Anime & Manga > Inuyasha
Ricorda la storia  |      
Autore: elyxyz    15/09/2007    29 recensioni
“Sesshomaru-sama... cosa ne pensi degli Hanyou?”
(...) Avrei dovuto capire, o almeno intuire, che quella domanda sarebbe stata il principio e la fine di tutto.
(Sesshomaru x Rin)
Genere: Romantico, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Rin, Sesshoumaru
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Cucciolo d’uomo

Note: la mia seconda SesshoRin. Non pensavo sarebbe giunta tanto presto!

Per le spiegazioni, vi rimando alla conclusione della fic.

 

 

Dedicato a chi ha commentato Giustizia… o gelosia?

 

A Yuki, Lollyna, Melchan, Desy, Djibril83, Mendori, Caporalez, Vocedelsilenzio, Grievermon, Kayra, Setsuka, Fufi Chan e CuteLittleRin.


Perché la vostra accoglienza mi ha scaldato il cuore.

Con immensa gratitudine.

 

 

 

Cucciolo d'uomo

 

 

by elyxyz

 

 

 

 

POV Sesshomaru

 

 

 

Sesshomaru-sama... cosa ne pensi degli Hanyou?”

 

Mi chiese lei, in modo quasi casuale, in quella sera d’inizio primavera.

Avrei dovuto capire, o almeno intuire, che quella domanda sarebbe stata il principio e la fine di tutto.

Ma mi ero abituato, col tempo, alle sue stranezze. E i suoi quesiti improvvisi e inutili non facevano eccezione. Camminava sempre due passi dietro di me da quasi vent’anni, ormai. Bambina, donna, compagna. Eppure sapeva quanto mi infastidisse sprecare il fiato, sciupare parole.

 

Gli sporchi, bastardi mezzo-demoni come quell’infame del mio fratellastro?” chiarii sprezzante, includendo già la risposta, la mia opinione. “Li ucciderei tutti.”

 

Avrei dovuto notare, allora, il suo sguardo divenire di colpo sfuggevole, e quell’improvviso silenzio.

Noi amavamo il silenzio. Ma quello aveva uno strano odore. Odore di presagio.

 

Rimase a lungo ad ammirare i ciliegi in fiore, i petali che le cadevano addosso, come una benevola coperta.

 

Sesshomaru-sama, io vado a dormire.” Mi informò d’un tratto, recandosi quietamente nella grotta che avevamo stabilito come rifugio, qualche ora prima.

Mi chiamava ancora così, anche dopo tanto tempo. Sesshomaru-sama. Amore e venerazione.
Rin giurava il suo amore per me, ogni volta che lo pronunciava.

Io non le avevo mai promesso eterna fedeltà, niente sciocchi romanticismi e sdolcinate dichiarazioni. Ma le avevo concesso di starmi accanto, ogni giorno, nel bene e nel male.

Noi eravamo fatti così. E il resto non contava.

 

Quella sera, non le avevo dato neppure la buonanotte, ma l’avrei fatto a modo mio. Quando l’avrei stretta tra le mie braccia, proteggendola dal freddo e dalle sue paure. La mia compagna.

 

Eppure lei si scostò leggermente, nel momento in cui – come sempre – la attirai a me, abbracciandola.
Fu solo un istante, nel dormiveglia. I suoi occhi scuri mi fissarono, nella penombra, grandi e lucidi. Poi si lasciò cingere, e sprofondò contro di me, cercando il mio calore. La mia pelliccia ci ricoprì, e il sonno ci colse.

 

All’alba del mattino dopo, percepii la fisicità della sua assenza. La mia presa era vuota, inconsistente.
La cosa mi infastidì, certo. Ma talvolta capitava. Capitava che lei si svegliasse prima di me.

Ogni mese, con la luna nuova, era sempre più sfuggente, impaziente, o di malumore.

E allora scompariva, in groppa ad Ah-Un, e quando ritornava, quattro o cinque giorni dopo, era di nuovo la Rin di sempre.

 

Forse anche gli umani, come i mezzo-demoni, sono più vulnerabili in certe occasioni.

Inuyasha rischia la vita, quando accade. Lo so. Perché perde i suoi poteri demoniaci.
Ma Rin, di poteri, non ne ha… e se è particolarmente indifesa, perché non rimanermi accanto, a maggior ragione? L’avrei protetta, come ho sempre fatto. E forse ancor di più…

 

Ma non lo saprò mai.

E fui sciocco, a non chiederglielo quando ancora mi era concesso farlo.

 

Non fu però in quella mattina di primavera, che me ne resi conto. Ma nei giorni successivi, quando lei, a differenza dei noviluni precedenti, non tornò.

 

E fu il mio turno di divenire irascibile e irrequieto, in quell’attesa logorante.
E rimpiansi la mancanza di Jaken, fedele servitore, morto tempo addietro, nella sua misera vecchiaia. Avrei preferito persino la sua voce querula a quell’improvviso silenzio, gravido e opprimente.

 

 

Ah-Un tornò da me un tardo pomeriggio, quasi una settimana dopo.

E, per la prima volta, senza di lei.

Un pezzo di carta legato alle briglie, e fu tutto quello che mi rimase di lei.

 

Se chiudo gli occhi, ancora adesso, riesco a vedere la sua scrittura tremolante, scrittura di bambina – lei che bambina non era più.

 

“Perdonami, Sesshomaru-sama,

se non ti so dire addio guardandoti negli occhi.”

 

 

Né un come, né un perché.

E lo stupore lasciò posto al dolore; il dolore alla collera.

 

Ordinai, picchiai, pregai Ah-Un, affinché mi conducesse da lei.

Ma sapevo da tempo che le aveva giurato fedeltà. E fu tutto inutile.

Quindi mi arresi ai fatti.

Rin mi aveva tradito. Aveva tradito la mia fiducia. L’affetto che mi legava a lei.

Come tutti gli esseri umani, anche lei era una creatura abbietta, che non meritava il mio dolore.

 

Quell’unica persona che avesse mai significato qualcosa per me…

 

 

****

 

 

Trascorsi i mesi successivi vagabondando di villaggio in villaggio, perché l’avrei trovata, maledizione! E le avrei insegnato che nessun mortale – tanto meno una sporca umana – avrebbe potuto prendersi impunemente gioco di me!

Ma la primavera divenne estate, e poi le foglie caddero, e infine la neve ricoprì tutto.

 

Imparai nuovamente il dolce, antico sapore del sangue che cola dalle trachee sgozzate.

Le suppliche di una pietà che più non provavo.

Il Signore delle Terre dell’Ovest era tornato a seminare il terrore, ad ascoltare il canto melodioso delle urla disperate, implorazioni vane e preci inutili. Volevo vendetta, e ogni uomo sulla mia strada sarebbe servito a saziarla. In attesa di lei...

 

 

Giunsi presso il suo sobborgo una mattina di primavera. All’alba.

E, per ironia della sorte, i ciliegi erano di nuovo in fiore.

 

Mi sarei limitato ad uccidere lo sventurato di turno incontrato sul mio cammino, e poi avrei proseguito… se di colpo non avessi percepito il suo odore.

Non potevo sbagliarmi.

Troppe notti le mie narici erano state accarezzate dal suo profumo.
Ed era marchiato dentro me, indelebile.

 

Un’improvvisa, euforica malvagità mi colse. Rin era lì, poco lontano da me.
Avrei avuto la mia vendetta, finalmente.

Un anno di ricerca, e una soddisfazione impagabile!

 

Aggredii la ragazza che stava stendendo i panni che sapevano di lei; puntandole alla gola i miei affilati artigli, le ingiunsi di non gridare – o sarebbe morta all’istante – e di portarmi da lei, dalla traditrice.

 

Fu fin troppo semplice, perché quella femmina umana era così terrorizzata da me che non ebbe il coraggio neppure di respirare. Quindi la liberai, giusto per permetterle di guidarmi tra le capanne.

Tremava da capo a piedi, eppure camminava, sicura della direzione. Tuttavia, giunta davanti ad una casupola di legno, con solo una stuoia come porta, si fermò. Uno strano brillio negli occhi.

 

Sesshomaru-sama.” Osò chiamarmi. Stupendomi, e facendomi fremere d’indignazione, per l’ardire. L’avrei schiaffeggiata, se le sue parole non m’avessero preceduto. “E’ debole e malata da tempo. Sta morendo.” Disse con semplicità.

Sussultai sentendo ciò. Non ebbi modo di impedirmelo. Ma quella giovane donna stava mentendo di certo! La mia Rin era sempre stata il ritratto della salute! Il freddo e i disagi, i nostri viaggi, le avevano forgiato una tempra resistente, non era possibile… non era possibile!

 

La scansai di lato, entrando nella costruzione fatiscente.

E lei era lì, pallida ed emaciata, persino nel chiarore dell’alba.

In quel futon lurido, gemeva in preda al delirio.

Caddi al suo fianco, incredulo e furente…
…e angosciato. Angosciato, sì.

 

Non avrei permesso ad una stupida malattia di portamela via. Dovevo punirla con le mie mani, dovevo assaggiare la mia rivincita.

Non potevo perderla… non ora…

Non ora che l’avevo ritrovata…

 

Rin…” la chiamai, di colpo timoroso. Lei se n’era andata, lei mi aveva lasciato.

E se adesso mi avesse cacciato?

 

Gemette un po’ più forte, ansimando sofferente.

 

“Oh, Rin…”

 

Ed ella aprì le palpebre. Lentamente, con fatica. Come se le costasse un enorme sacrificio.

Mi fissò con occhi vacui, lo sguardo febbricitante.

Poi di colpo parve riconoscermi, perché le sue pupille si dilatarono per lo stupore.

Mi chiamò piano, sussurrando il mio nome.

 

Sesshomaru-sama...”

 

E un brivido lungo la mia schiena, perché quella voce, quella voce… lei…

 

Shhh… non parlare…” le intimai, ma la rabbia era evaporata d’incanto.

 

Lei era lì, lì davanti a me. Cos’altro importava?

 

Eppure si sforzò di continuare e di alzarsi. Non mi rimase altro che aiutarla, in quest’atto che sembrava risucchiarle ogni energia, e la sostenni, adagiandola contro di me.

 

“Perché sei qui?” mi chiese, in un filo di voce.

 

“Perché te ne sei andata?” replicai, cercando di rimanere calmo.

 

“Non… non saresti dovuto venire…” mi rimproverò, stancamente.

 

“Non saresti dovuta andartene!” la sgridai, mentre la mia indole fremeva.

 

Un pianto improvviso e disperato fendette l’aria, e fu in quel mentre che mi accorsi del cesto accanto al suo letto.

Non avevo percepito la sua presenza, perché i messaggeri di morte volteggiavano su di noi, in attesa.

 

Rin cercò di nasconderlo, di frapporsi tra me e lui, ma io fui più svelto.

 

E lo vidi. Un cucciolo d’uomo avvolto in fasce. Un neonato e i suoi vagiti.

 

Una rabbia cieca mi colse.

 

“Con chi l’hai generato?!” ringhiai, stringendola fin quasi a farle male. “Dov’è il bastardo che…” urlai, investito dalla mia ira. Rin mi guardò solamente. Senza rispondere. E quel marmocchio, la prova del suo peccato, gemeva stridulo, assordando il mio fine udito canino.

Lasciai cadere lei, e afferrai il piccolo per le vesti di stracci. Nella mia travolgente furia, ero pronto ad ucciderlo sul posto. La mia vendetta sarebbe stata lui.

 

Mi concessi un solo attimo, per guardare la mia vittima sacrificale.

Quel visetto paffuto, arrossato dal pianto, e quei capelli incredibilmente neri, come quelli della madre.

Rin gridava ai miei piedi, implorava pietà, senza avere la forza reale per sottrarmi il bambino.

Fu nell’istante in cui sfoderai i miei artigli letali davanti al suo musetto, che egli smise di piangere, e aprì gli occhi. Due pozze d’oro fuso, illanguidite dalle lacrime.

 

Fu allora che il dubbio mi colse. Dubbio che divenne certezza, quando sfiorai la testolina e vidi due piccole, pelose orecchie a punta, nascoste tra i folti capelli scuri.

Il cucciolo d’uomo allungò le sue zampette verso di me, e d’istinto richiusi le dita per non ferirlo con le mie grinfie acuminate. I suoi ditini afferrarono la nocca di un mio dito, e se lo portò alla bocca, succhiando avido.

S’illuse d’aver trovato il latte e s’acquietò qualche istante; ma durò poco, perché riprese a piagnucolare, più arrabbiato di prima.

Sulle piccole gote comparvero delle striature rossastre, identiche alle mie. E una piccola falce di luna argentata in mezzo alla fronte.

Evidentemente, quando s’adirava, la sua parte demoniaca prendeva il sopravvento.

 

Non aveva piccole unghiette, alle sue estremità, ma teneri, sottili artigli, che un giorno sarebbero cresciuti.  

 

Uno strano rimescolio dentro di me mi travolse, in un moto d’amore che credevo di non saper più provare.

Tenevo in braccio mio figlio.

Il mio erede.

 

“Qual è il suo nome?” le chiesi, accovacciandomi al suo fianco perché il piccolo potesse vederla, e forse calmarsi.

 

Kinsei.” Soffiò, mentre calde lacrime le solcavano le gote scavate.

 

Anuii. Spirito Dorato.

Era un bel nome, dopotutto.

 

 

La donna che mi aveva fatto da guida - col tempo, avrei imparato a chiamarla Hanako-san -, rientrò nella capanna, forse attirata dai vagiti insistenti, e allungò silenziosamente le braccia verso di me, di modo che le consegnassi il bimbo. Non mi ero accorto, nella concitazione del momento, delle sue forme arrotondate e pesanti, tipiche di una puerpera. Si mise in un angolino della stanza, e lo allattò, come se fosse suo.

 

Avevo compreso che la situazione era grave, ma solo allora capii fino a che punto.
Quell’umana nutriva un Hanyou, perché Rin era così debole da non riuscirci.

“Ti prometto che guarirai.” Le dissi, approssimandomi al suo volto.

 

Ma lei scosse piano il capo. “E’ troppo tardi…”

 

“Andrò a cercare ogni sacerdotessa dell’Ovest, se servisse, ma ti farò curare…” ripresi, testardo.

 

“Non esiste rimedio.” Esalò lei, sorridendomi tristemente.

 

E mi maledissi, per aver sacrificato Tenseiga per far ritorno dall’Altro Mondo, anni addietro, nella battaglia contro Naraku.
La mia spada avrebbe potuto riportarla in vita, come già aveva fatto una volta.

Ma ora non esisteva più, non era più possibile forgiarne un’altra dal medesimo potere.

 

Hanako-san si sistemò le vesti e mi porse il bambino, che prese a dormire, sereno, tra le coltri della mia pelliccia, come aveva fatto sua madre, a suo tempo.

 

Era… questo?

Questa marea che sale dentro di me e scalda ogni recesso del mio essere?
E’ questo, sentirsi genitore?
Mio padre ha sentito le mie medesime emozioni, tenendomi tra le sue braccia?
Non lo saprò mai. Ma è un’esperienza unica.
Nessuna vittoria si può comparare a questo.

 

 

“Il plenilunio.” Mi confidò Rin, timorosa e guardinga. “Il plenilunio è il suo momento pericoloso.

 

Annuii nuovamente, avevo capito perfettamente i sottintesi di quell’avvertimento.

 

“Promettimi che lo proteggerai…” mi supplicò, la voce stanca che fuoriusciva appena.

 

“Te lo giuro.” Risposi, sforzandomi di mantenere un tono fermo. “Ti giuro che gli insegnerò ad onorare la memoria di sua madre, Rin. Te lo giuro.” E lei sorrise, stanca e felice.

 

Nei giorni a venire, capii molte cose.

 

“Perché non me l’hai detto...?

 

“Perché tu odi gli Hanyou, e ho preferito salvare il bimbo che portavo in grembo.

 

“Avresti dovuto avere più fiducia in me.”

 

“Perdonami.”

 

Eppure, si insinuò in me il dubbio che quel bimbo fosse inconsapevolmente la causa della nostra rovina.

Anche la madre di Inuyasha era morta, poco tempo dopo averlo dato alla luce.
Il vecchio Jaken, un dì mi accennò ad una leggenda, una maledizione.

Gli Hanyou sono ibridi nati da un tabù violato.
Uomo e demone non dovrebbero mai giacere assieme, e per giunta procreare.
Forse, la madre del mio fratellastro è morta a causa della sua parte demoniaca che era risieduta in lei. E così pure per la mia Rin.

Quest’atto d’amore le sarebbe costato la vita. Ecco perché non esistevano rimedi. Il Fato si era già compiuto.

Trascorremmo insieme il poco tempo che ci rimaneva.

 

“Portami fuori, Sesshomaru-sama, per favore. Esalò un pomeriggio, sollevando una mano verso il niente.

E così feci. La presi in braccio, come facevo quand’era bambina, quand’era stanca o con le ginocchia sbucciate. E la Morte aleggiava su di noi. La sentivo, era venuta a reclamare la sua nuova anima. Eppure attese. Anche la Morte attese. Che io e lei raggiungessimo una radura fuori dal villaggio. Che io potessi accarezzare quel viso che tanto avevo amato, per un’ultima volta.
E poi sentire il mio nome sulle sue labbra.
Quel giuramento d’eterno amore che aveva mantenuto. Sesshomaru-sama...”

 

Si spense una sera di fine primavera, sotto i ciliegi di nuovo in fiore, i petali che le cadevano addosso, come una benevola coperta.

 

 

Fine



Disclaimers: I personaggi citati in questo racconto non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

Note: so che la trama di questa fic non è particolarmente originale, (di sicuro qualche Harmony smielato ha una storia simile), ma credo ne sia uscito comunque un buon esercizio di stile. (Volevo provare qualcosa di un po’ insolito, per i miei canoni).

Non penso che Sesshomaru-sama sia particolarmente OOC, poiché nessuno sa prevedere l’evolversi del suo carattere, con Rin al suo fianco per quasi vent’anni.

 

Alla data di oggi, dall’anime non ci è ancora dato sapere come Sesshomaru e gli altri usciranno dall’Altro Mondo, da cui nessun vivo può fare ritorno. La scelta di sacrificare Tenseiga è una mia idea, così pure immaginare la ragione della morte della madre di Inuyasha. Difatti, sappiamo solo che è avvenuta quando lui era molto piccolo.

Il nome del bimbo, Kinsei, è l’unione di:
Kin= oro.

Sei= forza, energia, spirito.

Almeno secondo il mio dizionario di giappo. Se ho completamente toppato, vi prego di avvisarmi.

 

 

Ne approfitto qui per ringraziare i recensori del mio recente drabble su Slam Dunk, non avrei mai immaginato un tale, caloroso bentornata! ^_^

Grazie di cuore ai lettori affezionati e a quelli nuovi, per le vostre adorabili recensioni.

Come sempre, sono graditi commenti, consigli e critiche.


Grazie (_ _)

elyxyz

   
 
Leggi le 29 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Inuyasha / Vai alla pagina dell'autore: elyxyz