Serie TV > The Mentalist
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Autore: Nikki Cvetik    05/03/2013    5 recensioni
"-Lei come ci riesce?
-A fare cosa?
-Ad essere così luminosa." Da Il secondo dei tre Spiriti.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Patrick Jane, Teresa Lisbon | Coppie: Jane/Lisbon
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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A/N: E alla fine siamo (quasi) arrivati alla conclusione. Ma ho una buona notizia. Questo NON sarà l'ultimo nostro incontro. Precedentemente, avevo detto di aver deciso di pubblicare epilogo e ultimo capitolo assime. In questi giorni ho riflettuto attentamente e ho decios che non farò così. Questo capitolo e l'epilogo assieme sono lunghi ben 13 pagine. Inoltre ci sarebbero stati problemi con le recensioni, perchè voi non avreste capito cosa recensire. Ciò nonostante, ho pensato che l'epilogo da solo fosse troppo breve da pubblicare. Perciò ho deciso di fare un piccolo flash forward, scrivendo un evento del loro futuro. La storia non sarà assolutamente collegata a questa. Prendetela come una "traccia fantasma" e...ecco...un piccolo regalo da parte mia per essere stati così incredibili. Vi anticipo solo il nome: Red Markers and Blue Markers. Prima di cominciare a leggere, vi avviso: faccio schifo col Fluff e sono molto titubante su questo capitolo. Non so se è uscito fuori esattamente come l'ho concepito. Spero comunque che vi piaccia come gli altri. E se trovaste degli errori nelle parole non esitate a scrivermi tutto nelle recensioni. Apporterò subito le modifiche.
Grazie a N i k k i, Elixana, Theresa_94 e DebbiePatience per le loro stupende recensioni <3

Alla prossima
Nikki C.

 

STROFA QUINTA
 

 
Come andò a finire

If you should fall upon hard times.
If you should lose your way.
There is a place here in this house that you can stay.


Deadlines and Commitments– The Killers
 

Sì, e quello era il soffitto del suo attico. Il letto era il suo, la stanza era la sua. Ciò che era la cosa migliore e più lieta di tutte, il tempo che gli era dinanzi era suo, perché potesse rimediare al passato.
-Voglio vivere nel Passato, nel Presente e nel Futuro. Gli spiriti di tutti e tre vivranno dentro di me. Oh, Leroi Johnson, sia lode al Cielo e al Natale per tutto questo! Lo dico in ginocchio, mio vecchio Leroi, in ginocchio! Le ombre delle cose che sarebbero accadute possono essere disperse. Saranno disperse; so che lo saranno!
Era talmente eccitato e talmente fervente di buone intenzioni, che la sua voce spezzata funzionava con difficoltà. Nella sua lotta con lo Spirito aveva singhiozzato con violenza e aveva il volto bagnato di lacrime.
Con un salto, volò giù dal letto in direzione di uno dei cassetti. Tirò fuori un completo pulito e cominciò a togliersi di dosso i vestiti sporchi. Afferrò cellulare, portafogli e le chiavi della macchina, catapultandosi giù per le scale con il panciotto ancora sbottonato. Con un movimento esperto, riuscì ad allacciarsi la cinta con la mano destra, mentre la sinistra teneva il cellulare premuto contro l’orecchio.
Doveva avere un aspetto a mala pena presentabile, quando saltò gli ultimi gradini delle scale nel bullpen. Augurò buon Natale a Jim e a un addetto della squadra delle pulizie, allacciandosi i polsini.
-Signor Jane! Ma da chi diavolo sta fuggendo?
-James! Ti prego, dimmi, che giorno è oggi?
Domandò, tirandolo per la giacca dentro l’ufficio di Lisbon, vicino al quale erano arrivati in tempo da record. Mentre l’uomo se ne stava immobile all’ingresso con la scopa in mano, Jane aveva già messo le mani dentro il primo cassetto della scrivania di Lisbon, dove sapeva fosse nascosta la lettera.
-Oggi…oggi è Natale, signor Jane! Che domande sono queste?!
Jane quasi interruppe la sua ricerca per lo stupore, quando sentì le parole dell’uomo. Con la mano, toccò il foglio nascosto in fondo al cassetto e lo tirò fuori, quasi strappandolo in due. Quasi nello stesso momento, saltò fuori da dietro la scrivania in direzione di James. L’uomo fece un passo indietro, spaventato. Erano quasi sei anni che assisteva alle bizzarrie di quell’uomo, ma mai nessuna aveva superato questa. Jane lo prese nuovamente per la giacca e iniziò a scuoterlo.
-Vuoi dirmi che non sono passate tre notti? Che oggi è ancora il giorno di Natale?
James strabuzzò gli occhi alla sorpresa del consulente.
-Santi numi, signor Jane! Certo che è Natale! Credo che lei debba uscire da quel suo att…
Non riuscì a finire la frase, dato che l’uomo aveva stretto le braccia intorno alla sua enorme vita, stritolandolo in un abbraccio soffocante.
-Ahhhhh, James, non sai che notizia mi hai dato! Sono ancora in tempo, capisci? Sono ancora in tempo!
Un secondo dopo, era sparito. James lo vide correre a perdifiato giù per le scale quasi inciampando nei suoi stessi passi, salutando giulivamente qualsiasi persona incontrasse sul suo cammino. Cosa diavolo avesse in corpo quel matto da legare, nessuno lo sapeva.
Neanche mezzo minuto dopo, Jane era dentro la sua auto, le chiavi già nell’avviamento.
-Pronto…? E’ il telefono del Direttore Bertram? Buon Natale, senta, le volevo chiedere se stamattina avesse qualche minuto libero. Avrei alcune parole da scambiare con lei…
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Nonostante fosse la mattina di Natale, Teresa Lisbon non aveva alcuna intenzione di mettere piede fuori dal letto. La  sera precedente la funzione era durata quasi tre ore, sfinendo definitivamente il suo corpo già esausto. Si era messa sotto le coperte in canottiera, non riuscendo
nemmeno a tenere gli occhi aperti  per infilarsi il pigiama. La notte era passata lentamente, tormentata da sogni strani e confusi, che non riusciva a ricordare.
Aveva aperto gli occhi qualche manciata di minuti prima, consolata dal calore delle coperte. Non aveva programmi per la giornata, se non chiamare Tommy e Ann nel pomeriggio, qualche film natalizio in tv e un pranzo riscaldato sul divano. L’unica cosa differente dagli altri giorni lavorativi era stata la sveglia, che quella mattina non aveva suonato.
Non avrebbe festeggiato, almeno non come tutti gli altri avrebbero potuto intendere. Un altro Natale da sola, ma non osava lamentarsi. Certamente, ci sarebbe stata gente accampata al freddo sotto i ponti, orfani affamati in cerca di un minimo di affetto, anziani soli nello loro case davanti a un termosifone, persone ossessionate da noti serial killer che avrebbero passato la giornata chiusi in attici polverosi.
No, non poteva certo lamentarsi. Ma non avrebbe fatto finta di essere felice. Sarebbe stata una enorme bugia.
Le parole dette da Jane il giorno precedente, nonostante inconsapevoli, l’avevano tormentata fino a sera. Certo, l’uomo non completamente reo di quella situazione, dato che la conoscenza dei tempi della sua adolescenza era qualcosa riservata solo a pochi. Ma non poteva non pensare che il suo comportamento stesse ormai raggiungendo il limite. Non avrebbe potuto sopportare quella situazione ancora a lungo.
Si strinse nel piumone, la sensazione del cotone caldo così rigenerante sul suo corpo. Osservò i numeri verdi sul display della sveglia muoversi lentamente. A un tratto, udì una macchina inchiodare davanti casa sua. Si impose di non farci caso –probabilmente uno di quei ragazzini neopatentati che avevano iniziato a prendere il rettilineo lì di fronte come una pista per auto Nascar- e stava quasi ritornando al suo sonno di bellezza, quando un altro suono la fece rizzare a sedere. Qualcuno stava cercando di buttare giù la porta d'ingresso, bussandoci sopra come un maniaco.
Prese la pistola dal cassetto del comodino e, senza neanche mettersi addosso una vestaglia, scese di corsa in salotto. L’appartamento era gelido, dato che il riscaldamento non era ancora stato acceso.  Davanti alla porta, sentì il rumore bloccarsi all’improvviso. Il pensiero che fosse qualcuno ad aver sbagliato appartamento le aveva solleticato la testa, ma quelli erano tempi difficili e la sicurezza mai troppa.
Mise una mano sulla maniglia della porta, girando il chiavistello più silenziosamente possibile. Fece un profondo respiro e, con un movimento secco, abbassò la maniglia e spalancò la porta, puntando l’arma alla persona sul pianerottolo.
-Jane..?
-Chi diavolo credi che sia a quest’ora di mattina?!
Jane era stato sul punto di ricominciare con un’altra batteria di colpi, ma era saltato via alla vista dell’arma. Se Lisbon non fosse stata sul punto di scoiare il suo consulente a mani nude, avrebbe riso dell’espressione terrorizzata sul suo volto. Mise via la pistola sul mobile dell’ingresso. Non tanto per la sicurezza dell’uomo, quanto per non trovarsi nella tentazione di sparargli seduta stante.
A Lisbon non sfuggì il suo sguardo, che la stava studiando dalla testa ai piedi. Certo, indossava ancora solo la canottiera e gli slip, e dubitava che il rossore sulle guance di Jane fosse dovuto al calore dell’ambiente. Santo Cielo! In fondo, era un uomo anche lui.
-Hai 7 secondi per dirmi cosa ci fai qui. Parla, o giuro che ti ritroverai due pallottole piantate in testa.
Stava guardando negli occhi Jane e, a un tratto, si accorse che c’era qualcosa di diverso. Se il giorno prima le erano sembrati gelidi e duri, adesso avevano qualcosa di tenero e…riconoscente?
L’attimo immediatamente successivo, si ritrovò premuta contro il suo petto. Sentì la pelle d’oca formarsi sulle braccia e sulle cosce quando vennero a contatto col suo cappotto freddo – o forse non era quello il vero motivo. Scosse la testa da un lato e dall’altro, cercando di lavar via quel pensiero. La punta gelida del naso di Jane stava cominciando a risalire il suo collo dalle spalle fin sotto l’orecchio. La sensazione fu come una scossa elettrica per tutto il corpo, avvertendola che avrebbe dovuto liberarsi dalle braccia di Jane – e in fretta.
Riluttante, fece forza sulle sue spalle, allontanandolo. Dovette mandare giù un grumo di saliva quando, guardandolo negli occhi, notò che questi erano lucidi. Fece un passo indietro, in modo che Jane non invadesse più il suo spazio personale.
-Ora mi spieghi cosa succede, ci siamo capiti? Ti prometto che la pistola rimarrà sul mobile, ok?
Per un attimo Jane sembrò rimanere senza parole. Aprì la bocca come per dire qualcosa, ma la richiuse esattamente un attimo dopo, abbassando lo sguardo.
-Mi hai già comprato un regalo per Natale?
La sua voce era venuta fuori così flebile che Lisbon a mala pena era riuscita ad udirla. Alzò un sopracciglio alla domanda.
-Certo che ti ho comprato un regalo, Jane. E, davvero, non fa nulla se tu te lo sei dimenticato…
-Vorrei chiederti se saresti tanto gentile da farmene un altro.
Cosa? Non solo Jane aveva appena saputo che avrebbe ricevuto un –immeritato- regalo da parte sua, ma addirittura gliene stava chiedendo un altro. Lisbon si chiese cosa mai avesse fatto di male per avere a che fare con una persona del genere. Alzò gli occhi al cielo, ma rispose ugualmente.
-Dimmi il negozio e vedrò che si può fare.
Per la prima volta da quando aveva aperto la porta, Jane sorrise.
-Non devi acquistare nulla, Lisbon. Il regalo che io vorrei da te è completamente diverso. Vorrei chiederti se fosse possibile rivivere un momento, un momento del passato che vorrei cambiare. Certo, sai bene che ci sono tanti momenti del mio passato che vorrei cambiare, ma questo mi preme in particolare.
-E quando è accaduto questo momento, Jane?
-Ieri pomeriggio. Quando sei venuta nell’attico e mi hai chiesto se volessi passare il Natale con te.
Lisbon strabuzzò gli occhi alla richiesta. Non capiva dove Jane volesse andare a parare. Ma di una cosa era sicura. Sicuramente non sarebbe stato niente di buono.
-Che cosa vuoi che faccia, Jane? Che rimetta indietro l’orologio fino a ieri? Che faccia finta che nulla sia accaduto?
Sapeva di aver puntato direttamente alla giugulare. Ma non se ne pentiva affatto. L’uomo non aveva provato vergogna il giorno prima, quando le aveva rivolto quelle parole. Non credeva avesse importanza che ne provasse adesso.
-In realtà vorrei solo che tu mi facessi di nuovo quella domanda.
-So già la risposta. E, in tutta sincerità, non ho affatto voglia di sentirla ancora.
-Per favore…Ti chiedo solo questo.
Sia dannato quello sguardo!maledì. Lo stronzo sapeva esattamente come farla cedere alle sue pretese. Per la seconda volta in pochi minuti, alzò gli occhi al cielo, chiedendo l’intercessione di qualche forza divina. Ma alla fine cedette e si costrinse a dire quelle parole.
-Jane, ti andrebbe di passare questo Natale con me?
Era sul punto di aggiungere qualche commento caustico, ma vide una mano di Jane alzarsi per interromperla.
-Sì, Lisbon. Mi piacerebbe molto passare il Natale con te.
Lo stupore non le permise nemmeno di chiudere la bocca. Rimase imbambolata sul posto a fissare quella che credeva essere un’apparizione. Forse lui non era neanche lì, forse era la mancanza di sonno o il suo cervello che aveva finalmente deciso di andare in vacanza. In nessun caso avrebbe mai creduto che quello che aveva davanti ai suoi occhi fosse vero.
A meno che…
In un attimo, la sua mente ricollegò. Come aveva potuto pensare che Jane volesse davvero passare quella giornata con lei? La classica manata sulla fronte ci sarebbe stata bene, ma non avrebbe dato a Jane quella soddisfazione. Invece, mise le braccia conserte davanti al corpo –cosa il consulente avrebbe immediatamente interpretato con un gesto di chiusura- e appoggiò la spalla sinistra sullo stipite della porta.
-Davvero, Jane, mi hai sorpreso. In questi mesi hai dato del tuo peggio. Ma davvero pensavo che non ti saresti abbassato a tanto. Ti credevo una persona meschina e opportunista. E invece mi stai facendo capire che c’è molto, molto  di peggio in te.
Vide la faccia di Jane contorcersi in un’espressione confusa, ma stavolta la cosa non ebbe il minimo effetto su di lei. Aveva fatto l’ultimo passo, l’ultima coltellata alle sue spalle. Lisbon sentì l’acido corroderle lo stomaco e fu pervasa da un’onda di profondo disgusto. Ciò nonostante, aveva intenzione di offrire a Jane il suo personale regalo di Natale. Non sapeva se l’avrebbe gradito, ma di sicuro se ne sarebbe ricordato per molto tempo.
-Il mio nome non è Lorelei Martins, Jane. Non credere che io sia una bambina e, soprattutto non credere che io sia come lei. Pensi davvero di usare con me lo stesso trattamento che riservi a lei? Pensi sul serio che facendomi felice io ti dia il mio benestare? Che rifilandomi qualche caramella, ti dia il permesso di fare il bello e il cattivo tempo? No, Jane, non funziona così. Non mi hai danneggiato abbastanza per arrivare a tanto.
Lisbon si rimise dritta sulle gambe aperte, colta da un moto di totale indignazione. La stessa posizione che usava assumere prima di sparare.
-Non sono così cieca da non vedere tutti i tuoi piani. Ho fatto spesso l’errore di girarmi dall’altra parte, Jane, e lo ammetto, in tutto ciò non hai colpa. E lo farò ancora in futuro, dieci, centro, mille altre volte. Ma non ti permetterò di usarmi in questa maniera. Non permetterò a me stessa di essere in debito con te. Perciò adesso prendi le tue cose e allontanati da qui il più in fretta che puoi o, giuro sul mio nome, non vedrai un’altra alba.  
Jane non aveva allontanato gli occhi dai suoi per tutto il tempo. Era rimasto fermo, incassando tutti i colpi. Ma alla fine fece esattamente ciò che nessuno si sarebbe mai aspettato. Scoppiò a ridere. Tanto forte da far uscire le lacrime. Una risata convulsa che non gli permetteva di respirare. Andò avanti per alcuni minuti, davanti allo sguardo impassibile di Lisbon. Alla fine si fermò, riprendendo fiato, ma sul suo volto non c’era un’espressione allegra. Semmai, ancor più misera di prima.
-Dimmi cosa ci trovi di divertente.
-Nulla. Mi stavo solo chiedendo quanto ti abbia ferito per farti dire questo.
Lisbon lo guardò confusa.
-E credo davvero di aver fatto male i calcoli.
Sospirò, pulendosi il volto con la punta delle dita. Sorrise di nuovo, triste, ed estrasse una busta dall’interno della tasca interna della sua giacca. La voltò e rivoltò per qualche secondo tra le mani e la porse a Lisbon.
-So che non posso in alcun modo dimostrarti che questo non è uno dei miei trucchi.* Che questa non sia un’altra caramella che ti offro in cambio di un tuo favore. E sono perfettamente consapevole che se le cose stanno così, la colpa non è di nessuno, se non mia. Posso solo dirti che quello che ho fatto, l’ho fatto con sincerità e che non ti chiedo niente in cambio. E’ stata una mia scelta, non dettata da Red John o da nessun altro. Volevo solo fare la cosa giusta. A cominciare da questo.
Lisbon aprì la busta come se avesse paura che al suo interno ci fosse del cianuro. Spiegò l’interno con cautela, ma appena lette poche righe, spalancò la bocca e si bloccò.
-Ma…questa…
-Questa è una copia dell’e-mail arrivata al CBI qualche ore fa, in cui il Direttore Gale Bertram richiede che sia annullato il Richiamo nei tuoi confronti. Inoltre, richiede che molte delle ammonizioni ricevute da te e dalla squadra in siano cancellate dai vostri fascicoli. In fondo, sono allegate anche le sue scuse all’Agente Lisbon per l’erronea attribuzione della responsabilità dei vari incidenti.
-Erronea attribuzione della loro responsabilità? E quindi a chi è stata attribuita la responsabilità? 
-Alla persona che la merita. Vale a dire… a me.
Lisbon sollevò di scatto lo sguardo verso Jane.
-A te? Jane, ti rendi conto di quello che hai fatto? Potresti essere licenziato in tronco per questo.
-In realtà, domani sarà il primo degli 87 giorni di sospensione che ho ricevuto.
Ok, adesso era lei quella a sentirsi in colpa. Non avrebbe mai immaginato un simile stravolgimento degli eventi. Jane che si prende la responsabilità delle proprie azioni? Ma in che mondo si era risvegliata? Dreamville?
Certo, quel foglio tra le sue mani significava tanto. Ma non che le parole dette da lei in precedenza non valessero più. Anzi, ora più che mai aveva paura che ci fosse qualcosa dietro a quell’azione. Era tutto troppo bello per essere vero. E, dato che la piccola Teresa non poteva aspettarsi che il mondo improvvisamente cominciasse ad andare per il verso giusto, sentì un brivido freddo risalirle per la schiena. Seriamente, dov’era il trucco?
Jane sembrava averla letta nel pensiero – come sempre d’altra parte.
-Questo foglio non mi restituirà la tua fiducia. Questo lo sapevo prima ancora di vedere la tua reazione. E’ soltanto un gesto. Un passo. Il primo. E tu, certamente, non puoi sapere se ne seguiranno altri o meno, se la mia strada cambierà, se all’improvviso ti volterò le spalle.
-Non posso farti promesse, dato che ormai non ne ho più diritto. Quante volte le ho infrante? Sinceramente, credo di aver perso il conto. E il modo in cui mi hai risposto, pochi minuti fa, mi fa capire che forse sono andato troppo oltre per rimettere a posto le cose. So di chiederti molto con questo, ma vorrei che mi concedessi un ultimo patto. Spero che sia rimasta in te ancora un briciolo di fiducia nei miei confronti. Ne userò il meno possibile, te l’assicuro. Ora che ne rimane così poca, non mi resta che trovare il modo migliore per usarla.
La donna annuì, concedendogli di parlare. Prima di rifiutare, poteva almeno concedergli di ascoltarlo.
-Nei prossimi mesi farò tutto quello che sarà in mio potere per non arrecare nessun danno a te o alla squadra. Ciò non vuol dire che mi incatenerò alla poltrona, lasciando a voi tutto il divertimento. Ma cercherò altri modi. Qualcosa che non vi costringa ad essere chiamati nell’ufficio di Bertram un giorno di e l’altro pure. Ovviamente, in alcune situazioni dovrai scegliere a scatola chiusa. In quei casi, sarai libera di darmi o meno la tua fiducia. E, se riterrai che non sia il caso di concedermela, lo accetterò e cercherò un’altra maniera per risolvere il problema. Cercherò di risolvere i casi stando al mio posto. E il mio posto è aiutarti.
-E cosa ne penserai domani?
-Di cosa?
-Di quello che hai appena detto. Cosa ne penserai quando domani tornerai dentro l’attico e ricomincerai a leggere quel quaderno? Come faccio a sapere che quello che mi stai dicendo è vero?
-Non puoi.
Quelle poche parole, dopo il lungo discorso, la fecero sussultare.
-Potrei stare qui a darti mille rassicurazioni, Lisbon. A dirti che tutto andrà bene, domani. Che troveranno la cura per il cancro, il giorno dopo. Che quello successivo la guerra finirà. E che quello dopo ancora il mondo comincerà a girare nel verso giusto. Ma non è così. Mentirei. Non hai nessun modo, motivo o ragione di essere sicura se potrai realmente fidarti di me. E questo non perché io non lo voglia. Ma perché è semplicemente così. E’ sbagliato, ma è così. Ai solo una possibilità. Fidarti di me.
Jane non le stava dando una speranza, entrambi erano consapevoli che non ancora ce ne sarebbe potuta essere una. Ma le stava mostrando un piano. Una prospettiva. Ed era questo, quello di cui aveva realmente bisogno.
-Quel quaderno presto non sarà più solo mio. Lo mostrerò a tutta la squadra e chiederò il vostro aiuto. Ma stavolta non per coinvolgervi in qualche trappola. Vi chiederò di aiutarmi a prendere Red John. Saprete i miei avanzamenti nel caso, le miei idee e voi sarete liberi di condividere le vostre. Non costringerò nessuno, ovviamente. Non nego che sia pericoloso, e capirò se qualcuno non vorrà seguirmi. Non posso prometterti che non scomparirò di nuovo, ma posso prometterti che tornerò sempre a casa. Non posso prometterti che non sentirai ancora dolore, ma ti prometto che stavolta non sarai da sola ad affrontarlo.
Lisbon si morse il labbro inferiore. Jane sentiva l’esitazione irradiare dalle sue spalle tese. E forse anche un po’ di freddo, dato l’outfit che stava indossando al momento.
-Prima di darti una risposta, voglio chiederti una cosa.
-Qualsiasi cosa.
-Cos’è cambiato?
-A cosa ti riferisci?
-Ieri mi hai allontanato come se fossi un insetto schifoso, e oggi ti ritrovo davanti alla porta di casa mia. Mi chiedi di trascorrere il Natale con te, mi fai un’offerta così piena di buone intenzioni che solo uno stupido accetterebbe e addirittura mi dici che prenderai Red John assieme alla squadra. Non so se sono così pazza da crederti o meno. Ma almeno voglio sapere il motivo per il quale tutto questo è cambiato.
Jane rise sotto i baffi, ripensando a ciò che era successo la notte precedente. Era stato un sogno? O meglio, un incubo? Era successo tutto davvero? Non lo sapeva, ma gli effetti che aveva avuto su di lui erano stati inequivocabili.
-Ieri sera ho incontrato alcuni amici. Persone che non vedevo da tanto, tanto tempo. Abbiamo parlato per tutta la notte. E mentre parlavamo, ho pensato a tante cose. Mi sono accorto che ci sono alcune cose del passato di cui mi pento, alcune del presente che voglio cambiare, ed altre del futuro che non permetterò mai che accadano. Ci sono certe lezioni che avrei dovuto comprendere tempo fa. Ma non l’ho fatto. Ieri sera ho capito cosa accadrà se non rimedierò al più presto. E te l’assicuro, Lisbon, non ce nulla che non farei per impedirlo. Perciò, qual è la tua risposta?
Lisbon rimase in silenzio a analizzarlo, spostando il peso da un piede all’altro. Alla fine sbuffò e aprì le mani in segno di resa.
-La mia risposta è tu adesso mi prepari la colazione di Natale del secolo, mentre io mi concedo un lungo bagno caldo, dato che sono stata qui a discorrere con te per quasi mezz’ora e non ho alcuna intenzione di prendere una polmonite. E che poi se ne può parlare.
Gli occhi di Jane si illuminarono alla prima buona notizia da…quando? Tre mesi? Di più? Sorrise, contagiando anche Lisbon. Ma invece di seguirla all’interno, scattò in direzione del parcheggio.
-Patrick Jane, come pensi che io possa accettare una tua offerta se ti dilegui davanti ad un’innocua colazione?
L’uomo ormai era già arrivato all’auto, tirando fuori cinque grandi buste di plastica bianche, stracolme di ogni ben di Dio disponibile la mattina di Natale. Spuntavano fuori gambi di sedano, cartocci di pane e -Lisbon sentì l’acquolina in bocca- anche bastoncini di zucchero.
-Non sto affatto scappando, Lisbon, anzi, mi sto assicurando che tu abbia la più squisita colazione di Natale di sempre. Prendi queste qui.
Indicando due delle buste. Appena Lisbon le prese in mano, si sentì attirata verso il pavimento. Le portò sul mobile della cucina e, con sommo orrore, notò che Jane era già uscito fuori per un altro carico.
-Mio Dio. Ecco. Lo sapevo. Ho aperto casa mia ad un mostro!

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Quaranta minuti e parecchie buste dopo, Lisbon poté finalmente tirare un sospiro di sollievo. Oh, no…guardando lo stato del suo appartamento, non poteva tirare certo un sospiro di sollievo.
Non lo ricordava così pieno dai tempi del trasloco e, con una certa curiosità, si chiese come tutta quella roba fosse entrata nell’auto di Jane. Nell’ordine, il carico consisteva in sette buste per la spesa, cinque di addobbi, tre di luci per interno ed esterno, due di decorazioni per la casa, due di candele, tre di vini e liquori vari, una di film a noleggio, una scatola contenente un abete da montare e altre due buste piene di articoli per la casa e per il bagno in profumazioni rigorosamente natalizie.
Dopo le varie lamentele espresse da Lisbon a riguardo, lei e Jane avevano iniziato a mettere a posto tutta quella roba. Il frigo fu pieno in un baleno, così come tutti i pensili della piccola cucina.
-Hai preso anche un panettone? Dove diavolo sei riuscito a trovare un panettone a Sacramento?
-Il negozio dove mi rifornisco vende anche prodotti provenienti da altri paesi. L’ho assaggiato una volta tanti anni fa e volevo fartelo provare. Questo è uno glassato, ovviamente di Verona, con mandorle e uvetta. L’ideale è servirlo appena caldo insieme a un vino bianco frizzante. Ma lo sto riservando per stasera.
Disse, facendole l’occhiolino. Lisbon ricominciò a riporre le altre cose nella piccola dispensa e, una volta svuotate le prime sette buste, decise che fosse ora di concedersi quel famoso bagno.
-Io vado. Mi lavo i capelli, quindi dovrei scendere tra un’ora e mezza. Credi di riuscire a non rivoluzionare la mia casa in questo tempo?
Chiese, cominciando a salire i gradini.
-Non temere. Se le mie mani dovessero mai toccare qualcosa all’interno di casa tua, sarebbe solo per il meglio.
Rispose, da uno degli scaffali dietro il quale si era chinato per trovare padelle e pentole.
-Questo è tutto da dimostrare.
-Non sfidarmi, Lisbon. Dovresti sapere che la maggior parte delle volte, perdi.
-Sbruffone.
-Ti consiglio di salire in bagno, prima che decida di mettere qualche orrenda canzone natalizia in sottofondo.
-Sai che ti dico, mi hai convinto. Ma solo per le orrende canzoni natalizie.
-Me la darai vinta qualche volta?
-Continua a sognare.
E si lasciò la risatina malefica di Jane alle sue spalle. Fece una fermata in camera per prendere un cambio di biancheria ed i vestiti, per poi chiudersi in bagno. Cominciò a riempire la vasca con acqua calda e il bagnoschiuma alla cannella e anice stellato che Jane le aveva portato, assieme a tutto il resto. Aprì la boccetta color crema e annusò il ricco profumo del suo contenuto. Quell’uomo sapeva come coccolare una donna. Ne versò una generosa dose nella vasca.
Minuti dopo, chiuse l’acqua e si immerse tra le bolle, quasi cantando in estasi quando l’acqua calda cominciò a lavorare sui suoi muscoli tesi. E quel profumo, poi. Si sarebbe volentieri addormentata, se non fosse stato per l’ovvio pericolo che sarebbe consistito nel cadere addormentata in una vasca da bagno e l’ovvio pericolo che stava girando in quel momento per la sua cucina.
Prese una manciata di schiuma e la soffiò via come una bambina, ridacchiando allegra. Non riusciva a ricordare quando fosse stata l’ultima volta in cui si era sentita così serena. Forse sarebbe dovuta tornare ai tempi prima di Las Vegas, o anche prima. Di certo non era completamente felice, ma per qualche ora le cose sarebbero state a posto. Avrebbe passato un bel Natale con la persona a cui teneva di più al mondo, e questo le bastava. Sapeva di non doversi illudere. Che quella sensazione sarebbe scomparsa in fretta. Sarebbe dovuta tornare al CBI appena cinque giorni dopo, senza Jane, che avrebbe avuto tutto il tempo e i mezzi per ritornare nel baratro dal quale sembrava essere risorto per qualche ora. Si stavano preparando tempi duri, ma non avrebbe rinunciato a quell’assaggio di gioia.
Si tappò il naso e sparì sotto le bolle.
Circa cinquanta minuti dopo, Lisbon diede l’ultima spazzolata ai capelli, controllando che fossero completamente asciutti e lisci. Si guardò allo specchio, chiedendosi se mai avesse dovuto indossare un po’ di make-up. Scartò l’idea, immediatamente. Santo cielo! Era pur sempre Jane, al piano di sotto. Infilò una camicia pulita e dei semplici pantaloni scuri e si avviò verso le scale.
Scendo i gradini però, strabuzzò gli occhi alla vista della casa, chiedendosi se si fosse a un tratto ritrovata nel salone di qualcun altro. La stanza spartana e funzionale era scomparsa. Al suo posto, si trovava un’ambiente pieno di candele e decorazioni, non troppe, ma sufficienti a riempire ogni superficie libera.
C’erano candele e luci attorno ad alcuni mobili, fodere rosse e oro sui cuscini dei divani, mazzi di agrifoglio con bacche rosse sulle mensole, e sul corrimano della scala e attorno alla porta erano stati intrecciati dei lunghi rami di pino. In un angolo della stanza si trovava un abete ancora non decorato e, ai suoi piedi, alcuni scatoloni stracolmi di palline e luci. Ultimo, ma non meno importante per completare la magia dell’ambiente, nell’aria si poteva annusare un delicato profumo di cibo fatto in casa e spezie dolci.
-Ma…questa è…
-Questa è la tua sala, Lisbon, anche se può non sembrare. Non c’è voluto molto per addobbarla, in realtà. Ho solo cambiato la disposizione dei mobili e aggiunto qualche piccola magia natalizia. Nulla di troppo difficile, ma dalla tua faccia mi pare di capire che l’effetto sia stupefacente.
Lisbon continuava a spostare gli occhi per la stanza osservando ogni piccolo oggetto.
Jane sentì stringersi il cuore a quella vista. Gli occhi di Lisbon erano così sorpresi e riconoscenti; aveva una mano sulla bocca, come una bambina davanti al proprio regalo di Natale. Chissà quanti giorni doveva aver passato da sola, chiusa in quella casa senza neanche un piccolo abete o qualcuno con cui festeggiare. Avvertiva la colpa per il rifiuto del giorno precedente bruciare ancora più forte.
Si sentiva un mostro per averla trattata in quella maniera e sapeva che quel sentimento lo avrebbe perseguitato per molto, molto tempo. Ma non si poteva più concedere il lusso di rimproverare sé stesso inutilmente. Ieri era passato da un pezzo; adesso aveva il compito di rendere speciale per Lisbon ogni singolo Natale avvenire, e di ritrovare ogni volta sul suo volto quell’espressione. Prese la sua mano destra e le diede una stretta delicata, a reclamare di nuovo la sua attenzione.
Lisbon aveva avvertito l’insolito contatto a rallentatore. Prima solo il fantasma di una carezza sull’avambraccio; poi la sensazione della punta delle dita come un’onda calda sulla pelle del polso; infine, la pressione gentile sulle sue falangi. Il suo corpo si tese spontaneamente sull’allerta. Si voltò verso la persona a cui sapeva appartenere la mano e venne sorpresa dal sorriso che vi trovò. Era sempre stata a conoscenza che Jane male sopportasse il contatto con le altre persone. L’aveva visto toccare estranei pochissime volte, e solo per ricavare da loro informazioni utili a qualche caso. A lei aveva riservato solo qualche rara carezza di conforto. Mai aveva osato sfiorarla senza che ve ne fosse motivo.
L’uomo alzò l’altra mano vicino al suo viso, piano, dandole modo di spostarsi se non si fosse sentita a proprio agio. Posò le dita sulla sua tempia destra, premendo il pollice sulle increspature tra le sue sopracciglia. Stava disegnando dei piccoli cerchi e, quando vide la pelle distendersi, fece scivolare il dito verso il basso, fino alla punta del naso. Avrebbe voluto andare oltre e continuare sulle labbra, ma per quel giorno gli sembrò abbastanza. Si accontentò di circondare la sua guancia con la mano, accarezzando delicatamente la curva dello zigomo.
-Non preoccuparti, almeno per oggi. E’ tutto a posto.
Sussurrò. La sua voce bassa e dolce sembrò rilassarla all’istante, tanto che dovette appoggiare la fronte sulla sua spalla. Era stata stanca per giorni, ma solo adesso si sentiva abbastanza sicura per non costringersi ad ignorare la sensazione. 
-Hai fame?
Chiese Jane, appoggiando la testa sui suoi capelli. Lisbon annuì.
-Così poi possiamo preparare l’albero, ok?
Lisbon annuì nuovamente, senza aprire bocca o muoversi di un solo millimetro. Jane alzò il suo volto per incrociare i suoi occhi, lasciando un bacio dove prima aveva posato il pollice. Vide la donna prendere un profondo respiro e, un attimo dopo, cominciò a guidarla verso la cucina.
Il rumore di pentole e padelle faceva da padrone, insieme al profumo intenso. Lisbon annusò e riconobbe mille odori diversi, mischiati assieme nell’aria. Ma la prima cosa che più riuscì ad attrarre la sua attenzione fu il piatto con i French toast e la pentola piena di uova e pancetta. Si leccò le labbra, cosa che non sfuggì a Jane.
L’uomo prese due piatti, indicando a Lisbon la padella e la caraffa di caffè. Insieme, portarono la colazione sul tavolo, imbandito con una lunghissima tovaglia rossa ricamata con disegni di agrifoglio. Jane non fece in tempo a riempire il proprio piatto che Lisbon aveva già divorato buona metà del proprio. Non ci volle molto prima che suoni di approvazione si alzassero dalla sua gola e, circa a metà della porzione successiva, finalmente la donna parve rallentare, gustando il proprio cibo.
-Santo cielo, Jane! Chi ti ha insegnato a cucinare?
-Credi che abbia passato dieci anni da single mangiando tacos?
-Ma è tutto così buono! Sarei in grado di mangiarne una padella intera.
Disse Lisbon. In quel momento afferrò nuovamente la padella, riempiendo il piatto per la terza volta. Dove diavolo riusciva a trovare posto per tutto quel cibo in quel suo corpicino? Jane prese un sorso di the, cercando di mandare giù anche l’amara risposta a quella domanda. Sapeva benissimo che quel piccolo corpo fosse pieno zeppo di spazi vuoti da riempire. Ma aveva un piano anche per questo, che stava attendendo nascosto tra le pentole della cucina.
Dopo aver preso l’ultimo boccone di uova prese il proprio piatto e quello di Lisbon.
-Cosa credi di fare? Chi cucina non lava mai i piatti.
-La regola non vale per i consulenti rompiscatole come me e le belle poliziotte come te. E quando torno voglio vederti vicino all’albero.
Lisbon sorrise, e fece come le era stato detto.

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-Alla fine non è andata tanto male.
-No.
-Voglio dire, non abbiamo fatto scoppiare casa né abbiamo dovuto chiamare i pompieri.
-Già
-Non siamo feriti gravemente o invalidati a lungo termine, credo.
-Sì.
-Abbiamo fatto un bel lavoro.
-M-mh.
-A parte la fila di palline che è scoppiata…
-Che peccato.
-…il ramo che è tutt’ora disperso…
-E che mai sarà ritrovato.
-…le palline in frantumi…
-Che dolore.
-…e devi ancora spiegarmi come hai fatto ad inciampare nel nastro e cadere sul tavolino.
-Credo che questo rimarrà un mistero, Jane.
I due seduti sul divano si guardarono negli occhi, scoppiando a ridere un attimo dopo. Erano circa le dodici del mattino e i due avevano passato le due ore precedenti a decorare l’albero. Ovviamente, non si era rivelata un’impresa così semplice. Essendo entrambi fuori allenamento, avevano rischiato più e più volte di arrecare qualche danno permanente a se stessi e all’appartamento.
Alla fine, si erano ritirati sul divano a guardare il proprio lavoro. Non sarebbe mai finito sulla copertina di qualche rivista di arredamento, ma lo trovavano ugualmente bellissimo. L’avevano fatto insieme e, per entrambi, era il primo albero dopo troppi Natali in cui non c’era stato. In tutto quel tempo, avevano sempre pensato di non averne bisogno. Ma adesso, seduti vicino alle luci e alle palline, cominciavano a sentire quanto fosse mancato.
-Qual è stata l’ultima volta che hai decorato un albero?
Chiese a un tratto Lisbon, rivolgendosi a Jane. La domanda le era uscita dalle labbra senza che neanche se ne accorgesse. Un attimo dopo avrebbe voluto ritirare quelle parole, ma Jane era già con gli occhi al cielo, cercando di riportare alla mente l’ultimo Natale con la propria famiglia.
-E’ stato l’anno prima che Charlie ed Ang fossero uccise. Mi ricordo che Charlotte si sentiva abbastanza grande da appendere le decorazioni da sola. E non credo che tu sappia cosa vuol dire tenere le manine di una bimba di nove anni lontane da tutto quel vetro. Ang ed io siamo stati preoccupati per un pomeriggio intero. Sapevamo che Charlie avrebbe fatto cadere qualche pallina. E sicuramente avrebbe cercato di “occultare le prove”. Non che ci importasse davvero che qualche pallina finisse distrutta. Avevamo solo paura che potesse farsi del male alle mani. Per quasi l’intero pomeriggio Charlie non aveva fatto cadere neanche una campanella. Il che è molto strano per una bambina della sua età. Alla fine, erano rimaste solo una decina di palline nel cesto. Io stavo sistemando le luci e Ang era andata un attimo in cucina a prendere dell’aranciata. A un tratto abbiamo sentito del vetro rompersi e ci siamo immediatamente girati verso Charlie. Avresti dovuto vederla, se ne stava al centro della stanza con la pallina rotta ai suoi piedi. Era rimasta ancora con le mani in quella posizione e sembrava congelata dalla paura e dalla vergogna. Dopo alcuni secondi ha iniziato a piangere come una fontana, povera piccola. Probabilmente doveva aver visto i nostri volti spaventati e creduto che l’avremmo punita in qualche maniera. In realtà, il pensiero non ci aveva neppure attraversato la testa. Io sono corso da lei a rassicurarla, mentre Ang ha tolto i vetri dal pavimento. Dopo averla calmata, abbiamo finito di decorare l’albero e siamo stati per tutta la sera stretti sotto il plaid sul divano vicino al caminetto a guardare Il Grinch.
Durante il racconto, gli occhi di Jane erano divenuti lucidi. Lisbon era rimasta silenziosa per tutto il tempo, posando una mano su quella dell’uomo al suo fianco, quando una lacrima era rotolata sulla sua guancia. Nel suo sguardo riusciva a vedere ancora tanto dolore, ma questo non riusciva ad offuscare la bellezza di questo ricordo. Non aveva mai smesso di sorridere e, alla fine, aveva asciugato gli occhi e l’aveva guardata intensamente. Era la prima volta che condivideva quel ricordo con qualcuno, e il fatto che fosse lei rendeva tutto più…giusto. Non aveva paura di parlare stavolta, e continuò spostando di nuovo lo sguardo altrove.
-Mi mancato così tanto, soprattutto quando arrivano le festività. Ricordo i tempi in cui le condividevo con loro e mi sembrava tutto così normale, così quotidiano. Non sono mai riuscito a capire quanto davvero la loro compagnia fosse preziosa, quanto riuscissero ad illuminare la mia vita solo facendone parte. Quando se ne sono andate, per me è stato come divenire cieco. Non vedevo più nulla, nessuna forma, nessun colore. E la cosa più assurda era che…la cosa mi andava bene. Sapevo di meritarmelo, e non volevo fare nulla per cambiare tutto questo. Almeno fino a ieri.
Lisbon si voltò verso di lui. Jane semplicemente annuì e si spostò in modo da poterla guardare meglio.
-Qual è sta l’ultima volta che hai decorato un albero, Lisbon?
Chiese, esattamente come aveva fatto lei alcuni minuti prima.
-L’ultimo anno prima del college. Io e i miei fratelli non avevamo molti soldi. Ma facendo alcuni lavoretti eravamo riusciti a mettere da parte un po’ di denaro per l’albero. Nulla di speciale, era solo un abete circondato da un filo di luci e qualche pallina di plastica. Ma era il nostro albero, ed era quella la cosa importante. E non c’era anno che una pallina speciale non venisse appesa.
Lisbon si alzò e si diresse verso l’ingresso, dove Jane sapeva essere custodita quella decorazione. La donna tornò tenendo la pallina con entrambe le mani. Era di vetro rosso, decorata con alcune strisce dorate. Una lieve spaccatura vicino alla sommità, indicava che era miracolosamente sopravvissuta incolume a qualche caduta.
-Mia madre usava comprare a me e ai miei fratelli una pallina nuova ogni anno.** Prima che lei morisse, il nostro albero era pieno di globi di vetro di mille colori. Quando è morta, è sembrato come se si fosse voluta portare dietro queste palline con sé. Una dopo l’altra sono state distrutte, ed è rimasta solo questa. E’ quella che mi ha regalato quando avevo 7 anni, l’anno in cui è nato Matty. I miei fratelli hanno pensato che fosse giusto che la tenessi io. Da quell’ultimo anno con i miei fratelli, non ho più decorato alcun albero. Ormai erano quasi vent’anni che non vedevo un abete e il fatto che tu oggi abbia voluto decorarlo con me…significa davvero molto.
Jane le regalò uno dei suoi mega sorrisi. Ovviamente, il fatto che quell’albero fosse speciale era reciproco. Si alzò dal divano e si diresse all’ingresso, tirando fuori un pacco da una busta che Lisbon non aveva notato. Jane lo mise sulle sue gambe e attese che lei lo aprisse.
-Che cos’è?
-E’ il tuo regalo di Natale di quest’anno.
-…di quest’anno?
-Certo, dato che ho portato anche quello dell’anno scorso.
-Ma…l’anno scorso eri a Las Vegas, non credevo avessi avuto il tempo di pensare ai regali di Natale.
-Ho avuto molto più tempo libero di quanto tu possa credere. E, dopotutto, Natale è Natale anche se una persona è lontana, dico bene?
Disse, con nonchalance, come se fosse una frase butta lì. Ma a Lisbon non era sfuggito quel lampo di consapevolezza nei suoi occhi. Decise di non indagare oltre, onde evitare di ritrovarsi in qualche situazione spiacevole.
Aprì prima il fiocco dorato, togliendo poi la carta regalo rossa. All’interno, una scatola bianca bordata d’argento sembrava custodire un regalo che Lisbon presagiva ben più costoso dei suoi standard. Ciò nonostante non osò controbattere e alzò il coperchio. Sotto questo c’era una semplice velina bianca che, una volta alzata, rivelò il regalo incartato al suo interno. Lisbon sollevò a bocca aperta la fragilissima decorazione, usando il cordoncino dorato a cui questa era legata. Era ciò che poteva essere considerata una pallina, seppur fosse costituita da un lungo filo di vetro rosso avvolto a spirale in modo da avere la forma di un globo. All’altro capo del filo, esattamente all’estremità inferiore era appeso un cristallo bianco a forma di goccia.
-Ho visto quella pallina una volta, entrando in casa tua. Ho pensato che, magari, avresti voluto averne delle altre. Inoltre, dopo quello che mi hai raccontato, mi piacerebbe riprendere la tradizione di tua madre, se me lo permetterai.
Ma Lisbon non sembrava aver sentito le sue parole. Continuava ad osservare la decorazione in silenzio, senza accorgersi del mondo attorno a lei. Jane abbassò lo sguardo, tormentandosi le mani.
-O…o forse magri no. So che è una cosa tra te e tua madre e forse è meglio che io non ne entri a far parte. Dopo tutto sono un estraneo…be’, un estraneo che ti ha anche combinato dei casini abbastanza seri…quindi so che non sono proprio la persona adatta per riprendere questa tradizione così bella…solo…
-Jane, sono convinta che mia madre sarebbe onorata se tu volessi continuare ciò che lei ha iniziato.
L’uomo alzò lo sguardo, trovando gli occhi lucidi di Lisbon. Stava sorridendo, di un sorriso che le aveva indossare pochissime volte. La vide passare la punta delle dita sulla lunga spirale, come incantata da quel viaggio sinuoso.
-Penso che mai nessuno mi abbia fatto un regalo così bello e profondo, e allo stesso tempo così semplice. E credimi se ti dico che penso che nessuno, a parte te, abbia più diritto di continuare questa tradizione.
Lisbon  si alzò, tenendo in mano la pallina appena ricevuta. Si diresse all’albero e l’appese in alto, vicino alla punta. Poi invitò Jane a seguirla con la pallina della madre e, prendendola dalle sue mani, la mise vicino alla nuova.
-Credo che adesso il nostro albero sia perfetto.
La parola “nostro” scaldò le guance di Jane come cioccolata calda. In quel momento, si ricordò del cofanetto nella tasca dei suoi pantaloni. Si voltò, in modo che Lisbon, ancora ferma ad osservare l’albero non vedesse nulla, e ne estrasse il contenuto.
-Chiudi gli occhi.
-Per cosa?
-Per il secondo regalo.
-Io credevo che tu stessi scherzando.
-Assolutamente no! L’ho preso e voglio che tu lo riceva.
Lisbon sbuffò e si tappò gli occhi con le mani. Controllando che la donna non potesse vedere, Jane spostò i capelli dalle sue palle, cercando con le dita il gancetto della catenina che portava sempre al collo. Non con una certa soddisfazione, sentì i muscoli dietro la nuca di Lisbon avere un piccolo scatto. Siamo delicati in questo punto, vero? pensò. Fece scivolare l’oggetto lungo la catenina, in modo che poggiasse sulla croce.
-Perfetto, puoi aprire gli occhi.
Lisbon fece ciò che le era stato detto e, in quel momento, Jane ebbe l’esatta conferma che fosse quasi certamente il regalo perfetto. La vide portare una mano al collo e accarezzare la catenina. Ma, invece di trovare solo la croce, sentì sotto le dita la presenza di un altro pendente. Aprì immediatamente la bocca per dirgliene quattro, ma Jane la fermò immediatamente.
-Prima che tu possa dire qualsiasi cosa, ascoltami. Come avrai capito, è un ciondolo, ma, davvero, è piccolissimo. Sono sempre rimasto del parere che gli smeraldi siano stupendi su di te, e volevo farti capire che avevo ragione. Ma quando la scorsa volta ho comprato la collana a te e a Van Pelt, ho fatto un errore. Avrei dovuto comprendere che non avreste mai potuto accettare un regalo così vistoso. Quindi stavolta ho preso qualcosa di più piccolo e delicato, che sceglieresti anche tu e porteresti al collo tutti i giorni. Inoltre, non è troppo grande perché tu debba togliere la croce di tua madre e, anche vicini, nessuno dei due nasconde l’altro. Mi piacerebbe sapere che qualcosa di mio è sempre con te. Sai è…confortante.
Ricordava il sogno e la piccola rana nel bagno. Sapeva che Lisbon avrebbe meritato qualcosa di più di un semplice pezzo di carta. E sapere di avere un posto vicino al suo ricordo più caro lo faceva sentire bene. Lisbon non poté fare a meno di sorridere alle parole di Jane. Questo non era uno dei suoi soliti regali stupefacenti e –molto spesso- anche imbarazzanti. Poteva sentire la cura che aveva messo per scegliere una cosa che le piacesse, e che avesse anche un significato profondo per entrambi. Il vero regalo non era stato il ciondolo, ma ciò che questo stava a significare. Forse le cose erano davvero cambiate, forse stavolta avrebbe potuto credergli sul serio. Era questa la sua ultima risoluzione. Per stavolta –e solo per questa- Jane avrebbe potuto avere la sua fiducia. Con il dito, tracciò il bordo del piccolo cerchio appeso alla catenella, sicura che non l’avrebbe dimenticato. Si alzò sulle punte e, poggiando una mano sul collo di Jane per sostenersi, diede all’uomo un bacio sulla guancia.
-Grazie, Jane.
Lisbon si allontanò solo per un attimo, ancora stringendo in mano sia la croce che il ciondolo. Salì sulle scale e andò in camera sua, sollevando dal fondo dell’armadio i due pacchi colorati. Scese nuovamente in salotto, dove vide Jane di nuovo seduto al suo posto sul divano. Poggiò i due involucri sui cuscini e tese il primo all’uomo al suo fianco.
-E questo è…
-Dell’anno scorso.
Jane sorrise in maniera un po’ imbarazzata. Avvicinò il pacco all’orecchio e lo scosse.
-Controllo se c’è una bomba.
Mimò con le labbra. Lisbon si portò una mano alla faccia, mai fin troppo conscia della pazzia del suo consulente.
Dopo un altro paio di controlli, rimise il pacco sulle sue ginocchia. Con circospezione, staccò lo scotch e rimosse la carta regalo. Appena fatto, si ritrovò tra le mani una busta trasparente, all’interno della quale si poteva scorgere una grossa manciata di stoffa bianca e morbida. Guardò Lisbon stranito, non capendo cosa potesse essere. Tirò giù la lampo e, poco dopo, sulle ginocchia era accoccolato un enorme e caldo plaid candido. Ridacchiando come un bambino, infilò entrambe le mani nel tessuto soffice e confortevole, beandosi immediatamente del calore attorno alle sue dita.
-Be’, pensavo che se tu avessi davvero intenzione di stare dell’attico, dovresti almeno avere qualcosa di caldo con cui coprirti.
Inaspettatamente, Jane si tolse le scarpe e, accomodandosi sul divano, si coprì dalla punta dei piedi al mento con la coperta, sorridendo soddisfatto. Lisbon scoppiò a ridere, sorpresa dalla sua stramba reazione. Non c’era che dire. Aveva fatto centro. Ma mai si sarebbe aspettata il suo comportamento immediatamente successivo. Jane tirò via parte della coperta rivolta verso di lei, facendole segno di avvicinarsi.
-Avanti, Lisbon, si sta così bene qui sotto. E poi sono sicuro che staremo entrambi comodi. Sei così piccola.
Lisbon serrò la bocca, chiedendosi se Jane volesse davvero che lei lo seguisse o se fosse tutto uno scherzo. Vide l’uomo tamburellare con le dita sul posto al suo fianco, non aspettando altro che lei lo raggiungesse. Lisbon decise di mandare al diavolo l’imbarazzo e, un attimo dopo, si infilò sotto la coperta.
Doveva ammetterlo, Jane aveva ragione. Il tessuto già scaldato dal colore del suo corpo era magnifico. Si strinse ancora di più al torso di Jane, accoccolandosi nella nicchia creata tra il divano e la sua spalla. La sua mano finì dietro la sua schiena, stringendosi teneramente alla vita dell’uomo, finché a un tratto non si accorse della imbarazzante vicinanza tra lei e il suo ospite. Vide il volto di Jane osservarla stupito. In quel momento, tirò indietro il braccio ed iniziò a muoversi verso la direzione opposta. Una mano sotto la coperta si strinse appena alla parte bassa della sua cosca, sopra il ginocchio, trattenendola.
-Aspetta, non andare. Era piacevole…come stavi prima.
Lisbon lo guardò negli occhi, come se da un momento all’altro potesse rimangiarsi quelle parole. Ma vide soltanto un infinito bisogno di vicinanza e conforto. Continuando a guardarlo, aspettando che la fermasse, riprese le stessa posizione di pochi attimi prima. Jane, ridacchiò, aggiustandosi in modo che fosse comodamente abbracciato dal corpo di Lisbon. Si accorse che ormai da tanto tempo non era stato in grado di sentire qualcosa di simile. Aveva scordato cosa volesse dire trovarsi in un posto caldo e al sicuro, dove non dover aver paura del mondo esterno. Una bolla, che sarebbe potuta durare pochi minuti, ma che avrebbe reso sopportabili tante ore di freddo.
I due restarono in silenzio per minuti preziosi, ognuno a farsi le proprie domande e a cercare le proprie risposte.
-Non avresti un altro regalo da darmi?
Chiese a un tratto Jane.
-Uh?
-Il regalo di quest’anno.
-Chi ti fa credere che tu quest’anno ti sia meritato un regalo?
-Vuoi dirmi che sono nella lista del cattivi di Santa Teresa?
-Oh…puoi scommetterci.
-Neanche uno piccolo piccolo?
Lisbon sbuffò, ormai stufa di quel tira e molla. Prese l’altro pacco e glielo mise davanti. Ma prima che Jane potesse prenderlo tra le mani, lo tirò di nuovo verso di sé.
-Che sia inteso. Continuo ancora a pensare che non lo meriti.
E lasciò che Jane prendesse il pacco. Lo vide rigirarlo tra le mani per comprenderne il contenuto, esattamente come per quello precedente. Poi tirò via la carta, rivelando una scatoletta di legno antico. Sul coperchio era stata incisa una nave all’interno di un porto. Aveva un aspetto piuttosto antico, ma la copertura era nuova e lucida, come se fosse stata appena riverniciata.
-Un mio amico è un antiquario, e una volta mi ha detto che gli era stata venduta questa vecchia scatola per riporre il the. E’ della fine dell’ottocento ed è stata ritrovata in una vecchia casa assieme a un mucchio di cianfrusaglie. Così gli ho se avesse potuto ripulirla e rimetterla a posto, per poi regalartela. In questo modo, non rischierai più che Nancy mischi le sue tisane alla frutta con i tuoi the.
Disse Lisbon. Jane passò la palma della mano sull’incisione del coperchio, osservando poi la scatola da varie angolazioni. Infine aprì il coperchio e avvicinò il naso all’interno, chiudendo gli occhi. Fu sorpreso da un forte odore di the nero, mischiato con quello di vernice fresca e mogano. Lisbon vide le sue labbra piegarsi in un sorriso e chiudere nuovamente la scatola.
-E’ perfetto.
Jane poggiò la testa sulla sua spalla, ancora osservando la scatola. Spostò il peso totalmente sul fianco sinistro, assicurandosi di poter riposare su quel sostegno sicuro. Per un attimo soltanto, non avvertendo alcun movimento da parte di Lisbon, pensò di essere arrivato al limite, di aver chiesto troppo. Ma sentì il suo naso muoversi lentamente tra i suoi capelli, descrivendo cerchi piccoli e lenti. Poi, quasi senza sfiorarlo, la sua bocca gli lasciò un bacio sull’attaccatura dei capelli, schioccando le labbra.
-Perché non può restare così? Perché non puoi restare così?
Chiese, inondando col suo respiro caldo il suo scalpo. Jane sentì la cosa risvegliare in lui una sensazione a lungo dimenticata, che neanche una sirena come Lorelai era riuscita a riportare alla luce. Dimenticata, certo, ma immensamente piacevole. Strinse le gambe, cercando di concentrarsi sulla domanda, più che sulle –per quanto interessanti- risposte del suo corpo alla vicinanza della collega.
-Lisbon, non tornerò indietro. Te lo prometto. Resterò così se tu lo vorrai. Se me lo permetterai.
Lisbon, per la prima volta da quando la mattina era iniziata, sentì qualcosa rompersi dentro di lei. La spessa barriera di paura e rabbia che sembrava circondarla da mesi, si era incrinata. La sentiva ancora incombere sulla sua testa, ma ne aveva scoperto la debolezza.
-Ok.
Sussurrò, quasi impercettibilmente. Gli occhi di Jane si illuminarono per la nuova fiducia che sembrava di sentire scorrere tra le parole di Lisbon. Tornò a contemplare i cofanetto, mentre la donna era impegnata a far scendere la mano su e giù per il suo fianco. Entrambi restarono così a lungo, a saziarsi di quel reciproco conforto. Nessuno aveva il coraggio di interrompere quel momento. Finché lo stomaco di Lisbon tornò a protestare a tutta forza.
-E’ così imbarazzante. Mi dispiace.
-Non capisco cosa ci sia di imbarazzante nel tuo delizioso stomaco che si sta preoccupando di avvisarmi che hai fame. Se non ci pensasse lui, mi chiederei chi potrebbe.
-Davvero, non c’è bisogno che mi prepari il pranzo.
-L’ho già fatto, Lisbon.
Lisbon si tirò indietro, per assicurarsi che non scherzasse.
-E quando avresti trovato il tempo?
-Mentre eri nella vasca da bagno.
-Ma sono mancata poco più di un’ora.
-Sarai sorpresa di quante cose sono in grado di fare in poco più di un’ora.
Jane la prese per mano e la trascinò in piedi senza che nemmeno se ne rendesse conto. Perché aveva la netta sensazione che presto l’avrebbe saputo?

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Jane avrebbe potuto descrivere quella giornata con una sola parola. Favolosa.
Avevano pranzato assieme, godendo l’uno della compagnia dell’altro. Il cibo, il vino, gli argomenti leggeri erano stati in grado di trasportarli in un’atmosfera tenue e famigliare. Entrambi si sentivano riposati, in pace, una sensazione così a lungo dimenticata da riuscire a sorprenderli. Avevano sparecchiato assieme e Jane, a malincuore, si era dovuto accontentare di asciugare i piatti doviziosamente lavati da Lisbon.
Durante il pomeriggio, avevano diviso i compiti per la preparazione della cena. Prepararla assieme era stato uno spasso, soprattutto con lo scontro tra Lisbon e il minipimer, che aveva lasciato enormi schizzi di olio, farina e uova sulle pareti e sui loro vestiti.*** Vedere Lisbon tutta sporca, imbronciata ed abbattuta per la sua sconfitta, era stato in grado di far scoppiare Jane in una risata clamorosa, talmente sconvolgente da farlo cadere in ginocchio. La donna l’aveva seguito subito, cominciando anche lei a ridere anche lei a crepapelle. Un attimo dopo, Jane l’aveva abbracciata, ancora sussultando per il forte riso. Ma pochi secondi dopo, Lisbon sentì qualcosa di caldo caderle sul collo, accorgendosi che i forti singulti si erano trasformati in pianto.
-Jane! Jane, cosa tu succede? Jane…
Ma l’uomo restava in silenzio, stringendola come se ne valesse la sua stessa vita. Lisbon decise di non fare domande, e lo strinse ancora più forte, sicura che le sue azioni avessero risvegliato qualche antico ricordo della sua famiglia. Perciò rimase sorpresa dalle parole che a un tratto sentì pronunciare dal mentalista.
-Devi promettermi una cosa. Che qualsiasi cosa succeda, tu andrai avanti, ok? Che se accadesse qualcosa a me o a Grace o a Rigsby o a Cho, tu non ti abbatterai e continuerai. Sempre, in ogni caso. Giurami che starai bene. E’ l’unica cosa che ti chiedo. Ti prego.
Lisbon non riusciva a capire a cosa si riferisse Jane, e soprattutto non riusciva a comprendere per quale motivo le stesse chiedendo quelle cose. Non poteva sapere che senza il minimo preavviso, proprio in quell’attimo di totale gioia, dietro gli occhi dell’uomo erano tornate le immagini del suo corpo nudo e martoriato. Grace aveva ragione, non era stato lui a ridurla così. Ma era stata sua colpa. Era stato in grado di farla desiderare di morire. Lei, ciò che aveva di più prezioso al mondo, l’unico motivo che l’aveva spinto a cambiare, ad essere migliore. Che razza di uomo pensava di essere, a credere di meritare una persona del genere della sua vita?
Ma Lisbon non avrebbe mai scoperto queste cose, e Jane avrebbe dato la sua vita per tenerle nascoste.
-Te lo prometto. Se è ciò che vuoi, lo farò.
-Non è ciò che io voglio, Lisbon. Devi fare questo per me.
Lisbon abbassò gli occhi, colpita dall’intensità dello sguardo di Jane.
-Lo farò. Te lo prometto.
E di nuovo venne accolta tra le sue braccia. Cosa stesse succedendo, non era stata in grado di capirlo. Ma aveva visto Jane piangere pochissime volte, e sapeva che essere in grado di vederlo così era un dono. Il fatto che Jane si fidasse così tanto di lei da accettare la sua vicinanza in quel momento di totale vulnerabilità. E quello, almeno per il momento, era abbastanza.
Dopo quella improvvisa crisi di pianto, il clima tornò di nuovo rilassato. Senza ulteriori incidenti, erano riusciti a portare in tavola una cena succulenta. Jane si era deliziato nel vedere Lisbon incredibilmente vorace su quel cibo squisito, quasi riuscendo a mangiare più di lui. La serata, alla fine, si era conclusa sul divano, sotto il plaid nuovo di zecca e davanti all’enorme pila di film a noleggio.
Dopo Mamma ho Perso l’Aereo, Una Poltrona Per Due, The Family Man e The Nightmare Before Christmas erano passati al Grinch, ma il folletto cattivo non era stato in grado di rubare i regali natalizi, che Jane era stato in grado di sentire un peso sulla propria spalla. Immediatamente dopo, Lisbon aveva risollevato la testa, seppure le sue palpebre non riuscissero a stare alzate. Subito dopo, i suoi occhi si erano chiusi nuovamente, riaprendosi poi con considerevole sforzo.
-Non serve che tu rimanga sveglia fino alla fine del film.
Lisbon fece di sì con la testa, forse troppo stanca per rendersi conto della sua accondiscendenza. Jane si spostò in modo da poterle offrire più spazio per stare comoda e, immediatamente, la donna mise un braccio sotto al suo, stringendolo forte come un orsacchiotto di pelouche. Mai, in tutta la sua vita avrebbe immaginato Lisbon come il tipo coccolone.
Una volta arrivato ai titoli di coda, per un attimo aveva pensato di portarla al piano di sopra e sistemarla a letto, ma il divano era caldo e morbido e il plaid forniva un buono scudo contro il freddo dell’ambiente. Si allungò sul fianco destro fino a posare il capo su uno dei cuscini del divano, portandosi dietro Lisbon, in modo che potesse tranquillamente riposare su di lui. Alzò il plaid in modo da coprirla fino alla nuca.
In quel momento sentì finalmente di potersi rilassare, espirando fino all’ultimo centimetro quadrato di aria dai polmoni. Strinse a sé quella donna meravigliosa, memore di averlo fatto l’ultima volta col suo corpo senza vita. Così come allora, cominciò a baciarla piano e teneramente. Nel sonno, sentì la sua pelle scaldarsi ancora di più e fremere leggermente. Per un attimo, ebbe paura di averla svegliata, ma dopo un sospiro più profondo, la sentì ritornare quieta.
Non c’erano parole per descrivere quel momento. Il profondo stato di grazia in cui si trovava, il rispetto e la riconoscenza di quel dono magnifico. E non stava pensando al suo riposo eterno, bensì della preziosa umana che stava stringendo su di sé. Avere la possibilità di rimediare ai suoi errori, di non dover rivivere quel futuro così orribile…era ben oltre quello che meritasse per i suoi peccati.
Con un dito, sfiorò finalmente il contorno del labbro superiore, leggermente più pieno di quello inferiore. Lo sapeva, lei, che era un particolare che aveva notato fin dal primo giorno? E che spesso e volentieri si soffermava ad osservarlo ancora ancora e ancora? Fortunatamente no o, ne era sicuro, la donna avrebbe usato la sua pistola su di lui.
Era un’occasione unica, che non si sarebbe ripresentata tanto presto. Abbassò il capo e lasciò un bacio proprio lì, su quella piccola curva sinuosa. Vi passò poi il pollice sopra, come per cancellare quella piccola bravata. Nel sonno, Lisbon mosse le labbra verso di lui, baciando a sua volta la punta del suo dito.
No, era definitivo. Non meritava tutto quello. Ma per una buona volta, non avrebbe rinunciato a priori a quel dono. Piuttosto, se lo sarebbe guadagnato ogni giorno, fino ad arrivare a sentirsi degno di quella fortuna.
Prima di chiudere gli occhi, un fremito lo travolse dalla testa ai piedi, così come la sera precedente. Sentiva una presenza nella stanza e il panico si irradiò in lui. Strinse ancora più Lisbon a sé, come a volerla proteggere da qualsiasi pericolo. Voltò gli occhi a destra e a sinistra e alla fine li vide. Dietro l’albero, illuminati dalle luci intermittenti, stavano i Tre Spiriti, alti e silenti.
Ma le mani del Primo Spirito erano candide, il sangue scomparso. Il cappuccio del Terzo era abbassato sulla schiena e il volto era aperto, gioviale. In mezzo a loro, il Secondo stava piangendo di felicità. Tutti e Tre li stavano osservando, stesi sul divano, tutti e Tre avevano capito che la loro missione era conclusa.
-Grazie.
Sussurrò loro. E detto questo, si dissolsero nella polvere.
Jane abbasso il capo sui cuscini, riposando i muscoli stanchi. E, cullato dal respiro gentile di Lisbon, cadde in un sonno profondo e senza sogni, leggero come la benedizione più dolce.

 

-Fine Strofa Quinta-

 

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*Questa frase è presa in parte del film "V per Vendetta".
** Questa è, in realtà, una tradizione della mia famiglia. Di solito si regala una pallina di Natale ogni anno ai bambini piccoli, anche se le mie zie continuano a farlo con me, nonostante io abbia 19 anni.
*** Questa scenetta è successa davvero un pomeriggio in casa di mia zia, non per colpa mia!!! con la differenza che, a differenza di Lisbon, noi abbiamo dovuto ritinteggiare la cucina.

  
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