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Autore: La Mutaforma    06/03/2013    2 recensioni
Quanta tristezza hai dovuto affrontare, amico mio? Quanto valgono adesso le tue fughe, il tuo imbarazzo?
Dov’è l’amore?

Feliciano pianse più forte, perché tanto Ludwig era dietro di lui e non poteva vederlo.
O forse perché era solo un bambino, e per i bambini non c’è vergogna a piangere.  
Qualcuno ha creato il mondo, bello come niente. Ci ha regalato il cielo, le stelle, il sole, il mare, la musica. Abbiamo inventato l’amore.
Eppure ci facciamo la guerra. 
Genere: Guerra, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Austria/Roderich Edelstein, Chibitalia, Prussia/Gilbert Beilschmidt, Ungheria/Elizabeta Héderváry
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Questa long è nata da un’idea di getto, giusto perché era da un po’ che desideravo fare una pluricapitolo su Hetalia, e desideravo che avesse dei contenuti realistici ma poco conosciuti così la fanfic risulta addirittura interessante.
La storia comincia cronologicamente nel 1863 ma la vicenda principale –ossia la guerra austro prussiana– si colloca nel 1866;
Gli avvenimenti narrati sono quasi tutti storicamente veri, o almeno in parte;
Nonostante le tematiche serie ho cercato di conservare il carattere originale dei personaggi, anche se in alcuni casi potranno risultare OOC;
Poiché porta di nome “Veneziano”, nella storia Feliciano rappresenta essenzialmente solo la regione Veneto, che nel 1863 ancora non faceva parte del Regno d’Italia. Spero vogliate scusare l’uscita poco elegante;
Modifiche o precisazioni alla cronaca originale della guerra delle Sette Settimane verranno messe al termine del capitolo.
Salute e pace, e godetevi la Storia.
 
 


 
Avvertì il fischiante getto di vapore prorompere dalla vecchia teiera e spense il fornello.
A Ungheria piaceva preparare il the. Le piaceva preparare il the per Austria.
Piacevolmente rilassata sistemò su un vassoio la teiera, tazzina, zuccheriera e un piatto di dolci. Fece un sospiro, e ne prese uno dal piattino, pensando che a Italia sarebbe piaciuto avere un biscottino.
“Sta crescendo. È un ragazzo ormai”
Mentre si avviava in soggiorno col vassoio, ripensò a quello che le aveva confessato una notte.
Hai saputo di mio fratello, Ungheria? Adesso ha ottenuto l’indipendenza. Erano anni che sognava la libertà. E ormai il mio paese è quasi del tutto unito.
Lei aveva sorriso dolcemente, fingendo di non capire il suo discorso e gli aveva accarezzato la spalla. Ma invece di abbracciarla sotto le coperte, Italia rimase col viso puntato verso il soffitto, gli occhi pieni di pensieri.  
Come mi manca il mio paese. Come mi manchi tu, Romano.
Non glielo aveva mai chiesto direttamente, ma sospettava che desiderasse anche lui l’indipendenza e ritornare nel suo paese; inoltre, non si sarebbe affatto sorpresa se in verità avesse aiutato anche lui suo fratello a ribellarsi.
Sospirò.
Anche a lei mancavano i verdi prati in fiore ungheresi.
Da bambina, quando giocava con le spade di legno con… altri bambini; allora la sua vita non se la immaginava così. Sognava di combattere, tra le prime fila dell’esercito, ed essere libera.
Non pensava che avrebbe fatto la cameriera. Almeno non in modo così arrendevole.
Spinse leggermente la porta del soggiorno. Due occhi rossi incrociarono il suo sguardo.
Tu?!
 
Prussia. Diceva che molti lo conoscessero come “il magnifico”. Ungheria aveva sempre sospettato che in verità fosse unicamente lui ad autocelebrarsi in quel modo.
Nessuno con un minimo di orgoglio –e obbiettività– lo avrebbe affermato.
Senza una spada puntata contro, certo.
Sinceramente, non c’era traccia di magnificenza in lui. Solo tanta vanità, ma magari non del tutto infondata.
Dal canto suo, Ungheria non si interessava molto alla politica, ma a quanto aveva capito, dall’ultimo viaggio di Austria a Vienna per il Congresso, Prussia era diventato potente.
E aveva un forte esercito. Probabilmente il più temibile d’Europa.
Scacciò quel pensiero. L’impero, seppur decaduto, apparteneva ancora ad Austria.
“Oh, è così bello vederti, Ungheria” la salutò lui, falsamente cortese. La ragazza immaginò di strappargli dalla faccia quel ghigno che ostentava con la parvenza di un sorriso.  
“Salve Prussia” rispose seccamente “Ho interrotto qualcosa, signore? Le ho portato il the” aggiunse, più cordialmente, rivolgendosi ad Austria, mentre posava il vassoio sul basso tavolo davanti a lei. Il cambiamento di tono non passò inosservato a Prussia, che strinse con fastidio i denti.
Austria le rivolse un cenno senza proferire parola, conservando la sua solita tranquillità. Rasserenata, la ragazza chinò la testa per congedarsi e lasciò i due uomini ai loro affari.  
Pur non potendo fare a meno di chiedersi cosa volesse dal suo padrone Prussia.
 
Italia la raggiunse sulla veranda dietro casa con un grosso secchio tra le mani. Non gli fu difficile notare la sua agitazione.
“Chi era quell’uomo oggi?” chiese il ragazzetto con tono casuale. Nonostante fossero ormai passati degli anni, e la voce del ragazzino stesse diventano più profonda, Ungheria notò, non senza un’ombra di malinconia, che Italia non si era mai ancora separato dal candido grembiulino sgualcito, che portava sopra ad abiti maschili da lei stessa confezionati.
“Prussia”
“Lo conosci?”
Oh, i bambini sanno essere crudeli.
“Lo conoscevo”
“E adesso non lo conosci più?” insistette Italia, posando il traballante secchio contro il muro “A dire il vero, a me fa un po’ paura. A te non fa paura, Ungheria?”
Paura?La ragazza ripensò con un sorriso a quando correvano insieme per le campagne, e lei era più veloce di lui. Allora Prussia ­–col fiatone e il viso rosso– le diceva che era solo un’imbrogliona e che non meritava di gareggiare con lui.
E poi si picchiavano, come si picchiano i bambini, che sembrano non farsi mai male.
Finivano per sdraiarsi sulla collina ondeggiante nel caldo sole delle loro giornate lontane, e osservavano le nuvole passare, per non tornare più.
Come quei giorni.
Si allontanò, vergognandosi di mostrare gli occhi a quel ragazzino che come lei troppo bene conosceva quel tormento che, palese come una bugia, le passava in viso.
 
Fu un caso che si trovasse sull’uscio a spazzare quando Prussia uscì di casa.
Il lungo mantello bianco le oscillò sugli occhi come una bandiera. Ma quel bianco vessillo non era di resa. Qualcosa le diceva che c’era molto più.
E quella non era una semplice visita di cortesia.
“Non pensavo di rivederti così”
“Io non pensavo di vederti affatto” rispose lei, gelida, stringendo saldamente la scopa tra le mani. L’albino si fece sfuggire un sorrisetto, soddisfatto alla vista del suo fastidio.
“Parole forti… per una nazione dipendente”
La ragazza maledisse la sua condizione di sottoposta, solo per guardarlo negli occhi con il forte orgoglio di un tempo, e non sentirti così inferiore.
“In ogni caso, è sempre bello vederti, Elizabeta” disse, con in inchino “Ci vedremo presto, abbi fede, non sentirai più la mia lontananza”
Ungheria trattenne un moto di disgusto davanti a tanta tracotanza e a tanta presunzione.
“Stai pure tranquillo, Prussia, non ne soffrirò”
Il suo sorriso era la cosa più insopportabilmente raccapricciante che Ungheria avesse mai visto. “Era proprio quello che volevo sentirti dire. Auf wiedersehen, mein freund
Se ne andò, voltando le spalle e rimettendosi il capello piumato a coprire i corti capelli color inverno.
Mentre tornava alle sue faccende, Ungheria lo odiò con più fermezza di quanto avesse mai fatto in passato, e si augurò che non tornasse più. 
   
 
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