Seconds, minutes and hours spill over
26 Settembre 1998, tarda mattinata.
Sono in caduta libera, dall’elicottero con il logo della Umbrella Corporation verso il suolo. E’ il momento che preferisco, quello in cui si svuota la mente e l’intera attenzione si focalizza nei secondi che si dilatano all’infinito. Tanto che quando le suole degli anfibi toccano terra mi sembra di aver volato per ore. Sgancio il moschettone di sicurezza che mi tiene ancorato alla corda e mi metto alla testa del Plotone Delta, i cui membri stanno ancora terminando la loro discesa. Quando l’elicottero si allontana i ranghi sono già serrati, le squadre divise in file ben organizzate, le armi pronte a far fuoco. Sguardi duri, composti, malinconici, sfregiati, spigolosi; giovani o meno. I miei soldati, i miei uomini.
La missione per il recupero dei civili superstiti alla tragedia che sta distruggendo la cittadina di Raccoon City non può attendere oltre. La gente ha bisogno di noi. Dobbiamo essere rapidi, spezzare le ore in minuti e i minuti in secondi, poiché in un misero istante una vita ci può sfuggire dalle mani, come uno sbuffo di fumo.
Finché, ad un tratto, anche il nostro tempo diventa contato: l’orrore ci travolge inaspettato. La nostra fine ha l’aspetto di mani sanguinanti tese alla spasmodica ricerca di un corpo da sbranare, di carne in putrefazione animata da chissà che spirito animale, di grida che fanno ghiacciare il sangue nelle vene.
Un giorno fa avevo un plotone. Un’ora fa avevo la certezza di un facile e rapido successo. Un minuto fa, l’uomo vicino a me è caduto preda della più cupa paura e si è sparato alla testa prima che una di queste cose lo potessero raggiungere. Un secondo fa, ho sentito alle mie spalle un gemito strascicato troppo vicino. Tra un secondo, non so se sarò ancora in grado di respirare.