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Autore: MaryFangirl    07/03/2013    4 recensioni
'Una rapida occhiata alla tovaglia in plastica pulibile comodamente con una passata di spugna. Vi erano stampati dei girasoli. Simboli di amore incondizionato. O di amore cieco, che è poi sinonimo di stupidità. Perché è prigioniero, e per sua scelta. Perché avere un'unica ragione di vita? Perché farsi del male e non accorgersi di qualcosa che merita di più?'
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: L, Light/Raito | Coppie: L/Light
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non stava piovendo né c'era il sole. Il cielo era inconsistente, privo di nubi, come se una perla fosse esplosa e avesse sparso tutta se stessa.

Non faceva particolarmente freddo, il che era strano.

E strano era che, pur non essendoci pioggia né sole, lui vide l'arcobaleno.

Quello sì, era sgargiante ai suoi occhi tanto da costringerlo a socchiuderli perché non gli dolessero.

Vide l'arcobaleno e non c'era altro. Riempiva tutto il cielo che altrimenti gli avrebbe fatto paura, con quell'argento senza riflessi, così...sì, spaventoso.

L'arcobaleno non era sfumato e i colori si distinguevano perfettamente.

Come se volessero fara a gara, scindendosi nettamente dagli altri, su chi fosse il più accattivante.

Oppure, al contrario, volevano sottolineare che avessero tutti la medesima importanza.

Lui fissò ognuna delle tonalità e i colori accesero in lui un ricordo diverso.

Partì dal viola. Oh, no, si chiama indaco. È un po' più scuro del viola. Più vanitoso e presuntuoso, anche. Si avvicina al blu. Lui le tinte così non le amava particolarmente. Sembrava che non volessero decidere da che parte stare e non gli piacevano, gli incerti.

Ma l'indaco gli riportò alla mente l'uva americana. Il suo sapore molto dolce. Quando l'aveva assaggiata era un bambino e quando il succo del frutto gli era spruzzato in bocca era rimasto sorpreso, per poi sconvolgersi perché quel tipo di uva si mangiava escludendo la buccia. Il piccolo involucro, senza la sua polpa, gli era parsa uno straccio incupito, un fantasma. Senza anima.

Comunque era davvero troppo dolce. Se ne era stancato presto.

A lui piaceva il troppo dolce.

Il blu gli ricordò il bel cappotto che Sayu gli aveva regalato per la laurea. Gli era piaciuto molto. Poi la cerniera di una delle tasche si era inceppata. Si era ripromesso di farla aggiustare ma era convinto che il cappotto, ora nell'armadio, avesse ancora la zip rotta.

I suoi jeans erano blu.

L'azzurro erano gli occhi di Misa. Doveva ammetterlo, la prima volta che l'aveva vista non aveva subito creduto che una ragazza così carina quanto matta potesse essere in grado di provocare la morte.

Con quegli occhi angelici.

Con quelle mani bianche e delicate. In contrasto con lo smalto di un intenso e lucido color prugna.

Azzurro come l'anice odorosa dei suoi ghiaccioli.

Il verde era il prato del parco quando con la famiglia si andava ad osservare l'hanami. I ciliegi in fiore.

Lui era più affascinato dal prato fresco e umido di rugiada, anche un po' fastidioso, che dagli alberi ricchi, pomposi, che fin troppo ostentavano la loro bellezza.

Verde. Pistacchio. Il gusto di gelato che lui preferiva.

E verde come quelle lenzuola. Un verde molto chiaro, come se una goccia di menta avesse voluto rallegrarle. Per vezzo o per dispetto.

Il giallo. Come le rose che aveva regalato alla madre, qualche anno prima. Per la festa della mamma.

Sachiko aveva aggrottato le sopracciglia.

"Che c'è?" si era interessato in uno dei rari momenti che aveva dedicato alla madre.

Una rapida occhiata alla tovaglia in plastica pulibile comodamente con una passata di spugna. Vi erano stampati dei girasoli. Simboli di amore incondizionato. O di amore cieco, che è poi sinonimo di stupidità. Perché è prigioniero, e per sua scelta. Perché avere un'unica ragione di vita? Perché farsi del male e non accorgersi di qualcosa che merita di più?

E guardando i girasoli si era illuminato. Il linguaggio dei fiori. Non si ricordava di cosa significassero le rose gialle.

"La rosa gialla significa gelosia" Sachiko gli aveva spiegato, anche con una certa baldanza. In ben pochi argomenti ne sapeva più del geniale figlio. Adorava le simbologie dei fiori.

Gelosia.

Come a dire che non aveva senso regalare alla propria madre le rose gialle. Perché essere gelosi di una madre? Resta madre dei suoi figli per sempre, nessun cataclisma potrebbe cancellare tale verità.

Si era irrigidito. Ma Sachiko, dimenticata subito la svista, lo aveva abbracciato e sbaciucchiato.

Giallo. Gelosia. Era geloso di lui?

L'arancio. Come l'enorme zucca che Yagami-san aveva appositamente comprato per Halloween.

Non aveva creduto potesse esistere un prodotto della terra tanto magnifico. Insieme lo avevano svuotato e riempito di candele. Sayu si era lagnata perché l'odore di tutte quelle candele era nauseante. E normalmente le avrebbe dato ragione, ma era stato troppo fiero del risultato per farlo.

Lui era nato ad Halloween. Il 31 ottobre.

Lui e i suoi mandarini. Arancioni. Li mangiava dopo averli esaminati, annusati un'infinità di volte, spogliati dei 'fastidiosi pelucchi bianchi'.

Il rosso.

Ebbe un sussulto.

Lo sai che gli Shinigami mangiano solo mele?

Le mele.

Il sangue. Rosso. Denso.

Il rosso. Il cuore che batteva. Pompava.

La passione. Pennellate sconnesse. Interi barattoli di vernice vermiglia scagliati in quella stanza, su quel letto. Rosso, tutto rosso.

Le lingue.

Campane rosse. E le mele.

Ancora precedentemente, la prima di una lunga serie di scatole di cioccolatini, donatagli da una ragazzina il giorno di San Valentino. Erano in molte a prendersi una cotta per lui.

Ma lui non amava il cioccolato e le scatole ricevute rimanevano sigillate.

Lui lo invidiava solo per tutto quel cioccolato. Quando glielo aveva detto, era scoppiato nell'unica risata spontanea e genuina della sua vita.

 

Serrò gli occhi. Tutti i colori.

Il bianco, la luce. Conteneva tutti i colori.

La sua maglia bianca.

Il nero.

I suoi capelli e i suoi occhi.

L'assenza di luce. Non un colore. La mancanza.

A lui mancò il fiato.

Fissò l'arcobaleno. Lui. Ecco perché lo vedeva. Senza pioggia né sole. Ma c'era lui, lì davanti.

Si riscoprì senza luce. Senza lui. D'un tratto, l'arcobaleno sparì.

E quindi fu il nero.

L'assenza di colore. 

  
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