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Autore: Maxie__    02/03/2013    2 recensioni
Tu che dormivi nel mio letto e io ti fissavo mentre dormivo per terra e se non ti fissavo, leggevo Zafòn con la luce spenta per non svegliarti, e se non leggevo, raramente dormivo e non ti sentivi protetto quando lo facevo, perché non c’era nessuno a tenere la guardia sulla tua pelle diafana.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Oh baby, can't do this to me, babe.


Gerard, me lo ricordo, quando correvi sulla sabbia semifresca e la tua figura in controluce si lanciava nello specchio arrossato dal sole che era il mare ai tempi dei nostri tramonti adolescenziali, anche se odiavi bagnarti i corvini capelli neri da diciannovenne, mentre io di anni ne avevo sedici, ma riuscivo comunque a scovare la poesia addosso dell’acqua che ti scivolava addosso come facevano le mie gambe che ti circondavano i fianchi, quando mi portavi in giro ed eravamo fradici di temporali estivi, quando mi stringevo a te, cercando di trattenere in te i segreti.

Tu che dormivi nel mio letto e io ti fissavo mentre dormivo per terra e se non ti fissavo, leggevo Zafòn con la luce spenta per non svegliarti, e se non leggevo, raramente dormivo e non ti sentivi protetto quando lo facevo, perché non c’era nessuno a tenere la guardia sulla tua pelle diafana.

E allora, appena chiudevo gli occhi, inebriato dalla stanchezza di settimane senza sonno, rotolavi sotto il mio plaid e m’abbracciavi, con le braccia grandi, nonostante odiassi il mio essere fottutamente freddoloso anche nel pieno delle nostre estati da persone libere.

I tuoi capelli, i tuoi vestiti lanciati ovunque, in ogni angolo della mia camera c’era una parte di te.
Il tuo viso grosso e pallido nell’armadio, quando cercavi di spaventarmi, le lunghe gambe magre che erano sempre in perfetto equilibrio, quando correvi sulla sabbia ardente come una gazzella, leggera farfalla, mentre io sembravo sempre un procione o un furetto goffo, di quelli che incontravamo nei boschi, ed ero uguale a loro anche quando vincevo alle partite a carte ed esultavo, mentre tu rimanevi lì a fissarmi, dondolando sull’amaca, mangiando i biscotti che avevamo fatto il giorno prima, come se a volte non meritassi di vincere.

Dalla collina verde, correvamo giù, quando l’orizzonte si estingueva e ti rimbalzavano gli organi interni per la paura di cadere, ma dovevi battermi nel correre, come nelle carte, visto che nell’amore non ci riuscivi mai, anche se la notte a volte mi facevi dormire sul tuo petto, sul cuscino degli angeli.

Non so perché sorridevi sempre, con quella tua risata storta e io nemmeno lo ricordo se fossi lì ad assecondarti i sorrisi o a contemplarti da vari punti di vista, quando mi dicevi di non dimenticarti mentre correvi con il mio Ipod nella mano sinistra, così non riuscivo ad addormentarmi, così ero costretto a seguirti mentre usavi il mio cervello come cinepresa, mentre registravo su pellicole che non potrai mai guardare, ma puoi leggere ora, tra le mie parole.


Poi, l’ultimo giorno, giù dalla collina, eri stanco.


Quando scartavamo libri e scrivevamo ai bordi delle pagine le cose da non dimenticare, gli orari del tuo orologio che andava avanti, le frasi degli innamorati sulle panchine che non saremmo mai stati noi.

Insomma, eri stanco e m’impressionava perché nemmeno il sudore ti sorrideva, sulla panchina all’ombra degli alberi con le radici verso il cielo, piena di macchie tonde di muschi che i gatti obesi mangiavano e quando eravamo piccoli ci vomitavano sulle infradito e correvamo verso casa, orientandoci con quella macchina rosa, quella abbandonata, perché spesso andava via la luce dai lampioni e per i ragazzi era un pretesto per festeggiare e fare i falò sulla spiaggia, mentre noi dovevamo continuare a correre su per la collina per tornare a casa, cercando di guardare la strada brecciosa con i piedi, tenendoci per mano dalla paura.

Eri stanco perché tenevi i bagagli in mano, anche se ti portavi sempre poco, perché, visto che vestivo largo come un barbone, mi fottevi sempre i vestiti e quando dovevamo andare di fretta, ti lanciavo i vestiti più stretti, così non te ne accorgevi subito, te ne accorgevi in spiaggia, ai falò, quando da grandi ci siamo andati anche noi, che avevi i reni scoperti e anche l’ombelico e sembravi una delle Spice Girls e ti sedevi e mi guardavi male, con quei tuoi occhi tipici da Way incazzato, quando suonavo le canzoni dei Pink Floyd e dei Nirvana alla chitarra e le ragazze si scioglievano perché cambiavo le parole, ci mettevo i loro nomi, ci mettevo frasi deficienti e poi le prendevo sulle spalle e ballavamo battendo le mani e tu fingevi d’essere geloso, perché ti toccava.

Eri stanco perché stavi per partire e l’odiavi, e ti sentivi il peso dei nostri giorni estivi passati insieme, il peso del mese di settembre e quando il treno celeste scorticato dalla ruggine, con i sedili di legno, arrivava, eravamo io e te, lì, a fissarne la targa al lato, che qualcuno aveva attaccato e nessuno si era preso la briga di togliere:
perché noi viviamo d’estate, perché a noi dei numeri sui treni non ci importava nulla, ci importava solo del mare, della sabbia, delle cose inutili.

Qualcuno vociferava che fossero stati i nostri genitori a dipingerlo di celeste, altro che ingegner Iero e dottor Way, tutti per benino, eh, Gerard?

Te lo ricordi quando eravamo piccoli arrivava il treno per riportarti via, in città, e segnavamo con i gessetti colorati dove precisamente si fermava il treno e io, durante l’inverno, ogni quindici del mese correvo a ripassarlo con il gessetto rosa.

E ti ricordi, quando tu, con la tua voce, facevi i concerti in città e io non potevo venirci?
Ti scrivevo un'email chilometrica e quando cantavi le mie parole te le nascondevi dietro alle orecchie, nei capelli, per fare meglio gli acuti, per immaginarmi meglio tra l'altra gente di cui non ti importava.

Nothing really matters,
anyway the wind blows.












































































 

SBAAAAAAAAAAAAAAAM
Boh, di quelle cose che scrivi durante l'ora di Scienze della terra ripensando all'estate più bella della tua vita.
So che metterci Bohemian Rhapsody è un po' una bestemmia, con 'sta cagata, ma mi toccava perché il "Gerard" in questione di cui parlo in questa OS me la cantava dalla mattina alla sera, nonostante fosse stonata come una campana. e li mortacci sua
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