Ricordo soltanto quanto terrificante fosse… ricordo soltanto
un mondo dove esisto solo io…
Ricordo soltanto quanto terrificante fosse… ricordo soltanto un mondo
dove c’erano tante, troppe persone…
Perché indosso queste catene fredde e pesanti? Che reato ho commesso? Se solo lo sapessi potrei anche scusarmi, potrei
chiedere perdono o semplicemente potrei riflettere sulla mia colpa e cercare in
questa punizione l’espiazione. Ma non c’è colpa alla quale io possa pensare, non c’è perdono che
possa invocare, e la mia voce arriva soltanto alle mie orecchie.
Perché indosso questa maschera? Chi ha deciso che io debba avere questo
ruolo? Io no di certo, io solo ascolto la voce ingenua dentro di me, o
semplicemente ascolto me
stessa, e mi comporto con gli altri come mi detta l’istinto e non le regole
della società. Non mi vergogno di amare la solitudine. Ma in questo mondo
frenetico, pieno di persone, di ipocrisia,
di rumori forti e inutili, di tempo che sfugge senza fruttare la minima
utilità, la mia voce si perde senza arrivare a nessuno, senza arrivare nemmeno
alle mie orecchie.
Quando arriva l’inverno, le tempeste soffiano violentemente fredde.
E quando nevica, per un anno… assolutamente
nulla… un assordante, assoluto silenzio. Tutto quello che ho è
l’ipnotizzante bianco che mi circonda.
Quando arriva l’inverno, non cade nemmeno un po’ di neve, e anche dove cade,
diventa tutta subito sporca, nera, e sparisce velocemente calpestata dalle
ruote delle automobili. Ci s’illude di
essere più buoni, e invece si è solo più ipocriti, fingendo
sentimenti che non proviamo, e augurando del bene a chi odiamo; e si disperdono
al vento ancora più parole, sempre più inutili, che hanno il solo risultato di
creare un sempre maggior fracasso. Tutto quello che ho, è sempre troppo.
Sento tanto freddo… mi
sento tanto solo…
Mi sento tanto sola, perché nessuno sembra capirmi… sento tanto freddo,
dentro di me…
Chissà che giorno è, ma non m’importa. Non so nemmeno quanti
anni, decenni o secoli sono passati. Non lo so perché ogni giorno, immerso in
questa prigionia, in questa
solitudine, mi sembra un’eternità. Ma è inverno, uno come quei tanti inverni che ho vissuto e come
chissà quanti che vivrò. Il sole mi è lontano, come sempre, ma adesso non sento
nemmeno il suo remoto calore, adesso questa caverna e queste catene sono ancora più fredde, e mi ghiacciano
perfino l’anima. Ammesso che ce l’abbia,
un’anima. Perché in fondo questo trattamento può essere riservato soltanto al più infimo essere, crudele e
indegno. Certo, io non so perché sono qui, ma la mia incoscienza non è una
scusante, anzi, forse è un’aggravante, perché se faccio del male inconsciamente
vuol dire che è proprio la
mia natura ad essere perfida e corrotta. Però
anche se me lo merito, tutto questo, il freddo è terribilmente insopportabile.
Chissà che giorno è, ma non m’importa. In fondo il mondo è sempre lo
stesso, e anche le persone che lo abitano. Sono cambiati gli stili di vita, i
vestiti, le mentalità. Ma
l’ipocrisia, la falsità, l’assordante fracasso di mille voci non si è mai
interrotto. Giro per la strada, e non riesco nemmeno a sentire un po’ il
fresco. Il fresco invernale, intendo. Le
macchine, i motorini, gli autobus, i camion e tutto ciò che passando sembra
dividere sempre più nettamente le case e le persone, scarica un calore
artificiale e insopportabile, sporco e inquinato. Beh, come il
resto, dopo tutto, tutto il
resto che mi circonda, è maledettamente sporco e inquinato.
Vorrei poter parlare con
qualcuno… va bene chiunque. Ma io non ho mai avuto un nome da
poter chiamare. Nessuno mi sente.
Vorrei non dover parlare alla gente… vorrei sentire me stessa appieno, ed esprimermi senza vergogna. Ma io non ho mai avuto un posto
dove stare sola. Grido la libertà, e nessuno mi sente.
Ho la strana sensazione che
oggi sia diverso da ieri e dal domani che mi aspetto. Soltanto
un’aleatoria illusione, forse. Forse la speranza di qualcosa a cui ho ormai rinunciato da molto, forse
il freddo che mi fa sentire ancora più disperato, così disperato da immaginare
ciò che non potrà mai essere. Ho paura di alzare gli occhi e vedere ancora
tutto quel bianco, immenso, infinito, ipnotizzante. Però… è più forte di me… mi sembra di sentire un
rumore che non ho mai sentito prima d’ora… cos’è questo suono, questo suono che
sembra sopraffare la neve fredda e silenziosa? Nel bianco, una sagoma informe,
lontana, va facendosi sempre più nitida, e mi fa percepire per la prima volta l’orizzonte. Come se
forse, a questa disperazione senza fine, si possa trovare anche una
conclusione, un punto dove finisce e inizia dell’altro, un cielo limpido e
libero.
Ho la sensazione che questo posto mi darà di più del silenzio che
cerco. Adesso mi sento, ma ho anche la sensazione di essere fine a me stessa. La mia voce esprime i
pensieri della mia mente, e
mille idee, mille sensazioni, mille emozioni attraversano le mie labbra, e
finalmente le sento, sì, ma… così tante… tutte per me? Forse, in fondo,
qualcuno come me poteva
averne bisogno, forse… no, nessuno deve profanare tutto questo, solo io e io
sola devo essere qui, e se c’è qualcun altro me ne andrò perché vuol dire…ma…
vedo qualcosa. Chissà cosa può mai esserci
in questa landa desolata e deserta, in questo bianco infinito. In
questo paradiso candido…
…questo inferno
corrotto, chi mai può desiderare di attraversarlo? Cosa è venuto a cercare? Forse viene da uno di quei
bei posti con tante persone, con dei vestiti pesanti, con caldo e parole…
… sicuramente qualcuno che è fuggito da quell’infernale caos di rumori e afa. Qualcuno come me, forse… che in questa pace riscopre la purezza, il
candore… come è candida e
incontaminata questa neve...
Si avvicina. Mi avrà visto? E che vuole da me? Forse semplicemente è il mio
carnefice, colui che
finalmente mi toglierà questa vita che non può nemmeno essere definita tale. Piuttosto
morte, vorrei chiamarla, e con la morte
anche del mio corpo una nuova vita, libera finalmente, senza sentire più né
freddo né solitudine.
Voglio assolutamente arrivare là. Devo vedere cosa c’è, chi c’è,
chiedergli da quanto è qui… chissà quante cose potrà dirmi, chissà che persona libera e felice… poi
ma ne andrò, ma prima… mi pare di vedere delle sbarre. Sì, sono sbarre, come
una prigione… ma allora è
solo una grotta, non c’è nessuno… però… non so, devo avvicinarmi, voglio vedere
cosa…
E se non fosse chi mi deve uccidere, se nessuno dovesse
uccidermi, di modo da rendere ancora peggiore la mia punizione? La morte
sarebbe in fondo solo una liberazione, un premio, e allora… no, se questa
persona non deve uccidermi, allora non voglio,
non voglio che qualcuno mi veda, nelle mie misere condizioni, io, un essere
eretico, impuro, un prigioniero… dannate catene, non voglio scappare, voglio
solo nascondermi…
Hei, ma che è
questo rumore? Ferro, o qualcosa di simile,
ma, allora… c’è qualcosa, là, forse… forse un animale
imprigionato, una trappola. Accidenti, è buio, non si vede niente. Cavoli,
queste sbarre sono davvero fredde, però!
“C’è qualcuno? Hei!”
Una voce! Questa deve essere una voce… perché fuggo, c’è
qualcuno… per tanto ho aspettato, e ora… ora… ma non riesco, vorrei ma non…
Qualcosa si muove, là in fondo, ma anche se fosse un animale io come ci arrivo? Forse una
bestiola ci passa da queste sbarre, ma io… e chi ce l’ha messa una trappola lì? Boh…
ma… hei, si avvicina. No… non è un animale, sembra… una persona. Si avvicina piano,
timidamente… ma chi…
E’ una persona… almeno, dev’esserlo,
ha due braccia e due gambe come me. Il suo volto sembra calmo e non mi incute paura. Dev’essere un sorriso quello lì…
Mi sta allungando la mano, piano, timidamente. Meglio che faccia piano
anche io… ma che ha ai polsi, delle catene? E’ incatenato, come mai? La sua
mano è gelida… ma ha solo una
maglietta smanicata… mio dio, come fa a non
congelare? Aspetta, forse la mia coperta di lana…
“Tieni… no, non aver paura…tieni, ti farà un po’ caldo.”
“Tu chi sei?”
“Mi chiamo Yoru. Tu come ti chiami?”
“Goku. Mi chiamo Son Goku.”
“Ciao Goku, che ci fai qui, chi ti ha chiuso in questa grotta?”
“Non lo so.”
Adesso ho qualcuno con cui parlare, ma la mia voce è un po’
fioca… non parlo da così tanto…ma
non voglio che vada via… questa coperta, sembra così calda… lei è libera, viene
da là fuori. Forse può dirmi quanto è bello, forse può…
Ha la voce un po’ fioca, come chi non parla da molto… però mi sembra così solo e impaurito… come
può, in un posto bello come questo? Avrebbe certo meno da aver paura, se
conoscesse il luogo da cui vengo io.
“Hai fame?”
“Si! Non mangio da moltissimo tempo!”
“Prendi. Non è molto, ma… tieni, tieni tutto, io non ho fame.”
Fu davvero un giorno speciale, quello. E venne da me ogni giorno, dopo. Mi portava vestiti
asciutti e caldi, e tanto cibo, buonissimo. Ma soprattutto parlava, parlava con me, con un
prigioniero. L’avevo sempre detto
che volevo qualcuno con cui parlare, che mi andava bene chiunque. Ma era arrivato molto di più, era
arrivata lei che mi parlava con affetto, che mi voleva bene, che faceva tutto
questo e molto altro che non saprei descrivere. Mi teneva sempre la mano, e la
sua mano era calda, e pensavo “ma
chi glielo farà fare di star qui a tenere la mano a un prigioniero pericoloso
come me, in questo freddo?” Lei dice che io sono fortunato, a stare qui. Sì, insomma, a parte le catene, le sbarre e i
vestiti leggeri. Io veramente, in questo posto, non ci starei
nemmeno fossi libero. Fossi libero fuggirei veloce da
qui, e non ci metterei più piede. Ma
anche se parliamo di cose diverse, mi piace tanto lo stesso parlare con lei, e
non smetterei mai.
Fu davvero un giorno speciale. E
tornai lì ogni giorno, dopo. Tornavo perché finalmente avevo trovato il posto
per me, ma soprattutto riuscivo a sentire la mia anima, sì, ma la sentiva anche
qualcun altro, e finalmente qualcun altro capiva le mie parole. Quelle che vengono da dentro di me. Beh, non che
ci capissimo su tutto, in realtà. Per esempio, lui diceva che quel posto era un
inferno, e che io ero fortunata a stare in un mondo pieno di luci, colori e
suoni. Non si rendeva conto. Ma
lui era così puro e ingenuo, che non sarebbe sopravvissuto un giorno in quella
tempesta che ti trascina via, in quella tremenda falsità. Sarebbe stato
trascinato via come un fiume in piena trascina
lontano un piccolo fiore, lo strappa alla sua terra e lo inghiotte, sporcando e
sgualcendo i suoi petali brillanti. A volte pensavo che quella punizione
crudele e infondata, forse aveva almeno
avuto il pregio di preservarlo da quel mondo che avrebbe
rischiato di corromperlo. Però
quelle catene, dannatamente fredde e pesanti, gli impedivano i movimenti, e
impedivano anche al calore di penetrare nel suo spirito. Potevo solo tenergli
le mani, attraverso quelle sbarre. Avrei voluto abbracciarlo, ma non potevo, e
gli tenevo le mani che lui mi
porgeva, proprio come aveva fatto la prima volta che mi aveva vista.
Mi spiegò tante cose sul mondo là fuori. Mi spiegò tante cose
che non mi piacquero per niente. Per esempio, come si poteva parlare con
qualcuno che non sai se ti dice o no la verità? O peggio, perché a volte si
deve parlare quando non si
vuole, e dire cose che non si pensa? Io non avevo parlato per molto, e quindi
avrei parlato di tutto con
chiunque, ma non avrei mai detto bugie. Lei dice che le chiamano “bugie bianche”. Accidenti,
ancora peggio, allora. Bianche come quel
bianco senza fine, devono essere davvero cose tremende. Ma sembra che per vivere con le altre persone si
debbano dire bugie. Mi ha detto anche di rumori forti e meccanici, rumori
assordanti provocati da esseri inanimati creati dall’uomo, che non ti fanno
nemmeno sentire la tua voce, e mi ha detto
che oltretutto fanno del fumo che fa molto male. E’ assurdo che venga creato qualcosa che fa male,
perché non si inventano cose che fanno del bene? Forse non è così bello, quel
posto. E forse non c’è nessun
posto bello al mondo.
Mi spiegò tante cose sul mondo lì dentro. E capii che non era per niente bello restare
imprigionati al freddo. Il silenzio ti fa sentire te stesso, ma quando non
senti altro inizi a credere
che anche la tua voce sia un’illusione, e che la tua vita non abbia alcun
senso, se non puoi condividere te stesso con qualcuno. Il bianco è simbolo di
candore, ma quando non ci sono altri colori, sembra il nulla. Il bianco è bello
perché c’è il nero, e tutti gli altri colori, che lo fanno risaltare. Ogni cosa
bella è tale perché c’è il suo opposto, ché
se non ci fosse l’opposto sarebbe normale, e quindi non più bella. Per esempio,
se non ci fosse l’amaro non ci
sarebbe nemmeno il dolce; tutto avrebbe un sapore gradevole, e quindi non
avremmo dato un nome ai sapori gradevoli, perché lo sarebbero tutti, e di
conseguenza ci sarebbero sembrati meno speciali, solo normali. Iniziai a
pensare che forse quel posto non era
così bello. E forse non c’è
nessun posto bello al mondo.
“Per quanto ancora starai qui con
me?”
“Che vuoi dire?”
“Prima o poi
andrai via.”
“Non voglio andarmene. Non voglio rimanere di nuovo sola.”
“Ma quello
solo sarei io, non tu.”
Mi sentii stringere forte la mano, e poi mi tirò a sé.
C’erano le sbarre, ma non le sentivo, e non sentivo più quanto fredde fossero. Sentivo la pelle del suo
viso a contatto con quella del mio. Anche
se con difficoltà, anche se a fatica, i nostri volti si toccarono.
Passò le braccia tra le sbarre, e mi strinse come poté, feci altrettanto.
Nemmeno le catene pesavano più, e non limitavano i miei movimenti. Non sentivo
più il loro freddo sui polsi e le caviglie.
Ricambiò il mio abbraccio con impeto e dolcezza. Non sentivo quel
dannato ferro freddo raggiungermi prima della sua pelle, ormai calda. La
sentivo così, calda e morbida, e non sentivo altro, nemmeno quelle dannate
sbarre. Ma volevo solo dimostrare a chiunque lo avesse rinchiuso lì, fossero
anche stati Dei, che me ne
infischiavo di loro e di cosa fossero capaci. Solo che potevo fare ciò che desideravo, anche contro il loro
illogico volere. Le loro dannate sbarre e catene non mi limitavano più, non ci limitavano
più.
Scomparivano. Ecco perché non le sentivo più, perché stavano
svanendo… i miei polsi, le caviglie e il collo erano finalmente liberi da quel
ferro…
Scomparivano. Ecco perché non le sentivo più, perché stavano svanendo…
le sbarre si scioglievano come ghiaccio
al calore, al calore dei nostri corpi…
Non ero più solo, non ero
più prigioniero. Quel bianco continuava a circondarci, ma non mi faceva più
paura, e non era più freddo, era solo un colore che risaltava sugli altri, su
quelli dei nostri corpi, dei nostri
vestiti. Eravamo stretti, io e lei, e sentivo su di me la coperta che mi aveva
dato… si muoveva… si muove,
come…
Sta aprendo gli occhioni dorati con
l’espressione tenera sul viso che ha sempre appena sveglio. Mi guarda assorto,
come se non capisse dov’è,
come se non fosse ancora uscito dal sogno… quel sogno… sogno, che… ma… lo
ricordo sempre peggio, però…
Già, ma noi stiamo viaggiando… Sanzo,
è lui che mi ha liberato dalla prigionia, e Hakkai, e
Gojyo… poi lei, dopo, ma allora… allora? Allora che? Dev’essere qualcosa che stavo sognando… mi sembrava di
ricordarmelo, ma ora non lo ricordo
più. Ma non ha molta
importanza, in fondo. C’è tanto calore, in questo momento, in questo letto, forse perché i nostri
corpi sono vicini e stretti, forse perché adesso ho un nome da chiamare, per
richiamarla e me, sotto questa coperta bianca… morbida… come…
“La neve! Guarda Goku! Sta nevicando.”