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Autore: Fragolina84    25/02/2013    1 recensioni
Makani è la parola hawaiana per vento. Ed è un vento nuovo quello che soffia sui Five-0 e sul comandante Steve McGarrett. Questo vento ha un nome, Nicole Kalea Knight, e il volto di una giovane donna dagli splendidi occhi viola. Basteranno questi occhi a catturare un ex Navy SEAL?
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Steve McGarrett, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I miei Five-0'
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Capitolo 10
Non è solo una collega. È anche la mia ragazza

 
Nicole non si era resa conto delle ore che passavano, talmente concentrata nel suo lavoro. Perciò, quando Kono si era affacciata nel suo ufficio, aveva sussultato sorpresa.
«Te ne vai di già?» aveva chiesto prima di guardare l’orologio e rendersi conto di quanto fosse tardi.
«Direi che è il caso che vada anche tu» aveva replicato l’amica.
«Direi di sì» aveva confermato ridendo, cominciando a spegnere i suoi computer.
«A domani, allora».
«Ciao, Kono».
Nicole mise la borsa a tracolla e si diresse verso l’ufficio di Steve. Lui e Danny erano impegnati con il Governatore ma quando Steve la vide al di là della porta di vetro si scusò e uscì.
«Ne avremo ancora per un po’, Nicole».
«Ok, fa’ pure con calma. Io intanto vado a casa. Sono stanca e ho voglia di fare una doccia» disse, ma lui storse la bocca in una smorfia.
«Lo sai che preferisco non lasciarti sola, Nicky».
Nonostante fosse passato più di un mese dall’irruzione nell’appartamento di Nicole e, sebbene in questo mese non avessero avuto nessun segnale di pericolo, Steve non si rassegnava ad abbassare la guardia. La donna viveva ancora con lui e, anche se non ne avevano mai parlato apertamente, entrambi erano stupiti dalla facilità con cui avevano affrontato la convivenza, cosa che spaventava non poco Nicole.
Continuava a ripetere a se stessa che non si trattava di una vera e propria convivenza quanto piuttosto di una situazione determinata da cause di forza maggiore, ma non poteva negare di trovare davvero piacevole la routine che s’era instaurata. Era bello svegliarsi e fare colazione insieme al mattino, andare al lavoro insieme, rientrare la sera e dedicarsi a preparare la cena. E poi c’erano le notti passate a fare l’amore ma soprattutto ad esplorarsi reciprocamente le anime, confessando l’un l’altra delusioni del passato e progetti per il futuro.
La vigilanza di Steve sulla sua sicurezza comunque non si allentava mai e ora, di fronte alla sua affermazione, Nicole sbuffò.
«Oh, andiamo. È passato più di un mese, Steve. Davvero non posso stare un’ora senza che tu mi ronzi intorno?» domandò.
Lui sogghignò. «Ti dà così fastidio che ti ronzi intorno?».
«No, che non mi dà fastidio. Però, provi mai a metterti nei miei panni?».
«Nicky, ho già sottovalutato la situazione una volta quando ho detto ad Elliot di ritirare i suoi uomini. Non capiterà di nuovo. Non ci metterò molto, mezz’ora al massimo».
Nicole alzò lo sguardo verso di lui, scatenandogli contro tutta la potenza di quegli occhi a cui lui non si era ancora abituato.
«Steve, lo so che quanto stai facendo lo fai per il mio bene e per la mia sicurezza. Però non possiamo pensare di continuare così per sempre».
Ne avevano parlato anche un paio di sere prima quando Steve le aveva proibito di uscire con Summer. Lei l’aveva accusato di essere troppo protettivo, ma alla fine aveva ascoltato il suo consiglio e aveva invitato Summer a casa loro.
«Io ho bisogno di un po’ di tempo da sola, Steve. Capisci cosa intendo?».
Sì, certo che la capiva. Ma non riusciva ad abituarsi al pensiero di lasciarla sola, anche se solo per un breve periodo.
«Ti prego» mormorò lei, e di fronte a quella supplica si rese conto di stare esagerando.
«E sia. Va pure. Ma tieni la pistola carica e a portata di mano» cedette infine, consegnandole le chiavi della Camaro, e lei sorrise. Gli porse la bocca da baciare. «Ti aspetto a casa».
La seguì con gli occhi mentre usciva e poi, con un sospiro, rientrò nel suo ufficio, riprendendo la riunione dal punto in cui l’avevano interrotta. Anche se in un angolo della sua mente era sempre presente il pensiero di Nicole, il consueto incontro con il Governatore lo assorbì del tutto. Sicché, quando il suo iPhone squillò, osservò l’orologio e si accorse che era trascorsa un’ora e mezza da quando Nicole se ne era andata.
«McGarrett» rispose, senza nemmeno controllare chi fosse.
«Comandante, sono Duke». Duke Lukela fungeva da intermediario tra il Dipartimento e i Five-0. «Signore, abbiamo un problema con Alvarez».
Steve sentì un brivido corrergli giù per la schiena. «Di che si tratta, Duke?».
«È evaso».
McGarrett scattò in piedi. «Quando è successo?».
«Un’ora fa. Stava ritornando ad Halawa dopo un’udienza al processo e alcuni uomini armati hanno assaltato il blindato su cui lo stavano trasportando. Due dei nostri sono morti e il terzo è ridotto abbastanza male. Ci hanno messo un po’ ad avvisarci ma appena mi è giunta la notizia ho pensato di chiamarla. So che il caso Alvarez era vostro».
«Ha fatto benissimo, Duke. Grazie» esclamò Steve e riattaccò.
Compose subito il numero di Nicole e mentre portava il cellulare all’orecchio, spiegò a Danny e alla Jameson cos’era successo. Il telefono squillò a lungo ma Nicole non rispose. Steve lo lasciò squillare finché entrò in funzione la segreteria e poi riattaccò.
«Maledizione!» imprecò. «Governatore, ci scusi ma dobbiamo andare. Danny, ho bisogno della tua macchina».
Entrambi si precipitarono fuori e Steve si mise al volante dell’auto di Danny, una Camaro identica ma di un grigio più scuro. Mise in moto e mentre si avviava, lasciando sull’asfalto buona parte degli pneumatici, Danny fece partire la sirena e i lampeggianti.
«Danny, chiama un’ambulanza. Dì che ci raggiunga a casa mia»
«Suvvia, Steve. Credi davvero che servirà?».
«Dipende» replicò Steve.
«Da cosa?» chiese Danny mentre faceva partire la chiamata.
«Alvarez è a piede libero da due ore. Se ha deciso di vendicarsi subito e ha tutto questo vantaggio su di noi, potrebbe bastarle il medico legale» ringhiò in risposta, premendo più a fondo l’acceleratore.
 
Nicole uscì dalla doccia e avvolse i capelli in un telo per farli asciugare. Mentre si vestiva, si compiacque di quel momento di libertà che Steve le aveva concesso. Certo, doveva ammettere che la vicinanza di Steve le faceva piacere in modo vergognoso, però lo vedeva spesso teso e nervoso, come se si aspettasse chissà quale attacco da un momento all’altro. Era felice che si fosse tranquillizzato abbastanza da permetterle almeno di tornare a casa da sola.
Si spazzolò i capelli all’indietro, lasciandoli sciolti sulle spalle. Scese al piano di sotto e tirò fuori dal frigorifero le bistecche che aveva messo a marinare quel mattino. Le finestre della cucina affacciavano direttamente sull’oceano che, nella luce del crepuscolo, rumoreggiava inquieto, sbattendo con forza sulla spiaggia.
Si chinò per prendere una padella, ma si bloccò quando una voce che riconobbe immediatamente la salutò.
«Aloha, Nicole».
La donna si voltò e se lo ritrovò di fronte. La parte razionale del suo cervello ci mise un po’ a rendersi conto di ciò che stava vedendo. Alvarez avrebbe dovuto essere in prigione, non era possibile che fosse lì. Eppure, senza alcun dubbio, sapeva che Alvarez era lì solo per lei. La luce fanatica che gli illuminava gli occhi non lasciava dubbi sul destino che le avrebbe riservato.
La mente corse subito alla pistola che aveva lasciato di sopra, nel primo cassetto del comodino dove la riponeva tutte le sere quando tornava dal lavoro con Steve. Ma stasera Steve non c’era. Non aveva nemmeno il cellulare, che aveva lasciato nella borsa che aveva posato sul divano accanto alla porta d’ingresso.
Aveva un’unica possibilità: tentare di prendere tempo. La notizia dell’evasione di Alvarez sarebbe presto arrivata a Steve. E, ne era certa, lui si sarebbe immediatamente precipitato a casa.
«Il ricordo che serbavo di te era imperfetto» disse Alvarez. «Non ricordavo che fossi così bella. Probabilmente il merito è di questa novella storia d’amore con il comandante McGarrett».
Durante quei lunghi giorni in prigione, Tony Alvarez era progressivamente scivolato verso una sorta di pazzia. Aveva sviluppato una morbosa ossessione per Nicole, la donna che reputava l’unica responsabile del suo arresto. Con le sue conoscenze ed i suoi agganci era stato un gioco da ragazzi manovrare ogni cosa dal penitenziario. Anzi, era rimasto abbastanza stupito di riuscire benissimo a muovere i fili anche da lì.
Alcuni dei suoi uomini, scampati all’arresto nel blitz del Moonlight, avevano progressivamente rimesso in piedi la sua organizzazione. Ma restava il fatto che questa donna gli aveva tolto la libertà e nella sua mente malata era diventata la vittima sacrificale. Aveva giurato di vendicarsi e quindi aveva chiesto ai suoi di tenerla d’occhio, di raccogliere ogni minima informazione su di lei, attendendo il momento propizio per fargliela pagare.
Si era pentito di averla aggredita quel lunedì mattina perché aveva in qualche modo rivelato le sue intenzioni, ma l’odio gli aveva incendiato le viscere e non era stato capace di trattenersi. In seguito, era stato subito informato del fatto che la donna era costantemente sorvegliata da un paio di guardie del corpo. Così aveva ordinato di evitare ogni contatto. Voleva che lei si sentisse al sicuro e che abbassasse la guardia.
E non appena l’aveva fatto, aveva chiesto ai suoi di penetrare nel suo appartamento. Dovevano evitare qualsiasi approccio con la donna, ma solo farle sapere che erano passati di lì.
Lei si era quindi trasferita in Piikoi Street, confermando così di avere una relazione con il suo capo – cosa di cui peraltro lui era già stato messo al corrente. A quel punto, Alvarez si era reso conto che la vendetta era diventata più difficile. Conosceva la fama del comandante Steve McGarrett e sapeva che con lui non poteva permettersi errori.
La sua evasione era un piano che avevano escogitato da tempo, ma Alvarez aveva raccomandato di continuare a tenere d’occhio Nicole. La vendetta andava gustata fredda e lui aveva tutta l’intenzione di assaporarla sino in fondo, anche se avesse dovuto aspettare.
Quando, due ore prima, i suoi uomini avevano assaltato il cellulare che lo stava riportando ad Halawa, tutto era già pronto per farlo uscire dall’isola di Oahu nel più breve tempo possibile. Ma quando alla notizia che Nicole era finalmente sola, lui non aveva resistito, la coincidenza era troppo ghiotta per lasciarsela scappare.
Quando era arrivato alla villetta di McGarrett, lei era già in casa. Aveva forzato la porta della veranda ed era entrato. E ora ce l’aveva davanti e sentiva la rabbia e l’odio ardere nel petto.
«Sai, sono contento che tu e il comandante abbiate una relazione. Così prenderò due piccioni con una fava. Uccidendo te – perché io ti ucciderò, su questo non c’è dubbio alcuno – colpirò anche lui. Non avrei potuto sperare in una vendetta migliore».
«Ascoltami, Tony». Nicole cercò di assumere un tono rassicurante. «Non ne vale la pena. Perché rischiare un’ulteriore condanna?». Cercò di spostarsi lentamente verso il salotto; sperava di riuscire a prendere in qualche modo il cellulare e chiamare Steve. Ma non si illudeva che sarebbe stato così facile.
Alvarez intuì la sua mossa e si spostò velocemente nella stessa direzione, costringendola a compensare dall’altro lato, in modo da stargli il più lontano possibile.
«Non provare a fare giochetti con me, Nicole» ghignò. «Pensi davvero che sarò condannato per il tuo omicidio? I miei uomini mi stanno aspettando. Ho intenzione di sparire, ne ho abbastanza delle Hawaii».
«Lui non lascerà perdere, Tony. Ti troverà e te la farà pagare» disse Nicole e lui rise.
«Hai un’opinione troppo alta del tuo uomo, sai? Credo che…».
Nicole non seppe mai cosa volesse dire perché in quel momento udirono entrambi il suono di una sirena in lontananza. Nicole era certa che si trattasse di Steve perciò scattò verso il salotto, ma Tony fu più veloce e non le riuscì di oltrepassare la soglia.
Aveva sperato di poter fare le cose con calma ma ora si rendeva conto di doversi accontentare. La colpì con un pugno al ventre, facendola piegare dal dolore. Nicole rimase senza fiato e Tony l’afferrò per il collo, spingendola contro il muro. Cominciò a stringere la presa, schiacciandole la trachea e impedendole di respirare.
Il viso della donna si fece più scuro mentre sentiva le forze venire meno. Nicole aveva istintivamente afferrato i polsi di Tony cercando di liberarsi. Ora staccò una mano e, con riserve di energia che non sapeva di possedere, cercò di graffiargli il viso per indurlo a lasciarla. Tony resistette ma quando lei gli infilò il dito nell’occhio, gridò di dolore e la lasciò andare.
La sirena sembrava ora vicinissima e Nicole trasse un respiro, portandosi le mani alla gola dolorante. Era stordita per la mancanza di ossigeno perciò non vide nemmeno partire il potente manrovescio che la colpì al viso. Nicole perse l’equilibrio e cadde, sbattendo violentemente la testa contro il fianco del frigorifero e scivolando a terra, priva di conoscenza.
Anche Tony aveva sentito la sirena più vicina. Gettò uno sguardo alla donna che giaceva a terra ed estrasse la pistola che uno dei suoi uomini gli aveva lasciato. Avrebbe preferito farlo in un altro modo, con più calma. Ma ormai non aveva più tempo. Tolse la sicura e abbassò l’arma.
In quel preciso momento la porta d’ingresso si spalancò e sulla soglia apparve Steve con la Beretta puntata davanti a sé. Vide Alvarez con l’arma puntata verso terra e, d’istinto, sparò due colpi. Lo prese al petto e per la violenza del colpo ravvicinato il corpo finì contro il tavolo della cucina, scivolando poi a terra.
Steve corse in cucina, gettando un fugace sguardo verso Alvarez e lasciando a Danny, che era entrato subito dietro di lui, il compito di verificare che fosse morto.
Con il cuore in gola si chinò su Nicole.
«Nicky! Nicky, rispondimi!» la chiamò, senza avere alcun cenno di risposta. Steve la fece girare dolcemente, cercando di metterla supina. Nel movimento, la testa della donna ciondolò e Steve notò un sottile filo di sangue che le usciva dall’orecchio e che aveva formato una piccola pozza sul pavimento.
«Oh, mio Dio!» invocò e Danny si accosciò al suo fianco.
«Vieni via, Steve» lo pregò, afferrandolo per le spalle e togliendolo di mezzo, facendo spazio ai paramedici che erano già entrati. Questi si affaccendarono attorno alla donna e ben presto poterono assicurarla alla barella e portarla fuori, caricandola sull’ambulanza.
Steve salì con lei e l’autista partì a sirene spiegate. Raggiunsero l’Hawaii Medical Center in cinque minuti e Nicole fu subito assistita.
Anche Danny, dopo aver chiamato Chin e Kono e averli incaricati di coordinare le cose nella villetta di Piikoi Street, raggiunse l’ospedale e rimase a fare compagnia a Steve su una dura seggiola della sala d’attesa. Trascorse quasi un’ora prima che un medico uscisse per parlare con Steve, tempo che l’uomo aveva occupato passeggiando nervosamente avanti e indietro, mentre Danny lo seguiva con lo sguardo.
«Comandante, la situazione è critica, ma Nicole non è in pericolo di vita. Ha subìto un serio trauma cranico. Le abbiamo fatto una TAC che ha evidenziato la presenza di un discreto ematoma all’interno della scatola cranica».
Steve si passò una mano sul volto. «Potete intervenire?» chiese, ma il dottore scosse la testa.
«Purtroppo no. L’unica cosa da fare è aspettare che si riassorba da solo. La terremo in terapia intensiva fino a quando l’ematoma non si sarà riassorbito».
McGarrett sedette pesantemente.
«Potrebbero esserci danni al cervello?» chiese e il dottore lo osservò a lungo prima di rispondere.
«È presto per dirlo. Nicole è stata fortunata perché è stata soccorsa in fretta. È giovane e perfettamente in salute e questo di sicuro aiuterà nella riabilitazione. La terremo in coma farmacologico finché la situazione non si sarà stabilizzata. Quanto ai danni cerebrali, non potremo verificare se ce ne siano e di quale entità finché non si risveglierà. Voglio essere sincero fino in fondo con lei: potrebbe recuperare al cento per cento tutte le funzionalità, e questo è lo scenario migliore. Nel caso in cui dovesse riportare dei danni, dipenderà dall’area colpita». Il dottore posò una mano sulla spalla di Steve. «Non si preoccupi, comandante. Nicole sarà assistita nel modo migliore. Tra qualche giorno la sua collega si risveglierà e potremo valutare meglio la situazione».
Steve alzò gli occhi verso di lui. «Non è solo una collega. È anche la mia ragazza, quindi per me è una questione molto personale».
Il medico ritrasse la mano. «Capisco. Faremo il possibile, mi creda».
«Posso vederla?».
Il dottore stava per respingere la richiesta ma ciò che lesse negli occhi di Steve lo dissuase. «Va bene. Ma cinque minuti soltanto. Mi segua, comandante».
Prima di seguire il medico, Steve si rivolse a Danny.
«Per favore, chiama Kono. Chiedile di rintracciare il numero di sua madre».
«Vuoi che mi occupi io di telefonarle?» domandò Danny ma l’amico scosse la testa.
«No, è compito mio».
Nel reparto di terapia intensiva regnava una calma assoluta, interrotta soltanto dai continui bip degli strumenti medici. Steve indossò un camice sterile e seguì un’infermiera che lo introdusse nella camera singola che era stata assegnata a Nicole.
«Cinque minuti. Ordine del dottore» ricordò la donna che poi uscì chiudendo la porta.
Steve si avvicinò al letto. Nicole respirava autonomamente, anche se aveva la cannula nasale che l’aiutava nella respirazione. Aveva gli occhi chiusi e sembrava addormentata. Un braccio era appoggiato sul copriletto e ad esso era collegata una flebo che gocciolava pigramente.
Non c’erano segni esteriori dell’ematoma e, a dispetto della situazione, a Steve sembrò ancora una volta bellissima. Avvicinò una sedia al letto e sedette, prendendole delicatamente la mano fra le proprie.
«Ciao, piccola» sussurrò e rimase lì, immobile, aspettando stupidamente che quelle dita si stringessero comunicandogli che lo aveva sentito.
Raramente nella sua vita gli era capitato di sentirsi così impotente. Nutriva un forte senso di responsabilità nei confronti di ognuno dei componenti della sua squadra, ma ovviamente per Nicole provava qualcosa di diverso.
I suoi cinque minuti scivolarono via velocissimi tanto che, quando l’infermiera bussò con discrezione e socchiuse la porta, la guardò stranito.
«Mi dispiace, comandante» mormorò la donna, una biondina giovanissima. «I cinque minuti sono passati».
«Va bene» rispose Steve e si alzò. Le accarezzò la testa e si chinò per baciarle la fronte. «Torno il prima possibile, piccola».
Quando uscì, Danny lo stava aspettando. Steve sedette di nuovo sulla sedia di plastica blu della sala d’attesa, nascondendosi il volto fra le mani.
«Come sta?» chiese Danny, accorgendosi subito di come quella domanda suonasse inadeguata.
«Sembra una bambina, in quell’enorme letto, collegata a tutti quei tubi. Me l’hanno lasciata per appena cinque minuti».
La voce gli si spezzò e Danny gli posò un braccio sulle spalle.
«Vedrai che andrà tutto bene, Steve. Nicole si riprenderà».
«È colpa mia. Non avrei dovuto lasciarla sola. Se fossi stato con lei, Alvarez non sarebbe mai arrivato a toccarla».
«Steve! Non puoi incolparti di questo. Non potrai proteggerla sempre da tutto. Ciò che conta è che siamo arrivati in tempo e lei è ancora viva. E ora Alvarez non potrà più farle del male».
McGarrett balzò in piedi.
«Sì, però se fossi stato lì…» cominciò ma Danny lo bloccò subito.
«Ora smettila, super SEAL. È inutile piangere sul latte versato, a Nicole non serve a nulla. Ora, Kono mi ha mandato il numero della madre di Nicole».
Steve compose il numero e la chiamò e quando rispose si presentò come il comandante McGarrett. Iolana capì immediatamente che c’era qualcosa che non andava.
«È successo qualcosa a Nicole?» domandò.
«Purtroppo Nicole è rimasta ferita oggi in una colluttazione. Non è in pericolo di vita ma dovrà essere tenuta per qualche giorno in terapia intensiva. Ha la possibilità di raggiungerci qui in ospedale? Se vuole, posso mandare il mio partner a prenderla».
«No, grazie. Vi raggiungo immediatamente».
Steve non aveva mai visto Iolana ma appena la donna apparve nel corridoio dell’ospedale la riconobbe immediatamente. Era una versione adulta di Nicole, ma la bellezza e la grazia nei movimenti era la stessa. Steve pensò con piacere che Nicole sarebbe invecchiata allo stesso modo. Steve sapeva che Iolana era al corrente della relazione che aveva con sua figlia, ma era la prima volta che si incontravano.
«Mi spiace conoscerla in questo modo, comandante McGarrett» disse la donna, stringendogli la mano.
«Mi chiami Steve, la prego. Dispiace anche a me per questa situazione, mi creda. Nicole ed io avevamo in programma di invitarla a cena una di queste sere» spiegò. Poi indicò Danny con un cenno della mano: «Le presento il mio partner, il detective Danny Williams».
Terminati i convenevoli, Iolana fissò su Steve i suoi occhi nerissimi.
«Come sta mia figlia?».
Steve le illustrò brevemente la situazione.
«Crede che potrei vederla? Almeno per un attimo».
Steve sospirò.
«Non so se la lasceranno entrare. Comunque venga, proviamo».
Le infermiere di terapia intensiva furono irremovibili: Nicole non doveva essere disturbata. Perciò, Iolana dovette accontentarsi di guardarla attraverso la finestra. Steve rimase al suo fianco e, quando notò una lacrima scendere lentamente lungo la guancia, la cinse con un braccio.
«Stia tranquilla, Iolana. Nicole si riprenderà» disse, ripetendo la stessa rassicurazione che aveva sentito prima dalle labbra di Danny.
Quando uscirono dal reparto, Chin e Kono li avevano raggiunti. Chiesero notizie di Nicole e Steve li ragguagliò. Poi allargò le braccia. «Al momento non c’è nulla che possiamo fare qui. Nicole è assistita dai migliori medici e ho preso accordi con il primario perché ci avvisi immediatamente in caso di cambiamenti. Direi che possiamo tornare a casa».
 
I giorni che seguirono furono i più lunghi della vita di Steve. Ogni mattina raggiungeva l’ospedale per stare un po’ con Nicole. Dato che nessuna delle infermiere sapeva resistere al suo sorriso, le aveva convinte a lasciarlo entrare al di fuori dell’orario di visita; perciò aveva preso l’abitudine di andarci di primo mattino, in modo da poter passare qualche tempo da solo con Nicole, prima che arrivasse sua madre.
Poi si tuffava nel lavoro e tornava alla sera, prima di andare a casa. Ogni sera restava al capezzale della donna, struggendosi nel vederla bloccata in quel letto.
Nicole non mostrò alcun segno di miglioramento, anche se il dottore confermò che l’ematoma si stava riassorbendo senza problemi. Trascorse una settimana finché un mattino il primario fermò Iolana per parlarle. Steve fece per allontanarsi per lasciarle un po’ di privacy ma la donna lo trattenne.
«È giusto che stia qui anche tu, Steve» disse.
Seduti attorno al letto di Nicole avevano infatti avuto modo di parlare e di conoscersi e Iolana aveva subito capito che Steve era davvero innamorato di sua figlia. Non era difficile intuire i sentimenti che stavano dietro lo sguardo con cui Steve guardava Nicole o che erano nascosti nelle carezze e nei baci che le regalava sempre prima di andarsene a malincuore.
«Ho buone notizie» cominciò il dottore. «L’ematoma è completamente riassorbito e abbiamo deciso di interrompere la terapia farmacologica. Lo faremo progressivamente e Nicole dovrebbe svegliarsi».
«Dovrebbe?» domandò Steve.
«Purtroppo non ci sono garanzie e restano ancora da stabilire eventuali danni cerebrali. Però siamo fiduciosi. Nicole ha reagito molto bene alle cure e quindi non ci sono motivi per pensare che non si sveglierà. Non posso però darvi una data, ogni persona reagisce a suo modo. In ogni caso la faremo uscire da terapia intensiva, così sarete più liberi negli orari di visita».
A Nicole fu ridotto gradualmente il dosaggio dei medicinali che la tenevano in coma farmacologico finché furono sospesi del tutto. Il medico avvertì Steve e Iolana che la donna avrebbe potuto svegliarsi in qualsiasi momento e Nicole fu finalmente fatta uscire dalla terapia intensiva, anche se non dava alcun cenno di volersi svegliare.
Steve e Iolana cominciarono a fare a turno per restare sempre al fianco di Nicole, in caso si fosse svegliata. Ma passavano i giorni e lei non reagiva. Il medico non si diceva preoccupato perché potevano passare anche delle settimane prima che Nicole aprisse gli occhi, ma Steve smaniava.
Tutte le mattine andava a dare il cambio a Iolana che trascorreva la notte con la figlia.
Danny, che aveva provvisoriamente assunto il comando affinché Steve potesse badare a Nicole, cercava di sollevarlo il più possibile da qualsiasi incombenza e lo chiamava più volte al giorno per essere aggiornato sulle condizioni di Nicole.
Da quando la donna era stata trasferita, Steve aveva preso l’abitudine di portare un mazzo di fiori freschi ogni mattina. Ogni giorno erano fiori diversi e la donna delle pulizie gli faceva sempre trovare il vaso pronto sul comodino di Nicole.
Un mattino – erano trascorse più di tre settimane dall’incidente di Nicole – Steve arrivò con un bouquet di orchidee. Salutò Iolana che aveva fatto la notte e, come di consueto, baciò delicatamente le labbra di Nicole. «Ciao, piccola» le sussurrò, stringendole per un attimo la mano.
Diversamente dal solito, quel giorno non c’era il vaso sul comodino. Steve scrollò le spalle, appoggiando il mazzo sul tavolino e riservandosi di andare a cercare un contenitore prima di uscire.
Iolana raccolse le proprie cose e li lasciò, dopo averli salutati.
Steve sedette accanto a Nicole, tenendole la mano. Le parlava in continuazione, raccontandole dei nuovi casi dei Five-0, di come lei gli mancasse. Poi le raccontava di se stesso, della sua infanzia, del periodo all’Accademia e di tutto ciò che gli passava per la testa. Nicole era sempre immobile, con gli occhi serrati, ma Steve era sicuro che lei lo capisse e sapesse che le era vicino.
Verso metà mattina si alzò per sgranchirsi le gambe e notò i fiori ancora appoggiati sul tavolo. Temendo che si sciupassero, uscì dalla stanza e chiese all’infermiera dove poteva procurarsi un recipiente per i fiori.
Quando rientrò in camera, si bloccò sulla soglia. Nicole aveva gli occhi aperti e la testa girata verso di lui. Steve rimase immobile, senza nemmeno respirare. Nicole lo fissava con espressione imperturbabile ma non aveva idea di cosa le passasse per la testa, né se lo avesse riconosciuto.
Si fissarono per cento lunghi battiti del cuore agitato di Steve poi lei sorrise.
«Aloha, Steve» sussurrò.
Il vaso di plastica cadde dalle mani dell’uomo che si precipitò accanto a lei. Le posò le mani sul viso guardandola in quei suoi splendidi occhi viola che da tanti giorni agognava di vedere.
«Ciao, amore» rispose, posandole un bacio sulle labbra con la delicatezza di un volo di farfalla. «Come ti senti?» le chiese.
«Come se mi avessero investito con un camion» sussurrò. Poi girò lentamente lo sguardo intorno. «Dove mi trovo?».
«Sei in ospedale, piccola. Da tre settimane ormai».
«Tre settimane?» domandò incredula.
Steve annuì, mentre si allungava per premere il pulsante di chiamata.
«Ricordi cos’è successo?» le domandò, ma Nicole fece segno di no con la testa.
L’infermiera entrò nella stanza e quando constatò che Nicole si era svegliata disse che avrebbe avvertito immediatamente il dottore e sparì.
«Alvarez ti ha seguita a casa, ricordi?» la stimolò Steve e lei gli strinse convulsamente la mano. «Tranquilla» si affrettò a rassicurarla. «Alvarez non può più toccarti».
Il medico entrò in quel momento, seguito da un nugolo di persone vestite di bianco. Allontanarono Steve senza troppi complimenti e si affaccendarono attorno al letto. Nicole lo seguì con gli occhi e si agitò irrequieta. Lui cercò di incoraggiarla con lo sguardo pur restando in disparte ma quando gli infermieri gliela celarono e la sentì gemere sommessamente non resistette più. Scostò quasi di peso il dottore e tornò al fianco della donna che si calmò subito.
«Nicole, siamo molto felici che sia tornata fra noi» disse il dottore. «Certo che Steve non mi aveva detto che i suoi occhi erano così belli». Rise. «Ora la lasceremo riposare. Tornerò a visitarla più tardi».
Nicole spostò lo sguardo su di lui.
«Steve può restare con me?» chiese con un filo di voce.
Il medico sorrise. «Certo che può restare. In verità sarebbe difficile allontanarlo».
Quando finalmente li lasciarono tranquilli, Steve abbassò la sponda del letto e sedette sul materasso. «Dovremmo avvisare tua madre, non pensi?».
Mentre aspettavano che arrivasse, Steve le raccontò ciò che era successo. Nicole rimase ad ascoltarlo in silenzio mentre le descriveva di come avesse ucciso Alvarez appena prima che lui le desse il colpo di grazia.
«Appena ti ho vista a terra, con il sangue che ti usciva dall’orecchio, ho avuto la terribile sensazione di essere arrivato tardi. Pensavo di averti perduta e non me lo sarei mai perdonato. Non riuscivo a pensare alla mia vita senza di te perché ormai sei diventata parte di ciò che sono».
Nicole vide i suoi occhi diventare umidi e lucidi e alzò una mano. Gli accarezzò i capelli, attirandogli la testa contro il suo petto e stringendolo teneramente a sé.
«Sono qui, Steve. Non vado da nessuna parte» mormorò.
Lui alzò la testa e si tese su di lei, sfiorandole il naso con il proprio.
«Ti amo, Nicole» disse con semplicità.
Lei sorrise, radiosa. Lo attirò più vicino e lo baciò sulla bocca.
«Ti amo» rispose e rimasero così finché si aprì la porta della stanza e Iolana entrò trafelata. Steve si alzò dal letto e le lasciò il posto. Mentre usciva con la scusa di telefonare ai colleghi, la vide mentre si abbassava ad abbracciare la figlia, con le lacrime che le traboccavano dagli occhi.

  
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