarla Mary-Margaret.
-
Lo spero. Lo spero davvero.
-
Come sta, ora?
-
Non lo so – rispose Emma. – Non è con me. Non ha voluto venire in albergo, ha
preferito restare da Neal. Vuole passare del tempo con lui, e…
E l’ho assecondato. Non voglio ferirlo di nuovo – spiegò poi, asciugandosi le
lacrime col dorso della mano.
-
Hai fatto la cosa giusta, Emma.
-
Posso chiederti una cosa? – domandò Henry al padre, per tastare il terreno.
-
Certo, tutto quello che vuoi – rispose Neal, con un sorriso. Lui e Henry, dopo
aver consumato del cibo cinese ordinato a domicilio, si trovavano seduti sul
letto ormai da un po’, e non avevano smesso di parlare nemmeno un minuto. il
ragazzino voleva sapere tutto di lui, e Neal non era da meno; voleva conoscere
quel figlio di cui fino a qualche ora prima ignorava l’esistenza e non voleva
commettere gli errori che aveva commesso suo padre. Ora che sapeva di Henry
voleva far parte della sua vita.
-
Quando io, il signor Gold e mia mam… - il ragazzino si interruppe e abbassò gli
occhi. – Ed Emma – si corresse dunque, rialzando lo sguardo. – Quando torneremo
a Storybrooke, verrai con noi?
Neal
rimase spiazzato, a quella domanda. Non che questa non fosse mai comparsa nella
propria mente, ma sentirsela porre da suo figlio aveva tutto un altro effetto.
-
Non lo so, Henry – rispose, con un’alzata di spalle. – Non è così semplice.
-
E perché? – chiese Henry, inclinando la testa di lato. – Tu vieni dal mondo
delle fiabe, il tuo posto è là con noi – decretò.
-
Non lo so – ripeté Neal. – Non so se sono pronto a tornare in un mondo pieno di
magia, dopo che ho fatto di tutto per evitarla. E non so se voglio vivere nella
stessa città di mio padre – spiegò poi, sincero. Aveva visto bene quanto Henry
fosse rimasto ferito per via della grande bugia che Emma gli aveva raccontato
sul suo conto, e non voleva raccontargli ulteriori frottole. Forse la verità
gli avrebbe fatto male, ma almeno sarebbe stata tale.
-
Ho capito – disse Henry un po’ dispiaciuto, abbassando lo sguardo. Ricordava la
storia di Tremotino e Baelfire contenuta nel suo libro di fiabe, e quindi non
faceva fatica a immaginare perché suo padre avesse quei dubbi. Sperò solo che
col tempo sarebbero scomparsi. – Ho letto la tua storia – disse dunque. – Nel
mio libro – aggiunse poi, avendo notato la faccia perplessa di Neal.
-
Il tuo libro? – domandò quest’ultimo, confuso.
-
Sì, il mio libro di fiabe – confermò Henry. – Aspetta, vado a prenderlo –
disse, prima di balzare giù dal letto per andare a prendere il suo zaino. Poco
dopo tornò dal padre e gli porse il libro.
-
Che cos’è? – chiese Neal, sempre più dubbioso.
-
È il libro in cui sono raccolte le storie di tutti i personaggi delle fiabe che
ora vivono a Storybrooke – spiegò Henry. – Beh, non proprio tutti – si
corresse, ripensando alla vera identità del dottor Whale.
– La tua storia c’è, comunque – rivelò, prima di sporgersi sul libro e di
aprirlo all’esatta pagina dell’inizio della storia di Baelfire e Tremotino.
-
Dove l’hai trovato? – chiese Neal, sfogliando il libro qua e là. Scorse
velocemente la propria vicenda, perché erano ricordi che preferiva non
rammentare troppo.
-
Me l’ha dato Biancaneve, che è anche mia nonna. E la mia maestra – spiegò Henry.
- È stato grazie a quel libro che ho capito tutto e che ho ritrovato Emma.
-
Come sarebbe a dire che hai ritrovato Emma? – domandò Neal, inarcando un
sopracciglio.
-
Non ho sempre vissuto con lei – rispose Henry. – Emma mi ha dato in adozione,
dopo che sono nato. E sono stato adottato dalla Regina Cattiva, che è la
matrigna di Biancaneve. È stata lei a scagliare il sortilegio.
Neal
rimase completamente disorientato, a quelle parole.
Emma
aveva dato Henry in adozione? Come diavolo aveva potuto farlo? Prese un respirò
profondo e cercò di calmarsi, per rimettere insieme i pezzi. Undici anni prima
aveva denunciato Emma alla polizia, e di conseguenza era finita in prigione per
undici mesi. Doveva per forza aver partorito dietro le sbarre e, priva di mezzi
come era allora, doveva aver pensato che forse il bambino sarebbe cresciuto
meglio altrove. Non poté biasimarla, dopo quelle constatazioni.
Si
sentì ancora più in colpa nei suoi confronti e comprese il perché di tutto
quell’astio rivolto verso di lui, perché quando lo aveva riconosciuto, dopo
averlo inseguito, era inorridita e aveva deciso di mentirgli riguardo a Henry.
Voleva solo proteggere quel ragazzino che doveva aver già sofferto abbastanza.
-
Mi dispiace, Henry – disse, semplicemente. – Se non fosse stato per me non
saresti stato adottato, forse – aggiunse quindi, dando voce ai propri pensieri.
Se non avesse denunciato Emma, se avesse deciso di ignorare August,
probabilmente lui e la ragazza sarebbero fuggiti in Canada e lì si sarebbero
sistemati, avrebbero vissuto come due persone normali, avrebbero trovato la
serenità che entrambi cercavano. Emma avrebbe scoperto di essere incinta e
avrebbero cresciuto insieme il bambino, senza costringerlo a subire la stessa
sorte di abbandono che era toccata a entrambi.
E
la causa di tutta quella solitudine, di tutta quella sofferenza era solo una:
la magia. Quella maledetta stregoneria che aveva portato Baelfire a cercare un
mondo senza magia e Emma a essere riposta in una teca incantata che l’avrebbe
salvata dal sortilegio oscuro.
-
Non è colpa tua – proferì Henry, riscuotendolo da quei pensieri. – Doveva
andare così e basta. Io dovevo andare a Storybrooke per capire tutto e
riportare là Emma, così che spezzasse il sortilegio – spiegò.
Neal
rimase colpito dalla saggezza del figlio, forse un po’ troppa per i suoi undici
anni. Da quel che aveva potuto constatare in quelle poche ore, Henry era un
ragazzino molto sveglio e perspicace, ma anche molto sensibile. Doveva aver
sofferto molto, eppure comprendeva perfettamente che tutto quel che gli era
successo era avvenuto per una ragione, per un disegno più grande. Lo capiva
sicuramente più di lui, e questo era un dato di fatto.
-
Sei molto sveglio, sai? – gli disse, con un sorriso. – Mi spiace davvero non
averti conosciuto prima – aggiunse, con una punta di rammarico.
-
Non fa niente, te l’ho detto – disse Henry, facendo spallucce. – Non è colpa
tua. Non lo sapevi. È di Emma la colpa – decretò, mentre il dolore e la
delusione provati quel pomeriggio tornavano a farsi strada nei suoi pensieri.
-
L’ha fatto per un buon motivo, Henry – la difese Neal. Gli dispiaceva che Henry
fosse adirato con lei e aveva visto quanto ciò l’avesse ferita. – Voleva proteggerti, non devi essere così
arrabbiato.
-
Per proteggermi da cosa? – chiese il ragazzino, ferito. Continuava a non capire
la decisione della madre, continuava a paragonare quella bugia a tutte quelle
che Regina gli aveva raccontato.
Neal
sorrise; dopotutto l’ingenuità degli undici anni del figlio c’era ancora,
nascosta da qualche parte.
-
Quando io ed Emma ci siamo conosciuti, non eravamo esattamente due persone
raccomandabili. Capisci che intendo? – si interruppe. Henry annuì, facendosi
più attento. – Vivevamo di espedienti. Eravamo dei ladruncoli, non avevamo
nemmeno una casa. Vivevamo nella nostra auto, o meglio, nell’auto che io avevo
rubato e che lei mi ha rubato a sua volta – raccontò Neal. Si ritrovò a
sorridere, a quei ricordi. Era stato davvero felice con Emma, l’aveva amata
davvero e aveva davvero avuto intenzione di sistemare la propria vita assieme a
lei, finché non aveva incontrato August. – Poi io l’ho abbandonata, l’ho fatta
finire in prigione accusandola di una cosa che avevo fatto io, non lei - si
incupì, al rammentare di quella notte.
-
Perché l’hai fatto?
-
Perché me l’ha detto August – rispose Neal, vergognandosi per l’ennesima volta
del dolore che aveva causato a Emma e inconsapevolmente anche a suo figlio.
-
Conosci August? – domandò Henry, sorpreso – Cioè, Pinocchio – si corresse.
-
Già – ammise Neal. - È stato lui a dirmi chi era Emma in realtà e a raccontarmi
tutto riguardo al sortilegio. Mi ha suggerito caldamente di lasciare Emma
perché ero solo un ostacolo al compimento del suo destino di salvatrice. Così
l’ho abbandonata. Il resto della storia credo tu lo sappia già.
Henry
rimase colpito da quel racconto, dalla verità.
Non era un bel racconto da sentire, e forse stava iniziando a capire perché
Emma avesse voluto tenerlo all’oscuro di tutto. Doveva aver sofferto davvero
molto, quando era finita in prigione.
-
Grazie per avermi detto la verità – disse il ragazzino, semplicemente,
dopodiché seguendo l’istinto si sporse verso il padre e lo abbracciò.
Neal
fu inizialmente sorpreso, ma poi si sentì invadere da una sensazione di
felicità e di affetto che non provava da tempo e ricambiò l’abbraccio,
stringendo le proprie braccia attorno al corpo di Henry.
Era
bello stare insieme tra padre e figlio, anche se era la prima volta che
succedeva.
La
mattina dopo, alle nove, Emma fu puntuale; come concordato la sera prima, andò
a prendere Henry da Neal. Suonò al citofono e attese che il ragazzino
scendesse. Non dovette aspettare molto perché nel giro di un paio di minuti
Henry scese, seguito dal padre.
-
Ciao, Henry – salutò il figlio Emma, con un sorriso colpevole. Il dolore
provato il giorno prima era ancora forte, da parte sua. – Neal – aggiunse
semplicemente, cordiale, rivolgendosi poi all’uomo.
-
Emma – disse a sua volta quest’ultimo.
-
Ciao – la salutò Henry. – Non ho ancora fatto colazione, e ho fame – annunciò
dunque.
-
Vuoi che ti porti a mangiare qualcosa? – chiese Emma.
-
Sarebbe ottimo – rispose Henry, entusiasta. – Può venire anche lui? – chiese
poi, indicando Neal con un cenno del capo.
-
Va bene – decretò Emma, senza opporre troppa resistenza. Forse era il momento
di iniziare a mettere da parte i rancori nei confronti dell’ex per il bene del
figlio. Se Neal avesse avuto intenzione di fare parte della sua vita, inoltre,
le circostanze l’avrebbero portata a incontrarlo spesso e quindi era il caso di
iniziare a comportarsi in modo civile.
Si
incamminarono verso un bar lì vicino.
Nessuno
dei tre parlò; ognuno era perso nei propri pensieri.
Emma
notò che Henry aveva preso Neal per mano, e un po’ ne fu sollevata perché
significava solo una cosa, cioè che l’uomo le aveva dato ascolto e si stava
impegnando a non spezzare il cuore del figlio.
Poco
dopo sentì l’altra mano del ragazzino stringere la propria, e ne restò sorpresa.
Si voltò verso di lui e lo vide sorriderle timidamente, con aria dispiaciuta.
Emma ricambiò il sorriso, gli occhi lucidi e il cuore pieno di gioia perché
aveva compreso che con quel gesto Henry l’aveva perdonata, aveva capito perché
gli aveva mentito ed era pronto a ricominciare da capo. Non sapeva che in
realtà c’era stato lo zampino di Neal, ma poco importava.
Ciò
che contava era sapere che Henry le voleva bene, nonostante tutto.
Strinse
forte la mano del figlio, come se quel gesto dovesse trasmettergli tutto
l’affetto che provava per lui. Con la coda dell’occhio guardò Neal e si chiese
se, col tempo, sarebbe mai riuscita a perdonarlo per averla ferita nel profondo,
a permettergli di farsi di nuovo strada nel suo cuore, ad amarlo di nuovo come
lo aveva amato un tempo. Non seppe darsi una risposta, ma non le importava.
Avrebbe affrontato tutto con calma, giorno per giorno.
Henry,
dal canto suo, mentre stringeva la mano del padre nella sua sinistra e quella
della madre nella sua destra, non poté fare a meno di sperare che un giorno,
magari, tutti e tre avrebbero potuto essere una vera famiglia, unita.
Forse,
col tempo, sua madre e suo padre avrebbero imparato ad amarsi di nuovo.
Note dell’autrice
Eccomi
di nuovo qui a rompere con una one-shot, questa volta
più lunga rispetto alle altre.
Comincio
col dire che il titolo è tratto dal ritornello della nuova canzone di Pink, “Just
give me a reason”. Ho trovato
questa frase particolarmente adatta per la mia storia in generale.
Che
altro?
L’episodio
2x14 mi ha lasciata a bocca aperta. Mi ha emotivamente sconvolta, e ho dovuto
scrivere questa one-shot perché sentivo il bisogno di
risolvere le cose tra Emma e Henry, e anche con Neal.
Neal.
Che fosse anche Baelfire ormai era scontato, eppure è stato comunque sorprendente.
La 2x14 me l’ha fatto rivalutare, e anche molto. Nella 2x06 avevo solo voglia di
prenderlo a sberle, mentre ora sono riuscita a capirlo un po’ di più e come
personaggio mi piace un sacco e credo abbia un bel potenziale da sviluppare.
Inutile
dire che ora, dopo ‘Manhattan’ sono diventata una EmmaxNeal
shipper convinta. Prima non lo ero assolutamente, ora
invece… Ripeto, la 2x14 mi ha fatto cambiare idea su
molte cose. E ormai mi sono anche rassegnata al fatto che Graham tornerà solo
nei flashback. T.T Lui era perfetto per Emma,
perfetto. Dopo la sua morte non sono più riuscita a shipparla
con nessuno in particolare; ha una bella interazione con i personaggi maschili
(Hook in primis, seguito subito da August) ma nessuno
mi ha mai entusiasmato quanto Graham. Fino ad ora. Ovvio che se il cacciatore
dovesse tornare in vita tornerei subito a shipparlo
con Emma, sia chiaro.
Ok,
perché sono finita a parlare di Graham?
Dicevo… Non so come
questa storia sia uscita fuori. Come al solito avevo in mente tutt’altro ma mi
sono lasciata trascinare dalla scrittura. Probabilmente i personaggi
risulteranno OOC, specialmente Emma. Non so voi, ma io nella 2x14 ho visto
riemergere un po’ la vecchia Emma della 2x06, per cui in questa os ho cercato di fare un mix tra la Emma ragazzina e la
Emma che tutti siamo abituati a vedere. Il risultato è questo.
Henry
non so se sia completamente IC; ho cercato di mostrarlo come lo abbiamo sempre
visto, ma ho voluto anche esprimere bene il rancore verso Emma che bene emerge
dalla fine della 2x14. Quella scena mi ha spezzato il cuore, così ho dovuto
sistemare tutto con questa ff. Forse è stato un po’ affrettato il modo con cui
ho deciso che ciò accadesse, ma pazienza. Non avrei saputo come fare
altrimenti. xD
Neal,
invece… Insomma, per ora si sa poco di lui. Ho cercato
di attenermi a quello che abbiamo scoperto fin’ora e a quella che già sapevamo
dalla prima stagione. Ho omesso volutamente la teoria (molto plausibile)
secondo la quale probabilmente è Peter Pan o un Bimbo Sperduto, avrei
incasinato ulteriormente le cose e non era questo l’intento della mia os. Volevo focalizzarmi solo sul suo rapporto con Henry,
ecco anche perché Tremotino è solo accennato e non compare nella storia.
Come
al solito mi sono dilungata troppo.
Spero
che la storia vi sia piaciuta. :)
Fatemi
sapere che ne pensate^^
Sara