Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: xheiguys    27/02/2013    2 recensioni
A mio fratello, che anche da lassù mi da la forza per vivere questa vita.
Si può veramente vivere senza amore? Beatrice pensa di no, ma ha anche paura di soffrire come già in passato è successo. Riuscirà a donarsi alla magia dell'amore o resisterà?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
New Page 1

Fuori nevica ed io, affacciata alla finestra, mi perdo nei miei mille pensieri. Pensare troppo non mi piace, io preferisco avere le giornate stracolme di impegni e cose da fare piuttosto che stare tutto il giorno stravaccata sul divano a fare il nulla più totale.
Il mio nome è Beatrice, ho 18 anni e 7 mesi e sono al quinto anno di un istituto tecnico commerciale.

Non mi piace descrivermi, perché non so mai cosa dire di me. Non posso certo mettermi a dire ‘sono bella, brava, simpatica e intelligente’ non tocca a me dirlo, ma non posso nemmeno sminuirmi, non sono proprio così disastrosa.
Pensare troppo non mi piace perché ultimamente i miei pensieri mi incupiscono. Sono rimasta sola, completamente sola.
Mamma è morta da un anno e ancora non riesco a darmi pace. Mamma ha deciso di rispondere alla chiamata del sonno eterno e mi ha lasciata qui, a combattere contro tutti e tutto. La mamma è sempre importante per tutti, ma per me la cosa era un po’ diversa. Io non volevo bene a mamma, no, io la amavo.
Lei per me aveva rinunciato a tutto, in primis all’amore.
Aveva 18 anni e stava da poco con un ragazzo, uno di quelli che tutti ‘schifano’ ma che gli occhi dell’amore ti impediscono di vedere il marcio che ha dentro.
Il classico uomo matrioska, bello fuori ma poi più scavi a fondo e più la sua bellezza, soprattutto caratteriale, si rimpicciolisce fino a far rimanere un uomo talmente piccolo da poter essere usato come soprammobile.
Mio padre non voleva legami, quando mamma, tutta felice, disse di essere incinta, lui non esitò un solo istante a metterla alle strette. Scegli: o la maternità o me. Che frase egoista, che uomo – soprammobile.
Ecco perché dico che amavo mamma, perché lei per me ha rinunciato a quello che di più bello aveva.
Mamma ora non c’è più e con lei è andato via anche un pezzo del mio cuore. Maledetto tumore, maledette malattie, maledetta morte.

Ha smesso di nevicare e un timido sole si fa spazio tra le nuvole, speriamo che si sciolga la neve così il Sindaco domani decide di non tenere chiuse le scuole.
A scuola vado bene, sono brava, sono una ragazza determinata, mi impegno perché so cosa voglio diventare e so che se non credi in te stesso nessuno lo farà al posto tuo.
In classe non mi trovo molto bene, più che dei compagni ho dei parassiti, delle persone che si attaccano a me solo quando si accorgono che un’insufficienza pesa sulla loro testa come una spada di Damocle.
Io li aiuto, alla fine il peggio è per loro. Io tutto quello che ho me lo sono guadagnato e so di meritarmelo, loro no.

Sono single, ma la cosa non mi pesa molto. O meglio, non mi pesava fino a quando mamma era con me, perché avevo lei, e lei era in grado di darmi tutto l’amore del mondo.

Adesso mi sto accorgendo di essere rimasta sola, gli unici parenti che ho abitano a molti chilometri da me e, in tutta sincerità, tra di noi i rapporti non sono del tutto idilliaci.

L’ultima storia che ho avuto ha lasciato un segno profondo dentro me, una ferita che si riapre ogni volta che le mie orecchie sentono il suo nome o che i miei occhi vedono la sua faccia.

Un amore che mi ha consumata, un amore che mi ha tolto tutto.

Mamma diceva che era un ‘non amore’ perché io ero completamente pazza di lui, ma lui stava con me perché quando non puoi avere le ostriche è meglio accontentarsi del pesce gatto invece che rimanere digiuni.

Io per lui avrei attraversato anche l’oceano a nuoto, lui per me al massimo avrebbe potuto attraversare la strada in un punto senza strisce pedonali.

Siamo stati insieme tre anni, dopo un anno e mezzo lui ha trovato la sua ostrica, ma, non essendo sicuro di poterla mangiare, ha preferito tenere ‘la forchetta in due piatti’.

Un anno e mezzo di bugie e tradimenti, come ho fatto a non accorgermene, me lo chiedo ogni santo giorno.

Come mai l’amore ci toglie la vista? Mistero dovrebbe farci una puntata, di sicuro riscuoterebbe un sacco di successo.

È inutile starne a parlare, il peggio è passato, ora ho superato la sofferenza, sono riuscita a disintossicarmi da lui, sono uscita dalla dipendenza che lui e il suo sorriso mi provocavano.

Dopo di lui nessuno. Prima di lui storie inutili, frivole, cose da qualche mese, poco più.

 

Prendo il diario. Fare i compiti mi aiuterà a non pensare a ciò che non voglio.

Devo fare inglese. La traduzione di una canzone.

In quinta superiore nella mia scuola si dovrebbero fare le lettere commerciali, le e-mail economiche e non le canzoni, ma va bene, la professoressa ha trovato un giusto mix, sa che le canzoni ci piacciono e se un compito va bene a tutta la classe ci premia con una canzone.

Apro il quaderno, ecco il foglio con il testo in inglese. La canzone è senza titolo,  la professoressa non ce lo scrive mai.

Inizio a scrivere. Tradurre mi piace, forse perché mi pace l’inglese e, di conseguenza  tutto quello che lo riguarda. Voglio che tu rimanga. Da questa frase riconosco la canzone, è ‘stay’ di Rihanna. Bella, mi piace, ha un bel testo, mi ci rispecchio.

Avevo iniziato a fare i compiti per pensare di meno ma alla fine credo proprio che sia inevitabile.

Finisco la traduzione e depenno dal diario la scritta ‘fare inglese’. Ho finito, niente più compiti, poca roba.

Prendo un libro, leggere spesso mi aiuta, mi fa riflettere ma in un modo positivo. L’ultimo libro che ho letto è ‘bianca come il latte, rossa come il sangue’ di Baricco, seguire passo passo il venire meno delle forze di quella ragazza malata di leucemia mi ha fatto pensare a mamma, me la vedevo davanti. Anche lei ogni giorno aveva sempre meno forze, ed io soffrivo a vederla stremata, pallida, sempre più lontana.

Ecco, ogni cosa porta a mamma. Poso subito il libro, mi è passata la voglia.

Mi metto al pc. Vado su facebook. Non so bene perché continuo ad entrarci, è diventato un covo di moralisti e filosofi. Non puoi scrivere nulla nel tuo profilo che subito qualcuno è pronto ad incazzarsi con te.

Facebook è un po’ il mio frigorifero: so di non trovarci nulla ma lo apro lo stesso.

Tra le mille richieste per i giochi e i mille inviti a degli eventi di dubbia utilità e bellezza trovo un post che mi colpisce. È stato pubblicato dalla pagina  ‘Ehi ragazzo, ti andrebbe di amarmi se non ti chiedo troppo?’. Un post che mi fa riflettere, forse l’amore per me non è proprio così lontano come credo. Nessuno di noi è fatto per stare da solo.

La persona di cui ti innamori non è necessariamente la più bella, o la più gentile, la più intelligente. E’ una persona come tante altre, è una di quelle che a prima vista magari non hai neanche notato, che al primo incontro non ti ha colpito particolarmente e che alla prima parola non ti ha fatto venire il batticuore. Un giorno però ti svegli, e ti rendi conto che quella persona per te significa il mondo. Che dietro quello sguardo per tutti insignificante per te c’è racchiuso un universo. Che quel sorriso che magari non è niente di speciale, è diventato anche il tuo sorriso. E che nonostante tutto, a quella persona tu daresti l’anima.

Io, in passato, avrei dato l’anima a molte persone, ma loro no, e me ne sono accorta tardi. Ma perché è così difficile capire i propri sentimenti e quelli degli altri? Vabbè, non erano le persone giuste, non erano per me.

Controllo le notifiche e stacco tutto.

Si è fatto tardi, è meglio andare a dormire.

 

Didin didin didin didin. Ma perché diavolo hanno inventato le sveglie? Perché hanno questo suono fastidioso? Fanno iniziare la giornata in un modo terribile. Mi alzo e mi fiondo sotto la doccia. Devo sbrigarmi, non voglio fare tardi a scuola e non voglio nemmeno correre per strada.

Non vado mai a scuola con la macchina, mi prenderebbero per ‘figlia di papà’ a me, che un papà non so nemmeno che cosa è.

Ricordo quando ero bambina, soffrivo da morire ogni volta che sentivo la parola papà. Soffrivo perché pensavo di non averlo, che cosa stupida, tutti hanno un papà, ma io non lo capivo.

Il giorno in cui mamma mi ha raccontato tutto mi sono sentita crollare il mondo addosso. Non riesco ad immaginare che esistano degli uomini talmente piccoli da poter mettere una donna di fronte ad una scelta così importante, così brutta, così meschina. Anch’io avrei fatto la stessa cosa di mamma, ne sono certa.

Esco dalla doccia, mi metto l’accappatoio e mi avvolgo i capelli con un asciugamano.

Vado in camera a scegliere i vestiti e mi inizio a mettere la crema idratante.

Non sono una che punta tutto sull’estetica, anzi, spesso vado anche a scuola in tuta, con la coda e completamente struccata, però mi piace concedermi dei piccoli piaceri, e la crema è uno di questi.

Mi vado a vestire, faccio colazione, prendo lo zaino ed esco di casa. Sono in orario. Metto le cuffiette e parte la riproduzione casuale. Ecco Nesli con ‘Tu con me non ci parli mai.’

Sembra strano, sembra essere umano a volte le persone non sanno dirsi ti amo, il massimo che sanno fare è stringerti la mano andarsene e girarsi solo quando sei lontano. Esistono e quelle persone le chiamo di ghiaccio vorrebbero fare, dire ma non ne hanno il coraggio.

Già, le persone fanno fatica a dirsi ‘ti amo’. In fondo sono solo cinque lettere, non è mica un poema epico, ma niente, per qualcuno è più difficile dire queste due parole che tutta la divina commedia a memoria.

Ma chi le capisce ‘ste persone. Sono davanti scuola, tolgo le cuffiette e spengo l’iPod.

 

Salire ogni mattina trenta scale per arrivare nella mia aula è un vero strazio. Più di una volta ho rischiato di cadere a faccia in avanti per colpa di un gradino non visto per il troppo sonno. C’è un ascensore ma non si può usare, si usa solo in caso di emergenza, possono usarlo le persone in carrozzella e quelli che portano le stampelle, gli altri no.

Arrivo in classe, è deserta. Tutti arrivano al suono della campanella, non sia mai che poi vengono etichettati come ‘secchioni’ solo perché sono entrati in aula cinque minuti prima. Ma perché sono tutti così ottusi? Perché si attribuisce tutta questa importanza agli altri? Perché ciò che uno vuole è sempre in secondo piano rispetto a ciò che gli amici pensano di me? Con tutte queste domande potrei rubare il posto a Marzullo.

Driiin. Ecco la campanella. Prepariamoci all’invasione della mandria dei bufali che tradotto in termini più distesi significa: stanno arrivando quei simpaticoni dei miei compagni di classe.

Eccoli, ci sono tutti, che fortuna! Entra anche la professoressa di economia aziendale, la mia materia preferita.

-         “ragazzi oggi interrogo” esordisce la professoressa. Vedo un velo di terrore negli occhi dei miei compagni, nessuno ha studiato, ci metterei la mano sul fuoco.

-         “professorè ma ce lo dice così?” si lamenta Enrico, il più zotico degli zotici.

-         “Minnini che ti devo mandare la lettera in carta bollata per avvertirti?” rido. “c’è qualche volontario?” tutto tace.

In un attimo tutta la classe, che dieci minuti fa non mi ha degnata nemmeno di uno sguardo, sta guardando me nella speranza che io mi alzi per farmi interrogare. Ma questa volta non li salvo, mi dispiace. Loro fanno sempre così, studiano solo quando sanno di dover essere interrogati. Non mi pare giusto. Oggi non farò la paladina di nessuno. La professoressa mi capisce, e chiama Enrico.

Il risultato? Beh un bell’impreparato. In quinto superiore non sa nemmeno che cosa è una fattura, a volte mi chiedo come ha fatto ad arrivare fino al quinto senza mai essere rimandato.  

Il resto della mattinata trascorre tranquillamente. La professoressa di inglese ci controlla la traduzione della canzone di Rihanna e ce la fa ascoltare. Stay. Ci vuole coraggio a dirlo.

Alle 13:30 suona la campanella e, finalmente, torno a casa.

 

Ho sempre respinto l’amore dopo la famosa delusione, il non amore. L’ho respinto per paura di soffrire, l’ho respinto per dedicare il mio tempo a mamma.

Da quando ha iniziato a fare la chemioterapia la nostra vita è cambiata. Lei non aveva più la forza di alzarsi dal letto, non voleva fare nulla, non voleva vedere nessuno.

Vedeva i suoi capelli cadere e si disperava. Aveva bisogno di cure, aveva bisogno di qualcuno sempre pronto a starle accanto, aveva bisogno di me.

In quel periodo non sono andata a scuola. La preside mi aveva dato il permesso di fare anche un numero superiore di assenze rispetto a quelle previste senza incorrere in nessuna bocciatura o altra ‘sanzione’.

Seguivo le lezioni sul web mentre mamma dormiva, studiavo e quando avevo un compito o un’interrogazione andavo a scuola lasciando mamma con la vicina di casa.

In questo stato non potevo sottrarre altro tempo a mamma. Pulivo, cucinavo, avevo preso in mano le redini di una famiglia logorata nell’animo e nel corpo.

Non mangiavo più, non ci riuscivo. Una volta ho sentito un medico che diceva ‘la malattia cambia’. È vero, cambia sia chi la ha sia le persone care.

 

Mi sono iscritta ad una palestra. Mi aiuta a scaricare ansia e stress. Ogni pomeriggio dopo lo studio e dopo aver messo un po’ in ordine casa vado per un’oretta o due a svagarmi in palestra.

Corro, pedalo, faccio i pesi, faccio step, faccio di tutto meno che pensare.

C’è chi va in palestra per la propria linea, c’è chi ci va per fare nuove conquiste e poi ci sono io che ci vado per non prendere a pugni il primo che capita.

Devo sfogare la rabbia che ho nei confronti della vita, non sono una persona pessimista, sono solo una che ha sofferto, e la sofferenza ti porta a pensare determinate cose.

Prendo il borsone ed esco di casa. Bip bip. Un sms. È Emanuele, un ragazzo della quinta b. Lo leggo. ‘oggi ti ho vista più allegra a scuola, brillavi come una stella. Sei sempre più bella. Ti va di uscire con me?’ NO. Ma in che modo devo dirglielo? Ci prova con me dal primo giorno del primo superiore. Gli avrò detto almeno mille no ma lui non demorde e ogni tanto torna all’attacco. Mi ha vista felice? Beh gli consiglierò una visita oculistica, quella è una maschera, rido per non far capire la mia guerra interiore.

Emanuele è simpatico, per carità di Dio, ed è anche un tipo abbastanza carino. Ma non è il mio tipo.

Lui è il classico ragazzo che ci prova con tutte, mi hanno detto che ha circa 500 numeri di ragazze nel telefono e che si è fatto una promozione molto vantaggiosa per i messaggi per poterle contattare tutte.

Addirittura ho scoperto che quando scrive un sms fa l’invio multiplo ad almeno 7/8 ragazze. Mah, che tipo.

Queste sono le persone dalle quali voglio tenermi molto alla larga, il doppio gioco non mi piace. Quando si è interessati davvero si concentrano tutte le energie su una persona sola.

Spengo il telefono, non si merita nemmeno una risposta.

Scendo di corsa le scale di casa e vado a sbattere contro un ragazzo che stava salendo.

-          “ops scusa” dico raccogliendo la borsa che mi era sfuggita dalla spalla.

-          “tranquilla è colpa mia” dice abbassando timidamente lo sguardo. “abiti in questo palazzo?”

-          “sì, cerchi qualcuno?”

-          “sì, sono il nipote della signora Giulia, sono tornato da poco dall’America e ho pensato bene di venirla a trovare, solo che ho suonato e non mi ha risposto nessuno, è strano, nonna non si muove mai di casa”

-          “ah Giulia, la conosco. Che cara signora. Senti, per curiosità, quanto ci sei stato in America? E da quanto non parli con qualche parente?”

-          “perché?” dice mentre sul suo viso cala un velo di preoccupazione.

-          “tua nonna è in una casa di riposo da circa un anno, mese più mese meno”

-          “ne sei sicura?”

-          “al 100%. Tua nonna mi è stata molto vicina negli ultimi giorni di vita di mia madre, e poco dopo i tuoi hanno deciso che era troppo grande per stare in casa da sola e che era meglio metterla in una struttura dove c’era sempre qualcuno pronto a prendersi cura di lei”

-          “oh, mi dispiace per tua madre” sembra davvero dispiaciuto.

-          “Tranquillo, da una parte ero preparata, ma a queste cose non ci si trova mai pronti al massimo. Vuoi andare a trovare tua nonna? Io so dove è, ogni tanto ci faccio un salto.”

-          “ma no, non vorrei disturbarti, vedo che hai da fare”

-          “Tranquillo, stavo solo andando in palestra, non è mica un impegno improrogabile e poi a tua nonna farà molto piacere, vedrai.”

-          “Grazie mille, è molto distante? Io non ho la macchina”

-          “abbastanza ma, tranquillo, io ho la macchina, andiamo prima che si faccia troppo tardi”

-          “Hai la macchina? Ma non sei un po’ troppo piccola per guidare?”

-          “No, fidati. E poi, se vuoi, ti faccio vedere la patente”

-          “no, non serve, mi fido”

Ci incamminiamo verso il parcheggio. Una volta in macchina mi dice che si chiama Lorenzo, che ha 22 anni, è un tuffatore e che è andato in America all’età di 16 anni per allenarsi con uno dei maestri più bravi e qualificati del mondo nell’ambito dei tuffi. I suoi genitori non hanno preso bene questa notizia, e nemmeno la nonna, e quindi hanno deciso di tagliare tutti i ponti con lui. Ha partecipato anche ad un’olimpiade, ma poi ha capito che questo per lui era solo un hobby, che dalla vita voleva altro, ecco perché è tornato.

Beh di sicuro il coraggio non gli manca.

-         “Ecco, siamo arrivati. Quello laggiù è il centro residenziale che ospita tua nonna”

-         “Grazie per avermi accompagnato. Adesso vai pure in palestra, ti ho già rubato abbastanza tempo”

-         “Tranquillo, per me non è un problema, dove abiti? Se è lontano da qui come fai a tornare a casa a piedi?”

-         “Io non ho una casa”

-         “Come non hai una casa” chiedo con un tono di voce piuttosto alto e preoccupato.

-         “Sì, non torno mica dai miei. Mi hanno trattato come se non esistessi, mai una chiamata, mai un messaggio, mai una mail. Andrò in un hotel. Non so bene dove si trova, ma non preoccuparti, vai.”

-         “Sei sicuro?”

-         “Ma certo”

-         “Okay ciao, salutami tua nonna, dille che la saluta Beatrice e che appena posso vado a trovarla”

-         “Lo farò, ciao e grazie”

Metto in modo e parto. E così la signora Giulia ha un nipote tuffatore. Mica lo sapevo.

Lorenzo è un ragazzo alto, moro e ha gli occhi celesti. È molto bello, ed ha anche un buon profumo, ha lasciato la scia in macchina.

Arrivo in palestra, parcheggio ed entro.

 

Due ore in palestra mi sono volate. Mi faccio la doccia e poi esco. Di solito odio stare in mezzo al traffico ma questo odio cessa quando dalla palestra me ne torno a casa. Il tempo in più passato in macchina, in quel caso, è un prolungamento naturale dello stato di benessere che mi porta la palestra.

Non ho voglia di cucinare stasera. Allungo ancora di più il piacere. Vado in una pizzeria da asporto ed ordino una pizza.

 

Appena entro in casa poso il cartone della pizza sul tavolino ai piedi del divano e vado a prendere una birra. Di solito non bevo, ma ogni tanto ci vuole.

Mangio e vado a letto, sono distrutta, nel vero senso della parola.

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: xheiguys