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Autore: Alys93    24/02/2013    0 recensioni
Il destino... Non si mai cosa ci riserva. E' qualcosa di oscuro, insondabile, eppure c'è gente che non smette mai di provare a prevedere cos'ha in serbo per noi. Non sappiamo mai come andrà la nostra vita, se riusciremo a realizzare i nostri sogni. E lo sa bene Richard, che, a diciassette anni, non sa ancora cosa fare, se troverà qualcuno disposto ad andare oltre le apparenze.
Se vi ho incuriosito, spero che leggerete la storia. Ve ne prego, siate clementi. E' la prima storia "decente" ke ho mai scritto. [Dopo molto tempo ed alcuni cambiamenti, più o meno lievi, ho deciso di continuare a postare questa storia. Spero che apprezzerete i miei sforzi]
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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34-Dolore

"Megan, puoi prendermi i peperoni da sotto il mobile giallo?" chiese Grecia, intenta a preparare i nachos per il figlio.
"Sì. Arrivo subito, mamma" rispose la ragazza, alzandosi cautamente dal divano, dove si era addormentata la sorellina.
Andò in cucina e frugò tra le sporte di verdura che conservavano lì sotto, cercando i peperoni che aveva comprato appena un'ora prima.
Mentre cercava, sua madre le chiese "Allora, com'è andato il pigiama party di ieri sera?".
Megan sorrise, ripensando all'incredibile idea di Susan di organizzare un P. P. T. V. A. per risollevarle il morale.
"Oh, bene" disse "Abbiamo parlato parecchio del più e del meno. Così, tanto per chiacchierare".
"Lydia è stata davvero molto gentile a permettervi di fare questo pigiama party" sorrise Grecia "Avevi davvero bisogno di stare un po' con le tue amiche".
"Lo penso anch'io" disse la figlia con un sorriso "Mi ha fatto davvero bene ridere un po' con loro. Hanno fatto certe battute incredibili".
 
Susan era stata davvero grandiosa nell'organizzazione della serata, sistemando al meglio tutti i sacchi a pelo portati dalle altre.
Dalia poi era stata davvero unica, portandosi dietro della musica anni ‘70 davvero niente male.
"È patita dell'hip-hop" confidò Crystal alle amiche "Se non si porta dietro almeno uno dei suoi dischi, allora non è lei".
"E a te cosa piace?" chiese Wendy, "Il rock, è ovvio!" borbottò Dalia, stendendosi accanto alla sorella.
"Io preferisco qualcosa di più rilassante" disse Miriam, giocherellando con il portachiavi di casa.
"Non dirmi la musica classica, perché altrimenti ti mando via a calci!" esclamò Nicky inorridita.
"No, non quel mortorio" ribatté Miriam, "Però il rock mi fa venire il mal di testa. Non lo ascolto volentieri".
"Benvenuta nella band" mormorò Dalia, con un'espressione a metà tra il seccato e l'iralità.
"Ha, ha. Davvero divertente, Dalia" borbottò Crystal, lanciandole un cuscino addosso.
Quello fu il segnale.
Nicky afferrò il proprio e lo lanciò verso Susan, dando il via ad una gara di cuscinate, che si svolse tra le risate generali del gruppo.
Megan si ritrovò a parare diversi colpi, mentre il cuscino che aveva in mano perdeva le piume dell'imbottitura, ma si sentiva di nuovo allegra.
Era stato fantastico giocare come bambine, anche se ormai erano tutte maggiorenni, perché la frustrazione di quei giorni si era dissolta di colpo, come neve al sole.
Il colmo fu quando Wendy si alzò in piedi per colpirle meglio e Crystal la beccò con un colpo dietro al ginocchio, che la mandò a gambe all'aria.
Alla fine, le sette amiche si ritrovarono coperte di piume bianche e Miriam propose una tregua per godersi una bella merenda, degna di un P. P. T. V. A. in piena regola.
A quelle parole, Susan si era illuminata ed era corsa a prendere vari piatti di plastica ed alcuni coltelli.
Nicky tirò fuori dallo zaino un grosso sfilatino di pane, che Wendy si sbrigò a tagliare a fette, mentre Miriam apriva un grosso barattolo di Nutella.
"Cavoli!" esclamò Crystal, roteando gli occhi "Io adoro la Nutella! Ne vado letteralmente pazza!".
"Già" la prese in giro Dalia "Durante un campeggio estivo, ti beccarono che mangiavi un barattolo, nascosta sotto le lenzuola! Ed era uno di quelli grossi!".
"La smetti di fare battutacce?" le chiese la sorella, distribuendo le fette alle amiche.
"Ehi!" le richiamò Miriam "Ci siamo riunite qui per risollevare il morale a Meg, non per prenderci in giro a vicenda!".
"Giusto" approvò Nicky "Ora dobbiamo goderci questa delizia bigusto, in modo da addolcire tutti i problemi".
"Sbaglio o hai detto bigusto?" chiese Wendy, sgranando gli occhi "Vuoi dire che hai anche la crema di nocciola bianca?".
"Ovvio" rispose Miriam "Sappiamo bene che ti piace molto", "Piacere è dire poco" ridacchiò Susan "Sarebbe capace di divorarsi tutto il barattolo da sola!".
"E poi sai quanti bei brufoletti ti spunterebbero?" commentò Crystal "Per non parlare dei chili di troppo!".
"Con la fatica che ci vuole per smaltirli, non credo che ci convenga esagerare" ridacchiò Dalia.
Megan sorrise e riempì i bicchieri delle amiche con del succo di frutta, poi alzò il proprio, dicendo "Vorrei proporre un brindisi".
Le altre la guardarono con gli occhi sgranati, "A cosa vuoi brindare, Meg?" chiese Crystal incuriosita.
La ragazza sorrise e, alzando il proprio bicchiere, disse "Voglio brindare alle migliori amiche che si possano mai desiderare. A voi, ragazze. Ma, soprattutto, voglio ringraziarvi per il vostro sostegno e la vostra fiducia. Grazie di cuore".
Le amiche sorrisero commosse e brindarono tutte insieme "A noi! Ed al fantastico gruppo che formiamo!".
 
Megan tornò al presente con un sorriso, ringraziando le amiche per la loro allegria, che riusciva sempre a rimetterla di buon umore.
Erano davvero speciali ed era davvero grata al destino per aver fatto incrociare le loro strade.
Con un sospiro, continuò a frugare tra le verdure, domandando stizzita "Ma dove accidenti si sono infilati quei peperoni?".
"Quali peperoni?" chiese Miguel, "Quelli che ho comprato poco più di un'ora fa" rispose la sorella.
Si voltò verso di lui e, vedendo la sua espressione colpevole, chiese "Per caso, tu sai dove sono finiti?".
"Ehm… Sì" ammise il ragazzo con una smorfia "Non entravano nello scompartimento e li ho messi nel frigo".
Lei sbuffò, rialzandosi in piedi "Potevi anche dirmelo prima! Sono ore che li cerco qui sotto!".
"Scusami" mormorò Miguel, cercando di reprimere una risata "Credevo che mi avessi visto, prima".
Megan scosse la testa ed aprì il frigorifero, trovando immediatamente i peperoni che servivano a sua madre per i nachos.
Li posò sul bancone ed iniziò a tagliarli e sbucciarli, mentre Grecia grattugiava un grosso pezzo di formaggio.
"Ah, credo proprio che mio fratello sia un caso disperato" mormorò la ragazza, infilando le fette di peperoni nel mixer.
"Lascialo stare" rise la madre "Infondo, ora ha la testa da tutt'altra parte, lo sai".
"Se per questo, la testa fra le nuvole l'ha sempre avuta. Non è una novità" ridacchiò la figlia, guardando il fratello di sottecchi.
"Ha, ha. Continuate pure a prendermi in giro" disse lui dal salotto "Ormai le vostre battute sono vecchie e decrepite".
"Certo, come no" ribatté Megan "Allora perché rispondi sempre con quel tono seccato?".
Lo sentì sbuffare e rise, pensando che lo aveva messo a tacere, per una volta.
"Colpito e affondato, Miguelito!" ridacchiò, versando il formaggio nel mixer; "Sta' zitta!".
Le due donne ridacchiarono alla sua reazione, attirando l'attenzione di Alan, intento a scrivere nel suo studio.
Incuriosito, scese al piano di sotto e chiese "Cos'è tutta quest'allegria? È successo qualcosa?".
"Niente che tu non sappia già, papà" rispose la figlia, affacciandosi dalla cucina.
L'uomo inarcò un sopracciglio, confuso dall'allegria di Megan e dall'espressione corrucciata di Miguel.
Si strinse nelle spalle e tornò nello studio, decidendo di rilassarsi ascoltando un po' la radio.
Ines si era già addormentata tranquillamente, quindi non correva il rischio di essere disturbato dalla figlia più piccola che lo implorava di mettere la musica che le piaceva tanto.
Si sintonizzò sulla frequenza della musica anni ‘80 ed ascoltò tranquillamente le canzoni che aveva ascoltato più e più volte quando era un ragazzo.
Al piano inferiore, Miguel accese la televisione, cercando qualcosa che l'aiutasse ad ignorare la sorella che rideva nella stanza accanto.
Come al solito, il telegiornale trasmetteva terribili fatti di cronaca che avvenivano nel mondo, partendo dalle guerre civili africane.
Stava quasi per cambiare canale, quando il giornalista avvisò di una notizia dell'ultimo momento.
Anche la sorella tese l'orecchio, mentre andava a posare i peperoni avanzati nel mobiletto accanto alla porta.
Il giornalista, un uomo sui sessant'anni, si aggiustò gli occhiali e disse "E ora una notizia arrivata pochi minuti fa in redazione. Oggi pomeriggio, verso le 19.45, un autista ubriaco ha viaggiato contromano lungo il quartiere di Zaffire Street, nella zona est della città. L'uomo, Michael Burns, quarantacinque anni, ha investito un ragazzo in moto nei pressi dell'incrocio di S. Sebastian. Il giovane motociclista, il diciottenne Richard McKallister, è stato immediatamente trasportato all'ospedale cittadino, ma le sue condizioni non sembrano gravi. Per ora, la prognosi è riservata. Né i genitori, né il primario dell'ospedale, nonché parente della vittima, hanno voluto lasciare dichiarazioni al riguardo".
Nella casa calò un silenzio di tomba, interrotto di colpo da diversi tonfi sordi sul pavimento.
Megan si lasciò sfuggire i peperoni di mano, mentre la notizia si faceva bruscamente largo nella sua mente.
Il cuore sembrò mancarle un battito, quando le probabili immagini dell'incidente si affollarono nella sua testa.
Un gemito straziante le sfuggì dalle labbra, facendo accorrere la madre verso di lei.
"Meg" la chiamò Grecia "Meg! Che ti prende? Tesoro, rispondimi!", poi chiamò il marito "Alan! Alan, corri!".
Miguel si alzò di scatto, accorgendosi appena di aver svegliato Ines, e gridò "No! Non può essere! Non Richard!".
Improvvisamente, si accorse dello stato della sorella e seguì il padre in cucina.
La giovane era pallida come un lenzuolo e non riusciva a pronunciare una sola parola.
Gli occhi erano vacui e fissavano un punto indefinito davanti a sé, senza vederlo realmente.
Sembrava che non riuscisse a reggersi sulle gambe, perché iniziò a tremare violentemente tra le braccia del padre.
Alan l'aiutò a sedersi su una poltrona e la chiamò più volte, ma sembrava che lei non lo sentisse neppure.
Non reagiva, l'unica cosa che riusciva a muoverla era il suo respiro corto e affannato.
Era come se avesse qualcosa incastrato nella gola e non riuscisse a respirare bene.
Sembrava un fantasma, tanto che, per un attimo, Miguel si chiese se non dovesse fare qualcosa per rianimarla.
Di colpo, la ragazza si alzò, facendo sobbalzare i familiari, e si precipitò immediatamente fuori casa.
Il telefono iniziò a squillare, ma lei lo ignorò volutamente, mentre correva a perdifiato verso la zona centrale della città, dove si trovava l'ospedale.
Miguel fu l'unico ad avere la forza di muoversi per alzare la cornetta e rispondere, ma la voce non gli usciva.
Dall'altra parte era Nicky, che aveva appena sentito la notizia al telegiornale, esattamente come loro.
"Casa Marley?" chiese con voce strozzata "Sono Nicky. Devo assolutamente parlare con Megan!".
Miguel si sforzò di cacciar fuori la voce, sussurrando a stento "È appena corsa via, Nicky. Ha già saputo la notizia".
 
Megan continuò a correre, cercando di imprimere maggior velocità nelle gambe.
Non poteva credere a quello che aveva sentito! Non poteva essere successo davvero!
Non era vero! Non Richard!
Il suo nome le rimbombava nella mente, come un terribile eco che non le dava tregua.
Richard. Richard. Richard.
Doveva vederlo, a tutti i costi.
Doveva assicurarsi che stesse bene.
Le sue scarpe colpivano con forza l'asfalto, ma sembrava avere la stessa consistenza della sabbia bagnata.
Continuava ad inciampare e cadere, ma si rialzava sempre, incurante dei graffi che si procurava sulle mani e sulle ginocchia.
Doveva andare da lui, non poteva permettersi di rallentare.
Iniziò a scendere una lieve pioggerellina, che, in poco tempo, coprì tutto il paesaggio circostante.
La ragazza non sapeva dire se era la pioggia ad annebbiarle la vista, o se erano lacrime quelle che le scorrevano sul viso.
Si sforzò di non fermarsi, perché sapeva che, se lo avesse fatto, non sarebbe più riuscita a rialzarsi.
Finalmente, riuscì a intravedere la massiccia struttura dell'ospedale oltre la pioggia insistente e si sforzò di aumentare il passo.
Si fiondò nella reception e chiese affannata "Qual è la stanza? La stanza di Richard McKallister. Me lo dica, la prego!".
L'infermiera sgranò gli occhi davanti a quella ragazza, bagnata fradicia e dallo sguardo stravolto, che le chiedeva dell'ultimo paziente.
Si sforzò di riprendere il controllo di sé e disse "Stanza 168. La prego di non affaticarlo, è ancora debole per il colpo subito".
Megan la ringraziò con un cenno e si diresse verso la corsia indicata dall'infermiera, badando appena alle persone che incontrava.
Si limitava a scansarle durante la corsa, cercando disperatamente la stanza di Richard tra le due file di porte che si affacciavano sul corridoio.
Doveva vederlo, a tutti i costi.
 
"È stato davvero fortunato" disse James McKallister, parlando con il fratello "Devi ringraziare che indossasse il casco, che ha attutito la caduta".
Helen si appoggiò al marito, mentre le lacrime non smettevano di inondarle il volto.
"Dio mio, ma perché? Perché quell'autista ha bevuto? È solo per miracolo che Richard sia ancora qui" singhiozzò, terrorizzata solo all'idea di poter perdere il figlio.
"Helen, in questo momento ha solo bisogno di riposo. Sta bene, grazie al cielo" la rassicurò James "Conoscendolo, tra un paio di giorni, sarà di nuovo in piedi".
Lanciò un'altra occhiata alla cartella clinica che aveva stilato e rassicurò il fratello "Ha solo alcune lievi contusioni sulle braccia ed al torace".
"La bassa velocità gli ha evitato danni più gravi" aggiunse tranquillo "Ric è sempre stato prudente con la moto, lo sai".
Un sorriso privo di allegria gli passò sul volto, mentre diceva "È della moto che dovresti preoccuparti. Tuo figlio ha la testa dura. Si riprenderà presto".
Josh non disse niente, troppo scosso per la tragedia che avevano sfiorato, e lasciò andare un sospiro.
Aveva rischiato di perdere suo figlio e la cosa lo aveva privato di ogni tipo di energia.
Dopo alcuni minuti di silenzio, Helen si raddrizzò, dicendo "Io vado da lui. Non ce la faccio a restare qui, senza fare niente".
Entrò silenziosamente nella stanza dove aveva portato il suo Richard e si sedette sul bordo del letto, osservandolo riposare.
Il ragazzo la guardò sorridendo appena "Mamma, sei ancora qui? Non dovresti riposarti un po'?".
La donna trattenne a stento un singhiozzo, sussurrando "No. L'unica cosa di cui ho bisogno è vederti guarire in fretta, tesoro".
"Ho solo fatto un volo dalla moto" ribatté lui, sforzandosi di ridere "Non devi preoccuparti così. Zio James ha detto che mi rimetterò in un paio di giorni".
Trattenne a stento una smorfia, quando una fitta di dolore lo trafisse di nuovo alla testa.
Il casco gli aveva evitato un trauma cranico, ma aveva preso lo stesso un bel colpo.
Le lamiere poste sul muso del camion non erano certo cuscini di piume.
Si sforzò di sorridere e non fare capire a sua madre che la testa gli pulsava come se ci avesse sopra un martello pneumatico.
Non voleva allarmarla più del dovuto, era già uno straccio.
Improvvisamente, sentì una voce allarmata provenire dal corridoio ed un'altra fitta, stavolta più dolorosa, gli strinse il cuore.
Avrebbe riconosciuto quella voce tra mille.
Una volta lo avrebbe rassicurato, ma a quel punto a che serviva?
Helen si alzò dal letto, sussurrando "Ma questa è Megan…".
Avanzò verso le tapparelle per vedere cosa stesse succedendo, sussurrando "Cielo, ha l'aria stravolta! Dev'essere corsa qui appena ha saputo cosa ti è successo…".
Rivolse uno sguardo al figlio e chiese "Vuoi farla entrare, o le devo dire che stai dormendo?".
Richard ci rifletté per un attimo, pensando a cosa fosse più giusto fare, poi disse "Falla entrare, ma dille che sto riposando. Ho bisogno di capire una cosa".
Sua madre annuì ed uscì fuori.

Megan vide i genitori di Richard davanti alla porta della camera e corse verso di loro, cercando disperatamente di trovare ancora un po' d'energia dentro di sé.
Il padre stava parlando con un medico che lei riconobbe immediatamente, perché era lo stesso che l'aveva visitata quando Jennifer le aveva lanciato quella pallonata nello stomaco, mesi prima.
Era lo zio di Richard, nonché primario dell'ospedale.
Era l'unico a poterle dire come stava esattamente il ragazzo.
Arrancò verso i due uomini e dovette aggrapparsi allo schienale di una sedia per non cadere a terra.
Josh la riconobbe subito e le andò incontro "Megan! Quando sei arrivata qui?".
Le poggiò le mani sulle spalle ed esclamò "Dio, ma sei totalmente fradicia! Non dirmi che sei venuta da sola, senza farti accompagnare!".
La ragazza cercò di riprendere fiato, sussurrando a stento "Sono venuta.. il prima possibile… Non appena ho… ho saputo. Non potevo.. aspettare nessuno".
Gli rivolse uno sguardo implorante e carico di preoccupazione, chiedendo "Come sta?".
Il medico le si avvicinò e la fece sedere sulla prima sedia disponibile "Sta bene, per fortuna. Andava abbastanza piano e l'impatto non è stato troppo duro. Inoltre, aveva il casco, cosa che gli ha evitato danni alla testa".
Lei trattenne un sospiro e si accasciò sulla sedia "Lo indossa sempre. Non è mai uscito senza. È prudente".
"Già, e dobbiamo essere grati per la sua prudenza" sospirò Josh "Gli ha salvato la vita".
Megan lasciò andare un sospiro di sollievo e si prese la testa fra le mani "Ma perché deve capitargli tutto questo? Perché?".
All'improvviso, sentì una mano poggiarsi sulla sua spalla e vide Helen sorriderle "Ciao, Megan. Sei venuta per vedere Richard?".
La giovane annuì "Sono corsa qui non appena ho saputo cos'era successo. Non mi sono fermata neanche per rispondere al telefono".
"Anche se immagino fosse una della mie amiche che voleva accompagnarmi…" mormorò poi.
"Sei venuta fin qui, correndo sotto la pioggia?" chiese il medico e la vide annuire appena.
"Dovevo sapere come sta. È stato… terribile sapere quello che gli è capitato a due passi da casa mia" sussurrò con un filo di voce.
James la guardò, notando i graffi sulle mani e sulle ginocchia, dove il duro asfalto aveva bucato i jeans.
"Sarebbe meglio che ti disinfettassi quei graffi. Sembra che tu sia inciampata ogni due passi" disse serio, ma lei scosse la testa.
Non voleva che la medicassero, voleva solo vedere Richard ed assicurarsi che stesse bene.
Dopo qualche istante, alzò lo sguardo e chiese "Posso vederlo?".
Helen annuì appena, nel dirle "Però ora sta riposando. Non credo che ti risponderà".
"Non importa" sussurrò Megan "Devo vederlo e… e assicurarmi che stia bene. Non ce la faccio a restare qui. Non ci riesco".
James le aprì la porta e lasciò che se la richiudesse alle spalle, poi sussurrò alla cognata "Perché gli hai detto che dormiva? Vi ho sentito parlare, un attimo fa".
La donna si strinse nelle spalle e rispose mesta "È stato Richard a chiedermelo. Non so il perché".
 
Megan entrò nella stanza e lo vide disteso sul letto, addormentato.
Alcuni monitor lampeggiavano accanto a lui, segnalando il battito cardiaco e la pressione.
Lei non capiva niente di medicina, ma qualcosa le disse che era tutto nella norma, che stava bene.
Si accasciò sulla sedia accanto al letto e rimase ad osservarlo, mentre le lacrime le annebbiavano la vista.
Una benda candida gli cingeva la fronte, scomparendo a tratti sotto la sua chioma scura.
Un'altra era avvolta attorno al braccio sinistro, per tutta la lunghezza, dal gomito al polso.
Non osava immaginare quante altre bende avessero usato per fasciargli le ferite e sentì un groppo chiuderle dolorosamente la gola.
Non riusciva più a trattenere l'angoscia che aveva provato in quei lunghissimi minuti passati a correre verso l'ospedale; le stava scoppiando il petto.
Gli prese la mano tra le sue e se la portò al viso, "Oh, Richard" sussurrò "Ma perché ti sta capitando tutto questo? Non bastava quello che hai già patito?".
Le lacrime le inondarono il viso, bagnandole le guance, e scivolando sulla mano di lui.
Per Richard fu davvero dura non aprire gli occhi e rassicurarla che stava bene.
Non sopportava di vederla soffrire, ma doveva capire se davvero gli avesse scritto quella dannata e-mail.
Si costrinse a restare immobile, anche quando lei iniziò a singhiozzare e gli strinse la mano appena più forte.
Possibile che stesse soffrendo tanto per lui?
O lo faceva, perché era sconvolta dall'effetto che aveva prodotto la sua e-mail?
Non sapeva dirlo.
La giovane si appoggiò a lui, continuando a piangere "Non è giusto che tu debba soffrire così… Ma perché deve andare tutto così male? Perché il destino è così crudele?".
Si rialzò a sedere e gli sfiorò la fronte con le dita, accarezzandogli il volto "Mi dispiace, Richard. Mi dispiace tanto che la vita non riesca a darti un po' di pace".
Il ragazzo non riuscì a rimanere fermo e le strinse la mano, pensando di aver avuto la conferma ai suoi peggiori incubi.
Megan sobbalzò e gli si avvicinò di più "Richard. Ti ho svegliato? Come ti senti?".
Lui sbatté un paio di volte le palpebre e la guardò in volto "Oh. Ciao, Megan. Cosa ci fai qui?".
Aveva il viso stravolto e rigato dalle lacrime, e rimase sorpreso nel notare che anche la sua felpa era totalmente bagnata.
Doveva aver corso sotto la pioggia per andare da lui.
Non sapeva più cosa pensare…
Possibile che gli avesse scritto davvero quel messaggio d'addio?
Megan lo guardò sconcertata, mormorando "Come, cosa ci faccio qui?! Sono venuta a vedere come stavi! Ho sentito la notizia in televisione e mi sono subito precipitata qui. Sapessi che angoscia ho provato…".
"Ti interessa davvero sapere come sto?" chiese il giovane incredulo, "Richard, ma sei ammattito?! Ovvio che voglio sapere come stai! Ma cosa ti salta in mente?".
"Perché?" sussurrò il ragazzo, voltandosi dall'altra parte "Cosa ti ha spinto a venire qui, se non vuoi più vedermi?".
Lei lo fissò come se fosse impazzito di colpo, "Ma che accidenti stai dicendo? Morivo dalla voglia di vederti, dopo più di una settimana che eri sempre nervoso e non volevi nessuno intorno!".
Scosse la testa, cercando di comprendere cosa volesse dire, ma non arrivò a capo di niente; non riusciva a capire quel comportamento da parte sua. Non era da lui parlare in quel modo.
Lo guardò in volto, sussurrando "Volevo vederti di nuovo sorridere come prima, ma sapevo che avevi bisogno del tuo tempo e non ti ho voluto forzare. Non hai letto le e-mail che ti ho lasciato?".
Richard riportò lo sguardo su di lei, con gli occhi che gli scintillavano per la rabbia ed il dolore "Oh, sì. Le ho lette tutte, specialmente l'ultima".
Chiuse gli occhi per un attimo, cercando di contenere la sua sofferenza "Quella in cui mi hai detto che tra noi è finita".
Megan lo guardò senza capire "Non ti ho mai mandato un'e-mail del genere! Perché mai avrei dovuto farlo? Non ha senso!".
Il ragazzo le rivolse uno sguardo furioso, poi si sporse verso la giacca e prese la lettera che aveva stampato.
Gliela mise in mano, dicendo "Allora, come la spieghi questa? Mi è arrivata ieri sera, ma l'ho letta solo qualche ora fa. Direi che il suo contenuto è piuttosto chiaro".
Lei aprì il foglio e lesse il messaggio che vi era scritto, rimanendo shoccata da quello che diceva.
Quando finì, chiuse gli occhi e scosse la testa incredula "Non ti ho mai scritto quest'e-mail. Ieri sera ero a casa di Susan con tutte le altre".
Fissò nuovamente quelle parole, chiedendosi cosa stesse succedendo "E poi… Non ha senso! Perché avrei dovuto scrivere questo messaggio così assurdo?".
Richard sospirò "Non lo so, ma è lì. Nero su bianco. Quello che vorrei capire è ilperché l'hai scritta".
La ragazza strinse i pugni "Non l'ho scritta io. Non ho una sola ragione al mondo per dirti queste cose. Nessuna".
"Sbaglio o quello è il tuo contatto, con la tua scrittura?" chiese lui, cercando di non mostrare quello che stava provando.
Non riusciva a capire più niente.
Perché si stava difendendo così accanitamente, se aveva davvero scritto quell'e-mail? Non aveva senso.
Eppure, era dal suo contatto che l'aveva ricevuta, quindi avrebbe potuto scriverlo solo lei.
"Non so chi ti abbia scritto questo messaggio, ma certo non io" mormorò Megan "Non ne avrei nessun motivo. Io ti amo, perché dovrei mettere fine alla parte più bella della mia vita?". Il ragazzo sentì il cuore lacerarsi, mentre diceva quelle parole, ma non aveva altra scelta.
Se lei non lo voleva più, non aveva alcun diritto di imporsi nella sua vita.
La cosa che però non capiva era che Megan diceva di amarlo ancora, ma allora perché gli aveva scritto quel messaggio?
"Vattene, Megan" sussurrò "Se sei così decisa a non vedermi più, allora vai. Nessuno ti costringe a restare contro la tua volontà. Va' via".
Lei sentì qualcosa spezzarsi dentro di sé, dolorosamente.
Non voleva più starle accanto, non la voleva più. Le sue parole erano chiare.
"Perché non mi credi?" sussurrò, prima che un singhiozzo la scuotesse, "Non ho scritto io quella lettera!".
Richard non rispose e la ragazza capì che non voleva più parlarle, voleva solo che se ne andasse.
Un secondo singhiozzo la scosse con forza, mentre si sfilava l'anello che le aveva regalato e lo lasciava tra lenzuola candide.
Se tu non mi ami più, è inutile che io continui a tenerlo mormorò, mentre si alzava e correva via, con le lacrime che le rigavano il volto.
Scansò i genitori del ragazzo e si diresse verso l'uscita dell'ospedale, ma, alla fine della corsia, qualcuno l'afferrò bruscamente per i capelli, rischiando di farla cadere all'indietro.
Non riuscì a trattenere un gemito e si voltò per vedere chi la trattenesse con tanta forza.
Rimase sbigottita, quando si ritrovò davanti una Jennifer sogghignate e soddisfatta. "Meg?" le disse con un sorriso sarcastico "Ma cosa ci fai qui? E perché sei così sconvolta?". Lei non rispose, mentre un altro singhiozzo le mozzava dolorosamente il respiro, ma tentò di liberarsi dalla sua presa.
Voleva solo andarsene da lì, nient'altro. Ma cosa voleva da lei?
Jennifer aumentò la presa, avvicinandosi sempre più "Sai, la vendetta è dolcissima. Aspettavo solo di vederti uscire dalla sua stanza. Tu mi hai portato via Richard e ora lui ti molla così, su due piedi. È una cosa assolutamente fantastica".
"Lasciami" singhiozzò Megan, cercando di liberarsi "Lasciami andare, Jennifer".
"Oh, no" rispose l'altra, con un sorriso perfido sulle labbra "Non ti lascerò andare prima di averti visto strisciare ai miei piedi. Perché è questo quello che ti meriti!".
Le diede uno strattone così forte da farla cadere in ginocchio, e sorrise quando la sentì gemere di dolore.
Quella scena era molto meglio di come se l'era immaginata in tutti quei mesi. Stava soffrendo come un cane ed era sola. Totalmente sola.
"Ora tu passerai il resto della tua inutile vita a chiederti cos'è successo tra voi, mentre io…" le sussurrò melliflua "Io starò con il mio Richard a godermi quello che mi spetta di diritto".
La ragazza fece un ulteriore tentativo di liberarsi e riuscì a darle una spinta, che la mandò contro la parete.
Si alzò lentamente e le rivolse uno sguardo pieno di dolore "Non ti basta che io stia soffrendo così. Tu vuoi davvero vedermi morta. Ti diverti a farmi star male. Beh, complimenti, ci sei riuscita".
Con un immane sforzo di volontà pronunciò le sue ultime parole "Spero solo che Richard possa trovare una ragazza che sappia comprenderlo e farlo sentire amato come lui desidera. Anche se dubito fortemente che quella ragazza possa essere tu".
Poi si voltò e corse via, sotto la pioggia battente.

   
 
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