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Autore: Agapanto Blu    05/03/2013    4 recensioni
Missing Moment dalla mia storia "L'Amore nel Silenzio" in Anja's POV.
Attenzione: contiene Spoiler della storia sui capitoli già pubblicati.
***
Ambientato tra l'entrata di Mathias in collegio e il processo.
Anja è in Francia, fuggita dall'incubo in cui è stata rinchiusa per dieci anni e con le figlie minori e la madre.
Sta riprendendo in mano la sua vita, è stata fortunata e lo sa, ma come può essere felice quando suo figlio è nelle mani di un mostro?
La crescita di un personaggio fino al momento in cui trova la forza di "fare ciò che va fatto".
***
“Mathias, dove sei?” chiedo al cielo e alle gocce che si infrangono contro il vetro con forza e cattiveria, come se cercassero me, come se volessero dire ‘vieni fuori, vigliacca!, vieni a prenderti quel che ti meriti per essere stata una madre terribile!’
Genere: Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Allora, come già detto questo è un Missing Moments tratto da L'Amore nel Silenzio che potete trovare cliccando sul nome della storia :)
Dovrebbe essere comprensibile anche a chi non ha letto ma per qualsiasi informazione fatemi sapere :)
A presto!
Agapanto Blu





Veleno per Topi

 
Portare un figlio in grembo è una gioia che non si può spiegare.
È sentire una vita che si muove sotto la tua pelle, è sapere che ogni cosa che fai tua -compresa l’aria che respiri- sarà un po’ anche sua, è passare le giornate a chiederti ‘mi somiglierà?’ e le notti a piangere pensando ‘e se non fossi all’altezza?!’
Essere madre è difficile, lo è sempre e comunque, è una responsabilità.
 
***
 
Perdere un figlio è l’atrocità più grande di questo mondo.
 
***
 
“Mamma!”
Sorrido, scuotendo la testa.
“Non correre, Mathias!” lo rimprovero vedendolo staccarsi dalla mano di mia madre per corrermi incontro.
Neanche a dirlo e mio figlio crolla in avanti, lungo disteso sul marciapiede.
Faccio per raggiungerlo, ma Mathias è cocciuto e si tira su da solo, sempre velocemente, per riprendere la sua corsa stentata verso di me.
Sorrido e mi chino permettendogli di saltami al collo.
“Mamma!” ripete, felice.
È piccolo piccolo, il mio amore. Ha solo tre anni, ma è coraggioso come un leone.
“Oh, mon petite bébé!” rido e lui mi stringe ancora di più, passando al francese e gongolando: “Maman, maman!”
Gli scocco un bacio sulla guancia e provo a rimettergli in ordine i capelli biondi scombinati, ma lui mugugna qualcosa, offeso, così rinuncio con un sospiro.
“Testardo!” gli dico strofinando il suo nasino con il mio, un po’ più grande.
“Nonna i ha dato u dotsetto!” ridacchia lui tutto contento.
Mi fingo sorpresa (come se non avessi mai saputo che, nonostante tutto quello che ho detto a mia madre, lei gli avrebbe permesso di fare merenda con un dolce della pasticceria).
“E cosa ti ha dato?” gli chiedo, spronandolo a far esercizio per imparare a parlare.
“Totta co a utta!” ridacchia Mathias.
Guardo mia madre, confusa.
“La torta con la frutta…” mi spiega lei venendoci incontro con un sorriso sulle labbra.
Mathias inizia a muovere all’improvviso la testa, guardandosi attorno confuso.
“Do è papà?” mi chiede, tutto spaventato.
Sorrido.
“Papà arriva, sta parcheggiando la macchina…” lo rassicuro e lui sorride.
“Si parla di me?” mi sento chiedere da una voce che compare all’improvviso dietro la mia spalla.
Rido quando Dirk mi bacia il collo, poco sotto un orecchio.
“Stupido!” lo rimprovero, bonaria, ma poi Mathias mi interrompe allungando le braccia verso il volto del padre.
“Papà!” ridacchia, tutto contento, così lo passo a mio marito che lo prende sorridendo.
“Allora, mostriciattolo: hai fatto il bravo oppure hai fatto i dispetti alla nonna?” gli chiede.
“Bavo, bavo!” ride Mathias allargando le braccia e ridendo, felice.
“Ah, ecco! E la nonna ha fatto la brava o ti ha fatto i dispetti?”
Scoppiamo tutti a ridere quando Mathias fa un’espressione pensosa.
“Bava!” concede alla fine.
“Tutti i bravi, allora!” ride Dirk e il sole illumina i capelli e i sorrisi del padre e del figlio facendoli sembrare due gocce d’acqua.
“No!” nega Mathias scuotendo la testa, “Tu no!”
Dirk lo guarda, sorpreso.
“Perché?”
“Hai atto tonnale Mamma da tola!” borbotta Mathias, offeso.
Dirk gli sorride e gli accarezza i capelli.
“Ma dài, l’ho lasciata sola soltanto un attimo!” replica, “E sono tornato subito! Sono bravo anch’io?”
Mathias sembra pensarci, ma poi sorride e si lancia ad abbracciare stretto il padre al collo.
“Tì!” esclama felice.
Sorrido, orgogliosa della mia famiglia.
 
Sospiro mentre guardo il cielo, scuro, fuori dalla finestra.
Seduta sul davanzale, mi perdo nei ricordi di una vita che sembra lontana secoli e che non avrò mai più.
Dirk, il mio amato Dirk, non esiste più. È morto, soffocato dal dolore e da un odio di cui non lo credevo capace ma del quale ha dato prova più e più volte.
Guardo ancora il cielo e le grosse nuvole di mille e mille sfumature di grigio che uniformano e appiattiscono gli orizzonti facendomi sentire un animale in trappola.
La mia vista si offusca, disturbata da lacrime moleste che in questi giorni mi aggrediscono sempre più spesso.
“Mathias, dove sei?” chiedo al cielo e alle gocce che si infrangono contro il vetro con forza e cattiveria, come se cercassero me, come se volessero dire ‘vieni fuori, vigliacca!, vieni a prenderti quel che ti meriti per essere stata una madre terribile!’
Piango, senza più riuscire a fermarmi e chiudo gli occhi stringendo con più forza le ginocchia al mio petto.
“Il mio bambino…!” sussurro, in una debole invocazione che è la pallida eco delle grida che la mia anima e la mia mente stanno lanciando da giorni per riavere tra le braccia il loro figlio.
E la mia mente corre al passato.
 
Faccio scivolare la mano lungo la pancia coperta dalla leggerissima camicia da notte e sorrido nel sentirla calda.
Fermo le dita in basso e aspetto.
“Lucas?” provo a chiamare.
Sussulto quando il mio piccolo reagisce e si muove proprio sotto il mio palmo, ma poi sorrido.
“Eccoti qui, amore della mamma…” sussurro.
Sento la porta di casa aprirsi e Dirk e Mathias parlare mentre entrano.
“Dov’è il mio ometto?” grido, “Perché non viene a salutare la sua…?”
“Mamma!” mi interrompe mio figlio correndo nella camera con un sorriso enorme stampato sul volto.
Gli faccio cenno di salire sul letto e lui obbedisce, non senza prima togliersi diligentemente le scarpe.
“Vieni, anche tuo fratello è sveglio…” gli dico, sorridente, e lui allunga le manine sul pancione per posarle piano sulla stoffa.
Le fa volare, alla delicata ricerca del fratellino, e alla fine le ferma sopra il punto dove Lucas ha appena tirato un calcetto.
Mathias sente il fratello ancora per un po’ poi aggrotta la fronte.
“Cosa c’è?” gli chiedo.
“Non sta stretto?” è la replica di mio figlio, quasi indignato, “Non può starci un bimbo, qui! Guarda, io non ci sto!”
Lo osservo sdraiarsi accanto a me per farmi notare di come lui sia più grosso del pancione e poi non riesco a trattenermi dal ridere.
Gli accarezzo con una mano i capelli, come al solito sparpagliati.
“Ma Lucas è molto più piccolo di te!” gli rispondo, “Sarà molto piccolo quando uscirà da qui!”
Mathias aggrotta la fronte.
“E come farà ad uscire?” mi chiede.
Io sorrido, intenerita.
“Io e papà te lo spiegheremo fra un po’, Mathias… Ora sei troppo piccolo!”
“Io non sono piccolo!” obbietta lui, imbronciandosi.
“Mathias…” lo riprendo, sorridente.
“Che succede?”
Alzo gli occhi e sorrido. Dirk è sulla porta, in mano ha ancora lo zainetto di Mathias e sul viso un’espressione un po’ sorpresa.
“Mathias vuole sapere come farà a uscire da qui il suo fratellino…” gli spiego.
“È troppo piccolo!” insiste mio figlio, “Ci sta scomodo!”
Sorrido e scuoto la testa, intenerita.
“Adesso basta, Mathias. Fuori da qui.”
Mi volto sorpresa ma Dirk è serio.
“Lascialo, non mi dà fastidio…” obbietto ma lui mi ferma raggiungendomi e prendendo il posto di mio figlio, diligentemente sceso all’ordine del padre.
“Devi riposarti: il dottore dice che Lucas è debole!” mi ricorda.
Sposto lo sguardo, ferita mio malgrado.
“Lo so…” sussurro sperando che non aggiunga…
“Rischi l’aborto ogni minuto che passa, Anja: non devi affaticarti, punto e chiuso.”
Sospiro.
Lo sapevo che l’avrebbe detto.
“Non c’è bisogno che me lo ricordi ad ogni occasione!” ribatto, dura.
Dirk non mi risponde a lungo e io non mi volto a guardarlo finché non sento che si sta alzando.
Quando mi giro, sta portando Mathias fuori.
“Vedi che la mamma si è innervosita…” gli sta dicendo, “Le hai fatto tante domande, vero?”
“Scusa, papà…” sento rispondere dal mio pulcino.
“Mathias, non devi stare attaccato alla mamma: lei adesso deve pensare solo al tuo fratellino, va bene? Non può dover preoccuparsi anche di te, capisci?”
Sgrano gli occhi, sorpresa.
Non può aver detto quelle cose a nostro figlio! Ha solo sette anni, per l’Amor del Cielo! Non può capire certe cose e non merita di vedersi allontanare la madre solo perché c’è un altro bambino in arrivo!
Devo parlare con Dirk, questa sera stessa!
 
Ma non lo feci. Non lo feci allora, perché troppo stanca ero crollata addormentata, e non lo feci poi.
E Mathias iniziò a pensare, istigato dalle frasi cattive di suo padre, che suo fratello non ancora nato gli stesse sottraendo la madre.
E quando Lucas morì, credette che le sue opere e i suoi pensieri fossero la causa della sua morte.
A torto, ovviamente.
Sobbalzo sentendo il cellulare nella mia tasca vibrare.
Lo tiro fuori e controllo, incerta, temendo che sia Dirk: ormai manca poco a che capisca che non torneremo. Solo quando leggo Daisy sul display mi ricordo di aver cambiato numero per impedirgli di trovarmi.
Prendo un respiro profondo.
Non può raggiungerti qui, Anja. L’incubo è finito.
Ma Mathias?
Questa domanda mi tormenta, non riesco a trovare pace e non ce la farò mai, lo so.
Sono consapevole del fatto che mio figlio ha preso la sua decisione e ha scelto di restare con la ragazza della quale è innamorato e so benissimo che per quanto io possa dire o fare lui non cambierà idea né lascerà lei e l’America però…
Sospiro e apro il messaggio.
L’ha rinchiuso in collegio ma non so più niente di lui. Penso che non sia più tornato a casa ma non ne sono certa… Ho paura, Anja. Cosa devo fare? Almeno voi siete al sicuro? Come stai? Le gemelle?
Daisy
Chiudo gli occhi e appoggio una tempia contro la finestra.
Neanche io lo so, Daisy.
Digito rapidamente una risposta assolutamente inutile (Lo immaginavo. Fino a che sta in quella scuola, Dirk non può fargli del male. Anche io ho paura, non so cosa dirti. Sto morendo di paura per lui, ma le gemelle sono serene. Mi chiedono quando tornerà il loro fratellone e io non rispondo nulla. Stiamo tutti male ma dobbiamo tenere duro, se non altro per lui. Anja) poi torno alla mia mesta contemplazione.
Quando ho perso Lucas, una parte di me è morta con lui.
Il dolore fisico non era nulla, era una doccia calda che avrei fatto altre mille e mille volte pur di lenire il dolore al petto.
Il corpicino morto di Lucas era ancora più piccolo di quello che avevo immaginato. Mathias si sbagliava, non stava affatto stretto dentro di me.
Non volevano farmelo vedere ma io avevo visto lo stesso e avevo urlato e pianto e supplicato ogni medico e infermiere di restituirmi il mio bambino.
Le mie grida avevano riempito tutta la corsia e le infermiere mi avevano dato dei sedativi molto pesanti. Mentre uscivo dalla stanza, con gli occhi ad un soffio dal chiudersi, avevo visto sguardi pieni di pietà, di dolore e di comprensione.
Con il senno di poi, ricordo che invece quello di Dirk era pieno d’odio.
 
“Voglio mio figlio…” sussurro fissando il muro della mia camera dall’altro lato rispetto alla sedia di mio marito.
“È morto, Anja.” mi risponde Dirk secco, “Non te lo porteranno.”
“Voglio Mathias.” lo correggo, più dura che mai.
“Mathias…”
C’è qualcosa di strano, di sbagliato, nel modo in cui Dirk ha pronunciato il suo nome così mi volto.
Lui sta guardando gli oggetti sopra il mio comodino (un’abat-jour, un bicchiere di vetro, una bottiglietta d’acqua e un vaso con dei fiori di campo ormai appassiti) ma è come se non li vedesse.
“Cosa…?” provo a dire ma all’improvviso lui salta in piedi e butta tutto a terra con una manata.
Il bicchiere e il vaso vanno in frantumi, la bottiglietta si apre e rovescia tutto il suo contenuto, l’abat-jour rimbalza a terra.
Sobbalzo.
“L’ha ammazzato lui!” ringhia mio marito, “L’ha fatto apposta!”
Sgrano gli occhi.
“Non puoi dire sul serio!” esclamo, “Dirk, è solo un bambino! Ha sette anni!”
“Ha ammazzato Lucas!” urla lui guardandomi negli occhi mentre stringe le mani a pugno, “Me ne frego di quanti anni ha: è un assassino!”
Sono. Sconvolta.
“Io adesso dormirò un po’, Dirk.” dico, seria come mai prima, “Quando mi sveglierò, farò finta che tu non abbia mai detto una cosa simile e tu non ne parlerai mai più, è chiaro? Mathias non ha ammazzato Lucas, fine della discussione.”
Lo guardo sedersi con stizza poi sospiro e chiudo gli occhi, decisa a fingere di non aver mai sentito quelle parole…
 
Fingere di non vedere. In quello sono stata molto brava, in questi anni.
Fingere di non vedere l’odio negli occhi di mio marito, fingere di non vedere i lividi sul mio corpo, fingere di non vedere l’espressione spaventata e sofferente di mio figlio che cresceva e capiva.
Capiva tutto, il mio Mathias: capiva che suo padre non era più quello di prima, capiva che era sbagliato che mi picchiasse, capiva che era sbagliato che mi costringesse a fare cose contro la mia volontà… ma non capiva di essere innocente e io, a mia volta, non capivo che le mie parole e i miei sorrisi mesti non lo stavano aiutando per niente.
“Va tutto bene. È tutto a posto. Non è niente, Mathias. Non devi preoccuparti. Non c’è nulla di cui preoccuparsi.” mormoro, ripetendo tutte quelle frasi vuote di significato, tutte quelle bugie che ho propinato al mio bambino per fargli credere che stessi bene e che tutto si sarebbe aggiustato.
E alla fine, lui ha salvato me. Io parlavo, parlavo, parlavo, e lui agiva.
Che razza di madre si fa salvare dal figlio al prezzo dei di lui sangue e libertà?
Una madre ignobile, ecco. È questo che sono…che sono stata, a dire il vero. Forse, con le gemelle sono ancora in tempo per cambiare.
Mi asciugo gli occhi quando sento la porta di casa aprirsi e mi alzo in piedi appiccicandomi sul viso un sorriso gioioso che fa a pugni con lo stato reale del mio cuore poi esco dalla mia camera diretta in cucina.
Mia madre sta appoggiando le buste della spesa sul tavolo e le mie figlie la aiutano, ridendo.
Phoebe è la prima a notarmi, appoggiata allo stipite che le fisso con espressione ebete e che cerco di assorbire la loro serenità, e mi corre incontro.
Si aggrappa ad una delle mie gambe con una forza che mi sorprende e così mi piego.
“Amore,” sussurro prendendola per le spalle con delicatezza, “cosa succede?”
Piange, la mia piccola principessa piange.
“Voglio Mathias!” mi urla in faccia, “Voglio MATHIAS!”
Deglutisco, presa alla sprovvista, ma poi mi faccio forza e la abbraccio, stringendomela al petto.
Guardo mia madre da sopra la testa di mia figlia e mi accorgo che mi sta fissando con una serietà che raramente le ho visto in volto.
Leda è accanto alla sua nonna, guarda me e sua sorella ma non fa un gesto per avvicinarsi a noi. Anche lei ha un’espressione seria che non conosco.
Leda è piccola, più timorosa della sorella, e io non riesco a spiegarmi come possa non cedere a questo modo.
“Mathias è con la sua fidanzata.” dice, quasi rispondendo al mio pensiero interrogativo, “Lui vuole che stiamo qui.”
Annuisco, staccandomi da Phoebe per permetterle di voltarsi verso la sorella.
“Mathias vuole che stiamo qui.” ripete Leda, seria, alla sorella, “Io faccio quello che dice Mathias perché Mathias mi difende. Lui dice che dobbiamo stare qui e allora sto qui. Prima o poi verrà anche lui.”
Sento una tagliola affilata chiudersi sul mio cuore alle parole determinate e sicure di mia figlia perché ha ragione quasi su tutto e perché mi fa capire quanto stupida sia stata.
Io faccio quello che dice Mathias perché Mathias mi difende.
Mathias la difende, non io. Lei crede a suo fratello e per giorni non ha creduto a me.
Però su una cosa non sono sicura che abbia ragione: non so se Mathias ci raggiungerà qui.
Se anche si liberasse da Dirk, io non so se mi verrebbe a cercare, dopo quello che ha passato senza che io avessi il coraggio di intervenire.
“Piccole, adesso andate a lavarvi i faccini e togliete dalle testoline i brutti pensieri, d’accord?” ordina mia madre, seria ma dolce nel tono di voce, “Vostro fratello è un uomo ormai, sa cosa è giusto fare.”
Un uomo. Il mio bambino è un uomo. E io sono stata complice di quel mostro che ha distrutto la sua infanzia.
Leda annuisce e obbedisce subito, Phoebe la segue con un po’ meno convinzione ma senza esitare. Io le guardo sparire in corridoio, chiedendomi se potranno mai perdonarmi.
“Togliti quell’espressione dalla faccia: sembri una vedova di guerra.” mi ammonisce burbera mia madre, facendomi voltare verso di lei, “Non che ci sarebbe di che piangere, ad essere vedova di quello!”
Sta mettendo a posto la spesa ma non mi guarda e i suoi gesti sono bruschi e secchi: vuole dirmi qualcosa, sono giorni che muore dalla voglia di farlo.
“Maman, qu’est ce que tu as?*” chiedo, certa che mi risponderà immediatamente.
Infatti, lei mi fissa subito, una mano piantata sul fianco e gli occhi fissi nei miei.
“Devi smetterla, subito.” mi dice, parlando nel suo francese rapido e secco, con inflessione dialettale, “Tuo figlio ha passato, sta passando e probabilmente passerà, le pene dell’Inferno per far venire te e le gemelle qui al sicuro quindi ora smettila di rovinare la loro libertà con questo tuo comportamento da madre disperata.”
Chino la testa, colpita dal rimprovero che so di meritare, ma rispondo.
“Pensi che sia facile?! Sto facendo del mio meglio per…”
“Ma fammi il piacere!” mi interrompe lei, “Mentivi molto meglio quando portavi tuo figlio in ospedale!”
La frecciata mi colpisce costringendomi ad abbassare anche le spalle.
È vero. È tutto maledettamente vero.
“Non puoi pretendere che dimentichi che Mathias…”
“Posso ed è esattamente quello che ho intenzione di fare!” sbotta mia madre venendomi vicina e costringendomi a guardarla in viso (senza nemmeno sollevarmi la testa perché lei è parecchio più bassa di me), “Anja, siamo sincere: io ti ho dato l’occasione di piantarlo e di portare in salvo tutti e tre i tuoi figli otto anni fa, tu l’hai sprecata. Per paura, certo, e nessuno ti sta dicendo che avresti dovuto tirarti fuori da tutto da sola, è chiaro? Ma tu hai rifiutato aiuto e adesso, scusami tanto, ma ne devi pagare le conseguenze: hai pensato che a un tuo errore corrispondesse una sofferenza sulla tua pelle, però ti sei sbagliata ed è stato Mathias a pagare. Ci hai sofferto anche tu, è vero, però è lui che ha pagato il prezzo più alto in passato e adesso puoi solo accettare che decidere per tuo figlio, anche per salvarlo, è ormai fuori dalla tua portata perché hai perso, sprecato, tempo a parlare e a dibatterti tra le possibilità. Sta a Mathias, e solo a lui, trovare il modo di salvarsi, adesso. Da solo.”
Chiudo gli occhi, stringo i pugni, mi mordo la lingua. Riesco a costringere le mie labbra ad un sorriso gioioso, a seccare i miei occhi, a rilassare i muscoli.
Sembro felice. Non lo sono, ma è già un passo avanti per proteggere le mie bambine.
Mia madre annuisce.
“Mathias è un uomo, Anja.” mi dice, seria ma più dolce, “È forte, tutto d’un pezzo, sa cos’è il dolore e sa affrontarlo, si prende le sue responsabilità ed è maturo abbastanza da fare le sue scelte da solo. Non è come quel pavido di suo padre che si rifugia in fondo ad una bottiglia né, scusami, uno stupido esitante come sua madre: ha preso la sua decisione dopo averla attentamente meditata, ha calcolato bene le conseguenze e le ha bilanciate con ciò che avrebbe ottenuto e alla fine ha deciso che valeva la pena di rischiare pur di proteggervi. Tu non hai assolutamente il diritto di mandare all’aria tutto ciò che ha fatto! Sono stata chiara?”
Annuisco.
Mia madre annuisce a sua volta, secca.
“Bene, allora aiutami a disfare le borse e poi va’ con le gemelle a giocare: che mi pare già un miracolo che quei due poveri angeli sappiano cosa vuole dire!” borbotta per poi perdersi in una serie di improperi contro Dirk.
Mettiamo a posto, faccio ciò che ha detto mia madre e gioco con le gemelle, a sera le metto a dormire ma uscendo fuori dalla porta le sento alzarsi per inginocchiarsi accanto al letto e rivolgere una rapida preghiera ad un angioletto perché controlli il loro fratellone e lo proteggano dal loro papà.
Mi sanguina il cuore.
Raggiungo mia madre in cucina, sta preparando l’impasto per i croissant di domani mattina per le gemelle, e la osservo.
“Stai migliorando.” si lascia sfuggire e io sorrido, mesta.
Guardo fuori dalla finestra, come oggi pomeriggio, ma non mi permetto di cedere. Osservo la luna e mi chiedo che ora sia da Mathias.
Starà guardando la luna o il sole?
“Dirk non la scamperà.”
Mi volto, sorpresa, verso mia madre ma lei sembra del tutto presa dal suo impasto.
“Che vuoi dire?” chiedo, sorpresa.
Lei continua a impastare, ma mi degna di una risposta.
“Non ha speranze.” ribadisce, lapidaria, “Tuo marito è un bastardo: un idiota senza cervello che si sente soffocare e sfoga la sua paura con l’alcool e con la cinghia. Tuo figlio è diverso: Mathias è assennato e anni a difendere i suoi cari l’hanno reso cauto e prudente ma abituato a rischiare per ottenere ciò che ama. Tra i due, chi credi che abbia più possibilità? Dirk, che si ritrova tra le mani un figlio sempre più grande e consapevole di sé, della sua forza e che si avvicina ogni giorno di più ad uscire dall’ombra in cui è stato segregato; oppure Mathias, che ha trovato l’amore in una donna forte e sempre disposta ad aiutarlo, un amico grande e grosso che gli vuole davvero bene, e che si sta riappacificando con suo fratello sempre più?”
Sono confusa, lo ammetto.
“Sembra quasi che tu fossi in America con noi…” mormoro.
“Ma c’ero, bambina mia.” replica Hélyette, “Solo non fisicamente. Diciamo che conosco i miei polli!”
Sorrido, ma poi mi perdo, ricordando un dettaglio del suo discorso di prima.
“Credi davvero che Mathias si stia iniziando a perdonare?”
“Assolutamente no! Perdonarsi vorrebbe dire che ha colpa di qualcosa! Quello che Mathias sta facendo è accettare lentamente che suo fratello è morto e non tornerà più, e iniziare a porsi delle domande su quanto sia vero che è colpa sua.”
“Che risposte si darà?” sussurro, a voce tanto bassa che temo e spero mia madre non mi abbia udita.
“Mathias non è Dirk. Vedrà la verità per quella che è, non si lascerà intortare dalle visioni contorte che popolano la mente di suo padre.” ribatte mia madre, determinata e sicura.
“E se non lo farà?!” mi lascio scappare, disperata, “E se crederà a Dirk, come ho fatto io?!”
Finalmente, mia madre si volta verso di me e mi fissa negli occhi.
“Allora ci penserà quella ragazza a fargli tornare il sale in zucca.”
Non so cosa rispondere.
È vero: Mathias ha qualcosa che io e le gemelle non avevamo. Lui ha Daisy e lei non lo lascerà ricadere nella spirale di violenza e follia di Dirk, non lo permetterà.
Mia madre lascia in pace l’impasto esausto e si pulisce le mani nel grembiule.
“Mathias è dentro una gabbia fatta di fumo nero e ombre. Fa paura, certo. È una gabbia terribile e spaventosa, ma ombra e fumo non hanno mai trattenuto nessuno che fosse fatto di viva carne. Dirk gioca con le ombre, le muove come marionette per spaventare suo figlio, ma questo trucco può funzionare con un bambino. Un uomo ha paura ma trova il coraggio di non chiudere gli occhi e di stare allerta e così si accorge che è solo un’illusione, si alza e esce dalla porta che non è né potrà mai essergli chiusa davanti se lui non lo permette. A maggior ragione, uscirà con il sorriso sulle labbra se avrà un filo d’oro a indicargli la strada verso un nuovo inizio, che comprende la donna che ama e l’amico di cui si fida e le sorelle per le quali farebbe tutto e la madre alla quale non darà mai le colpe della sua prigionia perché sa che ha portato quelle stesse catene troppo a lungo.”
Mia madre finalmente alza gli occhi ad incrociare i miei e, per la prima volta, un vero sorriso le spunta sulle labbra ormai sottili e rugose.
“E se così non fosse, faremo come durante la guerra!” dichiara.
“Cioè?” chiedo, confusa.
“Veleno per topi: niente cura le follie di un uomo violento come quello!”
 
***
 
Sette mesi dopo…
 
Guardo dalla finestra con espressione totalmente diversa da quella che portavo sul viso tempo fa.
Per me Dirk è morto. Non è più mio marito. Anche se si è rifiutato di firmare i documenti che gli ho fatto recapitare dal suo avvocato, ormai è come se avessimo divorziato.
E Mathias sta uscendo dalla sua gabbia, inseguendo il filo d’oro di Daisy, di Lucky, di Phoebe e Leda. E mio.
Ma io non voglio solo reggere il filo, io voglio allungare la mano e stringerla sulla sua per trascinarlo fuori da lì a forza.
Mia madre mi pulisce della polvere invisibile dalle spalle.
“Gli roderà il fegato, a quel figlio di pute!” dichiara, ghignando maligna.
“Maman!” la riprendo, nel sentire il suo linguaggio, “Le gemelle!”
Lei fa un gesto con la mano come a scacciare un moscerino e mi squadra dai piedi fino alla testa, per poi fermarsi sui miei occhi.
“Che devi fare, tu?” mi chiede, seria.
“Ignorarlo.”
“E Mathias?”
“Non solo sostenerlo, spintonarlo affinché prenda la decisione giusta e non faccia una ca…volata come quella che ho fatto io per anni.” ripeto a pappagallo, con un sorriso sulle labbra ma mio malgrado sollevata dall’avere dei punti saldi.
Mia madre mi stringe le braccia con le mani, seria.
“Stai andando a riprenderti tuo figlio, Anja,” mi dice, “ma non dimenticare che ormai hai perso il diritto di decidere per lui e non lo otterrai più: qualsiasi cosa lui decida, deve scegliere da solo. Anche se questo significa restare poi in America con la sua donna, dopo il processo.”
Annuisco, determinata.
Hélyette sorride, io saluto le bambine e poi mi dirigo alla porta, per scendere verso il taxi che mi aspetta.
“Anja!” mi sento urlare dietro mentre salgo sulla vettura.
Mi volto, sorpresa, e vedo mia madre alla finestra.
“Ricordati!” mi dice, “Male che vada,…?”
Sorrido.
Porto le mani a coppa attorno alle labbra.
“VELENO PER TOPI!”






*Maman, qu’est ce que tu as? = Mamma, cos'hai?


  
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