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Autore: _Ritux    04/03/2013    8 recensioni
"La pioggia adesso batte più forte contro gli infissi di tutta Londra, non c’è più tempo per permettere a stupide scie d’acqua di formarsi sulla mia finestra e di rimanere per più di un paio di secondi a disturbare la mia vista (mi perseguita un'altra goccia più grande delle altre, lì in alto, un po’ più a destra). Sono certo che oggi pioverà. Ricordarsi di portare l’ombrello."
One-shot introspettiva narrata dal punto di vista di Sherlock.
Post Reichenbach.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes , Sig.ra Hudson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Oggi, giorno di pioggia


***



Improvviso bollore alle 4.23 a.m di un piovoso lunedì di marzo.
Una mano sulla fronte, sento le gocce di sudore. Piressia. John la chiamerebbe semplicemente “febbre”. Il suono della pioggia disturba i miei pensieri. La pioggia si infrange con violenza sui vetri della finestra (nella mia camera, davanti al mio letto) lasciando lunghe scie d’acqua per tutta la sua ampiezza. Le conto. Noto nell’angolo a sinistra una scia più doppia delle altre (mi infastidisce, spero che la pioggia la porti via al più presto). Non importa, è noioso. Lui mi ha detto di sparire, di rifarmi una vita allo stesso modo in cui se l’è rifatta lui. Noioso.
Non smette di piovere, ricordarsi di portare l’ombrello.
Il suono della pioggia disturba i miei pensieri.
Ieri indossava un mezzo tight; giacca nera (unico bottone), pantaloni gessati (senza risvolto), una cravatta regimental sui toni di grigio (nodo windsor), un fazzoletto da taschino (grigio di payne). Volgare. Volgare come questa pioggia che continuando a battere sui vetri della finestra non smette di distrarmi, volgare come quella donna che indossando un volgare abito fuori moda gli sorrideva (volgarmente).
Oggi pioverà. Ci sarà fango da tutte le parti. Ricordarsi di portare l’ombrello.
Ieri erano tutti ben vestiti (no, i loro vestiti erano volgari). Ieri di lei tutti commentavano lo strascico del suo vestito (lungo circa 200 cm) non notando forse l’unico dettaglio elegante da lei portato: lui (potrei portarti anche io così, ma con più eleganza di quella lucciola). Ho visto sua madre che piangeva. Ho visto sua sorella litigare con lui prima dell’inizio (svegliati, svegliati, svegliati). Ho visto tensione nel suo sguardo (non lo vuoi, non lo vuoi). Io saprei renderti felice, smettila di mandarmi via.
Si è posata una mosca sul bordo del mio comodino, adesso mi guarda; anche il suo sguardo ora mi infastidisce. La pioggia adesso batte più forte contro gli infissi di tutta Londra, non c’è più tempo per permettere a stupide scie d’acqua di formarsi sulla mia finestra e di rimanere per più di un paio di secondi a disturbare la mia vista (mi perseguita un'altra goccia più grande delle altre, lì in alto, un po’ più a destra).
Sono certo che oggi pioverà. Ricordarsi di portare l’ombrello.
Ti odio per quei “”.
Odio la gente che ha applaudito quando le tue labbra hanno sfiorato le sue.
Ti odio perché mi odi (ti hanno indotto a farlo, persone e circostanze).
Ieri non pioveva, oggi sì.
Lui mi ha detto che devo rifarmi una vita allo stesso modo in cui se l’è rifatta lui stesso (con una donna facile e dalla debole psiche). Noioso. I due hanno lasciato gli invitati lì, in quella piazza, mentre la loro auto partiva per una destinazione che reputo ancor più noiosa del luogo in cui mi trovavo.
Sento dei passi sulle scale. Devo alzarmi da questo letto bollente (il tuo letto). Passi per la casa, passi sempre più vicini. Vieni da me, ti sto aspettando. Riesco già a vedere i tuoi occhi, a sentirti al mio fianco. Ti sfioro il volto, ti tocco le spalle, ti accarezzo i capelli (calore di John). Ti bacio, e tu fai lo stesso (sapore di John). Il tuo corpo contro il mio (la forza di John). Il mio nome nel silenzio della stanza (l’amore di John).
Non credi sia tardi, caro?
Voce di donna, voce che interrompe i miei pensieri (ritornerò in quella dimensione in cui John è lì, al mio fianco, in quel letto).
Sono le 4.40 p.m.
Il fastidio arriva prima di riuscire a decifrare le sue parole, la sua voce; donna anziana che mi sveglia, mi dice l’orario. Sono le 4.40 p.m. Credevo fossero le 4.40 a.m. La signora Hudson. Vedo la porta chiudersi, forse sta andando via, forse mi preparerà qualcosa, forse.
Freddo, adesso.
Improvviso bollore alle 4.43 p.m di un piovoso lunedì di marzo.
Una mano sulla fronte, sento le gocce di sudore. Sempre la stessa piressia che lui, John, chiamerebbe semplicemente “febbre”. Il suono della pioggia continua a disturbare il filo dei miei pensieri. La pioggia si infrange con violenza contro i vetri della finestra (nel soggiorno, la guardo dalla poltrona) lasciando lunghe scie d’acqua per tutta la sua ampiezza. Le conto. Non ci sono scie più doppie di altre, ma tanti rigoli d’acqua che creano orribili disegni su quei vetri. Mi infastidiscono, ma più cade la pioggia più questi diventano voluminosi (spero smetta di piovere). Non importa, è noioso. Sparirò, come ha detto lui. Ma sarà noioso.
Oggi, giorno di pioggia.
Ricordarsi di portare l’ombrello.
   
 
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