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Autore: Iceberg    06/03/2013    0 recensioni
"Sogno o son desto?"
Jillian Key è costretta a fare i conti con la sua razionalità per poter credere che ciò che le accade non è frutto della sua immaginazione, ma che il mondo dei sogni esiste per davvero.
Vielen Dank, "Lullì" c:
Genere: Drammatico, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2
 
Quando rialzo lo sguardo da tutte quelle carte che mi ingombrano la scrivania, sono già le tre e mezza. Sono distrutta. Mi massaggio le tempie tentando di alleviarmi il mal di testa, senza riuscirci. Allora mi alzo e decido che è ora di tornare a casa. Raccolgo le mie cose ed esco dall’ufficio. Appena fuori la porta, incontro di nuovo il mio capo. Non mi lascia un attimo di tregua, oggi: ovunque mi giri, c’è sempre lui pronto a rimproverarmi per ogni mio piccolo fallo.
-Signorina, dove crede di andare? Il suo turno..- inizia lui, ma non ho né la voglia né la forza di ascoltarlo in questo momento: lo evito ed esco sulla strada. Ho i nervi a pezzi sul serio. Sento la testa che pulsa e non riesco a ragionare, così mi accascio sul marciapiede con la testa tra le gambe, sperando che il malore svanisca; ciò non accade e decido di andare di filato a casa. Faccio per rialzarmi, quando, di fronte a me, trovo Ian. Ricasco sul marciapiede per la sorpresa, mentre abbasso lo sguardo imbarazzata. 
-Jillian..-sussurra.
Non ho la forza di rispondere. Mi porge la mano e mi aiuta a rialzarmi. 
-…vieni, ti riaccompagno a casa- continua guidandomi verso la sua auto. 
Non proferisco parola per tutto il viaggio verso casa: mi appoggio al sedile e chiudo gli occhi. Ian ha il buon senso di non accendere la radio. 
Dopo nemmeno cinque minuti, sento la macchina che si ferma. Non ho voglia di uscire dall’abitacolo caldo, ma non ho scelta. Riapro gli occhi e noto che, anche se ha il viso rivolto alla strada, Ian mi squadra di sottecchi. Ha le mani fisse sul volante, come in attesa di ripartire. Sto per aprire la portiera, quando mi blocco e mi giro verso di lui. 
Non so come dirglielo, ma veramente vorrei che restasse con me per oggi. Mi mordo il labbro arrossendo, cercando le parole giuste da usare, senza trovarle. Rassegnata, mi rigiro verso la portiera, quando è lui a parlare.
-Che ne diresti se mi offrissi un caffè? Se non ti va, posso andare..-
Mi rigiro verso di lui quasi sorridendo e mi accorgo che ha allentato la presa sullo sterzo ed è in procinto di spegnere il motore dell’auto. Annuisco e scendo dalla macchina, felice del fatto che riesca sempre a capirmi al volo. Recupero le chiavi sotto lo zerbino e apro la porta. Per prima cosa, poso il giubbino sull’appendiabiti e mi dirigo in bagno, verso il mobiletto dei medicinali. Prendo una compressa e spero che il mal di testa passi presto. Vado velocemente in cucina e dopo aver fatto cadere più caffè di quanto ne abbia messo nella macchina apposita, riesco a mettere il tutto sul fuoco. Il tempo di prendere due tazzine e di versarci un po’ di zucchero all’interno che il caffè è già pronto. Torno in salotto, dove trovo Ian seduto sul divano e gli porgo la sua tazzina. Bevo tutto d’un sorso e, dopo aver recuperato l’unica coperta presente in casa, mi accoccolo vicino lui. 
-Grazie- sussurro. 
Chiudo gli occhi per un po’ e quando li riapro il mal di testa è passato. Mi giro verso Ian e mi accorgo che si è addormentato. Mi alzo lentamente, cercando di non fare rumore, prendo le tazzine di caffè vuote dal tavolino di fronte il divano e vado a controllare l’orario all‘orologio a muro in cucina: sono quasi le sei del pomeriggio. Anche se è molto presto, decido di iniziare a pensare cosa cucinare, per poter fare qualcosa di carino per Ian e, lo ammetto, per non pensare troppo ai disastri che ho combinato stamattina. Mi lego i capelli, prendo il mio unico libro di ricette e inizio a sfogliarlo. Purtroppo, mi accorgo che in casa non ho molto con cui arrangiarmi, così decido che forse sia meglio ordinare una pizza. Proprio mentre sto posando il libro di ricette sulla libreria vicino la finestra, sento una voce dietro di me: -Rinunci di già?-
Sobbalzo, facendo cadere il libro a terra con un gran tonfo. Arrossisco violentemente mentre mi chino per riprenderlo. -Io…ehm…- Lo sento avvicinarsi. 
-Peccato…- sussurra. Avvampo, mentre vengo preceduta da Ian che, più veloce di me, prende il libro e lo ripone nello scaffale sbagliato; però, a dir la verità, in questo momento faccio più caso al suo viso, che è a pochi centimetri dal mio, che al libro. Sento il mio cuore perdere un battito e poi accelerare il suo ritmo, mentre abbasso la testa, arrossisco e mi allontano un po’. 
-Mmh…- Guarda l’orologio a muro di fronte a sé, mentre io rialzo lo sguardo su di lui confusa.  -Che ne dici se andassimo a cena fuori? Conosco un posto dove si mangia bene, qui vicino e, a dire il vero, credo di essere ancora troppo giovane per morire avvelenato da te…- Mi dice sorridendo. 
Io avvampo, sbalordita. -Tu…- Prendo un cuscino dalla sedia di fronte a me e glielo lancio contro. Sorrido, mentre lui realizza ciò che ho appena fatto e nei suoi occhi vedo crescere la voglia di vendicarsi. Corro nella mia stanza da letto e mi chiudo dentro.
-Fregato!- urlo per farglielo sentire e percepisco la sua risata oltre la porta. Mi lancio subito alla ricerca di un abito da sera decente. Ne trovo uno blu scuro tra un mucchio di panni vecchi e decido che può andare bene. Vado nel bagno adiacente alla camera a sistemarmi, vestirmi e truccarmi e quando esco e mi guardo allo specchio vicino la porta, non mi riconosco: ho legato i capelli castano chiaro lunghi fino ai fianchi in una coda di cavallo alta sulla testa con un fiocco argentato, in tinta con la pochette contenente il portafogli e il cellulare. Non amo molto truccarmi, anche se il mio bagno trabocca di cosmetici, quindi ho messo solo il correttore per coprire parte delle occhiaie e del fard per conferire alla mia pelle chiara un po’ di colorito; infine ho indossato una collana con una finta perla agganciata e un braccialetto simile d’argento. Ammetto che quel vestito mi sta bene: non ha le spalline e scende fluido fino alle ginocchia. Mi infilo delle scarpe col tacco non troppo alto dello stesso blu del vestito, prendo uno scialle nero e raggiungo Ian in salotto. Mi appoggio allo stipite della porta e lo guardo interessarsi all’unico quadro che ho appeso alla parete, appena sopra il divano. Fissa minuziosamente il paesaggio rappresentato da Adriaan van Stalbermt, quasi volesse immergercisi, come fa sempre quando viene a casa mia. Mi schiarisco la voce, facendolo sobbalzare e mi avvicino a lui.
A dir la verità, non sono un’appassionata d‘arte: mio padre lo era. Voleva per forza far appassionare anche me, perciò mi regalava in continuazione quadri su quadri. Sento nascermi un groppo in gola, mentre i ricordi di mio padre mi tornano in mente prepotenti. In silenzio, prendo a braccetto Ian e insieme ci dirigiamo fuori. La prima cosa che sento appena uscita dalla porta è l’acqua, che inizia subito a inumidirmi i capelli. Alzo le testa e noto che ha iniziato a piovigginare e che il sole è già tramontato.
Entro nuovamente nella BMW di Ian, il quale questa volta si azzarda ad accendere la radio e far partire un CD di Ed Sheeran a basso volume. Chiudo gli occhi e per un attimo mi abbandono a quella sensazione di pace che mi assale.

*spazio autrice*

Mi intrometto per poter ringraziare tutti coloro che leggono, in particolar modo Jane Austen che recensisce e inmylife_ che è sempre la prima a leggere ciò che scrivo e a consigliarmi. Grazie!
  
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