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Autore: La Sarus    27/02/2013    5 recensioni
Una ff che ho iniziato per caso (a causa di un'ispirazione alquanto strana) e che spero di completare prima o poi! Sulla coppia Roy-Riza, naturalmente!
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Riza Hawkeye, Roy Mustang | Coppie: Roy/Riza
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Nota: Ciao a tutti, eccomi con un nuovo capitolo di una nuova ff sulla coppia Roy-Riza. L'ispirazione per questo scritto mi è venuta vedendo un panca da giardino in ferro battuto alquanto strana (ho provato anche a descriverla nel corso del capitolo ma dubito sulla mia chiarezza O.O). Infatti metto qui una foto per farvi capire che razza di roba è (è stata un'epopea trovare una foto di questa maledetta sedia, anzi a dire la verità questa è l'unica che ho trovato): http://i01.i.aliimg.com/img/pb/887/316/510/510316887_109.jpg (indirizzo se non si dovesse visualizzare l'immagine)

Il freddo ferro battuto.

Capitolo 1.

 

Da quando era stata nominata segretaria e assistente del Comandante Supremo, Riza Hawkeye aveva vissuto giornate piene di nulla, svolgendo una miriade di compiti inutili che le erano stati assegnati in modo che non avesse neppure un minuto libero per pensare o preoccuparsi della sua situazione, anzi della situazione dei suoi ex-colleghi.

Bradley era un homunculus, anche il suo presunto figlio lo era e ce ne erano altri. Il Colonnello e i suoi sottoposti davanti a certe notizie non potevano certo restare con le mani in mano pur essendo stati divisi e sparpagliati per il paese. Fra tutti, lei era quella rimasta più vicina al suo superiore ma anche quella che sentiva maggiormente il fiato sul collo.

 

Erano già le otto di sera, la giornata era passata in fretta, troppo. Ogni giorno che passava, Riza sentiva che la situazione di quella nazione diventava sempre più instabile. L'ufficio era deserto. Si infilò il cappotto lungo e con agilità ci infilò sotto una cartellina di carta verde smeraldo che per tutto il giorno aveva tenuto nel cassetto della scrivania. Finalmente se ne poteva andare. Si congedò ed uscì nell'aria fredda di Febbraio. Era già buio. La tensione che aveva accumulato iniziò a scivolarle dal corpo intorpidito, dalle braccia dalle gambe, dalla schiena... Avrebbe potuto incrociare uno sguardo conosciuto, avrebbe potuto bisbigliare e sentire qualche frase rassicurante. Camminava spedita nell'oscurità, nelle vicinanze della villa del Comandante Supremo, dove ogni giorno si recava, accanto al Comando Generale di Central City. Svoltò qualche angolo e si ritrovò in un vicolo del centro. Si fermò e alzò lo sguardo su un'insegna illuminata. “Sweet Garden”. Un piccolo locale, servivano ottimi aperitivi.

 

Riza entrò e si fece spazio fra la gente. Attraversò il bar e uscì nel piccolo giardino sul retro: c'erano poche persone perchè l'aria serale era fredda. Si sedette su una panca da giardino in ferro battuto. Il freddo le penetrò le ossa. Si strinse nel cappotto e sentì la cartellina e i fogli al suo interno stropicciarsi un po' contro la sua divisa. Guardò l'orologio che segnava le otto e mezza. Si trastullò un po' guardandosi attorno: in fondo quelle panche erano carine. Possedevano ognuna due posti i quali permettevano a chi si sedeva di stare accanto al suo vicino, ma con lo sguardo e il corpo rivolti nella direzione opposta l'uno rispetto all'altro. La spalliera di un posto era la medesima di quella dell'altro ma, se osservata dall'alto, si incurvava delinenado una “S”.  La donna dava le spalle alla porta che la divideva dall'interno del locale. Sentì dei passi avvicinarsi e infine qualcuno si sedette al suo fianco. La Tenente continuò a tenere lo sguardo fisso davanti a sé, verso il giardino semivuoto.

“Mi sono stufato dell'inverno, fa troppo freddo qui a Central.” La voce dell'uomo vicino a lei era flebile e a malapena poteva sentirla, ma ne riconobbe perfettamente il timbro.

“Siamo quasi a metà Febbraio, fra meno di un mese inizierà la primavera” mentre pronunciava con una tono insicuro queste parole, Riza si stava aprendo la giacca per estrarne la cartellina.

L'accordo era semplice: lei doveva trafugare più informazioni possibili, anche quelle che potevano sembrare inutili, e farle avere a Mustang. L'uomo inizialmente non ne voleva sapere: avrebbe trovato un'altra soluzione più sicura; ma la Tenente aveva ragione: bisognava cercare di restare in contatto, sia tra loro sia con gli altri sottoposti.

La sottoposta poggiò i documenti sulla panca e si alzò velocemente allontanandosi. S'incamminò verso il bar e con la coda dell'occhio incrociò lo sguardo del Colonnello: penetrante e più profondo di quell'oscurità che li circondava. Almeno quello le avrebbe dato la forza di andare avanti ancora per un po'.

 

Non appena la donna se ne fu andata, Mustang afferrò la cartellina e la nascose nel cappotto proprio come aveva fatto la sottoposta. Sollevò lo sguardo verso l'alto: non si vedevano stelle, la luce della città era troppo possessiva nei confronti di quel timido cielo. Si alzò per andare verso casa, con passo sicuro senza mai voltarsi indietro. Avrebbe voluto parlare di persona con il Tenente perchè percepiva in lei un po' d'insicurezza. Attraversò qualche isolato e si catapultò nel suo appartamento. Buttò sul piccolo divano il cappotto e la giacca della divisa e si mise a sedere al tavolo della cucina. Fissò per qualche secondo la cartellina davanti a sé poi l'aprì. Il fruscio dei fogli sottili smosse nell'aria un profumo dolce, il profumo della Tenente. Roy si stupiva di come fosse diventato sensibile a certe piccolezze: prima, quando lavoravano assieme ogni giorno, neanche si era accorto che lei avesse un profumo caratteristico. Adesso gli mancava: gli mancava la vita di tutti giorni con i suoi uomini più fidati, lo studio pieno di persone e poi gli mancava colei che ogni giorno lo spronava a fare meglio e di più, era la sua ombra, sempre pronta ad estrarre la sua arma per proteggerlo. Non sapeva come definire quel sentimento: nostalgia, solitudine, insicurezza? Iniziò a leggere e ad assimilare quante più informazioni poteva, sperando di trovare una via d'uscita da quella situazione.

 

Quella sera nel locale c'era più gente. Riza attraversò il bar e spuntò nel giardinetto, era più affollato rispetto alle sere precedenti. Il freddo era pungente: si sciolse i capelli per proteggere almeno il collo dall'aria invernale. Si guardò attorno e si diresse verso l'ultima delle panche dove il Colonnello stava seduto. Si accorse che parlava con qualcuno, una donna naturalmente. Era la sera di San Valentino: Mustang stava sfoggiando le sue capacità seduttive. Riza passo dietro di lei e si mise a sedere accanto al Colonnello facendo finta di niente. Roy si sentì per un attimo a disagio e accompagnò la sconosciuta a prendere qualcosa da bere. Lasciò sulla panca un contenitore di cartone rosso scarlatto. Riza lo fissò incuriosita.

Dopo circa un quarto d'ora d'attesa, la Tenente stava per alzarsi e andarsene, quando vide Roy tornare verso di lei con passo sicuro e... da solo. Si sedette, si mise la scatola sulle gambe e l'aprì mostrando tanti cioccolatini tutti in fila.

“E' stato difficile liberarsene, buon San Valentino Tenente” sussurrò, girovagando qua e là con lo sguardo.

Roy sollevò un sottile strato di cartone su cui poggiavano i dolcetti per far capire alla sua vicina che,evidentemente, in quella scatola c'era qualcos' altro. Richiuse il contenitore aspettando che la donna lasciasse i documenti sulla panca, come ogni sera.

“Di sicuro il mio non sarà un bel San Valentino, Colonnello: in solitudine con il mio piccolo Black Hayate!”

Fu più forte di lui: spostò lo sguardo verso destra e la osservò per qualche secondo. Era avvolta da un cappotto nero e la pelle del suo viso, così chiara, era accarezzata dai capelli biondi... sciolti? Un evento memorabile.

“Se potessi farei io da cavaliere a questa affascinante bionda”

Riza avrebbe voluto urlargli di stare zitto ma non perchè stava parlando ad alta voce ma perchè si sentiva arrossire.

“Però non può, Colonnello, non può” accennò un sorriso mentre si sbottonava la giacca per estrarre i documenti.

“Allora mia cara, anche il mio sarà un San Valentino di solitudine” Riza percepì più che un sussurro, un sospiro in quelle parole.

La ragazza si alzò e abbandonò la cartellina verde lì dov'era seduta un attimo prima. Passò davanti al Colonnello, allungò l'esile mano verso la scatola e la afferrò; Roy sentì le sue mani fredde toccare il dorso delle proprie: sperò di averle trasmesso un po' del suo calore.

 

Nota finale: Premetto che non ho idea alcuna di come far proseguire quello che avete appena letto... speriamo arrivi qualche ispirazione!!! Vi chiederete come mai mi sono fissata su questa cavolo di panca: è molto semplice. Una mia amica mi ha raccontato che nel seicento, durante le feste dei nobili, queste sedie erano dette “le sedie degli amanti” perchè permettevano a due persone di star sedute accanto senza che però ci si potesse realmente parlare... insomma qualcosa di romantico e abbastanza malinconico! Dopo questo capitolo senza un senso vi saluto... alla prossima!

  
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