Hell's Road.
01 / Call.
Allo
scoccare dell’una di notte, le uniche luci rimaste accese in
tutta la Home appartenevano ai
laboratori. Un brusio di cavi elettrici, che alimentavano generatori di
funzione troppo conplicata per essere tradotta in parole semplici, si
alternava allo ruvido fruscio delle piume d'oca che intingevano
inchiostro dal calamaio. Ai piedi di un confine oramai distorto nella
forma e nella quantità di tempo scioltasi nell'assidua
ripetizione, la Sezione Scientifica dell’Ordine
Oscuro era alla fine giunta a raschiare il fondo
della propria sanità mentale, seppur qualcuno sospettasse che il
suddetto fondo tanto
grattato fosse stato già bucato; pareva lampante che
nessuno dei
poveri disgraziati in camice bianco stesse consapevolmente lavorando
per degli
straordinari non pagati, ma dopo dodici giorni no stop di lavoro
forzato
nessuno era più in grado di distinguere la realtà dalla
fantasia. Andavano
avanti per inerzia, tenuti in piedi da una dieta a base di caffè
che, quanto
meno, li aiutava a strisciare verso le rispettive scrivanie, con il
cervello
troppo assuefatto da formule chimiche per fermarsi e domandarsi cosa
fosse
quella grande palla gialla che ogni tanto vedevano splendere
intensamente in cielo.
- Che
sonno… -
Johnny Jill
sbadigliò vistosamente, incurante di coprirsi la bocca con la mano. Le braccia
esili erano impegnate a sorreggere una pila di fogli più pesanti del suo
stesso corpo perché si dedicassero ad altro, men che meno ricordare il buon
senso dell’educazione; la torre traballava al punto che ci aveva pressato
contro la faccia incavata dalla stanchezza per impedirle di cadere, cerea e
con i grossi occhiali a fondo di bottiglia a scivolargli costantemente dal naso.
Finito di assorbire le sue cellule cerebrali, il lavoro aveva puntato
direttamente al corpo, di minuta costituzione perfino per quegli abiti fatti a
misura e che ora si aprivano in morbide pieghe; la sottigliezza raggiunta dal
suo giro vita, dove alla cintura erano stati aggiunti altri tre buchi per
evitare che i pantaloni gli scivolassero nei momenti meno opportuni, avrebbe
permesso a chiunque di abbracciarlo con un solo dito.
- Ehi, Tap. Ti
ho portato i rapporti degli ultimi sette mesi. – Le mani dello
scienziato appoggiarono delicatamente i
fogli sul solo angolo di legno libero della scrivania, raggiunta dopo aver arrancato
per tutto l’ufficio come se le sue gambe non fossero mai state provviste di muscoli.
Dovette arrampicarvisi sopra per constatare che l’amico fosse lì, chino su un
vistoso manuale di ignota materia e con il cappello di lana che permetteva giusto di scorgerne i
labbroni scuri, appena socchiusi. Sembrava non averlo neppure sentito.
- Tap, so che
sei impegnato con quel bilancio, ma ti chiedo solo un paio di secondi per
firmarmi questi documenti. Per favore -, lo blandì stancamente il
ragazzo - Tap? Mi senti? –
La
fin troppo perfetta immobilità delle dite salsicciose, dove la matita consunta
giaceva quasi del tutto riversa, innescarono il dubbio senza prima varare altre
possibili alternative. Johnny allungò il braccio sino alla guancia flaccida del
collega, tirandola così forte che, quando la rilasciò, emise un sonoro schiocco
ballonzolante che ne accompagnò la caduta a terra del corpo inerme, trascinandosi
addosso l’intero lavoro.
- Caposezione
Reever, è crollato anche Tap. – Lo annunciò senza enfasi, un semplice
sospiro apatico tipico di chi aveva già vissuto quella scena per sorprendersene
con sincera emozione.
Da
un punto indefinito dello stanzone, una zazzera castana mosse pigramente la
mano, per poi annuire bofonchiando – Lascialo lì. Se ne occuperà la Capoinfermiera.-
Ventisette
collaboratori collassati e tutti per l’aver dato troppo a una ragione scolorita
anche nei contorni. Trascesi i limiti di sopportazione umana, non rimaneva
che la rassegnazione, costante e statica routine che il pover uomo aveva
imparato ad abbracciare semplicemente convivendo giorno e notte con un impacco
freddo sulla fronte. Benché torrioni di analisi, referti e rapporti
reclamassero la sua attenzione, Reever Wenham trovò la forza per alzarsi
dalla propria postazione e udire le sue giunture avvizzite scricchiolare.
L’ennesimo documento preso fra le mani richiedeva il bollo del Supervisore.
- Johnny,
prendi i documenti che hai lì e vieni con me –, ordinò poi al subordinato.
- D’accordo.
–
Una
sottile striscia di luce soffusa illuminava il pavimento del corridoio
che
imboccarono dopo essersi lasciati alle spalle la sterilità
futuristica che
contrastava con l’arredamento formale degli altri alloggi. Alle
porte
automatiche si sostituirono cardini cigolanti e gradini irregolari,
stanze di
confortevole praticità costantemente vivacizzate dal vociare di
chi cercava un
attimo di riposo. L’ufficio del Supervisore godeva di un
isolamento strategico,
lontano dagli schiocchi elettronici dei computer e dalle parlantine a
cui
spesso e volentieri l’orecchio rivolgeva uno spicchio
d’attenzione –
soprattutto se il nome della sua adoratissima Linalee veniva
pronunciato indegnamente
-, ma al tempo stesso facile da raggiungere per evenienze improvvise.
Bussato alla porta e ricevuto un mugugno come segno di farsi avanti,
entrambi
si introdussero nella stanza, cullata da un caos comprendente un
tappeto
cartaceo che sfiorava le loro caviglie, libri accatastati
sull’unico divanetto
visibile e documenti da cui sporgevano fotografie e schizzi di
preoccupanti marchingegni. Il
tempo dedicato al lavoro non si poteva paragonare alle ore perse in
attività
capricciose che marcassero l’insensata iperprotettività
per la sorella minore,
l’importanza che l'uomo vi attribuiva finiva sempre per
ripercuotersi sui suoi
subordinati con conseguenze dalla portata disastrosa, seconda solo a
tutte le
diavolerie progettate per facilitare quel lavoro fagocitante che, a
conti fatti,
finiva sempre per triplicare sicché mai una volta tali
iniziative si erano
concluse con successo.
Quasi pari a una visione celestiale, Komui
Lee era seduto esattamente dove il Caposezione aveva sperato di
trovarlo senza
il timore di un’imminente punizione divina: ancorato alla sua
scrivania con il
berretto bianco calcato fra i capelli dalle punte arricciate e la
cornetta del
telefono tenuta fra la spalla e l’orecchio. Spesse occhiaie nere
ne cerchiavano
gli occhi scuri dalla pelle sottostante fortemente emaciata. Il
sostanzioso
fascicolo purpureo che godeva della sua più totale attenzione
incuriosì immediatamente il subordinato, che, subito, vi
gettò lo sguardo non appena fu abbastanza vicino da
leggerne il contenuto. Una calligrafia elegante e leggera - nonostante
l’inchiostro avesse il brutto vizio di macchiare anche quando lo
scrittore
faceva assoluta attenzione ai suoi movimenti -, riempiva le pagine con
una
particolare firma stampata sull’angolo in basso a destra. Un bacio vermiglio. Solo una persona poteva essere il mittente di
quel plico.
- Amèlie? – Il nome uscì dalla bocca del
Caposezione unicamente per spezzare il silenzio appena smussato dal fruscio dei
loro camici.
- E’ arrivato giusto una mezzoretta fa. – La testa
china di Komui si reclinò all’indietro, appoggiandosi contro lo schienale della
poltrona.
Johnny inarcò le sopracciglia,
stupito - Strano, la scadenza per la consegna dei rapporti è fra un mese e
mezzo. –
- Infatti, ma questo non è un resoconto delle sue
attività. Sembra che abbia scoperto qualcosa sulle recenti attività del Conte –,
sospirò il Supervisore, sfilandosi gli occhiali per pulirne le lenti squadrate.
Reever si incuriosì – Di che
si tratta? -
- Spostamenti di Akuma -, rispose il cinese – Sappiamo che dalla
morte del Generale Yeegar la loro
produzione è aumentata, ma pare che ultimamente molti abbiano cambiato schema
comportamentale, formando numerosi gruppi. -
- Innocence? – Ipotizzò il più giovane. Non era raro
che un frammento divino allo stato puro traesse a sé file infinite di quelle
macchine grigie.
- No, ha controllato di persona. – Il castano
sfogliò velocemente i fogli già letti dal superiore – Inoltre, i gruppi
localizzati, oltre a contare numeri davvero elevati perché sia una semplice
caccia al cristallo, puntano tutti la stessa direzione: Est. –
- Forse è un ordine del Conte -, azzardò
nuovamente il ragazzo, sollevando le spalle.
- E’ quello che ha sospettato fin dall’inizio Amèlie,
per questo ha deciso di indagare più a fondo -, li delucidò Komui, incrociando
le dita e appoggiandovi il mento sopra – Non è riuscita a carpire i dettagli,
ma sembra che il Conte del Millennio li stia radunando per un grande evento. –
- Di che genere di evento stiamo parlando, Supervisore?
– La questione si fece più seria e la stanchezza che pesava sulle viscere di
Reever si annullò temporaneamente in un battito d’ali.
Komui tacque per qualche istante, per poi prendere uno
dei fogli letti e porgerlo al Caposezione, di modo che potesse farsi un’idea
della situazione con i suoi stessi occhi. Ciò che l’uomo lesse, lo lasciò basito
e confuso.
Lui è pronto, lui è pronto! A Edo tutto avrà
inizio.
Dalle note melodiche della ninna nanna, le
ceneri dell’Arca Bianca partoriranno la Nera e le sue ali alte si
dispiegheranno alla volta del cielo stellato.
Lui è pronto, lui è pronto! Crepate, Esorcisti,
crepate! La vostra ora è scoccata!
Erano le testuali parole pronunciate da un Akuma
catturato dalla donna prima che esplodesse. L’euforia impressa si percepiva
nonostante fossero state riportate su della comune carta. Reever si astenne
dall’esporre un opinione o dal domandare quale fosse il significato celato
dietro tanto fermento; la cantilena minacciosa che stoppò il suicidio dei pochi
neuroni rimastigli proiettò l’immagine del losco figuro che stava facendo di
ogni città, paese e continente il suo personale circo degli orrori. Perfino Johnny
evitò di dar voce a teorie che, con tutta probabilità, non potevano trovare
sostegno al di fuori delle sue convinzioni: si limitò semplicemente ad
osservare il Supervisore nel mentre componeva un numero e aspettava che
qualcuno, dall’altro capo, gli rispondesse. Un volta tanto, la fortuna volse a
suo favore.
- Voici la
Rose Noire. Comment pouvons-nous répondre à vos souhaits?*
– Il timbro rocco e profondo della voce che si udì
dall'alto capo della cornetta dava l'impressione di danzare su un
terreno inesitente, di sensualità paradisiaca libera di librarsi
attorno a un qualche oggetto interessato che si divertiva a osservare,
pizzicare.
-Amèlie? Sono Komui. –
- Ma guarda un po’…Supervisore, questa sì che è
una piacevole sorpresa -, soffiò ancor più morbido quel suono appena ovattato dall'apparecchio - Cominciavo
a credere che le nostre conversazioni notturne non fossero più di tuo
gradimento. -
- Questo
perché non hai mai tollerato di essere
disturbata da questioni che non costringessero le persone a supplicarti
in
ginocchio –, sorrise lui, memore di quelle parole pronunciate
astiosamente durante una conversazione ancor più appuntita.
- Allora devo dedurre che non ti sono mancata
nemmeno un po’? – Si rammaricò la donna - O forse temevi che la tua dolce Linalee
potesse scandalizzarsi al pensiero che il suo fratellone faccia cose sconce… –
- A-Amèlie! –
L’imbarazzo che ne infiammò la pelle fece scattare le
gambe di Komui sull’attenti, costringendo Reever e Johnny a far leva sui loro
riflessi per impedire che la scrivania si rovesciasse sui loro alluci mentre la
risata divertita della donna godeva di quello squittire strappato con
facilità a dir poco disumana.
- Oh,
Komui, non avertela a male: oramai dovresti saperlo che la tua
pudicizia è un vero toccasana per i miei poveri nervi stressati.
– Amèlie giustificò così lo
stuzzicare l’uomo nel suo punto più vulnerabile, per poi
passare finalmente ad
un argomento che non comportasse l’affogare del poveretto in un
mare di vergogna –
Allora, ha già avvisato gli altri Esorcisti? -
- Non
ancora. Le squadre sono alla ricerca dei Generali e al momento solo le unità di
Nyne e Sokaro hanno risposto alla chiamata. Kanda, Marie e Daisya sono sulle
tracce di Froy Tiedoll mentre Lavi, Linalee… –
- Su
quelle di Cross. Lo so -, concluse lei – Mi sorprendi, Komui:
mettere in gioco l’illibatezza della tua bella
Linalee per costringere quel maniaco a uscire allo scoperto è
una strategia che
ben si addice alla situazione, ma pensavo che, da quale bravo fratello
maggiore sei, avresti fatto l’impensabile per preservare la sua
integrità. – Un’altra
frecciatina velenosa che vide la morte dipingersi sul volto del cinese,
mentre un’ innocua stilografica – afferrata
per puro caso – gli si sbriciolò fra le mani.
Komui Lee non era il genere di uomo che tendesse a
trascurare dettagli insignificanti come il quantitativo di armi per la
Sezione Finder o il numero di zollette nel proprio caffè,
sebbene la stanza
adibitagli recitasse un’impressione contrastante a cotanta
precisione;
il disordine compulsivo sfiorava un livello patologicamente
preoccupante, pari,
se non superiore, a quella salute che oscillava fra il ricovero
immediato e lo
sprizzare adrenalina al solo sapere che la sorella si trovava
all’Ordine e
dunque ben disposta ad allietarne i travagli burocratici con qualche
visita. Aveva personalmente stilato la lista con tutti gli
Esorcisti e organizzato le unità di recupero in base al grado di
idoneità con i Generali da rintracciare, ma al momento di
scegliere i membri
per la squadra di Marian Cross – team maledetto più delle
povere anime
mandate a ripescare lo squartatore messicano che rispondeva al
nome di Winters Sokaro –, non aveva potuto
fare a meno di ponderare la questione quanto bastava da sentirsi
obbligato a
costruire un arsenale di Komurin pronti per essere spediti in ogni
angolo del
globo. L’essenza dell’uomo dai capelli rossi stentava a
combaciare con il titolo
di cui era stato insignito: ruotava attorno a una serie di aggettivi
capricciosi e osceni che ricalcavano con fedeltà quasi al limite
della verità
umana un carattere avvezzo alla manipolazione e alla noncuranza altrui.
Eppure
non gli si poteva rimproverare che quella carica da lui sfruttata come
un
comune accessorio fosse del tutto immeritata: a fare di un comune
Esorcista un
Generale era la sua simbiosi con l’Innocence e si dava il caso
che le abilità
di Marian Cross sconfinassero pericolosamente da qualsiasi potere
acerbo. Ma nella mente di Komui il tutto si mescolava alla
rinfusa sotto i tocchi stanchi delle sue dita che cercavano di placare
il
pulsare delle tempie; figurarsi sua sorella minore alla mercé di
un uomo che
scialacquava la sua vita fra vini e donne lo infiammò di
adrenalinici propositi
omicidi che videro il giovane Johnny Gill supplicare la signorina
Amèlie di smetterla prima
che il Caposezione Reever fosse costretto a intervenire con dei
tranquillanti.
- Mettendo a parte gli scherzi, ti consiglio di
avvisare l’unità di Cross e di ragguagliarla con le informazioni che ti ho
spedito. La faccenda è piuttosto seria. – La voce della donna, assunse la
fermezza necessario a riallacciare il filo del discorso perso.
L’attenzione del Supervisore riemerse con l’inforcare dei
pratici occhiali da vista sul viso ovale - Quanto è grave? –
Dall’altra parte del telefono si udì un leggero mugugno
annoiato – Non credo che la questione verta sulla gravità del contesto generale,
ma sulla nostra tempistica. Quello che posso dirti è che conosco
sufficientemente bene Cross da sapere che i suoi spostamenti seguono sempre una
linea precisa: se sta indagando sulla pista di Edo come sospetto, è certo che
ci stia lavorando da molto più tempo di noi. –
- E’ una possibilità. – La fiocca asserzione accompagnò
il lento abbandonarsi della nuca contro lo schienale della poltrona.
Il movimento si era ripetuto
continuamente, in quelle giornate interminabili, dove il giorno e la notte si
fondevano in un interrotto tutt’uno imprigionato nelle mura del castello; la
leggera curvatura scavata nella stoffa accoglieva la sua testa affollata di
opprimenti preoccupazioni senza lasciar spazio ad alcunché di vagamente
piacevole. Non che ci fosse da stare allegri, il Conte del Millennio viveva per
elargire soggezione sul futuro già incerto di tutti quanti loro, ma una volta
era maledettamente facile perdersi nelle piccolezze della quotidianità. Guardò
con rammarico la tazza viola sgargiante che Linalee gli riempiva sempre di
caffè, ora fredda e vuota, e subito le palpebre calarono sulla dolcezza
scaturita per non dover essere costretto a ricordare l’abominevole discrepanza
che li vedeva insieme e al tempo stesso separati per circostanze di ruolo. Il
suo posto era lì; fra almanacchi e
incognite , equazioni e dicerie da soppesare con metro comprendente
un’onniscienza che Komui – come spesso asseriva quando il carico di lavoro era
sul punto di schiacciarlo - doveva
mendicare da fonti altrui.
Il suo problema era l’indugio
che talvolta lo attanagliava nel comporre il numero di Amèlie qualora un
ipotetico dubbio si fosse rivelato, agli occhi della donna, una sciocchezza facilmente
scaricabile a qualche altro collaboratore: la sua efficienza aveva finito per
creare una sorta di dipendenza che il Supervisore tentava di tenere sotto
controllo per non oberare le spalle dell’Esorcista più di quanto già non
fossero, ma prendere atto che la sola soluzione valida al problema Cross si
trovasse dall’alto capo del telefono, non fece altro che spingerlo nell’unica
direzione plausibile.
- Ti chiedo scusa, Amèlie: immagino che avrei
dovuto rivolgermi a te fin dall’inizio -, sospirò – Confidavo sul fatto che Allen-kun
conoscesse lo schema comportamentale di Cross per poterlo rintracciare, ma… -
- Allen? – Accigliata, Amèlie raddrizzò la schiena–
Un nuovo Esorcista? –
- Sì, è entrato a far parte dell’Ordine da qualche
mese, sotto raccomandazione di Cross in persona. –
- E’ un suo allievo?
– Komui deglutì al brusco cambiamento che la cordialità della donna assunse.
Sicuramente si era sollevata in piedi, calma, ma anche irritata per quella
trascuranza che subito non mancò di fargli pesare - E quando avevi intenzione di
ragguagliarmi a tal proposito? –
- Non prendertela con me, non posso mica arrivare
da tutte le parti! – Si lagnò lui, gesticolando con le braccia, incurante della
propria dignità che definitivamente scemava d’innanzi ai suoi sottoposti, più
stanchi che sbigottiti – Komui fa questo, Komui fa quello…Sono chiuso nel mio
studio da secoli, incatenato alla scrivania e senza un attimo di...! -
- Hai finito? – Le labbra vermiglie
schioccarono lapidarie e il Supervisore si immobilizzò con la spina dorsale
completamente ghiacciata. Perfino il Caposezione Reever e Johnny tacquero con
il respiro al limite della percezione uditiva. Nel silenzio contenuto fra le
nuda mura di pietra, la soggezione di Amèlie calcava sui loro animi come se
fosse stata lì, presente, a bacchettarli con i suoi fini occhi di purissima
onice nera – Dove si trova l’unità? –
- Ah…Da
qualche parte in Germania, stando alla loro ultima chiamata. Purtroppo Lavi e
Allen-kun si sono separati da Linalee e dal vecchio Bookman: sembra che siano riusciti
a trovare un altro compatibile. –
- Li hai sentiti per telefono? -
- Sì. –
- Perfetto, dammi la loro attuale posizione. Li
recupero io. –
- Puoi permettertelo? – Komui si pronunciò fermo,
ricomponendosi dietro un’espressione di concentrata serietà che ne affilò i lineamenti
orientali .
Aveva le sue buone ragioni per porre quella domanda di
senso apparentemente inesplicabile, tuttavia non si trattava di qualcosa che
potesse ricollegarsi a una salute cagionevole da parte dell’Esorcista. La sua
era ordinaria amministrazione, messa in termini pratici; velata dalla consueta
nota morbida che sapeva inserire in ogni discorso, si ergeva precisa e ferma
anche con l’animo piegato per le perdite tuttora in aumento.
- Leggi tutto il rapporto fino in fondo e agisci
di conseguenza, Komui -, asserì la donna – Dell’unità Cross mi occuperò io
personalmente. Sono rimasta in disparte dalla caccia solo per assicurarmi che
le nostre retrovie non fossero vulnerabili, ma non ho intenzione di perdermi la
prima di questa grande guerra. O forse ritieni superfluo il mio supporto
bellico? –
- Non mi permetterei mai di dirlo -, giurò lui.
- Inoltre, sono molto curiosa di conoscere questo
Allen di persona -, proseguì lei, attorcigliandosi attorno all’indice il
filo della cornetta - Non mi piace che mi si rubi l’esclusiva. – Sottolineò quelle
ultime parole come se fosse appena diventata vittima di un sopruso
inammissibile, a suo giudizio, di quelli che facilmente sanabili con soluzioni
includenti metodi drastici. Eppure, appena insita sotto il tono sommesso,
balenò una maliziosità assetata di divertimento.
- Io sono sicuro che ti piacerà -, affermò
convinto l’uomo.
Spesero i restanti minuti della telefonata a delucidare
le rispettive informazioni in uno scambio che alla fine si concluse con l’ultimo
indirizzo lasciato a Komui dal piccolo gruppo dipartito; qualunque giro
avessero compiuto per arrivare alle di Miniere
di Kirilenko ora aveva meno importanza del fatto che nessuno dei dispersi
fosse più riuscito a mettersi in contatto. Posata la cornetta, Amèlie inclinò il mento verso il
basso, portandosi la mano rimasta pigramente appoggiata al bracciolo della
poltrona vicino alle labbra. La boccata di nicotina che rilasciò dopo una
profonda tirata oscillò nella fluttuante penombra prodotta dalle candele del suo
alloggio, sgonfiandosi come un palloncino dopo aver esaurito la carica con cui
era stata rilasciata. Soppesare il dà farsi ne scopriva gli occhi sensuali
opacizzarsi dietro una maschera d’assoluta indifferenza per qualsiasi altra
questione o vano sentimentalismo; risolveva tutto in una manciata di secondi,
amplificati in secoli nella sua personale realtà che non teneva conto di
eventuali intereventi esterni.
Un suo allievo.
Stonava. Cazzo, se stonava! Un allievo
maschio entrato a far parte dell’Ordine Oscuro sotto raccomandazione di Cross
stesso.
Che diavolo aveva combinato, quel
bastardo ingrato? Preferì sospirarci sopra con un'altra boccata
di fumo acre prima che il nervoso potesse salire a livelli
compromettenti
- Allez, ma
chérie* –, chiamò poi, schiacciando la punta della sigaretta nel
posacenere.
I contorni di una figura minuta la affiancarono senza
lasciar alcuna scia uditiva dei suoi passi. Aveva ascoltato tutta la
conversazione rimanendo sulle sue fino a quell’ordine che non si
sarebbe mai permesso di sostituire con una domanda o una spassionata opinione solo
per spezzare il prolungarsi del silenzio. Le gentilezze della Maitresse della Rosa Nera gli erano fin
troppo care per giocarsene anche solo uno.
- Avverti Bernadette di occuparsi degli ospiti e
di preparare anche delle stanze. Io devo uscire a caccia. -
Note di
fine capitolo.
1*: Qui è
la Rosa Nera. Come possiamo soddisfare i vostri desideri? (Francese)
2*: Vieni
avanti, tesoro mio (Francese).
Primo capitolo risistemato! Un bacione e un ringraziamento a tutti
quanti! So che può sembrare inutile sistemare
capitoli già postati anzichè metterne di nuovi, ma la
verità è che grazie alla mia storia mi sto gradualmente
evolvendo e nel rileggere vecchi lavori mi sono ritrovata a
pensare a quanto potrei migliorarli, anche per il bene della trama, con
un pò di pazienza e dedizione. Amèlie
è un personaggio oscuro per un mucchio di ragioni personali
e immagino comprendiate il disagio nel realizzare che
scrivendo, parte dell'immagine che si crea nella propria
mente, va un pò a perdersi in una scrittura che dopo
diverso tempo appare incompleta. La revisione, graduale e lenta
della mia opera, mira a valorizzare la sua personalità,
quindi, a chiunque piaccia Hell's Road, spero che questo lavoro
in più da parte mia venga apprezzato. A presto e un saluto a
tutti quanti!