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Autore: Mikhael98    23/02/2013    1 recensioni
"Non ho mai creduto nelle fiabe.
Sapevo che mai nessun principe mi avrebbe riportato la scarpetta, nessun cacciatore mi avrebbe salvata dal lupo, e nessuno mi avrebbe risvegliata con un bacio."
Questa storia è scritta da Mikhael98 e KitsuneLarissa.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alois Trancy, Ciel Phantomhive, Nuovo personaggio, Sebastian Michaelis, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non ho mai creduto nelle fiabe.
Sapevo che mai nessun principe mi avrebbe riportato la scarpetta, nessun cacciatore mi avrebbe salvata dal lupo, e nessuno mi avrebbe risvegliata con un bacio.
Forse ero troppo realista, chi lo sa, però non mi illudevo.
Stavo seduta a tavola, ben educata, mentre i miei familiari discutevano. Gli uomini di lavoro, le donne di pettegolezzi. Eravamo solo io e mia sorella quelle zitte, in religioso silenzio.
A un certo punto mi alzai, tutti si zittirono e si voltarono a guardarmi, finalmente concedendomi un attimo di attenzione.
-Kurai, dove vai?
Domandò mia madre indignata. Sedeva accanto a nostro padre, che stava a capo tavola. Era in assoluto la donna più bella che avessi mai visto in vita mia, oltre a mia sorella. Lunghi capelli neri e lucenti teneva legati uno chignon impreziosito con gemme di valore, pietre donatele da nostro padre; aveva due occhi a mandorla dorati, splendidi tanto brillavano, con sfumature verdi. Era giapponese, papà l’aveva conosciuta durante uno dei suoi tanti viaggi d’affari, siccome era un industriale, se n’era innamorato subito, l’aveva portata in Inghilterra, vivevano felici insieme, mamma ci aveva anche trasmesso un po’ della sua cultura. I nomi di mia sorella e me erano giapponesi, nostro padre sapeva che la patria sarebbe mancata molto a sua moglie, quindi aveva deciso di lasciarle portare un po’ del suo paese qui, a Londra.
-Prendo una boccata d'aria, mi gira la testa.
Mentii. Veramente ero solo molto annoiata.
-Va bene, però la prossima volta congedati con un po' più di rispetto, non è educato lasciare gli ospiti in questo modo.
-Sì, madre.
Dopo la ramanzina uscii.
Fuori c'era una splendida giornata primaverile, non avevo alcuna intenzione di starmene lì ad ascoltare le conversazioni noiose dei miei parenti.
Camminavo decisa, quando un tocco al braccio mi bloccò.
-Ehi, aspettami!
La voce gentile e calma di Hikari mi pervase, lei era sempre così educata... Mi voltai.
-Sei uscita anche tu?
-Sì, non potevo mica lasciarti sola!
Esclamò tutta allegra prendendomi a braccetto. Era la versione adolescente di mia madre, ma i suoi occhi erano più arrotondati, non completamente a mandorla, inoltre il dorato era molto più acceso e brillante, con riflessi sul giallo.
-G-g-g-grazie...
Balbettai. Era sempre così gentile, mi stava sempre vicino.
-Allora, facciamo una passeggiata per il giardino?
Mi invitò con un sorriso raggiante e rassicurante.
Aprimmo la grande porta della nostra residenza e uscimmo all'aperto, finalmente potevo respirare l'aria primaverile che profumava di fiori e pollini.
-Prova a prendermi!
Iniziò mia sorella allontanandosi da me e sbeffeggiandosi del mio stupore. Stetti un attimo immobile ad osservarla mentre man mano si inoltrava nel nostro labirinto di siepi.
-Dove vai?!
Chiesi urlando, ma lei non mi sentiva. Non mi restava altro che seguirla in quel gioco infantile che di punto in bianco aveva deciso di propormi. Mi incamminai verso il labirinto, non avevo fretta, sapevo che si sarebbe accorta della mia assenza e di conseguenza si sarebbe fermata.
Invece non successe.
Sentii un urlo, allora incominciai a correre anch'io. Qualcosa era successo a Hikari, dovevo aiutarla. Con tutte le forze che avevo corsi velocissima da lei. Mi facevano male le gambe per lo sforzo, ma avrei fatto di tutto per mia sorella.
Arrivai nel punto da cui provenivano le urla, e ci trovai Hikari ridente.
Uno scherzo. Uno stupido scherzo. La perdonai, perché sapere che era sana e salva mi rendeva felice e rassicurata.
-Ci sei cascata!
Fece ridendo, e risi anch'io, allegra e spensierata.
-Forza, riprendiamo la nostra gara!
Mi invitò riprendendo la sua corsa. La seguii.
I nostri genitori avevano fatto potare le siepi di rose, dando vita a quel sinuoso labirinto nel quale io e mia sorella ci divertivamo a giocare, anche adesso, che avevamo già tredici anni, ci dedicavamo alle nostre avventure.
Quindi percorremmo ogni strada possibile del labirinto, talvolta ci fermavamo ad inspirare il profumo delle rose.
Eravamo veloci, mai stanche. Stavo per raggiungerla, ma fu in quel momento che lo vidi.
Un uomo alto, decisamente attraente, camminava di fretta, ci aveva tagliato la strada. Le ciocche di capelli neri coprivano occhi rossi che osservavano ossessionatamene un prezioso orologio da taschino. Parlava, ma la frase era sempre la stessa:
-Sono in ritardo, è tardi è tardi è tardi!
E poi:
-Il tè! Sono in ritardo per portare il tè al mio padroncino!
Che tipo strano. Io e Hikari ci guardammo, poi le chiesi:
-Ma… tu lo conosci?
Fece cenno di no con la testa. Non era un nostro servo, però indossava abiti da maggiordomo.
Ci scambiammo uno sguardo d’intesa, e lo seguimmo.
Lui andava man mano sempre più velocemente, stavano succedendo cose strane. I rovi di rose si allungavano come braccia che volessero afferrarci, uno pizzicò mia sorella, gli mollai un calcio, e riprendemmo la nostra corsa verso lo sconosciuto.
-Kurai, non sono certa sia sicuro continuare a seguirlo, credo anche se ne sia accorto.
Mormorò scoraggiata la mia gemella. Mi stupì sentirla parlare così, di solito era lei quella ottimista e solare.
-Io non ho intenzione di mollare, quell’uomo ha violato la nostra proprietà.
Risposi con il mio tono duro e aspro, sapevo che le dava fastidio.
-Quindi, se hai voglia seguimi, altrimenti me ne occuperò da sola.
Continuai infastidita.
Annuì, intanto mi ero accorta del fatto che ciò che stesse dicendo era vero: ci aveva viste. La cosa strana era che ne pareva soddisfatto, sorrideva in un modo davvero odioso. Allora risposi a quel ghigno con un’espressione molto combattiva, questo sembrò renderlo ancora più compiaciuto.
Nel frattempo le piante continuavano a graffiarci, impedendoci anche la visuale.
-Kurai, ci metteremo nei guai.
Sapevo che quando mi chiamava per nome era perché la stavo facendo arrabbiare.
-Non sei obbligata a seguirmi.
Ribattei. Solo lei mi stava guardando, io avevo gli occhi puntati sul maggiordomo.
Incredibile: lui camminava, eppure noi correndo non riuscivamo a raggiungerlo!
-Kurai, ascoltami, non metterti nei pasticci!
L’ennesimo rimprovero.
-Ora basta! Faccio quello che voglio! Non diventare come la mamma!
Urlai, il fiato mi mancava, quell’esclamazione mi costò cara. Ero stremata, però la corsa non era finita, o forse sì…
Ricordo solo un buio pesto, come se il terreno fosse mancato sotto i miei piedi; la presa di mia sorella, e quel sorriso, quell’irritante ghigno che risplendeva nell’oscurità.
 
 
  
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