Giorno 1.
Pioveva.
Il vento soffiava come non mai, la
finestra tremava ed entravano degli spifferi da ogni dove. Io ero
seduta sulla
mia sedia rossa, davanti alla scrivania del computer e scrivevo cose
ormai
senza senso per il mio cervello. Copia-incolla, copia-incolla. Copiavo
e
incollavo come se non ci fosse un domani. Le 2 del mattino. Fame.
Brontolio
dello stomaco.
Faceva troppo freddo per alzarsi dalla sedia ed andare a prendere
qualcosa.
Brontolio.
Tolsi le mani dalla tastiera e con l’alito cercai di
riscaldarle. Misi bene la
copertina sulle mie spalle e continuai a scrivere. Un lampo. Vidi un
qualcosa
di nero con un becco venire veloce verso di me. Splat. Era un corvo e
si era
spiaccicato sopra la mia finestra, sporcandola di sangue.
Sbuffai e continuai a scrivere, come se quella fosse la cosa
più normale al
mondo.
Le
4 del mattino. Lo stomaco ormai non aveva
neanche più le forze di brontolare. Sentivo solo il dolore
alla pancia, ma non
potevo concentrarmi su quello, dovevo finire di scrivere.
Non ero neanche più stanca da quanto ero stanca. Un
po’ contradditorio, ma era
quella la sensazione che provavo. Sentii una porta aprirsi, la voce
impastata
di papà, che si era alzato per andare a lavoro e mamma dire
“buona giornata,
tesoro.” Sorrisi. Lo chiamava ancora tesoro, nonostante il
giorno prima
avessero litigato brutalmente, quasi mettendomi in mezzo. Continuai
imperterrita a scrivere, anche se le mie dita, ormai due ghiaccioli,
non
volessero più continuare. I miei occhi erano a
metà. Stavo per cedere. Scrollai
la testa, mi strofinai gli occhi e capii quanto fossero ghiacciate le
mie mani
e continuai a scrivere. Ancora.
La porta della mia camera si aprì lentamente.
Papà mi chiese a che punto ero,
io gli risposi con un mugolio strano e lui se ne andò a
lavoro. Mi aveva capita
sicuramente, dato che ci era passato anche lui.
6
del mattino. Fuori aveva smesso di piovere
e si intravedeva un filo di luce. Rividi quella macchia gigante di
sangue e
pensai scocciata che dovevo pulirlo. Il sole stava cominciando a
sorgere ed io
avevo quasi finito di scrivere. Riguardai il cielo e alcune nuvole nere
si
stavano riavvicinando al sole. Qualche minuto dopo aveva rincominciato
a
piovere violentemente. I passi di mio fratello si avvicinarono di
fretta alla
mia camera. Sentivo il suo respiro affannato da dietro la porta. Che
cavolo
aveva fatto non si sapeva, però sussurrai un
“avanti” lo stesso. Mio fratello
entrò in camera e mi guardò con compassione, poi
mi chiese di non dire niente a
mamma del suo ritorno a quell’ora del mattino e
uscì. Aveva 18 anni, perché
diavolo doveva nascondersi da mamma? Con questa domanda continuai a
scrivere
per un po’, poi realizzai la paura che faceva mamma quando si
arrabbiava.
Ridacchiai mezzo in me e mezzo no.
Le
7. Ero arrivata alle ultime righe da scrivere,
poi il buio. Si vedeva solo la luce di fuori. Mi bloccai davanti a
quello
schermo nero e senza accorgermene cominciai a piangere. Un pianto di
rabbia.
Sentii la mamma avvicinarsi alla camera, la porta si socchiuse e si
sentì una
fievole voce chiedere scusa. Aveva staccato la corrente. Mi alzai dalla
sedia e
urlai. Mi accasciai a terra e chiusi gli occhi, in cerca di un
abbraccio da
parte della moquette viola sotto di me. Non trovando conforto mi alzai
ed andai
a coricarmi. Imprecai sottovoce più e più volte e
mi addormentai con il
desiderio di vendetta.
Giorno 2.
Pioveva.
Ancora.
Erano le 23:30 ed ero da più di 5 ore sul computer. Si,
stavo riscrivendo
tutto. Quella volta mi ero munita di cibo, infatti avevo di fianco a me
3
pacchi di merendine e due di succhi alla frutta di ogni genere. Sapevo
che
sarebbe stata una nottata lunga.
Mezzanotte.
Il vento si era alzato e mi sembrava di
essere in una battaglia di Harry Potter, solo che non stavo volando, ma
stavo
schiacciando tanto sulla tastiera, tutta presa dalle informazioni
riposte
dentro la mia mente, che si sprigionavano, facendomi diventare pazza.
Ero tipo un pianista, di quelli che sbattono sul piano le dita, facendo
espressioni strane e scattando in piedi per far vedere la loro
bellissima
figura che suona quella dolce melodia. Mi bloccai e risi a quel
pensiero: stavo
veramente diventando pazza. Presi una merendina, l’aprii e
cominciai a
mangiare. Finita la merendina bevvi un succo e continuai a scrivere,
più carica
di prima.
In sottofondo misi anche la canzoncina di Harry Potter, dato che mi
stavo
annoiando a sentire il vento.
Il computer segnò le 3 del mattino. Era la 25esima volta che
rimettevo quella
canzoncina, non sapevo che altro mettere. Ero assonnata e con tutte le
merendine che avevo mangiato avevo anche il mal di pancia.
Mi insultai pesantemente 4 volte, poi cominciai con i copia-incolla,
stufa di
dover scrivere.
Sbadigliai e il vento si fermò. Sorrisi, sfoggiando la mia
abilità nel fermare
i venti (?) e continuai a scrivere, stranamente felice.
6:30.
Misi l’ultimo punto e sorrisi. Misi la mano sul
mouse, spostai la freccetta sulla X e apparve il “Salvare le
modifiche? Si – No
– Annulla.” Andai tutta convinta sul no e cliccai.
Mi bloccai e cominciai a
piangere. Mi alzai e urlai “NOOO!”, poi mi
accasciai a terra e piansi per
mezz’oretta buona. Mi alzai e mi coricai nel mio lettino
azzurro, imprecando
più e più volte, desiderando la morte o di non
essere mai nata. Mi addormentai
in un sonno pieno di incubi.
Giorno 3.
Niente
più merendine quel giorno. Solo frutta e una
bottiglia da un litro di acqua.
Passai la nottata a scrivere, quella volta con l’intento di
fare tutto bene e
soprattutto di salvare.
Alle 7 del mattino finii di scrivere, salvai, feci un paio di copie e
spensi
tutto.
Andai a dormire, soddisfatta del mio lavoro, nonostante avessi un
brutto
presentimento.
15:30,
accesi il computer. “C’è stato un errore
nel
server e tutti i dati sono stati cancellati.”
Mi bloccai davanti a quella scritta bianca con lo sfondo blu.
Urlai. Di nuovo.
Giorno 8.
Fuori
splendeva il sole, mi sentivo benissimo. Il giorno
prima avevo finito tutto senza alcun problema.
Mi lavai, mi vestii ed andai a scuola.
Uscii dall’edificio un’ora dopo, con un sorriso
gigante stampato in faccia. Gli
esami per la nuova scuola erano stati fatti ed ero andata benissimo.
Esultai
con un “Ce l’ho fatta!!” e corsi a casa.
Alyssa Evans, 16 anni, alta 1.70, capelli rossi naturali, occhi verdi e
piena
zeppa di lentiggini, aveva superato l’esame per entrare nella
scuola della città
in cui si era appena trasferita.
Mamma cominciò ad urlare di felicità, mio padre,
mezzo addormentato, non capì
cosa stesse succedendo e mio fratello mi diede le congratulazioni
stringendomi
la mano e piangendo come una fontana.
A “Perché diavolo piangi?”
Ray alzò lo sguardo, si avvicinò a me e mi
sussurrò all’orecchio che non potevo
più dire di averlo visto rientrare a mezzanotte. Sussurrai
“idiota..”, poi
corsi nella mia camera e guardai il computer riducendo gli occhi a due
sbarre.
Nella mia mente viaggiavano mille modi per vendicarsi di Mr. Computer,
ma mi
diressi verso la libreria e presi un libro a caso. Mi sedetti sul letto
e
cominciai a leggere.
Una
settimana dopo ~
Mi
svegliai e mi buttai giù dal letto. Mamma mi chiese
cos’era stato quel tonfo ed io andai senza voglia in bagno.
Mi lavai, mi
preparai ed andai a scuola.
Autunno.
Le foglie degli alberi cadevano dolcemente nel viale che portava a
scuola.
Qualcosa di meraviglioso, che mi rilassava, facendomi sognare ad occhi
aperti e
soprattutto senza farmi vedere dove andavo.
Tump. Sbattei su una ragazzina dai capelli biondi raccolti in due
codette.
Mi scusai e lei rimase imbambolata nel vedermi. Sussurrò
qualcosa come
“costellazioni..”, poi corse via.
Entrai a scuola e chiesi ad un’insegnante di dirmi
dov’era la mia classe.
Salii le scale e mi fermai davanti alla 3°-C. Entrai un
po’ titubante e alcuni
ragazzi si girarono verso di me. La maggior parte della classe era
composta da
maschi. Quattro ragazze (le uniche) si avvicinarono e mi presero da
parte.
Si presentarono di fretta: Bella, Chloe e Dalia.
Bella aveva capelli castani, lisci , lunghi fino alle spalle e dei
grandi occhi
azzurri; Chloe aveva i capelli biondi a caschetto e gli occhi castani e
Dalia
aveva i capelli neri ricci, sempre corti e gli occhi grigi.
B “Noi siamo le uniche ragazze in quella classe. Anche se non
ci conosciamo..
restiamo unite!”
Un po’ impaurita accettai, così mi riportarono in
classe.
Ci sedemmo. Io alla penultima fila, vicino alla finestra, poi
entrò la professoressa.
Una ragazza sui 30 anni, dai capelli biondi legati in una coda e le
tette
enormi.
Alzai la mano.
Prof. “Si.. Evans?”
A “Come fa ad avere le tette così
grandi?”
Prof “Ma che domande sono? Anche tu le hai grandi.”
Finite le lezioni tornai a casa saltellando. Incontrai un tizio, che mi
chiese
dov’era la strada principale.
A “Eheh, mi dispiace, non lo so, mi sono appena
trasferita..”
Tizio “Il mio problema è che vivo da queste parti
da quando avevo 1 anno.. e mi
perdo ancora..”
Se ne andò via borbottando qualcosa.
Entrai in casa e mi fiondai in camera. Mi cambiai e cominciai a leggere.
Le
18:10. Finito il libro. Mi alzai, battei le mani sulla
gonna per metterla apposto, passai il braccio davanti agli occhi e
scesi a
mangiare.
I capelli rossi di mio fratello in cucina attirarono la mia
curiosità.
Mi avvicinai furtivamente e cercai di vedere che faceva. La mia domanda
lo fece
sobbalzare e girare. “Ti stai drogando?”
R “Non sto facendo nulla del genere.”
A “Che fai?”
Nascose le mani dietro alla schiena, dicendomi di andarmene.
A “Sei cattivo.”
Risalii su ed andai nella stanza dei giochi. Mi avvicinai al piano e mi
sedetti
sullo sgabello.
Toccai un tasto e trattenni il fiato, spaventata. Toccai quello
affianco e
sorrisi, sempre tesa. Avevo promesso che se riuscivo a superare bene il
primo
giorno di scuola avrei ricominciato a suonare. Feci un profondo respiro
e
cominciai a toccare velocemente i tasti, in modo da formare una melodia
piacevole.
Presi un altro profondo respiro e cominciai ad intonare la canzone
collegata
alla melodia. Sentii la porta schiudersi e mi fermai. Un leggero
applauso.
Mamma. Mi girai. I suoi lunghi capelli rossi erano legati in una coda
con un
fiocco blu gigante. Mi sorrise e i suoi occhi celesti si illuminarono.
Mamma “Sei bravissima, come sempre.”
A “Ehe, grazie..”
Uscì dalla stanza saltellando. Era felice. Sorrisi.
Il
giorno dopo ~
Come
arrivai a scuola dei ragazzi più grandi mi
accerchiarono e cominciarono a prendermi in giro per i miei capelli
rossi.
Sbuffai. A me piacevano, mi ricordavano i Weasley, quindi ne andavo
fiera, ma a
quanto pareva molta gente non li gradiva.
A “Ma che vi frega di come ho i capelli?”
Un ragazzo più robusto degli altri tuonò
“CI STAI FORSE SFIDANDO?”
La mia risposta fu veloce e secca. “No. Levatevi dai
piedi.”
Il ragazzo cominciò a diventare rosso in viso, le vene gli
si pomparono
(AHAHAHA) e sferrò un pungo, che però schivai,
gli andai dietro la schiena, mi
appoggiai a lui (con la schiena), lo presi dalle braccia e lo sbattei
(eheh) a
terra.
Gli altri si avvicinarono e cercarono di colpirmi, ma presi tutti a
pugni in
faccia, fin quando non vennero a fermarmi. Avevo qualche ferita in
faccia, così
una ragazza mi mise dei cerotti, poi un professore mi prese e mi
portò in sala
insegnanti.
Prof. “Anche lei è stata coinvolta in una
rissa.”
Il preside mi guardò accigliato, poi chiese se era la stessa
del ragazzo seduto
davanti a lui. Il professore negò e mi lasciò.
A “Che ingiustizia, mi stavo solo difendendo.”
Il preside sorrise e mi invitò a sedermi sulla sedia davanti
alla sua
scrivania, di fianco a quel tizio. Mi sedetti.
A “Vuole fare conversazione?”
Lui annuì, sorridendo un’altra volta.
Preside “Tu sei.. Evans.. Alyssa, giusto?”
Annuii.
Preside “Tua madre ha fatto un bel lavoro.. è da
molto che non la vedo, potresti
salutarla da parte mia?”
A “Conosce mia mamma?”
Preside “Ero il suo professore alle superiori. Era uguale a
te, solo che era
timida e non pestava chi la importunava.”
A “Quello l’ho preso da mio padre.”
Cominciammo a chiacchierare come se ci conoscessimo da una vita e
fossimo buoni
amici.
Il ragazzo di fianco a me cominciò a dormire e la campanella
suonò, ma noi
continuavamo.
Alla ricreazione si alzò in piedi, mi strinse la mano
ricordandomi che dovevo
salutare mia mamma e ci lasciò andare.
Mi accorsi che quello era il ragazzo che si era perso il giorno prima,
ma me ne
fregai ed andai in classe.
Da stolta capii solo in quel momento che eravamo anche nella stessa
classe.
Bella mi fermò e mi chiese cosa dovevo fare quel pomeriggio
e se poteva venire
a casa mia insieme alle altre. Accettai.
Così rientrai a casa con loro.
A “Màà! Sono a casaaa! Ci sono anche
delle amiche!”
Mamma “Amiche? Davvero? Vi preparo della
cioccolata!”
Salimmo in camera mia e le feci accomodare su delle sedie. Chiesi che
volevano
fare, si alzarono e cominciarono a frugare.
D “Hai un sacco di libri! Me ne presti?”
A “Scegli quello che vuoi.”
B “Che strumento scegli per le lezioni di musica?”
A “Perché?”
B “Così siamo in classe insieme.”
A “Sei una stalker?”
Sorrise e negò, poi tornò a frugare tra le mie
cose.
A “Tastiera.”
D “Io chitarra.”
B/C “Anche io.”
A “Immaginavo..”