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Autore: AriiiC_    26/02/2013    3 recensioni
[Dal testo]
Si sentì come se, improvvisamente, le mancasse qualcosa che le era sempre appartenuto, fino ad allora.
Non avrebbe più rivisto i suoi capelli rossi, il suo sorriso, quelle brillanti iridi verdi in grado di farla sentire unica ed inimitabile.
Mentre piangeva seduta in una qualsiasi galleria di quel posto che pareva tutto uguale, si rese conto che, in fondo al cuore, l’aveva sempre saputo: erano come quercia e rondine che, consumato il loro breve amore stagionale, si dividevano. Destinati a continuare a cercarsi, ma a non ritrovarsi mai più.
Perché la quercia avrebbe avuto una vita lunga e prosperosa, piena di altre rondini. Mentre il povero volatile, con ogni probabilità, non sarebbe sopravvissuto all’inverno.


{Storia partecipante al contest "Like a Virgin"
{Crack!pairing che più crack non si può.
{Non aprite se non siete sicuri di essere psicologicamente pronti.
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Storia partecipante al contest "Like a Virgin - Every dog has his day" di oOo LaViSvampita oOo sul forum di Efp.





Sae aveva la bellezza di sessant’anni, la chioma grigia legata e le mani sporche di cibo quando lo vide per la prima volta. Era appena stato inviato dal Distretto 2 per diventare pacificatore, e subito s’era recato al Forno. Non negava la paura che fosse lì per controllare chi non seguisse la legge o barattasse illegalmente prodotti provenienti da fuori la recinzione. Eppure mantenne la calma, osservando il diciannovenne togliersi il casco e guardarsi intorno, più curioso che altro. Sembrava avesse voglia di sapere, di conoscere quella realtà effettivamente così distante da quella in cui era cresciuto. Aveva rossi capelli lisci, lunghi fino alle spalle, e occhi verdi come la zuppa che bolliva nella pentola davanti alla donna. I suoi zigomi erano alti, e il corpo parecchio magro, nonostante sarebbe dovuto essere forte e bene allenato. Mentre Sae lo studiava lui, semplicemente, aveva scosso la testa avvicinandosi a lei.
«Non è che me ne daresti un po’, … – cercò una parola che non trovò. – Come ti chiami? »
La donna lo scrutò torva, prima di affondare il mestolo nella sbobba con la mano sinistra e prendere la ciotolina in pietra con la mano destra. Vi versò dentro una cascata di liquido con diversi bocconcini di selvaggina e gliela porse.
«Sae. – disse, cupa. – Mi chiamo Sae.»
Non lo degnò di uno sguardo, guardandosi intorno e cercando di evitare che le loro iridi si scontrassero.
«Bèh, piacere, Sae. – e le porse la mano con fare gentile. – Io sono Darius, il Pacificatore. Quello nuovo.» poi scostò la chioma leggermente troppo lunga dal viso, mentre le loro dita si stringevano.
«Lo so: sono settimane che si parla di te. – constatò la donna. – Ma non pensavo fossi così giovane. E neppure così gentile.» non si rese conto delle sue parole fino a che non vide un’espressione stranita sul suo viso.
«Non sono gentile. – le rispose, inghiottendo una grossa cucchiaiata di brodaglia dopo averla attentamente annusata. – Faccio solo il mio lavoro.»
«Allora perché non mi arresti? – chiese, senza riuscire a frenare l’impulso di fare quella domanda stupida. – Cioè, perché non ci arresti tutti? Qui non c’è niente di legale.» la sua fronte si corrugò, raddoppiando già le abbondanti rughe che la coloravano. I suoi occhi neri si riversarono nel verde austero di quelli del giovane – perché lui, al contrario di lei, era davvero giovanissimo – prima che sorridesse.
Sì: Darius aveva sorriso. Sae non ricordava esattamente la prima volta che aveva visto un pacificatore sorridere – se mai vi fosse stata, una volta prima di quella –, ma sentiva che il suo sorriso fosse tra i più splendidi che avesse mai incontrato.
«Perché il mio lavoro è quello di proteggere le persone. – concluse, prima di avvicinare di nuovo le labbra al grezzo cucchiaio di legno per la seconda volta pieno. – Che animale è? Cane selvatico, forse? Bèh, nel Distretto 2 abbiamo tantissime cose, ma non questo. E sai che ti dico? – l’anziana giurò di aver visto la sua palpebra destra strizzarsi verso di lei. – Mi spiace non essere arrivato prima, Sae cara.»

-

Diventò una bella e malsana abitudine, quella di vedersi al Forno ogni giorno. Sae cucinava sempre quello che si trovava a portata di mano. A volte c’era il pesce fresco, altre delle fragole, in alcuni giorni fortunati capitava un cervo. Quando tutto andava male, bolliva dell’acqua con un po’ di menta e diverse spezie, dandola al ragazzo per farlo riscaldare. Forse non se ne rendeva neppure conto ma, se tutto ciò si fosse bruscamente interrotto, ci sarebbe stata male. Dal canto suo, Darius non vedeva l’ora di trovarsi sotto quel tetto – ehm, tegolato – confortante e malfermo dove si sentiva davvero come a casa.
Era una mattina di maggio fredda, e nessuno aveva voglia di parlare dopo l’accaduto. Quando veniva estratta una dodicenne, l’umore era naturalmente nero. Se poi sua sorella si offriva per lei, anche peggio. E loro la conoscevano, Katniss. Sempre pronta a fare scambi sconvenienti per aiutare Sae. Fu forse questo che spinse la donna ad uscire dal suo rifugio sicuro per recarsi al palazzo di giustizia. Voleva salutarla, darle un arrivederci che, temeva, sarebbe diventato addio. Ma un’inconfondibile chioma dello stesso colore del tramonto le andò incontro, pietrificandola.
«Sae, sei sicura?» chiese Darius, stringendole la spalla in modo rassicurante. Perché era quello l’effetto che il ragazzo le faceva. Se la sua vita era stato un uragano, lui era il momento di quiete fatto per durare; non tanto a lungo, ma almeno un po’.
«D-devo s-salutarla.» balbettò la sessantatreenne, tremante. C’era qualcosa negli occhi dell’appena ventiduenne pacificatore di stranamente triste. Qualcosa di morto, quasi. Ma il movimento frenetico delle sue dita diceva il contrario. Non era per niente calmo: tutt’altro che mite.
«Non so quanto ti potrebbe far bene, sinceramente. – il suo tono era piatto, tendente alla malinconia e al dolore. – E se non tornasse?»
«Sai che non è così. – sussurrò la donna, senza però piangere. – Sai che sa cacciare. Potrebbe tornare sul serio.»
«E se non lo facesse? – domandò forte il giovane. – Se un Favorito la uccidesse in malo modo?»
«Io mi fido di lei.» rispose scostandosi da lui. Non voleva essere così diretta, ma non trovava nessuna mezza misura da usare in un momento del genere.
«Anche io. Ma conosco quella realtà. Cosa credi, Sae? Vengo dal 2, sono stato in Accademia. E, in confronto a quello che insegnano lì, Katniss non sa fare niente…»
Colta dalla sua totale mancanza di tatto, la donna non notò neppure che il tempo era finito, e che la sedicenne se ne stava andando. Forse per sempre. Il suo sguardo la seguì malinconico, provando a dirle silenziosamente ciao.
Ma le sue iridi brune non incontrarono mai quelle della giovane.
«Sei un idiota.» sibilò a denti stretti, prima di provare a scappare. Ma le dita forti e salde del giovane si intersecarono alle sue. Le braccia forti di lui strinsero la donna con la stessa cura con cui si carezza un fiore. L’altra mano del ventitreenne scompigliava i capelli grigi raccolti alla buona. La sua voce era calda e, quando parlò, Sae sentì il suo petto vibrare.
«Lo faccio solo per proteggerti.»

 

-

Tra lo stupore generale, Katniss tornò.
Ma non lo fece da sola. Infatti, con la solfa degli “Sfortunati Amanti del Distretto 12”, anche Peeta arrivò a casa sano e salvo.
Nonostante la situazione fosse, di per sé, fuori dal comune, pareva poter tornare alla normalità: il ragazzo sarebbe semplicemente continuato ad essere “il figlio del fornaio” – nomignolo datogli una volta da Gale Hawtorne – e Katniss la cacciatrice dei boschi di sempre. Peccato che la storia degli innamorati non avesse attecchito come previsto – o, a seconda dei punti di vista, lo avesse fatto anche troppo – e Capitol City fosse sempre dietro l’angolo. A questo proposito, la pace che da sempre caratterizzava il Distretto era stata sostituita da una sdolcinata finzione, recitata alla perfezione da tutti o quasi.
Sae era una di quelle poche persone che non voleva far parte di tutto ciò: sapeva che quello era un sentimento falso, di quelli che portano solo guai. In più, osservare quanto Katniss fosse una brava bugiarda, in un certo senso, la disgustava.
«Ehi, Sae. Attenta alla zuppa, ché si brucia.» la riscosse una voce ruvida. Sicuramente l’anziana donna non avrebbe mai potuto confonderla, neppure dopo tutto quello che avevano passato. Strano a dirsi, ma le era mancata.
«Ehilà, Katniss. Qual buon vento? – chiese, osservandola coi penetranti occhi scuri. – Ormai, so che non devi più cacciare.» forse in fondo a quelle parole si nascondeva una profonda accusa, velata da un pizzico di invidia.
O, molto più probabilmente, indignazione nuda e cruda per l’orribile messinscena che avrebbe spezzato – Sae ne era quasi certa – il cuore di Peeta.
«Il cibo di Capitol non lo voglio: non voglio nulla da loro. – lo sguardo della Ragazza in Fiamme era serio, gli occhi grigi parevano lame pronte a colpire. – E poi, nulla sostituisce la tua zuppa.»
«Su questo hai ragione: Capitol City se la sogna, una bontà simile.» questa volta, a parlare, era stata una voce conosciuta, sempre uguale a se stessa. Quella educata e bassa del giovane dai lunghi capelli fulvi, che s’avvicinò come ogni giorno col pesante casco da pacificatore stretto in mano e la chioma – ormai, lunga fin oltre le spalle – sparsa un po’ ovunque. Fece un cenno alle due prima di sedersi.
«Non credevo l’avrei mai detto, ma mi sei mancato anche tu, Darius.» un accenno di sorriso – smorfia – si allungò sulle labbra della quasi diciassettenne.
Sae notò quanto fosse più vero di tutti i sorrisi che Katniss rivolgeva quotidianamente al Ragazzo del Pane. Girò la sbobba lesta con la sua solita cucchiaia di legno.
«Era ovvio che ti mancassi: senza il mio silenzio, ti avrebbero già tagliato la gola da un po’. – commentò lui malizioso, spostando lo sguardo dalla lei giovane a quella anziana, quasi automaticamente. – Cosa bolle in pentola oggi? Il profumo è delizioso.» affermò, tranquillamente.
«Cervo. – Sae sorrise lievemente. – Lo ha portato Gale.»
A quel nome, l’espressione sostenuta della cacciatrice perse un po’ di credibilità. In un attimo, però, si ricompose: era l’ennesima finzione, l’ennesimo inganno.
Cos’era rimasto della Katniss Everdeen che esisteva prima dei Giochi?
Sae non lo sapeva, ed evitò di fare ulteriori domande. Prese il mestolo, e versò una porzione di liquido per la Ragazza in Fiamme e una per il Pacificatore, preparandosi all’estenuante conversazione che avrebbe seguito.

-

Non passò troppo tempo da quella conversazione, quando qualcosa di terribile accadde.
Sae osservava la gente passare davanti al Forno, frenetica, vogliosa solo di arrivare in piazza in modo da poter osservare lo spettacolo. Eppure, lei non capiva. Non ce la faceva proprio. In fondo, erano ormai anni che non metteva il naso fuori da quella catapecchia – se si escludeva la sua gita al Palazzo di Giustizia quando Katniss era stata estratta – per vedere cosa succedesse nel resto del Distretto. Forse, valeva la pena tentare. Uscì quasi correndo, mentre la grigia gonna sgualcita le si strusciava contro le gambe. I piedi rigorosamente nudi sentivano le pietre scostanti e fredde della strada pungerli, ma non si fermavano. Le sue mani tenevano stretto il grezzo scialle in lana che aveva barattato una volta per un pezzo di carne. Quando pensò di essere abbastanza vicina al Palazzo di Giustizia, si fece largo tra la folla prima di fermarsi di scatto. Una ciocca di capelli scoloriti le si posò in volto, ma lei non la scostò. 
L’orrenda situazione che si trovò davanti le gelò il sangue nelle vene: Gale era lì, svenuto, accasciato per terra ma appeso ad un palo di legno per i polsi, col suo tacchino attaccato poco sopra il capo. E Romulus Thread – Darius le aveva detto, non troppo tempo prima, che era quello il nome del nuovo capo dei Pacificatori – era pronto a colpirlo, la frusta alta in mano. La donna trattenne il respiro, portandosi una mano sugli occhi. Le orecchie erano tese, pronte a sentire il rumore del dolore.
«Cosa diamine fai?» chiese il Rosso, inaspettatamente, comparendo dal nulla e avvicinandosi al suo superiore con aria autoritaria, forse troppo per lui. Il suo tono era gelido e tagliente. Ma non era questo che importava all’anziana: sapeva che l’individuo dai capelli rasati e gli occhi neri non si sarebbe fatto mettere i piedi in testa da un novellino ventitreenne. Lo squadrò attentamente. Il cuore di Sae batteva a mille a causa del terrore. Non era per sé, ma per lui. Fu forse quella la prima volta che si rese conto di quanto davvero teneva a Darius.
La mano di Thread fu lesta a colpire: la frusta sbatté violentemente contro la fronte del giovane, facendolo cadere a terra. Un urlo le si soffocò in gola, quando lo vide esanime. Il sangue di Gale schizzò di nuovo, ma lei non se ne accorse: tutto ciò che importava, ai suoi occhi, era il ragazzo steso sul nevischio, inerme. Mentre il mondo andava aventi, lei semplicemente iniziò a piangere. Non ricordava quand’era stata l’ultima volta che lo aveva fatto, ma ora valeva la pena versare un paio di lacrime. Perché, nel profondo del cuore, lei se lo sentiva: Capitol City non l’avrebbe mai perdonato. Lo aveva appena perso per sempre.
La riportò alla realtà la voce di Purnia – una pacificatrice, sua occasionale cliente – che la invitava a muoversi. Non sapeva quanto tempo fosse passato, ma sicuramente troppo poco per star meglio. Darius era ancora lì. Ancora gli occhi chiusi. Continuava a non muoversi.
«Ci dai una mano?» domandò qualcuno alla sua destra ma, prima che potesse rispondere, stava già tenendo il capo del giovane, con una delicatezza che non avrebbe mai creduto possibile. Gli carezzò i capelli rossi, che in breve le si sparsero a raggera tra le dita. Osservò il suo viso, così sereno e allo stesso tempo distante. Vide il colpo in mezzo alla fronte smettere di gonfiarsi e iniziare a diventar violaceo.
Fu come essere trapassata in pieno da un proiettile, quando le iridi verdi del ragazzo si destarono e si fissarono nelle sue.
«Sae… – biascicò con la sua solita voce profonda, ma più debolmente di quanto avesse mai fatto. – non te ne andare.» 
Ma lei non aveva intenzione di farlo: era lì, pronta a proteggerlo.
E ci sarebbe stata anche la mattina dopo, quando i suoi occhi si sarebbero aperti di nuovo.

-

La già rugosa fronte della donna sembrava diventarlo ancora di più ogni giorno che passava. Katniss e Peeta erano dovuti tornare nell’arena, Gale andava in giro delirando come un pazzo, dicendo che a breve Capitol City li avrebbe bombardati e – cosa peggiore di tutte – Darius era sparito.
Per i primi tempi in cui non lo aveva visto arrivare al Forno, di soppiatto, come piaceva fare a lui, aveva semplicemente pensato che stesse cercando di riprendersi. Quindi un po’ di sano riposo era inevitabile. Dopo una settimana abbondante, quando c’era già stata la Mietitura, però, tutto aveva cominciato a non quadrare: perché non era tornato?
Ogni giustificazione pareva non essere plausibile, e allora Sae ne inventava un’altra. Tra le migliori, spiccava quella in cui la donna spiegava la sua assenza dicendosi che non poteva più venire perché, dopo lo scherzo della fustigazione, sarebbe stato rigidamente controllato dai suoi superiori. E non sarebbe stato conveniente farsi trovare in un centro di baratto abusivo.
Purtroppo, neppure quella ci mise molto a frantumarsi. Solo una certezza la faceva stare calma: il ventiquattrenne era ancora lì, nel Distretto 12. Forse non si faceva più vedere, ma c’era.
E, con lei e pochi altri, sarebbe scappato. Perché non erano in molti a credere al giovane Hawtorne riguardo le intenzioni della Capitale. In effetti quel giorno freddo di luglio, al momento della partenza, non si presentarono più di settanta persone (e il Distretto contava circa tre mila abitanti). Superare la recinzione fu più facile di quanto la donna credesse. Neppure il tragitto era tortuoso come pensava. Anzi: sarebbe stato di semplice percorrenza, se solo non ci fosse stato il peso della sua fedelissima pentola in rame a gravarle sulle spalle. L’aveva portata nella speranza di trovare un po’ d’acqua e della carne, di riuscire ad accendere un fuoco e fare del brodo per tutti. Ma la faceva rimanere indietro. Gale, però, le si affiancò dopo un centinaio di metri.
«Serve aiuto?» chiese con un tono gentile che non sentiva da parte sua da troppo tempo. Tutte le volte che s’erano visti dopo la vittoria di Katniss ai Giochi, tutto ciò che s’erano detti era stato strettamente collegato ai loro scambi. Eppure ora le aveva parlato perché voleva. Niente di più, e niente di meno.
La sessantacinquenne esitò un paio di secondi, prima di posare il fagotto sull’erba e sorridere in direzione del ragazzo. «Non preoccuparti, Gale. Io sto bene. Penso che dovresti andare da Posy e Ro…» ma venne bruscamente interrotta da un suono sopra le loro teste. Degli hovercraft grigi si abbatterono sulla città, radendola al suolo. Le fiamme divamparono davanti agli occhi allibiti dei pochi superstiti del Distretto 12. 
Eppure, Sae si sentiva al sicuro, lì, in mezzo ai boschi. Mentre tutto andava a fuoco, scoppiava, si distruggeva in un barlume di follia, lei stava tranquilla. E mentre tutto era in frantumi, capì che le mancava qualcosa, per essere davvero al sicuro. Si voltò verso i suoi compagni di sventura, cercando la chioma color carota del ventiquattrenne. Ma non la trovò.
Darius dov’era?

-


La vita nel Distretto 13 era un inferno.
Tutto ciò che Sae poteva – o doveva – fare era cucinare. Il suo programma era monotono: preparare colazione, preparare pranzo, lavarsi, preparare cena e andare a dormire. Ma nessun programma resse più quando Peeta tornò da Capitol City. La donna aveva sentito dire per i corridoi della mensa che aveva quasi strangolato Katniss. Non sapeva se crederci o meno. Effettivamente, sarebbe stato probabile che il Presidente Snow avesse potuto depistarlo per fargli togliere la Ghiandaia di mezzo. Ma a lei, poi, non importava più di tanto. La cosa che la faceva fremere dalla voglia di incontrare il Ragazzo del Pane, era la possibilità – seppur remota – che sapesse qualcosa su Darius. Ormai, Sae s’era convinta che fosse tornato alla Capitale con gli altri Pacificatori, dato che in quei cunicoli bui non c’era traccia di lui. Ma non ne poteva essere convinta, fino a che non ne avesse chiesto conferma al giovane Mellark. 
Ci mise un paio di giorni a convincere Plutarch a farglielo incontrare. L’uomo aveva sempre un’obiezione diversa, ma la tenace sessantacinquenne trovò il modo per farlo acconsentire. Ci vollero, però, altri tre dì perché riuscisse a raggiungerlo davvero. La chioma grigia argentea era pulita e ordinatamente legata in uno chignon dietro il capo. Portava la tuta scura del Distretto, con tanto di pantaloni. Per un attimo si chiese se il biondo l’avrebbe riconosciuta, così abbigliata. Ma ogni dubbio passò quando la porta della Stanza Bianca s’aprì, e il Ragazzo del Pane la guardò come fosse la sua unica salvatrice. La donna sorrise e s’avvicinò un po’ di più, tenendo stretta la porzione di zuppa calda che gli aveva portato. Si sedette sul materassino accanto al ragazzo tremante nonostante la camicia di forza. Gli occhi scuri della donna esitarono su quell’ultimo indumento.
«Ciao, Sae. – disse con quella sua voce sempre dolce e tranquilla. Notando cosa aveva attirato l’attenzione dell’anziana, aggiunse: – Hanno pensato che ti avrei potuto far male, così me l’hanno messa. – gli pareva incompleto, così continuò. – Ma di te non ho alcun ricordo luccicante.»
Sae ci mise un po’ a comprendere appieno il significato di quell’ultima affermazione ma pensò che, comunque fossero andate le cose, era la sua unica occasione per sapere, davvero, come stava Darius.
«Ci sei mancato, Peeta. – sussurrò piano, prendendo un mestolo di liquido caldo e porgendolo al ragazzo. – Siamo sopravvissuti in pochi, ma ci sei davvero mancato.»
Un secondo prima che il cucchiaio raggiungesse la sua bocca, l’espressione del Ragazzo del Pane mutò: iniziò a tremare. Un qualcosa di estraneo alla Zozza gli colorò il viso, le sue pupille si dilatarono andando a cancellare quasi completamente l’azzurro degli occhi.
«Sae, mi dispiace. – giurò tutto d’un fiato. Non sapeva di cosa il giovane stesse parlando, e venne interrotta di nuovo da lui prima di poter domandare ulteriori spiegazioni. – Darius… so che ci tenevi a lui…» la sua voce era intrisa di una colpevolezza che la donna non aveva mai sentito in nessun’altra voce. Il terrore prese il sopravvento su di lei, quando semplicemente domandò cosa fosse successo.
«Io… io l’ho sentito urlare. – rispose, ancora sotto shock. – Lo hanno torturato. Lavinia è morta subito, ma per lui ci sono voluti giorni. Spesso la sera, quando tornava nella cella accanto alla mia, piangeva. – e anche Peeta cominciò a lacrimare. – Io non volevo che se la prendessero con loro! So quanto gli volevi bene… so che non mi perdonerai mai. Ma ti giuro che non volevo!» gridò, come chiedendo scusa, nonostante forse sapeva che la colpa non era sua.
Mentre il biondo ancora piangeva, Sae si sentì morire con Darius. Sentì le scosse elettriche come se fosse stata dentro il corpo del Rosso. Sentì la desolazione, la consapevolezza che fosse finita, la paura che ci volesse ancora del tempo.
Le braccia cedettero, facendo cadere la debole scodella in ceramica della mensa. Essa si frantumò contro le piastrelle della sala per i malati, ma la donna era già lontana.
Si sentiva una ragazzina che aveva appena perso il suo primo amore. Si sentiva come se niente avesse più senso, da quando Darius non c’era più.
Si sentì come se, improvvisamente, le mancasse qualcosa che le era sempre appartenuto, fino ad allora.
Non avrebbe più rivisto i suoi capelli rossi, il suo sorriso, quelle brillanti iridi verdi in grado di farla sentire unica ed inimitabile.
Mentre piangeva seduta in una qualsiasi galleria di quel posto che pareva tutto uguale, si rese conto che, in fondo al cuore, l’aveva sempre saputo: erano come quercia e rondine che, consumato il loro breve amore stagionale, si dividevano. Destinati a continuare a cercarsi, ma a non ritrovarsi mai più.
Perché la quercia avrebbe avuto una vita lunga e prosperosa, piena di altre rondini. Mentre il povero volatile, con ogni probabilità, non sarebbe sopravvissuto all’inverno.














 

Adolf's corner:
 

 E' da una vita che voglio scrivere qualcosa su questa coppia, ma non ho mai abbastanza coraggio/voglia per farlo. Questo concorso è stato un po' un "lampo di genio" per me. Infatti, leggendo delle coppie canon quanto "mia nonna che balla Gangnam Style il sabato sera in discoteca", ho subito pensato a Sae e Darius. In realtà, non c'è romanticismo troppo esplicito (in quanto la povera 

Sae potrebbe essere accusata di pedofilia) ma comunque c'è un qualcosa che li lega.
Sì, sono pazza, ma meglio non fateci caso.
Son voluta rimanere nel mio stile, facendo sei piccole shot collegate tra loro. Non sono troppo brava quando si tratta di cose lunghe.
Spero di non essere andata fuori dalle linee.
A presto! (?)
Bascii♥
Ariii, Jared, Shannon, Tomo e Marshall♥


ps. Crediti alla mia adorata Mito per l'editing♥
  
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