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Autore: StillAnotherBrokenDream    27/02/2013    2 recensioni
Camminava da ore su quell'asfalto freddo e bagnato. I piedi scalzi gli facevano male, ad ogni passo avvertiva una fitta dolore sempre più intensa, mentre lasciava dietro di se tracce di sangue. [...] Si raccolse più forte che poteva e iniziò a pregare. Era l'unica cosa che ricordava.
“Padre nostro, che sei nei cieli...”
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Castiel, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Più stagioni, Contesto generale/vago
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Disclaimer: Castiel e gli altri personaggi del telefilm Supernatural non mi appartengono, tutti gli altri sono di mia invenzione, per cui si prega i gentili lettori di non copiare in alcun modo.

N.d.A. : E rieccomi qui, a scrivere l'ennesima storia su Castiel *______* spero vi piaccia almeno un po' :). Ringrazio Robigna88 per l'editing e il bellissimo logo qui sotto <3.


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PERDUTO

Camminava da ore su quell'asfalto freddo e bagnato. I piedi scalzi gli facevano male, ad ogni passo avvertiva una fitta dolore sempre più intensa, mentre lasciava dietro di se tracce di sangue. Si era ferito ma non poteva farci niente, non aveva nulla con cui proteggersi.

Sentiva molto freddo, tremava fino a battere i denti, stringersi per cercare di scaldarsi un minimo era inutile, la camicia che aveva addosso era talmente lacera e bagnata che avrebbe sentito meno freddo se l'avesse tolta. Anche i pantaloni erano ridotti male, ma la pesantezza della stoffa zuppa d'acqua gli dava l'illusione di essere più coperto.

Fino al giorno prima aveva avuto un impermeabile, ma durante la notte gli si era impigliato in un rovo di spine e si era completamente strappato.

Non aveva idea di dove fosse, né da quanto tempo girovagasse in quella zona, un po' nel bosco e un po' sulla strada, sotto l'acqua e in balia del freddo. Non mangiava da giorni, anzi non ricordava nemmeno da quando non mangiava, il suo stomaco si era lamentato inutilmente per ore, poi si era arreso facendo un favore ad entrambi.

Pensò per la centesima volta che poteva essere tutto solo un brutto sogno, un incubo terribile che prima o poi sarebbe finito e si sarebbe svegliato in un letto caldo, all'asciutto. O magari era all'inferno, condannato a vagare sotto la pioggia patendo fame e freddo ma senza morire mai. Sì doveva proprio essere così, era all'inferno. Per questo non passava nessuno, per questo sembrava che quella strada non finisse mai.

“Cosa ho fatto per meritarmi questo?” mormorò l'uomo tremando. “Perchè devo soffrire così?”

Si guardò intorno, la leggera nebbia che lo circondava rendeva tutto grigio e stava per fare buio, pensò che se non era all'inferno, quella notte sarebbe morto davvero. Chissà se qualcuno lo cercava, se aveva una famiglia o degli amici che si preoccupavano per lui, che piangevano per lui. Se c'erano, lui non se li ricordava. Era totalmente e miseramente solo, senza ricordi né identità, in mezzo ad una strada sotto la pioggia che diventava sempre più fitta e il freddo sempre più pungente.

Si raccolse più forte che poteva e iniziò a pregare. Era l'unica cosa che ricordava.

“Padre nostro, che sei nei cieli...”

 

 

*******

 

 

“No mamma, penso che mi stiano prendendo in giro” sentenziò con un sospiro amaro, mentre la pioggia iniziava a battere più forte sul parabrezza.

Mi dispiace tesoro ma te l'avevo detto, quegli stronzi cambiavano covo continuamente senza spostarsi dalla città, e non lasciano traccia. Forse è meglio se lasci perdere e torni a casa” le consigliò sua madre dall'altra parte del telefono. Lei sorrise e scosse il capo.

“Non sono più una bambina, mamma, non devi preoccuparti per me. So cavarmela da sola. E non tornerò ancora a casa, devo trovare quei figli di puttana prima che si mangino tutta la città. Nelle ultime due settimane sono sparite ventinove persone, non posso lasciar perdere proprio ora. Inseguo questi animali da mesi!”

Penelope Miller si sentiva stanca e arrabbiata, era in quella città da venti giorni ormai e non era riuscita a stanarli. Quei fottuti vampiri erano più furbi di quanto pensasse, riuscivano a nascondersi così bene da non trovare nemmeno una traccia. Niente cadaveri dissanguati, niente strani party fino al mattino, nessuna moria di cani e gatti, il ripiego preferito di quella cricca quando era troppo pericoloso fare caccia grossa. Erano assolutamente invisibili, tanto che dopo i primi giorni di assoluta calma, Penny aveva iniziato a pensare di aver sbagliato città, magari Boris e i suoi schiavetti non erano a Rockville. Poi però erano iniziate le sparizioni, dalle 2 alle 4 persone al giorno, sia uomini che donne. Erano certamente loro e aveva iniziato a far provviste. No, Penelope Miller, ventinove anni, cacciatrice di creature soprannaturali, non poteva lasciare quel caso.

Vuoi che venga da te, piccola?” le propose sua madre. “In due si lavora meglio e qui mi annoio. L'alta concentrazione di cacciatori nei paraggi mi costringe a casa!

Penny ci pensò su qualche istante, sua madre era un'ottima cacciatrice, tutto quello che sapeva lo doveva a lei e a suo zio, avevano cacciato molte volte insieme senza mai fallire. Forse col suo aiuto avrebbe risolto il caso prima e meglio, ma poi ci ripensò e decise di non accettare l'offerta. Quella era una battaglia tutta sua.

“Grazie mamma, ma preferisco continuare da sola. E' un caso che mi sta molto a cuore e tu lo sai, voglio farli a pezzi con le mie mani. Da sola.”

Boris era uno schifoso figlio di puttana più simile ad un pappone dell'est europeo che ad un vampiro, con tanto di pancia prominente e unghia del mignolo più lunga delle altre, ma era spietato e non si era fatto scrupoli quando si era trattato di assassinare una ragazzina di sedici anni, Maria. Penny la conosceva, abitava nell'appartamento di fronte al monolocale che aveva affittato a Los Angeles quando dava la caccia ad una coppia di licantropi. Avevano fatto subito amicizia, Maria era stata adottata e si era ritrovata figlia unica di una coppia con pochi parenti, nessuno dei quali giovane come lei. Così si era affezionata a Penny, vedendo in lei, forse, una sorta di sorella. Quando Maria sparì una sera, lei partecipò alle ricerche anche se non era compito suo, e fu lei a ritrovarla. Dissero che era stata aggredita da qualche delinquente, magari un tentativo di violenza finito male, ma lei conosceva bene quei segni sul collo: un maledetto vampiro le aveva succhiato via la vita. E dopo qualche chiacchierata in giro, aveva scoperto anche quale banda di mostri girava per la città, cioè quella di Boris. Anzi, seppe che probabilmente era stato lui in persona, visto che aveva un debole per le ragazze molto giovani. Porco schifoso, doppiamente schifoso.

Theresa capiva il suo stato d'animo, anche lei aveva perso delle persone importanti o che lo stavano diventando, amici e amiche indifesi ma anche cacciatori esperti. Non era bello in nessun caso e la morte di quella ragazzina aveva colpito Penny più di qualunque altra, e ne aveva viste molte, di vittime.

Forse perchè anche Penelope era stata adottata. Più o meno, adottata. Theresa Miller l'amava esattamente come se fosse nata da lei, ma non era la sua vera madre. Era anche troppo giovane per esserlo visti i suoi quarantadue anni. Ma si era presa cura di lei da quando aveva appena otto anni. O almeno era quella l'età che i dottori le avevano dato. Nessuno sapeva quanti anni avesse davvero Penny, o chi fosse. Ma lei l'aveva amata e curata come solo una madre può fare, e lei ricambiava come una figlia.

Per cui era terrorizzata all'idea che potesse succederle qualcosa, saperla da sola mentre cacciava un gregge di vampiri senza scrupoli e astuti come volpi non la faceva dormire, ma doveva rispettare la sua scelta. Ormai era una donna e una cacciatrice coi fiocchi, doveva volare via dal nido. E poi aveva il suo dono speciale.

Va bene tesoro” rispose Terry serenamente. “Ma ti prego, fai attenzione. E tienimi aggiornata!

Penny sorrise. “Non preoccuparti mamma, starò molto attenta e ti telefonerò appena saprò qualcosa. Stai tranquilla, sono brava nel mio mestiere. Dopotutto ho imparato dalla migliore!” la lusingò. In quel momento un lampo saettò nel cielo, seguito subito da un tuono che sembrò spaccarlo.

Dio santo, ma cos'era, un tuono?” domandò Theresa preoccupata.

“Si” rispose la giovane, riprendendosi dallo spavento. “E anche molto forte. Maledizione, il tempo sta peggiorando, si sta facendo buio e sono ancora...” le parole le morirono in gola, quando il suo sguardo fu catturato da qualcosa. Sul ciglio della strada, sotto la pioggia che diventava sempre più forte, c'era un uomo scalzo seduto a terra con la testa tra le mani come a proteggersi. Indossava solo una camicia lacera e un paio di pantaloni e sembrava essere in quelle condizioni da molto. “Mio Dio...” mormorò fermando l'auto a poca distanza dall'uomo che non sembrò accorgersene.

Penny? Sei ancora lì?”

Si scosse dalla sorpresa e rispose a sua madre. “Sì ci sono...senti mamma ti richiamo più tardi, a dopo.” riattaccò senza aspettare nemmeno la risposta. Quell'uomo aveva bisogno di aiuto subito. Scese dalla macchina maledicendosi per non essersi portata dietro un ombrello e lo raggiunse cercando di coprirsi con la giacca.

“Ehi? Va tutto bene?” gli chiese, non sapendo cos'altro dire. Lui non si mosse, restando nella sua posizione raccolta, ma tremava e Penny pensò che non era solo per il freddo. La camicia, strappata in più punti, era sporca di fango e sangue, aveva mani e piedi feriti ed era bagnato fradicio. Chissà da quanto tempo era lì sotto l'acqua incessante.

“Ehi” ripetè accovacciandosi di fronte a lui “mi senti?” Gli sfiorò un braccio e allora lo sconosciuto alzò la testa e la guardò. Incontrare quello sguardo azzurro pieno di paura e stanchezza le fece male. Era un uomo sui trentacinque anni, con la barba lunga di almeno una settimana e diversi graffi sulla fronte e sul viso. Gli occhi spaesati erano arrossati e gonfi, forse aveva pianto.

“Ciao” gli disse con un sorriso, cercando di rassicurarlo. “Che ci fai qui? Ti senti bene?”

L'uomo la guardò intensamente negli occhi e a Penny sembrò che un po' di quella paura stesse iniziando a svanire.

“Tu sai chi sono?” le domandò inaspettatamente.

Penelope sollevò le sopracciglia e scosse il capo. “Non ho idea di chi tu sia.”

Lui allora sembrò sul punto di piangere. “Nemmeno io lo so. Non so chi sono, o dove sono. Cammino da giorni...aiutami ti prego.”

Le lacrime iniziarono a rigargli le guance, mischiandosi con la pioggia e la ragazza si sentì stringere il cuore. D'istinto gli prese il viso tra le mani e gli accarezzò le guance.

“Va tutto bene, ora ci sono io. Non sei più solo, adesso ti porto al sicuro e al caldo.”

L'uomo sorrise appena e posò le mani sulle sue. “Grazie.”

Non poteva crederci, il suo incubo era finito? Allora non era all'inferno, se finalmente un altro essere umano lo soccorreva proprio quando aveva deciso di lasciarsi andare. Quella ragazza era apparsa dal nulla per aiutarlo, finalmente non avrebbe più sofferto.

“Vieni, andiamo.” Lo aiutò ad alzarsi e per poco non cadde, se Penny prontamente non l'avesse sorretto. Era debole e quasi congelato, come aveva fatto a non morire?

Pover'uomo, pensò la giovane mentre sostenendolo tornavano alla macchina. Aprì la portiera e lo fece sedere sul sedile, richiudendola piano. Poi corse dal suo lato e si infilò dentro, mentre un altro tuono, più furioso di quello di pochi minuti prima, deflagrò nell'aria rimbombando tra le montagne.

“Dannazione che tempo” imprecò lei togliendosi la giacca ormai zuppa di pioggia, la buttò sul sedile posteriore e accese il riscaldamento. Guardò l'uomo seduto accanto a lei e lo trovò con la testa poggiata al sedile e gli occhi chiusi. Era stremato e infreddolito. Le ricordava tremendamente se stessa, quando Theresa l'aveva trovata che vagava per un bosco scalza e spaventata. Sospirò cercando di scacciare quel brutto ricordo – il primo ricordo della sua vita – e cercò qualcosa nel borsone sul sedile posteriore. Ne tirò fuori uno scialle di lana azzurro. “Copriti con questo” disse al suo passeggero mentre glielo sistemava addosso. “Ti farà sentire subito meglio.”

Lui guardò stupito l'indumento, ma non rispose, lasciandosi avvolgere da quel tepore immediato. Sospirò e parve rilassarsi, finalmente il freddo era finito, ora era al caldo e al sicuro. “Grazie”

“Figurati!” rispose lei sorridendo. Poi si ricordò del thermos di caffè che si era portata dietro quella mattina. Con un po' di fortuna era ancora caldo. Si allungò di nuovo dietro e lo afferrò. Lo aprì e ne versò un po' nella tazza, quando vide il fumo capì che era sufficientemente caldo e lo riempì.

“Bevi questo, ti farà stare molto meglio” gli disse porgendoglielo.

Lo straniero guardò quella tazza argentata quasi con timore, poi con sorpresa. Lo prese con entrambe le mani e se lo portò alle labbra. Bevve un piccolo sorso e per poco non gli cadde dalle mani. Era caldo, dolce e profumato. Il suo stomaco sembrò dilatarsi, scaldato da quel liquido così aromatico e rincuorante. Dopo quel primo sorso bevuto quasi con paura, ne seguì un altro ininterrotto che svuotò la tazza in pochi istanti.

Penny lo osservava intenerita, Dio solo sapeva da quanto tempo era lì fuori da solo, quasi nudo e senza sapere nemmeno chi era. Probabilmente aveva avuto un incidente e il trauma gli aveva fatto perdere la memoria. Oppure era stato rapito e lasciato successivamente lì...

E se fosse stato una vittima di Boris e del suo clan? Forse era riuscito a fuggire, o l'avevano abbandonato fuori città credendolo morto. No, più probabile la prima ipotesi, dei ventinove scomparsi negli ultimi giorni non era stato ritrovato nemmeno un brandello. Non lasciavano indizi, in quella città.

“Grazie” le disse ancora una volta, porgendole la tazza di caffè ormai vuota.

“Non c'è di che. Ora ti porto a casa mia, lì potrai cambiarti e mangiare qualcosa. Dopo vediamo di scoprire chi sei e cosa ti è successo. Va bene?”

L'uomo la guardò con occhi pieni di riconoscenza e annuì con un sorriso appena accennato. “Ti ringrazio” le disse quasi sottovoce.

Penny rispose al sorriso e ancora una volta gli accarezzò la guancia. Poi mise in moto e ripartì, mentre fuori la pioggia era diventata un violento temporale. Ma a lui non importava più, si sentiva al sicuro e il calore che lo avvolgeva quasi gli faceva dimenticare tutto quello che aveva passato in quei giorni. La paura, il freddo, la fame, lo smarrimento, tutto sembrava più lontano e meno orribile. Ed erano bastati uno scialle di lana e un po' di caffè caldo. Sospirò profondamente e si rilassò sul sedile, cullato dal tepore e dalla guida calma e prudente della sua salvatrice. Poggiò la testa e chiuse gli occhi, finalmente poteva rilassarsi.

“Sembra la fine del mondo, dannazione” commentò Penny fissando la strada. “Ci vorrà ancora almeno un'ora prima di arrivare a casa, puoi anche ...” ma quando lo guardò, capì che non c'era nemmeno bisogno di dirglielo. “...dormire un po'.”

Si era assopito immediatamente, rannicchiato sotto il suo scialle azzurro. Cosa aveva passato quell'uomo? Chi gli aveva fatto del male? Perchè la sensazione era quella, qualcuno lo aveva aggredito. Sperava che la sua amnesia fosse temporanea, di quelle che passano non appena ci si riprende da un botta in testa, o da uno shock. Non augurava a nessuno quello che era capitato a lei, non avere nessun ricordo, non sapere il proprio nome o chi sono i propri genitori. Inoltre lui era un uomo adulto, non un bambino. Lei era solo una bambina quando aveva perso la memoria, i suoi ricordi erano di certo limitati a pochi anni. Ma un uomo adulto che perdeva la memoria, quante cose perdeva?

   
 
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