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Autore: Julie R    26/02/2013    3 recensioni
Frank non ha paura del buio. Frank non ha paura della voce che sente in piena notte. Frank non ha paura di stare da solo. Semplicemente perché Frank non è solo.
Genere: Dark, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Un po' tutti | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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DARKNESS
***
1.
Weirdo






Le lancette dell'orologio rimbombavano nella testa di Frank come se nel suo cervello ci fossero i macchinari di quell'infernale aggeggio.
Aveva gli occhi fissi sul pavimento sudicio di quella sala d'attesa. Avevano cercato di convincerlo che era pulito, ma per lui era comunque sporco. “Voglio andarmene.” disse immobile.
“Non fare il bambino, Frank.”
La porta si aprì ed uscì una donna tutta sorridente. Frank non sapeva proprio cosa c'era da ridere.
“Frank Iero?” disse con quel suo fastidioso sorriso sempre stampato in faccia.
“No, non sono io.” disse, e si alzò dirigendosi verso la porta opposta.
Linda, sua madre, lo afferrò per il braccio fino a fargli male.
“Ahia!” urlò.
“Cammina! Non fare lo stupido.” e lo trascinò fino alla stanza che Frank odiava a morte. Linda gli sistemò il colletto della camicia e il maglione blu che aveva messo sopra. Ogni volta che veniva in questo posto sua madre lo conciava come se stesse andando a un matrimonio. E Frank odiava anche i matrimoni.
Lo guardò negli occhi e poi gli diede un leggero bacio sulla guancia, “Comportati bene.”
Frank abbassò lo sguardo e spinse la maniglia, si fece coraggio ed entrò, chiudendosi la porta alle spalle.
“Ciao, Frank.” La voce proveniva dal fondo della stanza, dietro la scrivania.
“Ciao.”
“Siediti.”
Frank obbedì. Non voleva che sua madre gli facesse la ramanzina tornati a casa. Sapeva che la psicologa le raccontava tutto non appena lui usciva dalla stanza, e in questo non trovava un senso. La psicologa doveva parlare con lui e solo con lui. Sua madre non c'entrava.
“Come stai?” disse lei prendendo carta e penna.
“Bene... penso.” sorrise appena.
“Non hai più quei tuoi disturbi? La notte intendo...”
“Io...” Frank ci pensò un attimo e arricciò il naso, “No, non penso... Io... non lo so.” Accavallò le gambe velocemente e poi disse “Come si chiama lei? Non me l'ha mai detto. Non capisco perché lei può sapere tutto di me e io nulla di lei.”
“Oh...” La psicologa posò il suo materiale da lavoro e si tolse gli occhiali, “Mi chiamo Christa.”
“È sposata?” chiese Frank. Quel giorno non aveva proprio voglia di parlare di se stesso, e sembrava che Christa lo avesse capito, e lo accettò. Dopo tutto, erano quasi tre settimane che Frank andava lì, per un giorno gliel'avrebbe concesso.
“Sì, sono sposata.”
Frank annuì e per i seguenti cinque minuti ci fu silenzio.
“Ed è innamorata?”
Christa guardò Frank con aria interrogativa e poi rispose, “Certo che sono innamorata...”
“Io non so cosa vuol dire essere innamorati, e nemmeno cosa si prova ad essere amati da qualcuno.” abbassò lo sguardo, “Però non ho nemmeno voglia di scoprirlo. Perché nessuno potrebbe amarmi davvero.”
“Perché dici così?” chiese Christa rimettendosi gli occhiali.
“Perché nessuno può amare qualcuno che non riesce a capire, e che non riesce a capirsi, perché altrimenti non potrebbe capire se sono innamorato, e nemmeno io potrei.”
Frank si alzò e camminò verso la porta, ma prima di uscire si fermò e disse a bassa voce, “Nessuno può amare chi ha paura di se stesso.”

***************

Uno dei pochi momenti in cui Frank poteva essere se stesso era l'intervallo. Nessuno lo cercava, nessuno stava con lui, quindi aveva tutto il tempo da dedicare a se stesso e alle cose che gli piacevano. La musica era una di quelle cose.
Ogni giorno, quando suonava la campanella, Frank si alzava dal banco e andava nel cortile. Si stendeva su una panchina, metteva le cuffie e alzava il volume. Poi, a volte, prendeva un block-notes e buttava giù qualche frase, oppure disegnava qualcosa che non aveva un senso preciso. Alcuni li portava a Christa, ma lei non ci vedeva niente. In fondo, se lui non riusciva a capirsi, nemmeno gli altri potevano farlo.
Quando alzava gli occhi dal suo block-notes, aveva una visione del mondo peggiore di quello che già fosse. Gli studenti erano divisi in gruppi. Gli sportivi, i bulli, che a volte stavano insieme, le cheerleaders che andavano dietro agli sportivi. I secchioni, gli emo e tutti gli altri avevano dei gruppi a parte. E per finire c'era il gruppo di Frank, formato da lui. Solo da lui.
I professori non lo bocciavano solo perché sapevano del suo problema. Frank aveva ormai imparato a conviverci, e quindi non era più molto strano per lui, ma per gli altri sembrava fosse la cosa più assurda del mondo. I suoi compagni di classe non gli stavano mai tra i piedi per paura di essere contagiati e non gli rivolgevano nemmeno la parola, se non era strettamente necessario.
“Ciao.” Frank non rispose, non perché non volesse, ma perché pensava fosse una delle sue solite allucinazioni. E invece non era così. Quando Frank aprì gli occhi si ritrovò davanti un ragazzo magro, davvero magro, con gli occhiali e i capelli biondicci e scompigliati.
“Ciao.”
“Ehm... sono Mikey.” il ragazzo allungò la mano verso Frank, e lui gliela strinse.
“Frank.” disse con fermezza, al contrario dell'altro, che tutto sembrava tranne che un ragazzo sicuro di se. In realtà nemmeno Frank lo era, ma a scuola non voleva darlo a vedere.
“Sono nuovo in questa scuola e... visto che ti ho visto qui da solo e non conosco nessuno, io...” Frank non prestò più attenzione alle parole del ragazzo quando si rese conto di ciò che stava accadendo intorno a loro. Gli studenti che conoscevano Frank li stavano guardando e si parlavano alle orecchie, e ridevano. Non era la prima volta. Durante le lezioni era sempre al centro dei loro discorsi, ovviamente in modo negativo. Un giorno lo offendevano per i capelli, un altro per la maglietta, un altro ancora per il fatto che se ne stava sempre in disparte. Insulti come “checca” o “frocio” non lo soprendevano. Gli avevano trovato anche un soprannome: Pansy.
Frank non capiva cosa ci fosse di divertente, ma comunque si sentì a disagio.
“Scusa, io devo andare.” disse.
Si alzò e con passo svelto entrò nell'edificio scolastico, lasciandosi dietro Mikey.

***************


Frank.
Frank.
Frank.
Apri gli occhi.
Frank.

Si svegliò di soprassalto e guardò l'orologio: erano le due e mezza del mattino. I numeri della sveglia analogica erano l'unica cosa luminosa in quella stanza. Frank non sapeva se fosse possibile, ma quell'oscurità lo stava accecando. Ma lui non aveva paura, anzi.
Nemmeno quella voce lo spaventava. Ogni notte si svegliava per colpa
sua, sudato, con il cuore in gola. Ma quando realizzava chi lo aveva svegliato si tranquillizzava, ma non riusciva più a chiudere occhio, e rimaneva a guardare la sua figura grigia seduta nel fondo della stanza, di fronte al suo letto, leggermente illuminata dai lampioni della strada.

  
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