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Autore: Thefoolfan    05/03/2013    3 recensioni
Universo Alternativo. Una diversa versione su come Beckett e Castle si sono conosciuti, con piccole e grandi differenza dal telefilm, anche nei caratteri dei personaggi. A poco a poco verranno rivelati tutti i segreti.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le storie di una vita'
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 12th DISTRETTO

“Ci dispiace che abbiate dovuto apprendere cosi della morte dei vostri fratelli”. Disse Beckett porgendo alla giovane dei fazzolettini cosi che si potesse asciugare le lacrime che le sgorgavano dal viso.

 “Per via dell'astio tra le nostre famiglie Verena ed io possiamo passare poco tempo insieme e quando accade non vogliamo esser disturbati, per questo avevamo entrambi i telefoni staccati”. Spiegò il giovane rincuorando nel contempo la ragazza, tenendola vicino a se.

 “Per caso ieri sera i vostri fratelli erano preoccupati, hanno fatto qualcosa di strano che potesse presagire quanto accaduto?”. Domandò Castle dando le spalle ai due giusto per preparare del caffè per la giovane.

 “Quando ho detto a Michael che non sarei andato con lui alla festa perchè avevo altri programmi si è messo a ridere, dicendo che mi sarei perso un bello spettacolo”. Parlò Joseph mentre Castle porse la tazza a Verena e si sedette accanto alla fidanzata.

 “Forse Michael era al corrente di quello che stava per accadere, forse lui stesso l'ha organizzato”. Sussurrò nell'orecchio della donna non facendosi sentire dai due giovani, non volendo renderli partecipi di quelle sue illazioni senza fondamento.

 “E Sebastian, ha avuto strani comportamenti di recente?”. Domandò Beckett a Verena che stringendo il fazzoletto scrollò il capo.

 “Era tranquillo”. Rispose singhiozzando. “Stava facendo progetti con Edmund per investire parte del capitale in un nuovo progetto”.

 Sentirono bussare ad uno dei vetri e videro dietro di essi Esposito che li invitava a raggiungerlo. 

“Prendetevi un po' di tempo per riflettere, se vi viene in mente altro diteci pure”. Proferì Castle seguendo la fidanzata fin dove Esposito e Ryan li stavano aspettando.

  

“Abbiamo notizie interessanti da Lanie”. Comunicò l'irlandese alzando un foglio contenente codici genetici che i due colleghi non riuscirono a capire.

 “In poche parole vorrebbe dire che...”. Lo invitò Castle a spiegarsi cosi da non lasciarli sulle spine.

 “Vorrebbe dire che, dagli esami svolti, si è trovato lo stesso corredo genetico tra Edmund e Michael”. Rivelò con un sorriso trionfante sulle labbra.

 “Erano parenti?”. Domandò incredula Beckett strappando di mano quel foglio dal collega.

 “Di più, erano fratelli. Stesso padre”.Rispose con tono serio Esposito. “Se volete parlare con i genitori sono ancora nella stanza degli interrogatori.”

 “D'accordo. Voi tenete d'occhio Joseph e Verena, potrebbe venire in mente loro qualcosa di utile. Noi andiamo a sentire gli Scherz questa volta”. Asserì Beckett rimettendo il foglio nel fascicolo e tirando con se Castle, non voleva perderlo di vista, sopratutto quando il mandante di quegli omicidi poteva essere presente al distretto.

 

 “Siamo rinchiusi qui da ore, non avete il diritto di trattarci cosi”. Obiettò Scherz quando li vide entrare nella stanza, rimanendo in piedi accanto al vetro contro il quale aveva sfogato tutta la propria frustrazione.

 “Stiamo cercando di risolvere un caso, non stiamo giocando”. Ribattè Castle indicando con una mano la sedia dell'uomo cosi che potesse tornare a sedersi li.

 “Signora Scherz perchè non va a prendersi un caffè mentre noi parliamo con suo marito”. Suggerì cortesemente la detective volendo evitare che la donna venisse a sapere del tradimento del marito in quel modo, dopo tutto quello che aveva passato. La signora Scherz però non accettò quell'invito, aggrappandosi al braccio del marito.

 Beckett guardò Castle esortandolo con gli occhi ad insistere per far uscire la donna dalla stanza, ma lui aveva un idea diversa, non voleva dare corda a persone simili.

 “Durante l'interrogatorio con i miei colleghi si è dimenticato di accennare ad un particolare essenziale. Michael è suo figlio non di Craddock”. Detto questo Castle attese la reazione dell'uomo, non aspettava altro per far leva sul suo astio per fargli dire ciò che fino a quel momento aveva nascosto.

 “Non vedo questo cosa possa centrare se non per il fatto che ho perso tre ragazzi che erano sangue del mio sangue”. Rispose l'uomo con una calma che lasciò di stucco i due detective.

 “Lei lo sapeva signora Scherz?”. Domandò Castle alla donna mentre una nuova ipotesi prendeva forma nella sua testa, forse era stata lei a volere la morte di Michael, segno indelebile del tradimento del marito, ma ancora non riusciva a dare una spiegazione alla morte di Edmund e Sebastian.

 “Fin dal primo momento”. Quando la donna rispose anche quella nuova pista crollò davanti al detective che sospirò affranto.

“Mio marito mi ha detto subito della relazione che aveva avuto con Claire e quando lei è rimasta incinta abbiamo deciso tutti e tre insieme di mantenere il segreto”. Confessò andando a sorridere al marito che in cambiò le diede un bacio sulla fronte.

 “Ma forse quel rancore era troppo da portare dentro e ora ha colto l'occasione per vendicarsi”. Continuò a stuzzicare Castle nella speranza di avere una confessione ma la donna si rivelò più tenace di quanto pensasse.

 “Volevo bene a Michael”. Disse risoluta. “Prima che mio marito e Frederick litigassero passavamo molto tempo insieme, Michael è cresciuto insieme ai nostri figli e ci consideravamo una grande famiglia”.

 “E poi cose successo?”. Chiese Beckett cercando di risultare più disponibile nei confronti della coppia a differenza di Castle che invece preferiva aggredirli.

 “Michael a 8 anni si è ammalato, facendo dei test Frederick scoprì di non essere il padre e non gli ci volle molto per capire chi lo fosse”. Spiegò Clark Scherz lasciando momentaneamente la mano della moglie, sporgendosi sul tavolo cosi da avvicinarsi ai due.

 “Non serve che mi guardiate cosi, so di aver sbagliato”. Confessò abbassando per qualche istante lo sguardo, inspirando profondamente. “In questi anni ho avuto più di quanto meritassi ma ora ero deciso a rimediare per questo aveva raccontato tutto a Edmund”.

 “Suo figlio sapeva che Michael era il suo fratellastro?”. Chiese Castle appoggiando il dorso contro lo schienale della sedia, portando le mani dietro la testa, cominciando a dubitare di esser finito in una puntata di Beautiful.

 “Volevo che questo odio tra le due famiglie finisse e cosa c'era di meglio che confessare la verità, avrei cosi riunito i due fratelli. Volevo che Michael prendesse la sua quota dell'azienda insieme a Edmund e Sebastian”. L'uomo si sentì d'improvviso stanco, pallido, tanto che dovette andare ad appoggiarsi sulla moglie per non rischiare di cadere dalla sedia.

 “Voleva sistemare le cose prima di..”. Affermò Beckett fermandosi quando l'uomo annuì.

 “I dottori mi hanno dato pochi mesi di vita e volevo la mia famiglia unita un ultima volta”. Sibilò quelle parole quasi fosse un peccato dirle. “Una famiglia che ora non ho più”. Singhiozzò nascondendo il volto tra le mani mentre la moglie gli sussurrava dolci parole nell'orecchio, massaggiandogli la schiena.

 “Ha ancora Verena”. Gli ricordò Beckett pensando di rallegrare momentaneamente l'uomo, di alleviare quel senso di solitudine che provava.

 “Lei non fa più parte della nostra famiglia”. Disse solamente la donna alzando lo sguardo dal marito, concentrandosi sulla detective.

 “Per via delle sue frequentazioni?”. Domandò dando enfasi all'ultima parte, volendo sapere se la famiglia sapeva della sua relazione con Craddock.

 “Perchè ha cercato di vendere i segreti della nostra società a un gruppo russo concorrente”. Ringhiò l'uomo dimenticandosi del dolore provato fino a pochi attimi prima, provando rabbia e vergogna per il comportamento della nipote, non aveva tradito la società ma tutta l'intera famiglia.

 “Quindi non ha nulla a che fare con la sua relazione con Joseph”. Constatò Castle rivolto più alla fidanzata che ai coniugi Scherz alla quale però quel suo dire li colse di sopresa.

 “Sta con Joseph Craddock?”. Spalancò gli occhi la donna, coprendosi la bocca con le mani sconvolta, quasi li fosse stato detto di aver perso un altro figlio.

 “Avete detto che volevate riunire la famiglia e questo mi sembra un ottimo inizio no”. Castle cercò di far vedere loro il lato positivo ma ottenne solo uno sguardo di profonda disapprovazione.

 “Noi non lo vogliamo in famiglia quando la sua stessa l'ha cacciato”. Puntualizzò l'uomo alzandosi innervosito e spazientito dalla sedia, trascinando con se la moglie che ancora dava sfogo al suo disprezzo.

 “Aspettate”. Si parò davanti a loro Beckett, allungando le mani verso i due per non farli muovere oltre.

 “Che significa che anche lui è stato allontanato?”. Domandò inclinando il capo, non sopportando quando informazioni vitali le veniva celate dagli stessi parenti delle vittime, complicando cosi maggiormente le indagini.

 “Che se Craddock gli avesse lasciato in mano la società nel giro di un mese se la sarebbe venduta per comprarsi la droga.”. Affermò l'uomo tirandosi la giacca e sistemandosi ancora i capelli, pronto ad uscire da quel luogo e tornarsene a casa per occuparsi del funerale di Edmund e Sebastian.

 “Un drogato e una traditrice”. Commentò sprezzante aprendo la porta. “Sarà anche la mia ultima erede ma non permetterò mai che la mia società finisca nelle sue mani, e la stessa cosa farà Craddock”.

 Lasciandolo uscire dalla porta Beckett tornò a mettersi vicino a Castle ancora seduto. Appoggiò una mano sul tavolo e l'altra sulla sedia, rimanendo sollevata accanto all'uomo.

 “Se Michael avesse accettato la proposta di Scherz di riunire la famiglia e di prendere la sua quota di società certamente Craddock non l'avrebbe presa bene, avrebbe perso un figlio e un erede”. Ragionò insieme all'uomo che la guardò di sfuggita prima di tornare a fissare davanti a se, sempre tenendo le mani dietro la testa.

 “Craddock fin da subito mi è parso più preoccupato alla questione finanziaria e ci ha dato qualche informazione per farci dubitare di Scherz”. Disse l'uomo cominciando a dondolarsi sulla sedia, meditando che la vendetta e la rabbia potevano essere un più che valido movente per l'omicidio di quei tre giovani.

 “Può essere come sospettavamo all'inizio”. Suggerì Beckett rimettendosi dritta con la schiena, prendendo a camminare avanti e indietro per aiutarsi a schiarire le idee. “Forse Craddock ha pagato qualcuno perchè facesse il lavoro sporco”.

 “Però ha detto di non sapere dove si trovasse il figlio, per loro doveva uscire con Joseph”. Obiettò l'uomo rendendo pensierosa la detective che continuò i suoi movimenti incrociando le braccia al petto, con una leggera smorfia sul volto.

 “Un assassino difficilmente ammette le proprie colpe”. Gli ricordò la donna fermandosi di colpo. “Non ci resta che parlare di nuovo con lui”.

 I due uscirono dalla stanzetta ritrovandosi in una strana quiete che non si sarebbero aspettati data la presenza di entrambe le famiglie. Gli sembrava di esser all'interno di un film western, con i due contendenti in silenzio a guardarsi, l'uno in attesa della mossa dell'altro. Con Ryan vi erano i Craddock mentre Esposito si era messo accanto agli Scherz, pronti ad intervenire se i due capofamiglia fossero tornati di nuovo a farsi la guerra.

 “Lo sanno Craddock”. Ruppe il silezio Scherz, utilizzando un tono di voce che sorprese i detective, non era di scherno ma anzi, sembrava quasi dispiaciuto. “Sanno che Michael era mio”.

 “Non è mai stato tuo, sono io che l'ho cresciuto. Tu eri solo un vago ricordo della sua infanzia”. Attaccò l'uomo rendendo di nuovo caldo l'ambiente, con i detective consapevoli che la situazione poteva degenerare da un momento all'altro.

 Ryan si avvicinò a Beckett e le sussurrò qualcosa all'orecchio che la fece meravigliare. Lo ringraziò e gli impartì nuovi ordini, dicendogli di portare da loro anche i due giovani innamorati.

 “Il mio collega mi ha appena informato che i depositi sul conto segreto son stati effettuati dalla stesso portatile, il codice identificativo risulta lo stesso”. Disse la donna sentendosi in quel momento una copia del famoso Poirot, pronto a rivelare la verità ai presenti.

 “Sta accusando uno di noi?”. Sghignazzò Craddock, ridendo guardando gli altri detective cercando in quel momento un compagno di risate per quel che pensava essere uno scherzo. “Cosi facendo troncherà all'istante la sua carriera”. Affermò estremamente serio facendo tremare Castle.

 “Il pc risulta essere il suo Verena”. Disse tralasciando le parole di Craddock, non volendo rispondergli a tono per evitare davvero spiacevoli conseguenze. “Sa spiegarcelo?”. Tutti gli occhi erano sulla giovane, aspettandosi da lei qualunque parola per discolparsi ma la ragazza sembrava come esser diventata una statua di ghiaccio. Rimaneva accanto a Joseph a guardare uno per uno i presenti, quasi si aspettasse che uno di loro corresse in suo aiuto.

 “Vorrà dire per che ora ti terremo in custodia in attesa di aver prove più incriminanti”. Parlò Castle avvicinandosi ai due con l'intenzione di accompagnarla nella sala degli interrogatori dove avrebbe aspettato l'esito delle indagini. Prima di riuscire a muovere un ulteriore passo Joseph estrasse la pistola che teneva dietro la schiena, puntandola contro i presenti.

 “Che nessuno faccia un passo falso”. Minacciò i detective, i genitori, gli Scherz e gli altri agenti che si erano alzati dalle loro scrivanie per intervenire. Prese per mano Verena e cominciò ad indietreggiare volendo raggiungere l'ascensore cosi da fuggire.

 “La riconosci papa?”. Chiese con voce carica di rabbia, mostrando per un breve secondo la pistola all'uomo. “é quella che mi hai regalato per il mio ventesimo compleanno, la stessa che ho usato per uccidere quel verme di Scherz che si era nascosto nella nostra famiglia”. Confessò trionfante.

 “Sei in un commissariato”. Gli fece notare Esposito incurvandosi leggermente in avanti, camminando verso di lui con cautela, tenendo le braccia protese verso i due cosi da mostrar loro di non esser armato. “Non riuscirai a scappare”.

 “Michael era tuo fratello”. Gli urlò contro Craddock quando un colpo partì dalla pistola che però era puntata verso l'alto, provocando cosi solo un buco sul soffitto.

 “Proprio tu lo dici, tu ipocrita che non sei altro”. Lo sbeffeggiò indicando a Verena l'ascensore, dandole il compito di chiamarlo al piano cosi che potessero fuggire. “Hai sempre sputato l'odio contro gli Scherz quando in realtà ne crescevi uno, quando eri pronto a dare in mano a lui la società, a lui e non a me che sono un Craddock puro”. Un altro colpo partì, questa volta diretto proprio contro l'uomo ma Ryan capendo la situazione riuscì a spostare il vecchio uomo prima che venisse ferito. Approfittando della confusione Esposito fece un lungo passo verso di loro, afferrando per un braccio Verena, trascinandola con se.

 “Ti conviene lasciarla se non vuoi che faccio un buco in testa ai tuoi amici”. Gli puntò la pistola contro ma facendo roteare le iridi lungo tutto il distretto, vedendo gli agenti nascosti dietro le scrivanie, proteggendo i suoi genitori e i rivali.

 “Di chi è stata l'idea?”.Domandò d'un tratto Castle, trovandosi l'arma puntata su di se. “é Verena che te l'ha chiesto o hai deciso tu di uccidere tuo fratello e gli altri due”.

 “Lui non era mio fratello”. Ringhiò agitando l'arma facendo trattenere il fiato al detective impaurito dal fatto che un colpo potesse partire per sbaglio.

 “Quando Michael e Sebastian ci dissero la lieta novella, Verena ed io, avevamo innocentemente pensato che potevamo costruire una società tutta nostra, ma loro no...”. Balbettò cominciando a muoversi come se avesse avuto il fuoco in corpo, agitando la testa e grattandosela.

 “Loro non ci hanno voluti nel loro nuovo mondo e cosi abbiamo organizzato un piano per vendicarci delle famiglie che ci avevano rinnegato”.

 “Joseph basta”. Lo rimproverò la giovane cercando nel contempo di liberarsi dalla presa di Esposito. “Sta zitto o ci condanni”. Castle notò il bottone dell'ascensore accendersi sospirando sollevato dal fatto che nuovi agenti stavano giungendo in loro aiuto. Avrebbero colto il ragazzo alle spalle ponendo fine a quella situazione di stallo.

 “E cosi sapendoli a quella festa avete organizzato tutto per farli sembrare degli omicidi casuali”. Continuò ancora il detective volendo sia distrarre Joseph sia ottenere una confessione davanti a più e più agenti di polizia.

 “E pensare che Michael nemmeno voleva andarci a quella festa”. Ridacchiò  Joseph mentre le porte dell'ascensore si aprirono. Castle era pronto ad indicare ai poliziotti il modo di agire ma si ritrovò a guardare in volto suo padre ed Alexis. 

“Ma alla fine l'ho convinto, ero anche pronto a dargli un altra occasione per redimersi”. Confessò il giovane mentre il detective cercava di far capire al genitore di andarsene, di riportare l'ascensore al piano inferiore prima che quel pazzo si accorgesse di loro. “Doveva rinnegare gli Scherz e tornare da me ma quando ha letto il mio messaggio ieri sera è venuto a fermarmi e allora gli ho sparato”. Quando Alexander capì che davanti a lui vi era l'uomo che aveva rischiato di far del male a sua figlia si sentì invadere da una nuova emozione provata raramente, si guardò attorno e vide un porta ombrelli metallico. Sfuggì allo sguardo del figlio che lo implorava di non agire ma la sua mentre era indirizzata ad un unico obiettivò.

 “Ehi”. Disse solo per attirare l'attenzione di Joseph e quando questi si voltò lo colpì in pieno volto, facendolo cadere a terra mentre la pistola scivolava dalle sue mani. Senza dar modo agli agenti di intervenire se ne impossessò lui puntandola contro il giovane che scrollando la testa si ritrovò a fissare nel buco della canna.

 “Abbassate le armi, è un ordine”. Urlò Beckett gesticolando con le mani cosi da far capire ai colleghi che Alexander non doveva avere lo stesso trattamento di un assassino anche se il vederlo impugnare un arma le incuteva una certa preoccupazione. 

“Papa”. Sussurrò Alexis allungando un braccio verso il padre prima di ritrarlo.

 “é tutto a posto bambina mia”. Le disse senza staccare gli occhi dal volto insanguinato del giovane. “Perchè non ti fai accompagnare fuori da Ryan”. Suggerì con voce calma che non rispecchiava minimamente il tumulto che sentiva dentro il cuore. L'irlandese non aspettò il consenso di nessuno e trascinò via la ragazza che non protestò, rimanendo con gli occhi sul padre fino a che non si vide una porta chiudersi in faccia.

 “Alexander metti giù la pistola”. Lo invitò Beckett compiendo alcuni passi cauti, fino a ritrovarsi contro il muro accanto a Joseph. “Lascia che ce ne occupiamo noi”. Gli disse porgendogli la mano cosi che potesse darle la pistola ma lui non fece nulla di ciò. La detective cercò allora l'aiuto del fidanzato, certa che lui sarebbe riuscito a fermare il padre dal fare qualche pazzia ma trovò l'uomo stranamente disinteressato da quella vicenda. Teneva gli occhi sul genitore ma Beckett poteva intuire che non aveva la minima intenzione di intervenire anzi sembrava quasi che stesse aspettando quel gesto.

 “Pensa ad Alexis, vuoi davvero che ti veda come un assassino”. Nessuno muscolo di Alexander si mosse, solo le scure iridi si piantarono su di lei abbandonando il suo bersaglio.

 “Non un assassino, un padre che protegge sua figlia”. La risposta freddò la donna in un istante, facendole credere di aver un altra persona sconosciuta davanti a se. Quello non era l'uomo gentile e premuroso che aveva conosciuto, era un corpo vuoto desideroso di vendetta. Tutto ciò la riporto a Castle, al fatto che anche lui era stato cosi in passato, e ora si ritrovava a domandarsi del perchè non fosse ancora intervenuto. 

“Se lo uccidi non potrai più proteggerla dato che passerai la vita in prigione”. Constatò decisa, porgendogli con vigore ancora la mano ma Alexander tornò a guardare il giovane, premendo la canna della pistola contro la sua fronte.

 “Questo è quello che ha provato mia figlia”. Gli disse mentre Joseph cercava di allontanare la testa, di proteggersi con le mani.

 “Rick”. Lo richiamò Beckett, se non avesse ottenuto il suo aiuto sarebbe stata costretta a far intervenire Esposito che si era già posizionato dietro l'uomo, pronto a prendergli la pistola. La donna però non voleva che ciò accadesse, opponendo tale resistenza rischiava una condanna e non poteva permetterlo.

 “Mentre lo uccidi non guardarlo negli occhi o ti verranno a cercare nei tuoi incubi”. Quell'unica frase riusci a rendere tutti i presenti sbigottiti, nessuno avrebbe mai sospettato una tale risposta, in particolare Beckett che si ritrovò davanti agli occhi quel Castle, con la stretta al cuore per averlo perso ancora dopo anni di fatica per farlo tornare a sentire, a provare sentimenti.

 “I miei incubi iniziali son riuscito a scacciarli grazie a un fantastico padre, ma credo che tu non avrai la stessa fortuna perchè quell'uomo scomparirà nel momento in cui premerai il grilletto”. Alexander spinse la canna della pistola ancora contro la testa del giovane, facendolo gemere dalla paura, e poi la porse a Beckett, mettendo le mani dietro la nuca pronto per farsi portare via dagli agenti.

 “Portatelo in qualche stanza e state li fin quando la situazione qui non sarà sistemata”. Sussurrò la detective a uno dei poliziotti. “Credo che abbiamo tutte le attenuanti per non far sporgere denuncia”.

 Vedendo Alexander scortato verso una stanza Beckett si mise di fianco al fidanzato, studiandolo con la coda dell'occhio. “Gli avresti permesso di ucciderlo?”. Domandò non certa di voler sentire la risposta.

 “No”. Rispose secco lui senza staccare gli occhi dal padre. “Ma doveva capire da solo la sciocchezza che stava per fare”. In un certo modo quella risposta fece rilassare la detective, facendole passare quelle paure iniziali, Castle le aveva dato la conferma che non avrebbe permesso uel gesto da parte del padre. 

 

Dopo pochi minuti entrarono nella stanza degli interrogatori dove Ryan aveva portato Alexis per tenerla il più lontano possibile da quel trambusto, perchè non le giungessero alle orecchie quei rumori che le avrebbero fatto riaffiorare alla mente gli eventi della sera precedente. La ragazza era tranquilla, sicuramente grazie anche alle maniere bonarie dell'irlandese, che era riuscito a non farle sentire sulle spalle il peso della situazione, il dubbio che il padre avesse potuto uccidere un uomo per lei.

 “Credo che andrò a farmi un caffè”. Affermò l'uomo posando una mano sulla spalla di Alexis. “TI lascio in buone mani”. Scherzò facendole l'occhiolino prima di dirigersi verso l'uscita dove i due detective lo ringraziarono.

 “Papa?”. Chiese la giovane non riuscendo però a trattenere del tutto quel timore che sentiva dentro, ma bastò il sorriso di Beckett a calmarla.

 “é tutto a posto. Abbiamo arrestato Craddock e tuo padre non ha fatto nulla di grave”. La rassicurò la detective accomodandosi accanto a lei mentre Castle se ne stava in disparte, ancora contro la porta, sentendosi di troppo in quel momento.

 “Perchè l'ha fatto?”. Domandò sempre alla donna, guardando un po' lei e un po' la sua immagine riflessa nello specchio presente nella stanza. Sapeva che suo fratello era li ma in quel frangente aveva bisogno della calma, della razionalità di Beckett e non del l'impulsività di Castle.

 “Tuo padre...” . Cominciò a spiegare la donna venendo subito interrotta dalla sua interlocutrice.

 “Non lui”. Scosse la testa. “Sò perchè papa ha agito cosi”. Abbassò la testa facendosi cogliere ancora una volta impreparata dai sensi di colpa. “Craddock dico”.

 “Voleva solo vendicarsi di una famiglia che lo aveva messo da parte”. Rispose solo, senza dilungarsi troppo in lunghe e tediose spiegazioni che non avrebbero di certo aiutato Alexis.

“Non tutti hanno la fortuna di avere una famiglia come la nostra”. Aggiunse togliendole i capelli dal viso cosi da poterla guardare meglio, cosi da cercare negli occhi quell'innocenza che sperava non fosse stata intaccata.

 “Quando è successo mi sembrava cosi irreale”. Dichiarò la giovane cercando con lo sguardo quello del fratello. “Non so nemmeno bene quello che è veramente accaduto, l'unica cosa che ricordo era la necessità di scappare, di nascondersi”.

 “é meglio cosi credimi”. Intervenne Castle parlando tutto d'un fiato, rimanendo distaccato come se non si stesse rivolgendo alla sorella ma a una persona qualsiasi. “Sarà più facile cancellare quello che è successo”.

 “Io non voglio farlo”. Puntualizzò decisa la giovane, scrollando il capo con vigore e guardando il fratello estraniata. “Non voglio far finta di nulla e diventare come te”. Le parole le uscirono dalla bocca ancora prima che potesse accorgersi di aver detto a voce alta ciò che pensava.

 “Mi dispiace”. Abbassò il capo notando l'espressione ferita del fratello. “é solo che io non sono cosi forte, non riesco a gettarmi tutto alle spalle, ho bisogno di dare una spiegazione a ciò che provo”

 “E cosa provi?”. Chiese Beckett volendo avere un approccio diverso da quello del fidanzato, preferendo aiutare Alexis facendola parlare piuttosto che farla chiudere in se.

 “Paura, tanta paura”. Confessò lei sorridendo nonostante una lacrima le abbandonò l'occhio, scorrendole sulla guancia finchè non l'asciugò con le dita. “Quando ho fatto per varcare la porta di casa mi sono ritrovata seduta a terra a piangere”. I due detective provarono un'emozione simile a quella della giovane, ma mentre Castle la sfogò tirando un pugno al muro dietro di se, senza farsi notare dalle due, Beckett aprì il suo cuore.

 “La vita fa paura Lex”. Sospirò bagnandosi le labbra, tirando la sedia ancora più vicina alla giovane che la guardò disorientata, essendosi aspettata parole di conforto e non quella constatazione pessimistica.

 “Potresti fare come suggeritoti da Castle e prendere la strada facile. Far finta che nulla sia accaduto”. Continuò volendo andare a guardare il fidanzato ma non trovando le forze, timorosa di non trovare più le parole una volta visto il suo viso contrariato.

 “Ma tu non sei il tipo”. Castle non si mosse, portò le braccia al petto e stette ad ascoltare il discorso della fidanzata. Sapeva che quelle parole non erano dirette a lui però in un certo senso si sentiva comunque tirato in causa.

 “Non esiste nessun metodo miracoloso che possa aiutarti ad affrontare quanto successo ieri notte, dipende tutto da te”. Parlò prendendole una mano, concentrandosi su di lei, volendo dimenticarsi dell'ulteriore presenza nella stanza. Sentiva gli occhi di Castle puntati su di lei, creandole una certa agitazione, ma doveva farlo per Alexis.

 “Ma è cosi difficile”. Obiettò la ragazza scostando lo sguardo da Beckett, non volendo deludere quelle aspettative che sentiva che la detective aveva su di lei.

 “Per questo devi tirare fuori il meglio di te e impegnarti per raggiungere il tuo scopo”. Deglutì a fatica, sfregandosi le mani sui pantaloni, trovando il coraggio per andare avanti.

 “La paura di fallire sarà una compagna costante della tua vita, io lo so, l'ho provato”. Beckett sbuffò e chiuse gli occhi, prendendosi un momento per se, incrociando le dita nella speranza di non rovinare tutto con il suo dire.

 “Ogni giorno, quando apro gli occhi la mia prima consapevolezza è quella che potrebbe accadermi qualcosa mentre svolgo il mio lavoro.”. Confessò immaginandosi lo sguardo corrucciato e pensieroso di Castle. “Che la mia vita non è cosi stabile come credo, che basta un niente per cambiarla, per cambiare i miei progetti, i miei sogni”. Le sue parole non sembravano di esser d'aiuto alla ragazza, che ancora se ne stava con le iridi puntate sullo specchio.

 “Allora cosa ti da la forza di venire qui ogni giorno?”. Domandò Lex girando leggermente il collo verso di lei.

 “La volontà di essere padrona della mia vita.”. Dichiarò decisa. “Non permettere a nessuno di cambiare ciò che sei, traine forza, combatti di volta in volta senza arrenderti. Perchè reagendo potresti vivere una nuova vita che mai avresti immaginato”. Solo allora Beckett si girò a guardare il fidanzato che se ne rimaneva contro il muro con la bocca lievemente aperta e lo sguardo abbassato, immerso nei suoi pensieri.

 “Quindi dovrei accettare ciò che è successo”. Sussurrò Alexis facendo tornare la donna su di lei.

 “Scoprirai di essere più forte di quanto tutti noi sappiamo già che sei”. Asserì d'un tratto Castle, parlando per la prima volta dopo minuti d silenzio, abbandonando in quell'istante l'idea di far finta che nulla fosse successo. Come Alexis anche lui doveva affrontare la cosa e vincerla.

 “Guarda dentro di te e trova il coraggio per andare avanti, per capire che la tua vita non è finita ieri. Affronta questo nuovo cambiamento”. Riprese la parola la detective, studiando il volto della giovane sulla quale si stava formando una smorfia.

 “E se non fossi pronta ad affrontare questo cambiamento radicale che ha avuto la mia vita? E se fallissi?”. Chiese la giovane con nuovo vigore, con una nuova speranza negli occhi, doveva avere la conferma definitiva che tutto sarebbe andato a posto, che poteva farcela.

 “Già”. Si sentì provenire dal microfono che era posizionato sul muro, accanto allo specchio. “E se non si fosse pronti ad affrontare un cambiamento cosi radicale?”. Era la voce ovattata di Esposito che proveniva dalla saletta adiacente a quella loro, luogo dove di solito i detective ascoltavano in disparte gli interrogatori degli indiziati.

 “Javi non voglio sapere perchè ti sei intromesso”. Affermò Beckett fissando in malo modo lo specchio dietro il quale si celava l'uomo mentre Castle si pose di fronte a questo chiedendo spiegazioni con lo sguardo di quel gesto, considerando quella conversazione privata.

 “Ho solo una risposta”. Riprese la donna rivolgendosi ad entrambi i suoi interlocutori. “ Nella vita le cose che contano non si ottengono mai con facilità”.

 “Devo andare”. Si sentì la voce di Esposito seguita da i richiami di Ryan che gli domandavano che fosse successo.

  

Diverse ore più tardi, dopo una dovuta doccia e un'abbondante cena Alexis chiese al fratello e a Beckett di accompagnarla in un luogo. I due non porsero domande e acconsentirono. Non stupì nessuno quando la ragazza si fece portare sul luogo della sparatoria. Il caso era stato ormai chiuso e i poliziotti se n'erano andati, rimanevano solo le transenne e le strisce di delimitazione. Senza farsi troppi problemi i tre varcarono quegli ostacoli entrando nell'edificio. Alexis si guardò attorno silenziosa, mettendosi al centro della sala a guardare per la prima volta le tracce di quanto era successo. I fori sui muri, le macchie di sangue ancora visibili a terra, i tristi segni della vendetta di un pazzo. Beckett aveva ragione, pensò tra se e se, nonostante tutto la sua vita continuava e ora non voleva sprecarne nemmeno un secondo.

 “Possiamo andare”. Sorrise seguendo i due fuori dalla stanza, chiudendo la porta dietro di se.

 

 Dall'altra parte della città una porta invece si aprì. Lanie la spalancò di colpo, infastidita da quel prolungato suono del campanello. Appena vide Esposito fu pronta a strepitargli contro fino a che lui non le mostrò ciò che aveva tra le mani.

 “Non è come avere un bambino”. Ridacchiò accarezzando con delicatezza il cucciolo di cane che teneva tra le braccia. “Ma è pur sempre un inizio”.

 Lanie non proferì parola, facendo temere a Esposito di aver fatto la scelta sbagliata. La donna allungò una mano e sfregò la testolina dell'animaletto.

 “Lo è”. Affermò scostandosi cosi da lasciarli entrare.



******************

Chiedo scusa per il ritardo ma la parte di Alexis mi ha dato più problemi di quanti ne credevo all'inizio.

 

  
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