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Autore: flozz    04/03/2013    2 recensioni
"Non si erano date appuntamento nello spogliatoio, non si erano date appuntamento affatto.
Era successo, si erano incontrate lì, nello stesso momento, per caso, per provvidenza.
Non parlavano da giorni e Dio, se l’aveva odiato, quel silenzio."
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Salve gente :3 mi sono appena iscritta su Efp e questa è la mia prima storia. Oneshot, inizia 'in medias res', spero non vi dispiaccia D: però potrei decidere di farne un vero e proprio raccontino :) enjoy! 

~*~


 

«Amy».
Il sole sarebbe dovuto essere alto. Era mattina e la luce doveva essere bianca, intensa, accecante. I vetri oscurati degli spogliatoi, però, il pallore quasi plumbeo di un cielo che sapeva di pioggia e infine l’ovvia semioscurità quasi crepuscolare di un ottobre umido e freddo celavano quella luce abbagliante con nuvole dai contorni argentati.
Eppure, nonostante non ci fosse molta luce, gli occhi di Hannah erano luminosi come il sole.
Amy non avrebbe fatto altro che fissarli, per ore, studiandone ogni dettaglio, ogni filamento più azzurro, osservando le ciglia scure che sormontavano le palpebre sottili di quegli occhi così perfetti da farla stare male, occhi scuri ma luminosi allo stesso tempo, un’alba nascente su un mare d’inchiostro.
Le sfumature rosee penetravano dalla finestra, sfiorando i loro capelli, i loro volti, colorando le labbra di Hannah di un rosa irresistibile e donando ai suoi occhi una variazione di blu mai vista prima. Petrolio, forse, o cobalto. Chi poteva dirlo.
Lei no di certo, in quel momento.
Il suo cervello si era fermato.
Non si erano date appuntamento nello spogliatoio, non si erano date appuntamento affatto. Era successo, si erano incontrate lì, nello stesso momento, per caso, per provvidenza.
Non parlavano da giorni e Dio, se l’aveva odiato, quel silenzio. Un silenzio che nascondeva parole non dette, cose in sospeso. Troppe perché riuscisse a sopportarle.
E adesso, dopo tanto, si ritrovavano di nuovo nella stessa stanza, da sole, nello spogliatoio della palestra, dopo una lezione di ginnastica decisamente stancante.
Amy si sentiva sudata, appiccicosa, e tutto ciò che avrebbe voluto fare in quel momento era una doccia calda. Inebriarsi del calore che circondava il suo corpo, del contatto inaspettato con la parete fredda dalle mattonelle bianche e azzurre, del gorgoglio dell’acqua che scorreva fino a sfiorarle i piedi.
Eppure non poteva. Perché Hannah era lì, era venuta per la lezione successiva, per cambiarsi.
Non era sudata come lei. Era completamente asciutta, la maglia a maniche corte che le sfiorava appena la pelle, che le circondava il seno e i fianchi in curve suadenti; i capelli ancora sciolti le ricadevano sulle spalle creando ciocche ondulate che davano appena l’idea del mosso; le labbra carnose per la prima volta senza rossetto, gli occhi per la prima volta spogli di mascara.
Era bellissima.
Non come lei, che aveva i capelli legati in un paio di stupide code su entrambe le spalle, lisci e secchi, se non per il sudore che le impregnava la cute; i vestiti li sentiva fradici, attaccati alla pelle della schiena e il volto rosso e bollente per la lunga corsa che aveva appena fatto.
Tornata dalla lezione di ginnastica, dalla corsa di più di quaranta minuti che era stata costretta a fare, con solo Beethoven come sottofondo musicale nella sua testa, ecco che si era trovata di fronte ad Hannah nello spogliatoio.
Ed erano sole.
Era stata l’ultima a completare la prova di resistenza. Era quella che aveva resistito più a lungo, quella che aveva fatto più sforzo. Non era agile, non le piaceva lo sport, ma era resistente, era capace di sopportare lunghi tratti di corsa senza pause, se le era concesso di portare con sé un iPod e i suoi pensieri.
E Hannah, che si sarebbe dovuta recare in palestra durante l’ora dopo la sua, era rimasta l’ultima a cambiarsi, mentre tutte le altre della sua classe avevano già lasciato lo spogliatoio per salire.
Se era una coincidenza, Amy non ne aveva idea, e non voleva saperlo. Era andata semplicemente così, per non si sa quale gioco del destino, quale scherzo del caso.
Si fissarono per lunghi istanti dopo che Hannah ebbe pronunciato il suo nome, mentre l’eco della sua voce ancora danzava attorno alle loro teste nello spogliatoio deserto.
Amy non sapeva cosa fare. O meglio, sapeva benissimo cosa fare. Doveva dire qualcosa, sorridere, avvicinarsi, rispondere in qualsiasi modo le fosse possibile.
Semplicemente, non ne fu capace.
Rimase immobile, a fissare la ragazza in piedi di fronte a lei, mentre l’unico pensiero che le passava per la testa era “Siamo sole, non c’è nessuno, siamo sole”, che si ripeteva nella sua mente mescolandosi ad altri pensieri più spiacevoli, come il fatto che si trovasse di fronte a lei così sudata e imbarazzata, con le guance rosse e la maglietta appiccicata addosso, in uno spogliatoio, a scuola. Dopo tutto quello che era successo.
Dopo aver pronunciato il suo nome, Hannah sorrise, una traccia di sorpresa ancora sul suo volto.
«Ciao», disse, continuando a guardarla. Amy la fissò per un paio di secondi, bloccata, senza essere in grado di fare nulla. Ma alla fine non poté fare a meno di sollevare appena gli angoli delle labbra in un sorriso sorpreso, l’espressione di stupore ancora dipinta sul volto.
«Ciao».
Restarono così per un po’, senza dire niente, ai lati opposti dello spogliatoio. Amy si accorse di avere ancora una cuffia all’orecchio e la tolse, mettendola nella borsa. Vide con la coda dell’occhio che anche Hannah aveva iniziato a muoversi, probabilmente cacciando la sua maglietta dallo zaino. Amy si inginocchiò per un momento accanto alla panchina di legno dove aveva riposto le sue cose, frugando nervosamente nella borsa senza cercare nulla in particolare. Alzò gli occhi diverse volte verso Hannah notando che era di spalle e si stava sfilando la maglia. Arrossì e distolse lo sguardo immediatamente.
Con difficoltà si rialzò in piedi per sfilarsi i pantaloni e li rimise di fretta al loro posto, cercando i jeans. Notò che era calato il silenzio nella stanza e alzò gli occhi.
Hannah era al centro dello spogliatoio, si era avvicinata di qualche passo. Aveva una strana espressione, pensosa, corrucciata, e Amy sapeva cosa stava per dire.
Aveva addosso solo la t-shirt bianca ma non aveva i pantaloni. Amy si ritrovò a fissare le sue gambe sottili, soffermandosi più del dovuto sul punto sbagliato prima di tornare a guardarla in faccia. La sentì prendere fiato.
«Amy io-», si interruppe, passandosi una mano sulle labbra. Amy la guardò, spaesata, negli occhi. «Mi dispiace se nelle ultime settimane..non mi sono fatta viva. Io-»
«Scusami ma..», Amy la interruppe, con voce fredda. «…non posso perdonarti. Non così».
Calò il silenzio e ci fu una lunga pausa. Amy aveva balbettato, probabilmente, come faceva sempre quando era nervosa o emozionata. Odiava questo suo difetto, la faceva sentire così debole e insicura.
Hannah si avvicinò di un passo e si fermò. Poi ne fece un altro, sta volta più affrettato.
«Cosa? Amaryllis…»
Amy alzò gli occhi, spalancandoli appena. Era così tanto tempo che non sentiva il suo nome pronunciato in quel modo da lei, con quella voce, con quello sguardo. Le tornò in mente la prima volta che si erano incontrate, la sua caduta rovinosa nel fango e la sua risata cristallina, una risata così leggera, la sua voce mentre pronunciava il suo nome..
Si riscosse. «Non chiamarmi così», disse, con rabbia, e prese i jeans dalla sua borsa di nuovo. Fece per infilarseli ma sentì una presa salda sul suo polso. Non l’aveva sentita muoversi, non l’aveva vista avvicinarsi.
Alzò gli occhi e incontrò i suoi a pochi centimetri dal suo volto, fissi, colmi di disperazione. Si sentiva in colpa, lo sapeva benissimo. Ma era stufa, stufa di essere ferita dalla prima persona che la baciava. Stufa di sentirsi usata.
«Hannah», sussurrò, trattenendo le lacrime. Aveva abbassato di nuovo gli occhi e ora fissava il pavimento alla sua destra. Si sentiva il volto in fiamme. «Non posso. Mi hai…baciato», era così difficile pronunciare quella parola. Le uscì quasi strozzata, rauca. «e non mi hai detto più niente, non mi hai chiamato, o scritto, non-».
Un singhiozzo. Un singhiozzo le scivolò dalle labbra senza che lei potesse fare nulla per fermarlo. Spalancò gli occhi con orrore e si portò la mano libera alla bocca, evitando lo sguardo di Hannah in tutti i modi, lasciando correre lo sguardo da un oggetto all’altro della stanza. Tremava, poteva sentirlo, ma era stanca, stanca di apparire debole, stanca di essere la ragazzina, la bambina della situazione. Sarebbe cresciuta. Oggi stesso.
Chiuse gli occhi e abbassò la mano, stringendola a pugno lungo il suo fianco. La presa sul suo polso era diminuita e Hannah si era staccata un po’. Sentiva il suo sguardo passarle attraverso come se potesse leggere ogni suo pensiero, come se un semplice bacio le avesse donato ciò che c’era di più segreto e nascosto dentro di lei.
«Non posso continuare così. Non posso.»
Il silenzio, sta volta, non durò che un attimo.
«E io non posso starti lontano.»
A quella confessione, Amy alzò gli occhi, stupefatta, per fissare quelli di Hannah, il cui sguardo, prima disperato, era ora rinvigorito da una nuova forza di volontà, una nuova decisione. Le sopracciglia erano aggrottate e sembrava quasi fosse arrabbiata, ma non lo era. Era determinazione ma anche dolcezza, possessività.
Amy la guardò negli occhi per diversi secondi, tentando di leggere oltre quello sguardo. Aveva domande, tante e voleva solo risposte, voleva solo sapere. Ma nessuna di queste domande era la giusta cosa da dire. Non c’era niente da chiedere, non c’era niente da verificare. Erano solo loro. Hannah stava chiedendo scusa, a modo suo, come se rivederla dopo tanto tempo avesse appena fatto scattare una molla, l’avesse dotata di una nuova e più matura coscienza.
Passò lo sguardo dall’uno all’altro occhio di lei, studiandoli. Si morse il labbro.
«Allora avvicinati».
E bastò.
In un secondo, o meno, Hannah si abbassò quel tanto che bastava e le loro labbra di sigillarono in un bacio nostalgico, senza ombra di esitazione. Chiusero gli occhi nello stesso momento, godendosi l’istante che precede il bacio vero e proprio, il semplice premere di labbra, il semplice calore. Amy sentì dita fredde sfiorarle le guance per poi fermarsi lì, immobili, come a sostenere quel bacio il più a lungo possibile, incitarlo. Sollevò le sue stesse mani per portarle in avanti e sfiorare i fianchi di Hannah, sentirla accanto, stretta, anche senza necessariamente toccarne la pelle ma solo lei, solo la sua presenza.
Amy si rilassò, lasciò le sue mani lì e per lunghi istanti non fecero altro, labbra contro labbra, occhi chiusi, semplice calore, un bacio casto ma passionale e disperato.
E poi, in un attimo, fu un dischiudersi di labbra, lingue, saliva, sapori indescrivibili, mani tra i capelli. Amy si lasciò andare a quella passione piena di rimorso, ai sensi di colpa che si dischiudevano lì, di fronte a lei, in una scusa che non aveva bisogno di parole.
Sentiva il tremore che aveva preso possesso del suo corpo svanire mentre si rendeva conto che il suo posto era lì, era in quel momento, era con quella persona e non poteva essere più lieta di questo.
Sentì le mani di Hannah scorrere lungo i suoi fianchi quasi con veemenza e afferrare le sue natiche, sollevandola appena sulle punte e Amy assecondò i suoi movimenti, si lasciò tirare su, fondendosi ancora di più con lei nel bacio; e poi morsi e sorrisi e di nuovo un guizzare di lingue e parole, nomi sussurrati.
«Amaryllis…»
Si staccarono solo per un attimo, ma bastò ad Amy per vedere i suoi occhi, quegli occhi che tanto ammirava, farsi lucidi. Ma non pianse, non ancora. Amy alzò semplicemente una mano per sfiorare la sua guancia e Hannah vi si appoggiò, sprofondando nel calore della sua pelle. Adesso anche lei era sudata.
«Avevo paura. Ero insicura, confusa, non sapevo spiegarmi quello che provavo e sono scappata via, da te, da tutto, perché non ne potevo più. Mi dispiace davvero. Scusa. Scusa».
E lo ripeté. Ripeté la stessa parola cinque, sei volte, finché le labbra di Amy non furono pronte a chiudere le sue, a soffocare quell’inutile sofferenza oltre un muro di baci soffici appena accennati agli angoli delle sue labbra, poi sul suo collo, sulle sue guance.
«Va bene.», disse, a pochi centimetri da lei, abbandonandosi al calore del suo alito che le sfiorava la pelle, alla morbidezza delle sue labbra, al calore del suo corpo contro il suo. E non disse più niente, perché davvero non c’era altro da dire.
Hannah sorrise e la baciò di nuovo, con forza, con passione, stringendola a sé, e Amy sentì un liquido caldo bagnarle gli angoli delle labbra e un sapore salato e pungente toccarle la lingua, in un barlume familiare.
Si alzò di più sulle punte dei piedi e strinse il volto di Hannah tra le mani per asciugare le sue lacrime, lacrime che, ora lo sapeva, avevano lo stesso sapore delle sue. 
 

Fin

 

Grazie di aver letto ^.^ au revoir!
  
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