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Autore: DanzaNelFuoco    24/02/2013    2 recensioni
Mi sono chiesta cosa sarebbe successo se Raskol'nikov, il protagonista di "Delitto e Castigo", fosse stato una donna dei nostri giorni. Cosa avrebbe provato, quale sarebbe stata la sua pena, la sua follia e il suo castigo?
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Era nuda.
Era nuda come solo una persona sotto la doccia può essere, non tanto spogliata dei suoi vestiti quanto dei veli della sua anima.
L'unica cosa che sentiva era il frusciare dell'acqua, la sua pelle martoriata da stille bollenti. Seduta sul piatto della doccia abbracciava le gambe incastrando la testa nell' incavo formatosi. Non pensava a niente. Sollevò la testa e lasciò che l'acqua colasse sulle palpebre chiuse. Un solo pensiero comparve dal nulla nella sua testa, come un fulmine a ciel sereno.
Ho ucciso.
No,non era quello il momento di pensare. Lì, chiusa in quel piccolo spazio il mondo non esisteva, non esisteva il tempo, lo spazio e l' azione. Esisteva solo l'acqua.
Ho ucciso.
Liberare la mente, solo questo importa, per non essere come Raskol'nikov *. Per essere lucidi. Era tutta colpa di quel libro, in fondo. "Galeotto fu il libro e chi lo scrisse". ** E Dostoevskij aveva fatto da Galahad per lei e quel delitto, lei l'aveva abbracciato, vi si era abbandonata.
Ho ucciso.
Possibile che in questo spazio non sembri così grave?
Ho ucciso.
Ho ucciso, ma adesso devo essere lucida.
L'acqua le martellava la pelle. Il suo sguardo si posò su una ciocca di capelli da cui si formavano goccioline che cadevano e poi tornavano a formarsi.
Cadere. Formarsi. Cadere. Formarsi. Cadere. Formarsi. Cadere.
Ho ucciso, devo essere lucida, devo continuare ad agire.
Ma intanto rimaneva lì seduta a guardare le goccioline d'acqua e a non pensare a niente.
Si scostò la ciocca dal volto, si leccò la mano e prese a strofinare a con violenza. Il sangue non se ne andava, era come una macchia indelebile.
Ho ucciso, si diceva, ma le parole non attraversavano il cervello, erano vacue, senza senso.
Ho ucciso.
Ora basta, alzati! Ragiona!
Si alzò e con la spugna insaponata prese a sfregarsi la pelle per cancellare quelle macchie di sangue che si vedeva addosso. Sfregò e strofinò tanto che la pelle le si arrossò e irritò, ma le macchie non se ne andavano, anzi si moltiplicavano. Improvvisamente la nebbia calda prodotta dall'acqua non era più così piacevole, anzi, unità al caldo le produceva un blocco sul petto, un'ansia mai provata prima.
Spense l'acqua e uscì respirando profondamente l'umidità. Le mancarono le gambe e si appoggiò al muro di fronte a lei rifugiandosi nel calore dell'accappatoio di spugna appeso proprio accanto alla sua mano. Lo abbracciò e vi si tenne stretta fino a che la testa non smise di girare e il mondo ritornò al suo posto.
Ho ucciso.
Doveva continuare a ripeterlo per ricordarlo, ora che le macchie di sangue, mero prodotto della sua fantasia, erano scomparse.
Sulla pedana giacevano i suoi vestiti, sporchi di sangue.
Nasconderli? Gettarli via? Bruciarli?
Che farne?
Li raccolse e il sangue rappreso macchiò le sue mani.
Il sangue gocciolava giù per le sue mani, lungo le braccia, macchiava le pareti, impregnava l'accappatoio.
Le sue mani scarlatte....
Le mani di un’assassina
"Chi ha parlato?"
Doveva rimanere lucida.
Tu sei un’assassina
" Chi c'è? Chi è stato?"
Silenzio.
Solo silenzio.
Mi sono immaginata tutto?
Scrollò il capo, doveva fare, mettere a posto tutto, cancellare le tracce.
Lanciò in un angolo i vestiti sporchi e cominciò a vestirsi.
Legò i capelli in una coda dopo esserseli asciugati.
Era pronta.
Ho ucciso.
Hai ucciso
"Come?"
La voce non rispondeva mai.
"Taci allora!"
Li avrebbe bruciati, i vestiti.
Il camino. Alcol. Un accendino.
L'orlo dei jeans era intriso di sangue, la camicia aveva una macchia sul collo, al centro del maglione c'era l'impronta scarlatta della mano di lei, dove si era aggrappata mene cadeva a terra con occhi imploranti, quasi a chiedere perché, perché lo aveva fatto, perché proprio a lei.
Ho ucciso.
Tutto nel camino.
Voltandosi per tornare in bagno vide il cappotto abbandonato a terra. Una macchia di sangue. Sangue ovunque, sul pavimento, sulle pareti.
Avrebbe dato fuoco alla casa, doveva bruciare tutto, tutte le prove di ciò che aveva fatto, doveva cancellare.
Sparse l'alcol sui vestiti e sulla parete.
Non le bastava.
Aprì l'armadietto degli alcolici e cominciò a rovesciare il contenuto delle bottiglie su tutte le pareti.
Ancora non le bastava.
Prese la varechina e l'acetone per togliere lo smalto.
Ancora troppo poco.
Uscì di casa, per comprare altro alcool, altro materiale infiammabile.
L'aria fredda la colpì come un cazzotto, il respiro le si mozzò in gola.
Ma che sto facendo?
Più cercava di sistemare le cose più le ingarbugliava. Non voleva pensarci e invece doveva.
Si chiuse la porta alle spalle. Camminò lungo il viale innevato.
Senza neanche pensare ai passi che compiva si ritrovò lì.
Cosa ci faccio qui?
Era la sua casa.
Riconosceva il giardino, la rosa rampicante secca e la piccola fontanella. Gli infissi verdi.
Nessuno aveva ancora chiamato la polizia.
Corse via.
Nell'oscurità della notte risuonavano solo i suoi passi, il suo respiro affannoso. Inciampò e cadde.
Giacque nella neve per un tempo indefinibile, finché il cuore non riprese i suoi normali battiti e il respiro non fu regolare.
Poi attese, attese di avere le idee chiare e le forze per compiere ciò che doveva.
Ma non accadde niente.
"Signorina si sente bene?"
"C...c...cos...cosa?"
"Si sente bene? Posso aiutarla?"
Un uomo, non tanto alto alto, rinchiuso in un cappotto imbottito, i cui occhi visibili tra il berretto e la sciarpa la fissavano interrogativamente.
"S...si."
I muscoli della bocca, a pieno contatto con la neve, non sembravano voler rispondere agli input del suo cervello, se non con molto ritardo.
"Sì sta bene o sì posso aiutarla? Vuole che l'accompagni a casa?"
Lei annuì.
"Dove abita?"
Lei biascicò la via.
"Venga" disse l'uomo aiutandola ad alzarsi.
Lei lo guardò con occhi ammirati e speranzosi: "Sonja"***
"Come ha detto, scusi?"
"Sonja. Tu sei Sonja."
"Deve essersi confusa signorina, Sonja è il nome che più si allontana dal mio. Mi chiamo Fedor."
Percorsero la strada in silenzio.
"Ti inviterei ad entrare, Fedor, ma la casa è in disordine."
"Non è un problema." (In realtà entrare in casa di quella pazza era l'ultimo dei desideri di Fedor.)
Quando aprì la porta, dalla casa uscì una zaffata, un puzzo tremendo derivato dagli alcol mischiati sul pavimento.
"A proposito, io sono Avdotja.Questo è il mio numero " disse porgendogli un foglietto estratto dalla tasca del cappotto maleodorante.
"Certo." rispose poco convinto e con un sorriso forzato, scappando non appena la porta si fu chiusa alle spalle della donna e maledicendo se stesso per aver avuto quello spirito compassionevole che lo aveva spinto a parlare con una pazza alcolizzata svenuta nella neve.
 
Non chiama.
Calmati, sono passate solo due ore, chiamerà domani.
Non chiamerà mai, e perché dovrebbe?
Chiamerà
E se non lo facesse?
Non chiamerà
"Perché?"
Nessuna risposta.
Aveva asciugato il pavimento e pulito le pareti, aveva sparso ovunque un profumo di rose per coprire l'orribile odore e aveva bruciato vestiti e cappotto nel camino, stando attenta che non prendesse fuoco anche il resto della casa.
Sedette sul divano. Davanti a lei le fiamme ingurgitavano gli ultimi brandelli dei suoi vestiti.
Perché non chiama?
Un ombra si sollevò dal libro posato sul tavolino davanti a lei.
Sulle prime pensò che fosse colpa del fuoco che rifletteva ombre sulla copertina innevata, ma poi l'ombra crebbe a dismisura e un peso le si formò sul petto.
Tu non avrai mai una tua Sonjasibilò l'ombra.
"Cosa? Come? Perché?"
Hai visto l’errore altrui e hai comunque perseverato nel compierlo, non ti spetta salvezza.
 "No, io..."
Hai ucciso Polina perché volevi dimostrare a te stessa di poter uccidere. Hai seguito le mie orme...
"Raskol'nikov... Tu sei Rodja"
...Ma proprio perché conoscevi le conseguenze non avrai consolazione né salvezza.
"Io..."
Taci, empia. Hai versato il sangue di un essere umano per sentirti superiore. In tutto hai fallito."Non ho fallito, l'ho uccisa."
Hai fallito. Ti sentivi grande e non eri che un granello di sabbia. Ora sei schiacciata dal peso delle tue azioni.
 "No, io sono lucida" disse con disperazione Avdotja, quasi a voler convincere se stessa.
Sei minuscola e non volevi accettarlo, ma non si sfugge alla propria natura.
"La mia natura?! La MIA natura?! Polina meritava di morire! È stata la sua natura!"
Cosa ti ha fatto supporre di poterti ergere a giudice delle azioni altrui? Solamente Dio ha questo diritto! Tu, empia, hai macchiato le tue mani con il sangue, non importa di chi.
"Non solo io sono giudice delle azioni altrui..."
Non nasconderti dietro un falso movente! Tuo solo interesse era dimostrare a te stessa di poterlo fare.
"Sì, è vero. Ho ucciso e non permetterò al senso di colpa di devastarmi. Ho imparato dai tuoi errori, anche se tu non la pensi così."
Credi, forse, di aver imparato qualcosa. Tuttavia voci e visioni ti perseguitano. Quanto pensi di poter continuare nella tua follia?
Ti stai gettando fra le braccia della rovina.
Confessati e confessa i tuoi peccati.
Costituisciti e io sarò la tua Sonja.
"Mai! Io  non sarò debole come te. Ho ucciso. Tornerò a farlo. Non posso vivere in eterno in questa follia."
 
 
Driiiiiin! Driiiiiin!
Risponde la segreteria telefonica di Avdotja, in questo momento non sono in casa, lasciate un messaggio dopo il bip.
Biiiip!
Avdotja, sono mamma, è da un po' che non ti fai sentire, tutto ok? Richiamami quando ascolti il messaggio, a qualsiasi ora: sono preoccupata per te.
Driiiin! Driiiiin!
Risponde la segreteria telefonica di Avdotja, in questo momento non sono in casa, lasciate un messaggio dopo il bip.
Biiiip!
Signorina Avdotja, sono l'ispettore Petrov Ivanovic. Volevo farle qualche domanda sulla signora Polina, rinvenuta morta questa mattina nella sua casa. Ci risulta che lei la conoscesse. Prenderemo contatto con lei nel pomeriggio, nell'eventualità che lei non accolga il nostro invito a presentarsi in mattinata in commissariato. Arrivederci.
Driiiin! Driiiin!
Risponde la segreteria telefonica di Avdotja, in questo momento non sono in casa, lasciate un messaggio dopo il bip.
Biiip!
Avdotja, sono Fedor. Volevo sapere se si sentiva meglio. Ieri sera non aveva una bella cera. Mi richiami se se la sente. Questo è il mio numero, magari la posso aiutare. Arrivederci.
 
Aveva chiamato, alla fine. Ma Avdotja non poteva sentire nessuno dei messaggi sulla sua segreteria.
Riversa sul tavolino, gli occhi chiusi, giaceva in una pozza di sangue, un coltello insanguinato nella mano destra, un libro nella mano sinistra. Lo stesso libro da cui si era alzata l'ombra.
L'indice della mano sinistra teneva il segno nella seconda pagina.
A matita sotto la scritta "Delitto e Castigo - F. Dostoevskij" stavano queste parole: " Ho ucciso me stessa molto prima di uccidere Polina. Ora completo l'opera. Ora sono libera. "
 
* Raskol'nikov = protagonista di "Delitto e Castigo"
** Divina Commedia, Inferno, Canto V, verso 137. Dante Alighieri.
*** Sonja = amata di Raskol'nikov, lo aiuta a costituirsi.
 
 

  
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