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Autore: Maharet    23/02/2013    6 recensioni
"A volte ci si dimentica di quanto possa essere doloroso guardare negli occhi qualcuno che un tempo potevi stringere tra le braccia, e che ora puoi forse salutare con un cenno del capo ed un mezzo sorriso stentato. La mente può dimenticare, forse, ma il corpo no. Il corpo mantiene l’impronta delle mani che l’hanno percorso, il ricordo delle labbra che l’hanno sfiorato, il fantasma dei baci e dei morsi."
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Crumbs of Malec'
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Questa è per Min, sempre lei, che mi permette di scrivere delle emozioni di Alec, perché le vivo come se fossero mie.
Non mi stancherò mai di dire quanto sono felice che tu esista.
Per la mia doppia parabatai, che mi sostiene sempre ed è il Jace di questa storia, il mio angelo custode.
E per Ale, che dice di odiarmi ma in fondo mi vuole bene. Spero.


E lui era lì. Bello come lo ricordava, bello come lo rivedeva ogni notte nei suoi sogni. Bello da far male, perché non era più suo. A volte ci si dimentica di quanto possa essere doloroso guardare negli occhi qualcuno che un tempo potevi stringere tra le braccia, e che ora puoi forse salutare con un cenno del capo ed un mezzo sorriso stentato. La mente può dimenticare, forse, ma il corpo no. Il corpo mantiene l’impronta delle mani che l’hanno percorso, il ricordo delle labbra che l’hanno sfiorato, il fantasma dei baci e dei morsi. La sensazione di due corpi che si incastravano alla perfezione, come pezzi di un puzzle nati per combaciare, e che ora erano separati per sempre da troppe parole non dette e da un ‘aku cinta kamu’ che ancora gli risuonava nelle orecchie come una campana a morto.

E il suo corpo urlava, un lungo, silenzioso grido di agonia.

Magnus era di fronte a lui, fasciato da un improbabile soprabito dorato, i capelli lunghi pettinati all’indietro a scoprire il volto dai lineamenti cesellati.
Amava quel volto. Ne conosceva a memoria ogni ombra, ogni aspetto. L’aveva visto ricoperto di glitter ed eye-liner, come ora, una maschera disegnata sulla pelle che nascondeva più di quanto chiunque altro potesse immaginare. Ma l’aveva visto anche nudo ed esposto, nell’abbandono del sonno, privo di qualsiasi artificio che potesse celarlo ai suoi occhi innamorati.

Magnus ricambiava il suo sguardo, ora. Le pupille verticali dilatate per la sorpresa di trovarselo davanti in un luogo in cui entrambi pensavano non avrebbe mai messo piede. La mano che impugnava il bicchiere sospesa a mezz’aria, le labbra dischiuse in un ansimo che, lo sapeva, era insieme sbuffo e singhiozzo, rabbia e dolore.

Si voltò verso Jace. Il suo parabatai, l’amico migliore che avrebbe mai potuto volere al suo fianco. L’aveva seguito anche quella sera, calandosi nel ruolo di angelo custode di cui sembrava essersi auto-investito nell’ultimo periodo. Era lì per impedire che bevesse troppo, finendo magari per fare del male a qualcuno. Neppure Jace era così idealista da illudersi che avrebbe potuto impedirgli di fare del male a sé stesso. Per quello era troppo tardi.

Ma trovarlo lì… quello no, non era previsto. Scorgere il suo ex fidanzato tra le centinaia di persone che affollavano uno delle centinaia di locali di New York era davvero un’assurda e crudele beffa del destino.

Gli occhi di Magnus non lasciavano i suoi, ed Alec si scoprì totalmente incapace di guardare altrove. Quello sguardo ambrato su di sé era estasi e dolore al tempo stesso, un miscuglio di sensazioni che scuotevano il suo corpo anestetizzato fin nel profondo. Non poteva distogliere gli occhi da lui, e non voleva farlo. Perché quando l’avesse fatto, lo sapeva, sarebbe stato per sempre. Non sarebbe mai più uscito nella notte alla ricerca dell’oblio malato dell’alcool, ora che contemplava il rischio di poterlo incontrare.

La mano di Jace sulla spalla lo fece sobbalzare, e scorse un bagliore negli occhi felini di Magnus. Se il suo cuore fosse ancora stato in grado di sperare, avrebbe potuto scambiarla per gelosia. Ma il dolore e la tristezza l’avevano svuotato di ogni speranza.

-        Va' da lui, Alec… dovrete parlarne, prima o poi…

Scosse la testa, distogliendo lo sguardo dalla figura dello stregone e voltandosi verso l’uscita.

-        Ci siamo già detti tutto ciò che poteva essere detto, Jace. Lui non mi vuole. Non mi vuole più. E non so biasimarlo… a volte io stesso vorrei potermi abbandonare in qualche vicolo, pur di non guardarmi allo specchio ogni mattina…

Sollevò lo sguardo sul suo parabatai, scoprendo con una punta di disappunto che non stava guardando lui. Il suo sguardo era fisso pochi centimetri sopra la sua spalla, serio ed affilato come la lama di un coltello. E fu quella la sensazione che sentì, una lama piantata in profondità nella schiena, quando avvertì quel profumo che non avrebbe mai potuto dimenticare e capì a chi era rivolto lo sguardo di Jace.

-        Alexander…

Amava che Magnus utilizzasse il suo nome completo. Era l’unico a farlo, a parte i suoi genitori. Per tutti era Alec, ma per Magnus era qualcosa di più. Qualcosa di meglio. Qualcosa che non sarebbe stato mai più.

-        Magnus…

Quel nome sfuggì alle sue labbra come un sospiro, senza che la sua mente fosse minimamente coinvolta nell’azione. Un nome che per settimane aveva evitato di pronunciare tranne che nei sogni, in cui lo gridava rincorrendo un’ombra che gli sfuggiva ogni volta tra le dita.

Lo guardò, e un lampo di incertezza lo colse. C’era qualcosa di diverso, in lui. Sembrava brillare un po’ meno di quanto ricordasse, nonostante il glitter e le paillettes e l’oro di cui era ricoperto. I suoi occhi erano spenti, e avrebbe giurato di intravedere un’ombra scura sotto di essi, abilmente celata da strati di fondotinta e correttore. Lo stregone sembrava stanco, svuotato di ogni energia. “ E’ colpa mia! “ disse una voce nella sua testa. Ed Alec seppe che era così.

Era stato Magnus a lasciarlo, ma il vero responsabile della fine della loro storia era soltanto Alec. Alec, che non aveva saputo fidarsi, e con tutta l’incoscienza dei suoi diciott’anni aveva creduto di poter cercare altrove le risposte che Magnus non poteva o non voleva dargli. Che aveva dato tutto per scontato, senza rendersi conto di quanto lo stregone, più di lui, avesse investito in quella relazione, sapendo che avrebbe dovuto sopravvivere al ragazzo che amava, e permettendo a sé stesso, nonostante tutto, di credere ancora nell’amore.

Lo guardò, e per un lungo, interminabile istante sperò che avrebbe detto qualcosa, qualsiasi cosa, per farlo stare meglio. Qualcosa che avrebbe potuto sollevare quel peso che sentiva proprio al centro del petto, e che gli impediva di respirare normalmente mentre lo guardava negli occhi.
Ma Magnus non parlò. Le sue labbra rimasero serrate. Forse aveva avuto ragione, nel pensare che fosse già stato detto tutto quello che c’era da dire. Non parlò, ma aprì le braccia e lo guardò. Semplicemente.

Ed Alec si sentì inerme, davanti a quegli occhi tristi, in fondo ai quali scorse ora una scintilla assente fino ad un istante prima. Sì senti esposto e vulnerabile, più ancora della prima volta in cui si era lasciato sdraiare su quel maledetto divano che ancora risentiva sulla pelle nuda ogni volta che chiudeva gli occhi, nel buio della sua stanza vuota e solitaria.

Ancora una volta il suo corpo agì di propria spontanea volontà, perché mentre ancora la mente si chiedeva come avrebbe dovuto interpretare quel gesto Alec si era già gettato tra le sue braccia, l’unico posto in cui aveva desiderato stare dal primo momento in cui i loro sguardi si erano incrociati. E quelle braccia si erano già strette intorno a lui, imprigionandolo contro il corpo dello stregone, mostrandogli che anche quel corpo non aveva dimenticato i baci, le carezze, gli abbracci che credeva persi ormai per sempre.

Pianse, incurante degli sguardi di tutti fissi su di loro, senza neppure accorgersi che Jace se n’era andato sorridendo, affondando il volto in quell’improbabile soprabito dorato che avrebbe odiato in qualsiasi altra occasione, e che ora gli sembrava la cosa più bella che avesse mai visto.

E si rese conto che in fondo non era stato detto tutto, come aveva pensato pochi istanti prima. Lo capì quando Magnus gli sollevò dolcemente il volto con le dita dalle unghie smaltate di viola, incatenando nuovamente i loro sguardi, e disse le uniche parole che dovevano ancora essere dette:

-        Alexander… andiamo a casa?
   
 
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