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Autore: mysterious    02/03/2013    6 recensioni
Che cosa potrebbe essere accaduto dopo lo svenimento di Lisbon al Museo di Scienze Naturali?
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Patrick Jane, Teresa Lisbon | Coppie: Jane/Lisbon
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Guidati dal direttore, Christos Papadakis, Jane e Lisbon percorsero affiancati il labirinto di stanze del Museo di Scienze Naturali, sfilando rapidamente dal Precambriano al Cenozoico sotto gli sguardi senza occhi degli scheletri dei grandi sauri e quelli – altrettanto inquietanti – degli animali impagliati.

In pochi minuti, giunsero alla sezione Laboratori, dove, soltanto un’ora prima, la macabra scoperta effettuata da uno studente aveva creato scompiglio nell’intero complesso.

Alla richiesta di Lisbon, il giovane sollevò il coperchio della cassa in cui la vittima era stata rinchiusa non prima di essere stata cosparsa di vermi decompositori. La scena che si mostrò agli occhi dell’agente e di Jane fu, a dir poco, raccapricciante: ciò che restava della ricercatrice Linda Parfrey, scomparsa qualche tempo prima, era un ammasso informe di carne putrescente e brulicante di larve, le quali, col passare dei giorni, dovevano essersi moltiplicate in misura esponenziale. Alcune di esse si erano ormai trasformate in insetti adulti e, facendo presa con le loro numerose zampette sul viscidume dei vermi, sgattaiolavano a destra e a sinistra, messe in agitazione dall’improvvisa interruzione del loro “banchetto”.

Jane non riusciva a distogliere lo sguardo: ne era disgustato e, allo stesso tempo, attratto, come può succedere davanti ad uno spettacolo – non importa se bello o brutto –  che non capita di vedere tutti i giorni.
Al suo fianco, Lisbon sembrava vittima della stessa attrazione per il macabro, ma, a differenza di lui – che, malgrado l’espressione vagamente inebetita – stava reggendo piuttosto bene alla vista di quei miseri resti, le smorfie dell’agente tradivano l’incapacità di sopportare oltre il senso di ripugnanza e di nausea.
Un «Ohhhh…» fu tutto ciò che riuscì ad emettere prima di “sparire” improvvisamente dal campo visivo di Jane! Il consulente fece appena in tempo ad impedire che lo svenimento le costasse anche un brutto bernoccolo sulla nuca:
«Okay… okay…», le disse afferrandola come meglio poté, ma Lisbon non lo sentiva già più.
Mentre, con un ginocchio a terra, continuava a sostenere la collega, Jane si voltò a rivolgere un sorriso tra il divertito e l’interdetto allo studente e al direttore, il quale, sinceramente sorpreso dalla reazione dell’agente di fronte ad una scena così naturale – forse per uno studioso come lui! – gli offrì di spostarsi nel suo ufficio per garantire a Lisbon una sistemazione più comoda.

Quando le mise un braccio sotto le spalle e l’altro sotto le ginocchia per sollevarla da terra, Jane si rese conto che quella era la prima volta che lui e Lisbon avevano un contatto fisico così ravvicinato. Beh, “avevano” non era forse la voce verbale più adatta, dal momento che uno di loro non era cosciente! Tuttavia, lui approfittò del breve tratto che separava il laboratorio dall’ufficio di Papadakis, per stringere a sé – magari un po’ più strettamente e teneramente del necessario – il corpo abbandonato di Lisbon.
Si chiese che cosa avrebbe detto l’agente, o come avrebbe reagito, se si fosse ripresa proprio mentre lui, preceduto da Papadakis, la stava portando, come una bambina addormentata, verso il divano del piccolo ufficio dirigenziale.
La sua curiosità, tuttavia, non fu appagata, perché, quando adagiò Lisbon sulla vecchia ottomana del direttore, lei continuava a non dare cenni di rinvenimento. La pelle del suo viso e le sue mani erano ancora fredde e umide. Mentre Papadakis mandava a procurare dell’acqua e dei sali, oppure dell’ammoniaca, Jane, piegato su di lei, tentava senza successo il consueto sistema degli schiaffetti sulle guance.
«Andiamo, Lisbon… è tutto a posto.»

Il bicchier d’acqua arrivò in un batter d’occhio, insieme con una boccetta di sali: Jane la aprì e la passò alcune volte sotto le narici di Lisbon che, finalmente, diede i primi segni di ripresa. 
In quel mentre, il direttore, richiesto in laboratorio, uscì dall’ufficio, non prima di aver precisato che facessero con comodo e che li avrebbe attesi là dove … tutto era cominciato!
«Uhm… che… che è successo?», chiese l’agente, ancora stordita.
«Credo che tu non abbia gradito lo spettacolo gentilmente offerto dal Museo…», le rispose Jane a bassa voce, restando chino accanto a lei con un sorriso insolitamente dolce.
Lisbon si passò una mano sulla fronte, cercando di ritrovare la propria lucidità. Non impiegò molto tempo a ricordare e… a capire! Lei, l’integerrimo tutore della legge, capo severo e tutto d’un pezzo di una squadra anticrimine del CBI, abituata a rinvenire cadaveri nelle più disparate condizioni…  svenire di fronte ad una cassa piena di vermi!
«Jane!...», proruppe, sgranando gli occhi e alzandosi a sedere sul divano talmente di scatto che, se lui non si fosse scansato in tempo, avrebbe riportato la frattura del setto nasale!
«Lo so…», la anticipò il consulente. «“Non dirlo a nessuno!”». Ma l’espressione inequivocabilmente maliziosa che assunse la lasciò sulle spine. 
«Non lo racconterai, vero? Non è da me… voglio dire… sono il capo e… insomma, capisci…»
«No.» fece lui lapidario.
«”No”, non lo racconterai o“No”, non capisci?», chiese Lisbon, sensibilmente irritata da quella risposta elusiva.
«Beh, interpreta tu!», le disse allegramente il consulente, che nel frattempo si era rialzato e si stava sistemando la camicia, scomposta sotto il gilet.
«Un momento…», disse Lisbon, riflettendo su quel gesto. «Chi… mi ha portato qui
Jane le rivolse un sorriso aperto, le sopracciglia inarcate. Sollevò le spalle e allargò le braccia e questo fu per Lisbon più eloquente di qualsiasi altra risposta.
«Tu!? Oddio, che vergogna!»
«Non è stato male, davvero… ma forse dovresti ridurre la porzione di pizza dei casi chiusi!», disse Jane, sfoderando uno di quei sorrisi che scioglierebbero un iceberg in pieno inverno!
«Brutto… maleducato, antipatico e … irritante!», gridò Lisbon, tirandogli uno dei cuscini appoggiati sul divano. Tuttavia, alla battuta, non riuscì ad evitare che gli angoli delle sue labbra si arricciassero un po’ verso l’alto, mettendo in evidenza la sua adorabile fossetta!
Jane, scansato il cuscino con un salto indietro, volutamente plateale, senza mai smettere di sorridere, né con la bocca né con gli occhi, si appoggiò alla scrivania di Papadakis con le gambe incrociate e le braccia in conserta e, in quella posizione, il capo lievemente inclinato sulla spalla, si concesse un attimo per osservare Lisbon.
Lei, ancora seduta sull’ottomana, si sentì a disagio sotto quello sguardo indagatore, azzurro e profondo come le acque dell’oceano. Ogni volta che lui la osservava un po’ più insistentemente del solito, sentiva affiorare in lei una sgradevole sensazione di fragilità, di impotenza e… di timore, il timore che la sua anima venisse messa a nudo, che Jane potesse leggervi i suoi turbamenti, le sue inquietudini, le sue fobie e… i suoi reali sentimenti per lui. Si voltò di lato, fingendo di guardare sul divano qualcosa che non c’era, e pensò in fretta a qualcosa da dire per rompere l’atmosfera imbarazzante che si stava creando.   
«Beh… ora sto bene», disse alla fine. «Possiamo tornare di là. Andiamo?»
E si alzò dall’ottomana, passando energicamente  i palmi sui vestiti leggermente spiegazzati.
«Ok», rispose il consulente, avviandosi per primo verso la porta.
«Jane…», lo chiamò Lisbon. «Possiamo evitare di parlarne, vero?»
«Di me e di te? Certo! Ci saranno altre occasioni!» rispose a tradimento Jane, il quale sapeva benissimo a che cosa lei si stesse riferendo.
«Cosa?» esordì Lisbon, arrossendo vistosamente. «No! … No! Io dicevo del mio… incidente! Non ne farai parola con nessuno, vero?»
«Dipende…», continuò a tormentarla il consulente, guardando verso terra, con falsa titubanza.
«Dipende da cosa,Jane?» si spazientì Lisbon, che, immobile, le gambe appena divaricate e le braccia distese lungo i fianchi, gli stava rivolgendo uno sguardo a dir poco fulminante.
«Beh…», riprese Jane, continuando con quell’irresistibile atteggiamento da ragazzino timido che vorrebbe, ma non osa chiedere, la ricompensa per una buona azione. «Se tu mi dicessi  almeno un “grazie” per averti portato fin qui in braccio e per averti assistito mentre eri svenuta, allora …»
«Ok. Grazie. Va bene così?», chiese Lisbon, mantenendo inalterata la sua postura rigida e tesa.
«No, non va bene», disse Jane, che si stava divertendo un mondo a tenere sui carboni ardenti la collega. «Era un “grazie” freddo e forzato… non vale niente! Tanto meno il mio silenzio!», aggiunse.
«Grazie!» riprovò Lisbon, alzando di un mezzo tono la sua voce, comunque affettata, e ruotando gli occhi verso l’alto.
«Prova ancora, Lisbon!», disse Jane sorridendo malignamente.
«Ora basta Jane! Dovrai accontentarti dei due “grazie” che hai appena ricevuto!», disse Lisbon stizzita, muovendosi a passo deciso verso la porta e verso Jane, ancora fermo sulla soglia.
«Uh-uh… non passerai da qui, se non mi ringrazierai come si deve!». E le sbarrò la strada col proprio corpo, simulando un’aria seriosa. «Pensa a come sarebbero contenti Cho, Rigsby e Van Pelt se sapessero che anche il loro boss ha dei… punti deboli!» continuò, calcando le ultime due parole e sfoderando un sorriso nettamente provocatorio!
«Sei un… uno…», ma, dopo l’esitazione, inaspettatamente, mutò atteggiamento. I suoi lineamenti si distesero, le spalle cedettero un poco e la voce uscì meno severa:
«E va bene, Jane, hai vinto», si arrese Lisbon. «Grazie. Davvero… grazie!» disse, con sincerità e rassegnazione. «E non aspettarti una rana di carta!»
«Ok», si limitò a replicare compassato Jane, ma, appena voltate le spalle a Lisbon per uscire, sfoderò, non visto, un sorriso smagliante e soddisfatto.
Lisbon restò ferma sulla soglia dell’ufficio, a guardarlo mentre si dirigeva verso il laboratorio, le mani affondate, come al solito, nelle tasche della giacca. E’ inutile, a Jane non si poteva proprio resistere: affascinante, intelligente, arguto... Quelle scaramucce fra loro, abilmente giostrate da lui o da lei a seconda delle occasioni, erano, in fondo, il loro modo per dirsi che c’erano sempre l’uno per l’altra, un gioco che sostituiva il rapporto più serio che forse entrambi avrebbero desiderato, ma che nessuno – soprattutto Jane – era ancora pronto ad instaurare. Lui si divertiva a fare il “superiore” con lei, gli piaceva vedere come reagiva quando lui esordiva con qualcosa di brillante (o, più spesso, di azzardato!). Lei, a sua volta, adorava il suo carisma: era un uomo che lasciava il segno ovunque andasse e che sembrava sempre a suo agio in ogni situazione. Si portava dentro un dolore immenso con una dignità e una forza d’animo invidiabili e spesso riusciva a stupirla con gesti premurosi e gentili, che solo in apparenza contrastavano con l’io canzonatorio e irriverente del “solito” Jane.
La verità è che nessuno dei due poteva fare a meno dell’altro.
Lisbon lo guardò, sorridendo fra sé e sé, finché scomparve dietro l’angolo. Solo allora l’agente tornò alla realtà e gli corse dietro:
«Jane, aspetta! Pensi davvero che dovrei smetterla con la pizza dei casi chiusi
  
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