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Autore: Daifha    04/03/2013    5 recensioni
[MidorimaTakao][KasamatsuKise][MidorimaKise]
Occhi, i loro, che nascondevano una tristezza infinita, un dolore ora condiviso, una muta preghiera, di poter tornare a vivere, ad essere gli stessi di prima, senza bisogno di guardarsi allo specchio ogni mattina con la speranza di vederci riflesso lui sul letto dietro di sé. Un tentativo di spezzare l’illusione amara in cui ancora vivevano, di accettare una realtà che non riuscivano, non potevano, sentire loro.
Kise alzò, calmo, un braccio, tendendolo verso Midorima, verso il suo petto, verso quel lembo di stoffa della camicia che, leggera, quasi trasparente, gli cingeva il torace e lì, all’altezza del cuore, posò il palmo della mano, quasi tremando, sentendo sotto di esso il battito calmo e regolare del cuore di Midorima.
“Non ti fa male qui?”
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Ryouta Kise, Shintarou Midorima
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Distress'
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Ed ecco che, quando sto per prendere la decisione più drastica della mia vita, quella di prendermi una vera e propria pausa dalla scrittura per almeno un annetto buono, arriva una di quelle ispirazioni momentanee capaci di mozzarmi il fiato e costringermi ad aprire Works… E’ un complotto.
Ebbene sì, signori e signore, questa è una MidoKise. Più o meno. Diciamo che lo diventerà seriamente se, o solo se, dovessi mai decidere di dedicarmi ad un ipotetico continuo che, in effetti, ho già quasi del tutto in mente… Diciamo che dipenderà dalla mia effettiva voglia di scrivere…
Detto questo, spero che sia chiaro quel che succede all’interno di questa shot, soprattutto nell’ultima parte… In caso contrario, non esitate a farmelo sapere! 
Spero vi piaccia!
 


 
Bitterness 


Lo sguardo di Midorima era fermo, incastrato in quello dorato e velato di Kise, mentre col corpo lo sovrastava completamente, lasciando che il letto si infossasse leggermente lì dove poggiava le mani e le ginocchia. Nessuna mossa superflua, nessuna parola di troppo, solo mille pensieri e paure, forse, mille desideri e un unico bisogno, di tornare a sentire quel calore che solo un altro corpo, di una persona che ami, è capace di darti.
Occhi, i loro, che nascondevano una tristezza infinita, un dolore ora condiviso, una muta preghiera, di poter tornare a vivere, ad essere gli stessi di prima, senza bisogno di guardarsi allo specchio ogni mattina con la speranza di vederci riflesso lui sul letto dietro di sé. Un tentativo di spezzare l’illusione amara in cui ancora vivevano, di accettare una realtà che non riuscivano, non potevano, sentire loro.
Kise alzò, calmo, un braccio, tendendolo verso Midorima, verso il suo petto, verso quel lembo di stoffa della camicia che, leggera, quasi trasparente, gli cingeva il torace e lì, all’altezza del cuore, posò il palmo della mano, quasi tremando, sentendo sotto di esso il battito calmo e regolare del cuore di Midorima. 
“Non ti fa male qui?” chiese, stringendo leggermente la stoffa, sorridendo di quell’amara dolcezza che stavano condividendo senza una vera ragione.
Midorima lo fissò, alla ricerca di una spiegazione per quella domanda strana, forse di troppo, di cui davvero non avevano bisogno e che rischiava di far crollare quel loro castello di sabbia dentro cui si erano barricati per non dover essere costretti ad affrontare la realtà.
E allora Kise ci riprovò, a convincerlo, a mostrargli il loro errore e la loro paura “… Sì… Quando ripensi a Takao…”. 
Chiuse gli occhi Midorima, per trattenere quelle lacrime che per giorni avevano già bagnato le sue guancie, per farsi coraggio e non mostrarsi debole davanti a chi conosceva il suo stesso dolore. Erano lì per cercare di darsi forza a vicenda, di superare definitivamente quel giorno che aveva visto la loro rovina scoprendo i loro sentimenti fin nel profondo “Se non ci penso no. Non c’è bisogno di ricordare.”
E lo disse con voce amara e flebile, nel vano tentativo di non dover tornare a soffrire davanti a quei ricordi.
Kise sorrise, di nuovo, con quella tristezza ormai insita nel suo sguardo e nei sui gesti, come le mille pepite d’oro che, in una grotta, quando si apre uno spiraglio, riflettono la luce del sole tanto attesa, e aspettano solo di essere rimosse e vendute. Quel suo dolore e terrore aspettava solo di venir portato via, lavato, da nuovi ricordi, caldi e dolci, che gli permettessero di dimenticare quanto miserabile dovesse apparire in quel momento.
“A me sempre. Mi fa sempre male, tantissimo.” e mentre lo disse si portò l’altra mano all’altezza del cuore, per poter di nuovo prendere coscienza di quanto forte il suo cuore stesse scalpitando, in quel petto non abituato a simili dolori. 
 
Lo sguardo di Midorima è perso nel nulla, perso nel bianco della parete davanti a lui, perso in quel terrore che gli si è gettato addosso con una potenza devastante. Le lacrime scivolano lungo le sue guancie, sul collo, altre cadono sulle sue mani tremanti, o a bagnargli le maniche del golfino. È semplicemente perso e incapace di comprendere e metabolizzare le parole che il dottore gli ha appena rivolto, con quel tono rassegnato e di finto dispiacere che gli dava la nausea. Perché Takao non poteva essere morto, in alcun modo. Non ora, non dopo che era riuscito ad abituarsi ai suoi baci improvvisi, alle sue carezze in pubblico, al suo sorriso pieno d’amore, non ora che ha capito di amarlo a sua volta.
Fissa il vuoto e vede il suo volto, senza poterlo raggiungere.
Ed è così, perso, che lo trova Kise, quando arriva col fiatone in quella stessa sala d’attesa, pronto ad inveire contro qualcuno. Lo afferra per le spalle, lo scuote e grida, con gli occhi colmi di terrore e la voce a tremare di paura “Midorima! Cos’è successo? Dove sono Takao e Kasamatsu?” e più gli occhi di Midorima fuggivano il suo sguardo, più Kise capiva e piangeva a sua volta, più si rifiutava di crederci e più cercava di aggrapparsi alle sue spalle.
 
Sentì una lacrima pizzicargli una palpebra, pronta a liberarsi dalla costrizione delle ciglia e scivolargli lungo lo zigomo, sulle coperte. Stringeva la stoffa della sua maglia e, con l’altra mano, quella della camicia di Midorima, tremando al ricordo di quel dolore e quella paura, quell’inutile speranza che quel giorno lo aveva portato a correre fino all’ospedale per poi vedersi sbattuta in faccia una realtà che non aveva voluto vedere e che non era disposto ad accettare. “Mi fa male… Soprattutto quando mi chiedo…” e ancora la sua voce di interruppe, scossa da un tremito, da un singhiozzo, dalle lacrime che non aveva davvero più la forza di trattenere.
 
“Sono morti entrambi sul colpo. Non c‘è stata speranza alcuna di salvarli fin dall‘inizio.”
Le scuse patetiche di quel dottore non gli interessano. Non è vero, lui lo sa, perché loro dovevano assolutamente riuscire a salvarlo, a restituirglielo. Dovevano farlo perché lui non poteva vivere senza il suo sempai, senza i suoi calci quotidiani e i suoi baci impacciati. Dovevano salvarlo perché Kasamatsu non si sarebbe neanche dovuto trovare in quell’auto, con Takao, ma con lui, al cinema, o a letto, non importava, ma dovevano salvarlo.
Lo gridava, Kise, che dovevano salvarlo, assolutamente, perché la sua vita dipendeva da quel ragazzo, che loro stavano perdendo tempo perché ora dovevano essere in quella maledetta sala a salvare il suo ragazzo. Lo gridava e intanto il suo cuore piangeva e galoppava nel suo petto, pronto ad esplodere di dolore. 
E a poco serviva Midorima che cercava di calmarlo, di trattenerlo dall’andare lui stesso a salvare Kasamatsu. 
Dovevano salvarlo anche se era troppo tardi.
 
Pianse Kise, e Midorima non riuscì a far altro che abbracciarlo, dopo quella frase, quell’accusa, forse, quel dubbio che entrambi avevano ma non avrebbero mai potuto risolvere, non più, non dopo che le persone che amavano avevano perso la vita insieme. 
Era di quel calore che avevano bisogno, di qualcuno che li abbracciasse e raccontasse loro la verità, nuda e cruda, senza veli, senza paura di ferirli, perché era già tutto perso quel che poteva essere perduto. 
“Mi fa male… Soprattutto quando mi chiedo… Cosa ci facevano insieme.” 

 
- Fine -
 
 
Se ve lo doveste star chiedendo… Sì, sono un’amante sfegatata del drammatico, e ne vado fiera.
 
By Ming
  
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