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Autore: LiberTea    08/03/2013    3 recensioni
Avevamo litigato di nuovo.
Non so nemmeno perché. Per una stupidaggine sicuramente, come al solito. La discussione era finita sul personale, un po’ troppo sul personale, come al solito. Su quella dannata guerra, sulla mia dannata Indipendenza, come al solito.
E ci eravamo feriti a vicenda senza nemmeno un motivo valido. Come al solito.
"If you're lost and alone, or you're sinking like a stone
Carry on"
Genere: Angst, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Carry on

Avete presente quelle volte in cui le parole escono dalla bocca senza nemmeno passare dal cervello? Ecco, detesto con tutto il cuore quelle volte.
Perché è come una sbronza, quando torni in te ti rendi conto di aver detto cose che normalmente non ti sogneresti nemmeno di pensare. E ti odi, ti odi da morire, perché sei riuscito a incasinare tutto.

 

Well I woke up to the sound of silence 
The cars were cutting like knives in a fist fight 

 

Avevamo litigato di nuovo.
Non so nemmeno perché. Per una stupidaggine sicuramente, come al solito. La discussione era finita sul personale, un po’ troppo sul personale, come al solito. Su quella dannata guerra, sulla mia dannata Indipendenza, come al solito.
E ci eravamo feriti a vicenda senza nemmeno un motivo valido. Come al solito.

“Sei ossessivo! Non puoi portare rancore per una cosa successa tre secoli fa. Tre secoli fa, capisci?!”

Si stava sforzando di non piangere. Me ne rendevo perfettamente conto.

“No, sei tu che non capisci. E sai perché? Perché non sei altro che…”

“Lasciami indovinare”, lo avevo interrotto, con tono sarcastico, “Un ragazzino egoista. Giusto?”

Aveva boccheggiato un paio di volte, forse alla ricerca di qualcosa, qualsiasi cosa, con cui ribattere. Poi, in un lampo di frustrazione, si era morso il labbro e aveva abbassato il capo, trattenendo nuovamente quel singhiozzo che non arrivava.
Era strano vederlo così. Proprio lui, che sfoderava sempre una risposta pronta, che non era soddisfatto se non poteva avere l’ultima parola.
Avrei dovuto capire che qualcosa non andava.

“Lo vedi?”, aveva mormorato, “E’ solo colpa tua. E’ sempre colpa tua.”

E alla fine la sua voce si era davvero spezzata. Avevo intravisto una lacrima scendergli sul viso.
A quel punto mi aveva dato le spalle ed era corso via, senza nemmeno guardarmi negli occhi.

 

And I found you with a bottle of wine 
Your head in the curtains 
And heart like the fourth of July 

 

New York è una grande città, questo è vero. Ma io lo conoscevo, e sapevo esattamente dove trovarlo.
C’era un piccolo bar a Manhattan. Troppo piccolo e troppo buio per essere frequentato dagli impiegati snob della Grande Mela che frequentavano il distretto, ricordava vagamente uno di quei fumosi pub irlandesi pieni di loschi figuri.
Un luogo perfetto, insomma, per un inglese desideroso solo di bersi anche l’anima e con quella il suo dolore.

Lo vidi subito, quando entrai.
Era seduto in un angolo. Teneva la testa tra le braccia, appoggiate sul piccolo tavolino scuro. Davanti a lui, una bottiglia mezza vuota di quello che sembrava rum, e un bicchiere perfettamente pulito. Questo non era un buon segno: se aveva preso a bere a collo sin dall’inizio, se non aveva cercato di darsi quel minimo di contegno da gentleman, la situazione era più grave del previsto.

“Ti ho trovato.”

 

You swore and said 
We are not 
We are not shining stars 
This I know 
I never said we are 

 

I suoi occhi verdi si alzarono di scatto verso di me. Erano arrossati e umidi, così come le sue guance.
Quel barlume di stupore che avevo letto sul suo viso si trasformò velocemente in un tagliente odio; ma riuscivo comunque a vedere un’ombra di profonda tristezza, in quelle due schegge di smeraldo.

“Perché sei qui? Voglio stare da solo.”, sibilò a denti stretti, passandosi una mano sul volto.

Presi un profondo respiro: “Ascolta, mi dispiace per prima. E so che anche a te dispiace, perciò possiamo metterci una pietra sopra come al solito e andare avanti con la nostra vita?”

Non feci nemmeno in tempo a finire la frase, che lui scoppiò a ridere. Sembrava sinceramente divertito, ma poteva benissimo essere per via dell’alcol.

“Sei solo uno stupido, sai?”, disse, “Davvero credi che basti chiedermi scusa? Davvero pensi che un ‘mi dispiace’ cancelli tutto? Non siamo bambini, non più.”

Alzai gli occhi al cielo, e mi decisi a sedermi di fronte a lui: la cosa sarebbe andata per le lunghe evidentemente.

“Cosa dovrei fare allora? Prostrarmi ai tuoi piedi? Chiedere il tuo perdono in lacrime? Sai che non lo farò mai.”

Lui annuì, e il suo viso si aprì in un sorriso amaro.

“Oh, lo so perfettamente. Ma, vedi, è proprio questo il problema: non c’è nulla che tu possa fare. Nessuno di noi può fare qualcosa per cambiare tutto questo.”

Corrugai la fronte. Non capivo più di cosa stessimo effettivamente parlando. Sapevo solamente che quell’espressione sul suo viso, e i suoi occhi che stavano ricominciando a riempirsi di lacrime, non mi piacevano per niente.

“Arthur, dimmi qual è il problema.”

“Il problema sei tu, Alfred. Il problema siamo noi.”, sbottò di scatto, lanciandomi uno sguardo di bruciante disperazione, “E speravo…avevo sperato che lo avresti capito da solo. Hai solo reso le cose più difficili, non avrei mai, mai, dovuto darti ascolto. Sono stato un idiota.”

Detto questo, si era alzato con foga ed era uscito dal locale con passo svelto, lasciandomi allibito mentre quel brutto presentimento diventava ormai una certezza.

 

Though I've never been through hell like that 
I've closed enough windows 
To know you can never look back 

 

Aveva iniziato a piovere, fuori. Ma nessuno dei due sembrava curarsene.
I lampioni illuminavano quelle strade ormai deserte, con una luce irreale sopra la quale i grattacieli si stagliavano cupi e minacciosi contro un cielo nero come la pece.

“Arthur, fermati dannazione! Non puoi pretendere che le persone capiscano quello che frulla nella tua testolina!”

Avevo urlato, ma lui non aveva accennato a fermarsi. Stretto nel suo cappotto nero, procedeva spedito in una direzione in apparenza ben precisa, ma che di fatto, lo conoscevo, non portava da nessun’altra parte se non semplicemente lontano da me.

Iniziai a correre, le gocce gelide si infrangevano contro il mio viso, si infilavano sotto la mia giacca facendomi rabbrividire.
Ma non mi importava. Non in quel momento.

Lo raggiunsi con un ultimo scatto, e lo afferrai per le spalle, facendolo girare verso di me e costringendolo così a guardarmi negli occhi. Sembrava solo molto stanco, a quel punto.

“Arthur, ti prego…”, mormorai, supplicandolo con gli occhi.

Lui abbassò il capo, ma non si scostò. “Ti ricordi quando dicesti di amarmi?”

Quella domanda mi colse impreparato. Era completamente fuori luogo, talmente tanto da essere quasi coerente, pensandoci.

“Ovviamente. Anche quella notte pioveva. Certo, eravamo dall’altra parte dell’oceano, a Londra. Però non era poi molto diverso da ora.”

Lo vidi sorridere debolmente. “E’ qui che ti sbagli. E’ tutto diverso, io sicuramente lo sono. Perché quella notte, Alfred, siamo stati così immaturi.”

Pendevo dalle sue labbra. Perché sapevo che ogni parola che diceva rivelava un piccolo frammento dei suoi pensieri. E Dio, quanto desideravo conoscerli, e quanto li temevo allo stesso tempo.

 

If you're lost and alone 
Or you're sinking like a stone 
Carry on 
May your past be the sound 
Of your feet upon the ground 
Carry on 

 

“Anche tu hai detto di amarmi. Che mi avevi amato sempre.”, risposi, mentre i ricordi di quella serata cominciavano a fluire nella mia mente.

“E infatti è così.”, disse con sicurezza, nonostante la voce gli tremasse, “Ma non possiamo cancellare il passato. Non possiamo sperare di ripartire da zero. Siamo immortali, ma non per questo dimentichiamo più in fretta.”

Prese un profondo respiro, sbattendo un paio di volte le palpebre. “Guardaci, Alfred. Non siamo felici. Non siamo mai d’accordo, litighiamo sempre, continuiamo a ferirci a vicenda. Credi che questo sia amore?”

Avvertii un nodo formarsi all’altezza della mia gola. Perché mi sentivo così irrimediabilmente triste? Perché desideravo che quello fosse un incubo, e non la realtà.

“Ascoltami, so che non siamo proprio una coppia perfetta, una di quelle che si vedono nei film. Ma non possiamo permettere che il rancore ci divida per sempre. Sarebbe stupido, Arthur, troppo stupido perderti così.”, dissi cercando di mantenere la calma, cercando di pensare con lucidità, nonostante tutto quello che avrei voluto fosse abbracciarlo, baciarlo fino a togliergli il respiro, fargli capire che era mio e che sarebbe andato tutto bene.

Lui scosse il capo con rassegnazione, guardandomi con un mesto e tenero sorriso sulle labbra. Odiavo quello sguardo. Era quello che mi riservava quando ero ancora la sua colonia, quando si limitava a scompigliarmi i capelli e mormorare: “Non puoi capire, Alfred. Sei troppo piccolo.”. E io allora gonfiavo le guance e chiedevo quando sarei stato abbastanza grande. Ma lui non rispondeva mai.
Probabilmente, nemmeno se glielo avessi domandato in quell’occasione, sotto quella pioggia scrosciante, mi avrebbe dato risposta.

“Il tuo problema”, dissi dopo un lungo silenzio, “E’ che non sai andare avanti.”

La sua bocca si piegò in un sorriso amaro.

“E il tuo è che sei un imbecille.”

“No, ascoltami.”, proseguii prendendogli il viso tra le mani, “Tu sei fermo al passato. Dici di essere stato stupido quella sera, quando hai deciso di riprendermi nella tua vita, e che è stata una gran cazzata. Ma sai cosa? Non è vero. Quella volta hai semplicemente messo da parte l’Indipendenza, il quattro luglio e il Boston Tea Party e hai detto tra te e te: Ehi, forse questo cretino di un americano mi ama davvero!”

Avevo pronunciato quelle ultime parole tentando di imitare la sua voce, e questo gli fece storcere il naso: “Io non parlo così! Non ho quella stupida voce nasale, il mio accento non è così marcato, e-“

“E credo di aver capito”, continuai interrompendolo, “che la verità è che ora come ora hai fatto i tuoi stupidi e nevrotici calcoli e hai deciso, nella tua piccola testolina malata, che finirò con il farti soffrire ancora! E l’eventualità che possa succedere di nuovo ti terrorizza.”

“Ma-“

“Però non succederà, e non chiedermi come posso dimostrartelo, perché la verità è che non lo so. Ed è buffo, non trovi? Che una cosa così semplice sia così complessa da spiegare. Io ti amo, ecco tutto.”

Non riuscivo a distogliere lo sguardo dal suo viso, che stavo ancora stringendo tra le mani, dai suoi occhi verdi, così magnetici, che mi terrorizzavano e mi attraevano al tempo stesso, e che in quel momento mi guardavano scintillanti di rassegnazione e speranza.

Si inumidì le labbra, nonostante fossero già imperlate di gocce di pioggia, e fissando un punto imprecisato di fianco al mio volto mormorò, serio: “Cosa ami di me?”

 

Cause we are 
We are shining stars 
We are invincible 
We are who we are
 


Mi scappò una mezza risata. Non erano da lui certe domande, più adatte a una fidanzatina del liceo piuttosto che a una nazione segnata dalle cicatrici del tempo. Tuttavia, gli accarezzai dolcemente la guancia bagnata con il pollice, e risposi così, senza pensare, certo che quello che dovevo dire, e che lui desiderava sentire, sarebbe uscito direttamente dal mio cuore.

“Amo i tuoi occhi, e i tuoi capelli perennemente incasinati. Amo le lentiggini che ti spuntano sul naso quando prendi un po’ di sole, anche se tu le detesti, e sì, anche quelle tue sopracciglia adorabilmente enormi. Amo il tuo profumo, perché sa di pioggia e di the. Amo la tua cucina terribile, e la tua fissazione per quelle creaturine fatate. Amo guardarti quando non te ne accorgi, quando sei assorto durante i meeting, quando leggi, o quando dormi e mi rubi tutte le coperte. Amo quando arrossisci, amo quando ti arrabbi ma non fai sul serio, e amo quando non riesci a tenermi il broncio e ti sfugge quel sorriso sull’angolo della bocca. Amo da morire anche la tua bocca, pensandoci, ma non credo sia il momento più adatto per dilungarmi sulle motivazioni, perché penso che potresti schiaffeggiarmi. Amo la tua camminata, e amo la fierezza che hai negli occhi. Ma sai”, dissi infine, come se mi fosse venuto in mente solo in quel momento, “credo che la cosa che amo di più di te sia il modo in cui tu ami me.”

Era colpito, Arthur. Non riuscivo a indovinare se in bene o in male; ma glielo leggevo in faccia, mentre avvertivo il calore che gli era salito alle guance contro i palmi delle mie mani.

A un tratto, prese un profondo e lento respiro.

“Sei un idiota. Un grosso, grossissimo idiota a cui io non dovrei dare ascolto nemmeno per sbaglio. La cosa più intelligente che potrei fare sarebbe andarmene, ecco. Lo so già, mi pentirei amaramente di qualsiasi altra decisione. Però”, la sua voce tremò appena quando incatenò il suo sguardo al mio, “Non posso tollerare che mi si dia del nevrotico che non riesce ad andare avanti.”

Detto questo, in un attimo, annullò la distanza che separava i nostri visi e immediatamente avvertii le sue labbra bagnate contro le mie, le sue braccia intorno al mio collo.
Fu un bacio prepotente, provocatorio, ma di una dolcezza infinita: le sue labbra, a tratti violente e affamate, in alcuni istanti diventavano invece carezzevoli e delicate come non erano mai state prima. Voleva farmi capire che dopotutto era sempre lui ad avere il controllo della situazione, voleva accertarsi che rimanessi davvero accanto a lui per sempre come gli avevo promesso, in una sorta di implicito monito e silenziosa preghiera. E io mi sentivo così stupidamente felice che ricambiai con tanto entusiasmo da togliere il respiro a entrambi.

Quando si allontanò da me, mi lanciò un sorrisetto soddisfatto. Dopodichè sciolse definitivamente l’abbraccio in cui ci eravamo stretti inconsapevolmente, e si allontanò nuovamente dandomi le spalle, non senza avermi prima invitato a seguirlo con lo sguardo. Io lo affiancai all’istante.
Le nostre mani si cercarono per poi intrecciarsi con una spontaneità incredibile.

“Siamo fradici, ed è solo colpa tua.”, disse lui fingendosi scontroso, ma venendo smentito dall’espressione divertita che aveva sul volto.

Non riuscii a trattenere un sorriso: “Non so in base a cosa la colpa sia mia, ma comunque ne è decisamente valsa la pena.”

Alzò gli occhi al cielo: “Ora non montarti la testa. Rimani comunque un idiota, megalomane, esaltato, insensibile-“

“Ehi, ehi, frena!”, lo interruppi, “Ti ricordo che tu lo ami questo idiota-megalomane-esaltato-insensibile-eccetera eccetera!”

Arthur mi lanciò un sorrisetto sornione: “Mh, forse.”

“C-Come sarebbe…?!”

“Stavo solo scherzando!” esclamò lui prima che riuscissi a concludere la frase, “Lo vedi che sei un idiota?”

“Dopotutto”, mormorò, mentre avvertivo la sua presa sulla mia mano farsi impercettibilmente più stretta, “Se ti ho permesso di farmi cambiare idea, un motivo c’è.”

Mi avvicinai di più a lui, arrivando a far sfiorare le nostre spalle.
Sapevo perfettamente quale fosse il motivo di cui stava parlando. Ma non feci domande, non dissi nient’altro e lo stesso fece lui. Perché andava già bene così, perché eravamo lì, sotto quella pioggia battente, nessuno dei due sentiva il bisogno di correre al riparo, di chiamare il primo taxi disponibile, e c’era quell’elettrica ed euforica felicità che vibrava nell’aria ogniqualvolta i nostri sguardi si incrociavano.
C’era, insomma, quel piccolo momento, un presente che sembrava valere tutto il  nostro passato e, ora ne ero certo, tutto il nostro futuro.

 

On our darkest day 
When we're miles away 
So we'll come 
We will find our way home 


Angolino dell’Autrice:
No, non so cosa ho appena scritto nè perchè. E’ solo che mi sembrava carino farvi sapere che sono viva e che non ho rinunciato al mio intento di rompervi le scatole su EFP. Quindi ecco, tanto per cambiare una song fic su questi due. Perché la canzone è veramente bella, e i FUN sono davvero bravi (a differenza della fanfiction e di quella nullafacente della sua autrice, coff coff). Perciò sì, andate a sentirvela, da bravi. E magari se siete in vena lasciatemi anche un commentino, o una critica costruttiva, o il vostro codice di avviamento postale, a voi la scelta (?).
E oh, quasi dimenticavo: vorrei ringraziare la mia Cucchiaia, che di recente mi ha dedicato una fic bellissima e che ha aspettato pazientemente che io finissi questa cosa. Grazie mille, donnaH :’)
Con questo, passo e chiudo.

See ya soon, people!

 

   
 
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