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Autore: Son Kla    14/09/2007    1 recensioni
Il Bianco che lo ha circondato per secoli è sempre stata la sua punizione più grande... ma altri due occhi gli insegneranno a vedere quanto calda possa essere la neve.
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Son Goku
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ricordo soltanto quanto terrificante fosse… ricordo soltanto un mondo dove esisto solo io…

Ricordo soltanto quanto terrificante fosse… ricordo soltanto un mondo dove esisto solo io…

Ricordo soltanto quanto terrificante fosse… ricordo soltanto un mondo dove c’erano tante, troppe persone…

Perché indosso queste catene fredde e pesanti? Che reato ho commesso? Se solo lo sapessi potrei anche scusarmi, potrei chiedere perdono o semplicemente potrei riflettere sulla mia colpa e cercare in questa punizione l’espiazione. Ma non c’è colpa alla quale io possa pensare, non c’è perdono che possa invocare, e la mia voce arriva soltanto alle mie orecchie.

Perché indosso questa maschera? Chi ha deciso che io debba avere questo ruolo? Io no di certo, io solo ascolto la voce ingenua dentro di me, o semplicemente ascolto me stessa, e mi comporto con gli altri come mi detta l’istinto e non le regole della società. Non mi vergogno di amare la solitudine. Ma in questo mondo frenetico, pieno di persone, di ipocrisia, di rumori forti e inutili, di tempo che sfugge senza fruttare la minima utilità, la mia voce si perde senza arrivare a nessuno, senza arrivare nemmeno alle mie orecchie.

Quando arriva l’inverno, le tempeste soffiano violentemente fredde. E quando nevica, per un anno… assolutamente nulla… un assordante, assoluto silenzio. Tutto quello che ho è l’ipnotizzante bianco che mi circonda.

Quando arriva l’inverno, non cade nemmeno un po’ di neve, e anche dove cade, diventa tutta subito sporca, nera, e sparisce velocemente calpestata dalle ruote delle automobili. Ci s’illude di essere più buoni, e invece si è solo più ipocriti, fingendo sentimenti che non proviamo, e augurando del bene a chi odiamo; e si disperdono al vento ancora più parole, sempre più inutili, che hanno il solo risultato di creare un sempre maggior fracasso. Tutto quello che ho, è sempre troppo.

Sento tanto freddo… mi sento tanto solo…

Mi sento tanto sola, perché nessuno sembra capirmi… sento tanto freddo, dentro di me…

Chissà che giorno è, ma non m’importa. Non so nemmeno quanti anni, decenni o secoli sono passati. Non lo so perché ogni giorno, immerso in questa prigionia, in questa solitudine, mi sembra un’eternità. Ma è inverno, uno come quei tanti inverni che ho vissuto e come chissà quanti che vivrò. Il sole mi è lontano, come sempre, ma adesso non sento nemmeno il suo remoto calore, adesso questa caverna e queste catene sono ancora più fredde, e mi ghiacciano perfino l’anima. Ammesso che ce l’abbia, un’anima. Perché in fondo questo trattamento può essere riservato soltanto al più infimo essere, crudele e indegno. Certo, io non so perché sono qui, ma la mia incoscienza non è una scusante, anzi, forse è un’aggravante, perché se faccio del male inconsciamente vuol dire che è proprio la mia natura ad essere perfida e corrotta. Però anche se me lo merito, tutto questo, il freddo è terribilmente insopportabile.

Chissà che giorno è, ma non m’importa. In fondo il mondo è sempre lo stesso, e anche le persone che lo abitano. Sono cambiati gli stili di vita, i vestiti, le mentalità. Ma l’ipocrisia, la falsità, l’assordante fracasso di mille voci non si è mai interrotto. Giro per la strada, e non riesco nemmeno a sentire un po’ il fresco. Il fresco invernale, intendo. Le macchine, i motorini, gli autobus, i camion e tutto ciò che passando sembra dividere sempre più nettamente le case e le persone, scarica un calore artificiale e insopportabile, sporco e inquinato. Beh, come il resto, dopo tutto, tutto il resto che mi circonda, è maledettamente sporco e inquinato.

Vorrei poter parlare con qualcuno… va bene chiunque. Ma io non ho mai avuto un nome da poter chiamare. Nessuno mi sente.

Vorrei non dover parlare alla gente… vorrei sentire me stessa appieno, ed esprimermi senza vergogna. Ma io non ho mai avuto un posto dove stare sola. Grido la libertà, e nessuno mi sente.

Ho la strana sensazione che oggi sia diverso da ieri e dal domani che mi aspetto. Soltanto un’aleatoria illusione, forse. Forse la speranza di qualcosa a cui ho ormai rinunciato da molto, forse il freddo che mi fa sentire ancora più disperato, così disperato da immaginare ciò che non potrà mai essere. Ho paura di alzare gli occhi e vedere ancora tutto quel bianco, immenso, infinito, ipnotizzante. Però… è più forte di me… mi sembra di sentire un rumore che non ho mai sentito prima d’ora… cos’è questo suono, questo suono che sembra sopraffare la neve fredda e silenziosa? Nel bianco, una sagoma informe, lontana, va facendosi sempre più nitida, e mi fa percepire per la prima volta l’orizzonte. Come se forse, a questa disperazione senza fine, si possa trovare anche una conclusione, un punto dove finisce e inizia dell’altro, un cielo limpido e libero.

Ho la sensazione che questo posto mi darà di più del silenzio che cerco. Adesso mi sento, ma ho anche la sensazione di essere fine a me stessa. La mia voce esprime i pensieri della mia mente, e mille idee, mille sensazioni, mille emozioni attraversano le mie labbra, e finalmente le sento, sì, ma… così tante… tutte per me? Forse, in fondo, qualcuno come me poteva averne bisogno, forse… no, nessuno deve profanare tutto questo, solo io e io sola devo essere qui, e se c’è qualcun altro me ne andrò perché vuol dire…ma… vedo qualcosa. Chissà cosa può mai esserci in questa landa desolata e deserta, in questo bianco infinito. In questo paradiso candido…

questo inferno corrotto, chi mai può desiderare di attraversarlo? Cosa è venuto a cercare? Forse viene da uno di quei bei posti con tante persone, con dei vestiti pesanti, con caldo e parole…

… sicuramente qualcuno che è fuggito da quell’infernale caos di rumori e afa. Qualcuno come me, forse… che in questa pace riscopre la purezza, il candore… come è candida e incontaminata questa neve...

Si avvicina. Mi avrà visto? E che vuole da me? Forse semplicemente è il mio carnefice, colui che finalmente mi toglierà questa vita che non può nemmeno essere definita tale. Piuttosto morte, vorrei chiamarla, e con la morte anche del mio corpo una nuova vita, libera finalmente, senza sentire più né freddo né solitudine.

Voglio assolutamente arrivare là. Devo vedere cosa c’è, chi c’è, chiedergli da quanto è qui… chissà quante cose potrà dirmi, chissà che persona libera e felice… poi ma ne andrò, ma prima… mi pare di vedere delle sbarre. Sì, sono sbarre, come una prigione… ma allora è solo una grotta, non c’è nessuno… però… non so, devo avvicinarmi, voglio vedere cosa…

E se non fosse chi mi deve uccidere, se nessuno dovesse uccidermi, di modo da rendere ancora peggiore la mia punizione? La morte sarebbe in fondo solo una liberazione, un premio, e allora… no, se questa persona non deve uccidermi, allora non voglio, non voglio che qualcuno mi veda, nelle mie misere condizioni, io, un essere eretico, impuro, un prigioniero… dannate catene, non voglio scappare, voglio solo nascondermi…

Hei, ma che è questo rumore? Ferro, o qualcosa di simile, ma, allora… c’è qualcosa, là, forse… forse un animale imprigionato, una trappola. Accidenti, è buio, non si vede niente. Cavoli, queste sbarre sono davvero fredde, però!

“C’è qualcuno? Hei!”

Una voce! Questa deve essere una voce… perché fuggo, c’è qualcuno… per tanto ho aspettato, e ora… ora… ma non riesco, vorrei ma non…

Qualcosa si muove, là in fondo, ma anche se fosse un animale io come ci arrivo? Forse una bestiola ci passa da queste sbarre, ma io… e chi ce l’ha messa una trappola lì? Boh… ma… hei, si avvicina. No… non è un animale, sembra… una persona. Si avvicina piano, timidamente… ma chi…

E’ una persona… almeno, dev’esserlo, ha due braccia e due gambe come me. Il suo volto sembra calmo e non mi incute paura. Dev’essere un sorriso quello lì…

Mi sta allungando la mano, piano, timidamente. Meglio che faccia piano anche io… ma che ha ai polsi, delle catene? E’ incatenato, come mai? La sua mano è gelida… ma ha solo una maglietta smanicata… mio dio, come fa a non congelare? Aspetta, forse la mia coperta di lana…

“Tieni… no, non aver paura…tieni, ti farà un po’ caldo.

“Tu chi sei?”

“Mi chiamo Yoru. Tu come ti chiami?”

“Goku. Mi chiamo Son Goku.”

“Ciao Goku, che ci fai qui, chi ti ha chiuso in questa grotta?”

“Non lo so.”

Adesso ho qualcuno con cui parlare, ma la mia voce è un po’ fioca… non parlo da così tanto…ma non voglio che vada via… questa coperta, sembra così calda… lei è libera, viene da là fuori. Forse può dirmi quanto è bello, forse può

Ha la voce un po’ fioca, come chi non parla da molto… però mi sembra così solo e impaurito… come può, in un posto bello come questo? Avrebbe certo meno da aver paura, se conoscesse il luogo da cui vengo io.

“Hai fame?”

“Si! Non mangio da moltissimo tempo!”

“Prendi. Non è molto, ma… tieni, tieni tutto, io non ho fame.

Fu davvero un giorno speciale, quello. E venne da me ogni giorno, dopo. Mi portava vestiti asciutti e caldi, e tanto cibo, buonissimo. Ma soprattutto parlava, parlava con me, con un prigioniero. L’avevo sempre detto che volevo qualcuno con cui parlare, che mi andava bene chiunque. Ma era arrivato molto di più, era arrivata lei che mi parlava con affetto, che mi voleva bene, che faceva tutto questo e molto altro che non saprei descrivere. Mi teneva sempre la mano, e la sua mano era calda, e pensavo “ma chi glielo farà fare di star qui a tenere la mano a un prigioniero pericoloso come me, in questo freddo?” Lei dice che io sono fortunato, a stare qui. Sì, insomma, a parte le catene, le sbarre e i vestiti leggeri. Io veramente, in questo posto, non ci starei nemmeno fossi libero. Fossi libero fuggirei veloce da qui, e non ci metterei più piede. Ma anche se parliamo di cose diverse, mi piace tanto lo stesso parlare con lei, e non smetterei mai.

Fu davvero un giorno speciale. E tornai lì ogni giorno, dopo. Tornavo perché finalmente avevo trovato il posto per me, ma soprattutto riuscivo a sentire la mia anima, sì, ma la sentiva anche qualcun altro, e finalmente qualcun altro capiva le mie parole. Quelle che vengono da dentro di me. Beh, non che ci capissimo su tutto, in realtà. Per esempio, lui diceva che quel posto era un inferno, e che io ero fortunata a stare in un mondo pieno di luci, colori e suoni. Non si rendeva conto. Ma lui era così puro e ingenuo, che non sarebbe sopravvissuto un giorno in quella tempesta che ti trascina via, in quella tremenda falsità. Sarebbe stato trascinato via come un fiume in piena trascina lontano un piccolo fiore, lo strappa alla sua terra e lo inghiotte, sporcando e sgualcendo i suoi petali brillanti. A volte pensavo che quella punizione crudele e infondata, forse aveva almeno avuto il pregio di preservarlo da quel mondo che avrebbe rischiato di corromperlo. Però quelle catene, dannatamente fredde e pesanti, gli impedivano i movimenti, e impedivano anche al calore di penetrare nel suo spirito. Potevo solo tenergli le mani, attraverso quelle sbarre. Avrei voluto abbracciarlo, ma non potevo, e gli tenevo le mani che lui mi porgeva, proprio come aveva fatto la prima volta che mi aveva vista.

Mi spiegò tante cose sul mondo là fuori. Mi spiegò tante cose che non mi piacquero per niente. Per esempio, come si poteva parlare con qualcuno che non sai se ti dice o no la verità? O peggio, perché a volte si deve parlare quando non si vuole, e dire cose che non si pensa? Io non avevo parlato per molto, e quindi avrei parlato di tutto con chiunque, ma non avrei mai detto bugie. Lei dice che le chiamano “bugie bianche”. Accidenti, ancora peggio, allora. Bianche come quel bianco senza fine, devono essere davvero cose tremende. Ma sembra che per vivere con le altre persone si debbano dire bugie. Mi ha detto anche di rumori forti e meccanici, rumori assordanti provocati da esseri inanimati creati dall’uomo, che non ti fanno nemmeno sentire la tua voce, e mi ha detto che oltretutto fanno del fumo che fa molto male. E’ assurdo che venga creato qualcosa che fa male, perché non si inventano cose che fanno del bene? Forse non è così bello, quel posto. E forse non c’è nessun posto bello al mondo.

Mi spiegò tante cose sul mondo lì dentro. E capii che non era per niente bello restare imprigionati al freddo. Il silenzio ti fa sentire te stesso, ma quando non senti altro inizi a credere che anche la tua voce sia un’illusione, e che la tua vita non abbia alcun senso, se non puoi condividere te stesso con qualcuno. Il bianco è simbolo di candore, ma quando non ci sono altri colori, sembra il nulla. Il bianco è bello perché c’è il nero, e tutti gli altri colori, che lo fanno risaltare. Ogni cosa bella è tale perché c’è il suo opposto, ché se non ci fosse l’opposto sarebbe normale, e quindi non più bella. Per esempio, se non ci fosse l’amaro non ci sarebbe nemmeno il dolce; tutto avrebbe un sapore gradevole, e quindi non avremmo dato un nome ai sapori gradevoli, perché lo sarebbero tutti, e di conseguenza ci sarebbero sembrati meno speciali, solo normali. Iniziai a pensare che forse quel posto non era così bello. E forse non c’è nessun posto bello al mondo.

“Per quanto ancora starai qui con me?”

Che vuoi dire?”

Prima o poi andrai via.”

“Non voglio andarmene. Non voglio rimanere di nuovo sola.”

Ma quello solo sarei io, non tu.”

Mi sentii stringere forte la mano, e poi mi tirò a sé. C’erano le sbarre, ma non le sentivo, e non sentivo più quanto fredde fossero. Sentivo la pelle del suo viso a contatto con quella del mio. Anche se con difficoltà, anche se a fatica, i nostri volti si toccarono. Passò le braccia tra le sbarre, e mi strinse come poté, feci altrettanto. Nemmeno le catene pesavano più, e non limitavano i miei movimenti. Non sentivo più il loro freddo sui polsi e le caviglie.

Ricambiò il mio abbraccio con impeto e dolcezza. Non sentivo quel dannato ferro freddo raggiungermi prima della sua pelle, ormai calda. La sentivo così, calda e morbida, e non sentivo altro, nemmeno quelle dannate sbarre. Ma volevo solo dimostrare a chiunque lo avesse rinchiuso lì, fossero anche stati Dei, che me ne infischiavo di loro e di cosa fossero capaci. Solo che potevo fare ciò che desideravo, anche contro il loro illogico volere. Le loro dannate sbarre e catene non mi limitavano più, non ci limitavano più.

Scomparivano. Ecco perché non le sentivo più, perché stavano svanendo… i miei polsi, le caviglie e il collo erano finalmente liberi da quel ferro…

Scomparivano. Ecco perché non le sentivo più, perché stavano svanendo… le sbarre si scioglievano come ghiaccio al calore, al calore dei nostri corpi…

Non ero più solo, non ero più prigioniero. Quel bianco continuava a circondarci, ma non mi faceva più paura, e non era più freddo, era solo un colore che risaltava sugli altri, su quelli dei nostri corpi, dei nostri vestiti. Eravamo stretti, io e lei, e sentivo su di me la coperta che mi aveva dato… si muoveva… si muove, come…

Sta aprendo gli occhioni dorati con l’espressione tenera sul viso che ha sempre appena sveglio. Mi guarda assorto, come se non capisse dov’è, come se non fosse ancora uscito dal sogno… quel sogno… sogno, che… ma… lo ricordo sempre peggio, però…

Già, ma noi stiamo viaggiando… Sanzo, è lui che mi ha liberato dalla prigionia, e Hakkai, e Gojyo… poi lei, dopo, ma allora… allora? Allora che? Dev’essere qualcosa che stavo sognando… mi sembrava di ricordarmelo, ma ora non lo ricordo più. Ma non ha molta importanza, in fondo. C’è tanto calore, in questo momento, in questo letto, forse perché i nostri corpi sono vicini e stretti, forse perché adesso ho un nome da chiamare, per richiamarla e me, sotto questa coperta bianca… morbida… come…

“La neve! Guarda Goku! Sta nevicando.”

  
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