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Autore: Alopix    09/03/2013    3 recensioni
Cato e Clove.
Due Favoriti, i tributi più odiati da quelli degli altri distretti, ma idolatrati e portati in gloria a casa, nel loro.
Ma com'è la vita di un Tributo Favorito, aldilà della gloria e dell'onore?
Enjoy :)
(Sì, le mie introduzioni sono sempre spettacolari, eh)
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Cato, Clove
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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THE RULER AND THE KILLER

 
 
“What shall we use to fill the empty spaces 
Where waves of hunger roar? 
Shall we set out across the sea of faces 
In search of more and more applause? 
Shall we buy a new guitar? 
Shall we drive a more powerful car? 
Shall we work straight through the night? 
Shall we get into fights? 
Leave the lights on? 
Drop bombs? 
Do tours of the east? 
contract diseases? 
Bury bones? 
Break up homes? 
Send flowers by phone? 
Take to drink? 
Go to shrinks? 
Give up meat? 
Rarely sleep? 
Keep people as pets? 
Train dogs? 
Race rats? 
Fill the attic with cash? 
Bury treasure? 
Store up leisure? 
But never relax at all 
With our backs to the wall.”
[Pink Floyd- What shall we do now?]* (N.d.A)
 

 

 

Capitolo 10

“Va’ al diavolo, Cato!”.

Le parole di Clove continuano a risuonarmi nella testa, mentre la guardo allontanarsi a rotta di collo per i corridoi della scuola.
 Sarà almeno la ventesima volta che gliele sento pronunciare.
Dal giorno in cui sua madre è morta, circa due settimane fa, ho provato in tutti i modi a riavvicinarmi a lei.
Bè, non da subito, in realtà.
All’inizio l’ira era troppo prevalente per poter pensare lucidamente. All’inizio non sapevo neanche il motivo per cui mi fossi infuriato così tanto. Perché, il fatto che mi stesse scombussolando i piani, o che non mi aspettassi assolutamente che si ribellasse non bastava a spiegare la mia reazione. Per quanto io sia una testa calda ultra-suscettibile non sarebbero stata una motivazione sufficiente.
E’ il fatto che mi stesse rifiutando che mi ha fatto scattare. L’ho capito solo dopo.
Ero talmente sicuro di me, da non pensare assolutamente di poter fallire. Non mi era passato neanche per la testa.
Mi sono sentito stupido. Avventato. Arrogante. Fallito.
Per questo mi sono arrabbiato -per quanto “arrabbiato” sia un eufemismo.
Non era con Clove che ce l’avevo.
Era con me.
Il piccolofallito.
Se lo sapesse mio padre… Non ci voglio nemmeno pensare. Già non ha la minima fiducia in me, figurarsi.
Poverino, penso.Che colpo gli verrebbe se sapesse che il suo inettoed inutilefiglio non sa neanche portare a termine il suo stesso piano e conquistarsi la fiducia della sua futura Partner nei Giochi.
Sferro un pugno al muro, in preda alla frustrazione, facendo sobbalzare un paio di ragazze vicino a me.
Devo avere un’espressione spaventosamente furiosa in volto, ma, contrariamente a come farei di solito, ora non sorrido alla vista dei loro visi preoccupati. Tutto quello che guadagnano è un sguardo velenoso. Infatti, scappano via.
Fortunatamente per loro.
Non sono dell’umore adatto per rapportarmi a chiunque.
Ultimamente, anche i professori mi evitano.
Da quando mi sono reso conto della mia incredibile stupidaggine, circa tre giorni dopo la morte della madre di Clove, sono stato completamente intrattabile. Con chiunque.
Non che abbia mai avuto un carattere da angioletto, eh.
Solo, lo sono stato più scorbutico del solito.
E il fatto che Clove non accenni minimamente al volermi perdonare non aiuta molto.
Ormai, sono quasi due settimane che mi sono deciso a passare sopra al mio orgoglio - a calpestarlo, letteralmente- e a chiederle scusa.  
Giuro, non penso di aver mai chiesto scusa a qualcuno, prima.
Ma, a un certo punto, nel mezzo della notte, mentre mi arrovellavo mentalmente scrutando ogni possibile via di fuga da questa situazione, mi sono reso conto che così, ancorato nel mio orgoglio, non sarei andato da nessuna parte. Sapevo di aver rovinatotutto.
 Tutte le mie conquiste.
Tutto quello che avevo costruito in quasi un anno di lavoro.
Tutto distrutto, inesorabilmente.
Solo perché sono un’idiota, avventato, troppo sicuro di sé, mi dico acidamente, rimproverandomi, mentre ripenso a quella tremenda notte di decisioni ed elucubrazioni mentali. Un'altra parete si becca un mio pugno.
L’avevo persa. Così. Stupidamente.
Non si fidava più di me. Ed io avevo sprecato tutto quello che avevo fatto.
Dire che mi sentissi un’idiota sarebbe un eufemismo.
Un’idiota sconfortato e arrabbiato con sé stesso come non mai, ecco. Questa definizione è più calzante.
Così, dopo molte lotte con me stesso e il mio ego, durate ben tre giorni, durante i quali avrò cambiato idea sul come agire almeno dieci volte ciascuno, mi sono fatto coraggio e sono andato contro qualsiasi principio mi abbia mai spinto ad agire finora. Ho deciso di scusarmi con lei.
Avrei dato la colpa al caldo.
O alla stanchezza.
O al fatto che volevo consolarla.
…mi sarei inventato qualcosa, ecco.
E’ certamente il piano più folle che io abbia mai messo a punto, certo, ma si tratta pur sempre di un piano da disperato.
In realtà, le occasioni che ho di parlare con Clove, ultimamente, sono molto limitate.
Lei è ancora in convalescenza per via della sua gamba, quindi, ovviamente non viene ad allenarsi.
Infatti, Hugo si sta dando alla pazza gioia con me, assegnandomi gli allenamenti più duri e stancanti che gli vengono in mente. Ho messo su un bel po’ di muscoli nell’ultimo periodo. Ad essere sincero, devo ammettere che come allenatore non è poi così male. E’ solo molto ingiusto spesso e volentieri e prova un piacere perverso nel vederci soffrire e faticare, ma, fino a che continuo a migliorare ed imparare, va bene.
Poi, se non ci facesse faticare, probabilmente me ne lamenterei.
e perché continuo a parlare al plurale?, penso frustrato, quando me ne rendo conto. Do un nuovo cazzotto ad un'altra parete. Se continuo così la mia mano non si ritroverà in una buona situazione.
E chi lo se lo sorbirà, allora, Hugo?
Prima arrivo alla mensa, meglio sarà.
Così avrò un po’ di tempo libero per cercare di escogitare un piano migliore per riavvicinare Clove.
…e non ci saranno troppi muri a portata di mano.
Affretto il passo, cercando di concentrarmi solo sui miei piedi.
Uno. Due. Tre. Quattro. Cinque passi, inizio a contare.
Un modo come un altro per tranquillizzarmi.
Sei. Sette. Otto.
Per non pensare.
Nove. Dieci. Undici.
Per distrarmi.
Non avevo mai notato che le mattonelle del pavimento fossero grigie.
Dodici. tredici. Quattordici. Quindici.
Devo resistere solo un altro poco.
E’ lì, la mia meta.
Sedici. Diciassette. Diciotto.
Diciannove.
Venti.
Appena varco la soglia della mensa scolastica tiro un sospiro di sollievo.
Non ho risolto niente, certo, ma almeno sono riuscito a giungere a destinazione senza distruggermi la mano.
Non del tutto, almeno.
…Devo pur riuscire in qualcosa, no?                   
Scuoto la testa, nervosamente.
Non è questo il modo in cui devo pensare.
Io vinco.
Io ce la faccio.
Io sopravvivo.
Do un’occhiata in giro, scrutando i visi delle persone che affollano la sala, nella speranza di scorgere Clove da qualche parte, malgrado io conosca già la risposta.
L’ho vista allontanarsi nella direzione opposta a quella in cui mi trovo io ora.
Non abbiamo mai gli stessi orari, io e lei.
Sbuffo sonoramente.
In qualche modo dovrò pur uscire da questa situazione.
Afferro le prime cose commestibili che mi trovo davanti, senza fare veramente caso a quello con cui mi sto riempiendo il vassoio, e mi allontano alla ricerca di un tavolo, facendo sobbalzare ed arretrare un altro paio di ragazzi.
Evidentemente non mi sono calmato neanche un po’.
Non che ci sia molto di cui stupirsi.
E’ Clove quella brava nell’autocontrollo.
…E se continuerò a citarla ogni punto e momento, la calma e l’autocontrollo saranno solo un sogno lontano, penso, con rabbia.
Il mio vassoio non si rompe per poco.
Pochissimo.
Non posso andare avanti così. Non posso proprio.
Tutti i tavoli sono occupati, noto. Per un momento prendo in considerazione l’idea di andare direttamente ad allenarmi, ma l’abbandono quasi subito. Anche perché senza allenarsi senza aver mangiato non è mai una grande idea.
Non che ultimamente le mie idee siano sempre geniali.
In un angolo scorgo un paio di quelli che potrebbero considerarsi miei amici. A dire il vero, non c’è nessuno di cui io mi fidi o a cui io sia veramente affezionato. Questo non mi è permesso. Ma un piccolo gruppetto di persone con cui passare il tempo ce l’ho. Per la maggior parte sono figli di altri pezzi grossi del Distretto, amici di mio padre e, comunque, tutti Favoriti. Di cui io sono l’indiscusso capo.
Per questo non potrebbe mai esserci un vero rapporto d’amicizia fra noi. Siamo tutti in competizione per entrare nell’Arena.
C’è solo un tributo maschio l’anno.
Qui nel Distretto Due abbiamo una tradizione: che i tributi volontari per ognuno dei Giochi vengano selezionati prima, fra i Favoriti diciottenni, in maniera tale da potersi assicurare una vittoria quasi sicura. Infatti, il nostro Distretto è quello con più Vincitori in assoluto. Anche più rispetto all’Uno e al Quattro, che pure sono Distretti Favoriti.
Quindi c’è sempre una certa rivalità, fra noi dello stesso anno.
Anche se gli altri non si sognerebbero mai di mettersi contro di me.
Troppo pericoloso.
Mi avvio verso di loro, sforzandomi di sorridere. O, perlomeno, di non avere più un’espressione troppo truce.
“Ehilà, Cato!”, mi saluta sorridendo Travis.
 Alto, moro, con gli occhi verdi, è forse l’unico ragazzo con cui vado veramente d’accordo. Rispetto agli altri, almeno –come Connor, al suo fianco, che a mala pena riesce a trattenere uno sbuffo quando mi vede.
Travis è un Favorito, certo, -non so se lo avrei mai degnato di uno sguardo, se così non fosse - ma non è mai stato troppo interessato ad entrare a far parte dei Giochi. Si allena solo per essere sicuro di essere pronto, nel caso il suo nome venga estratto. Perché, sì, la tradizione dice che devono partecipare ai Giochi dei volontari prescelti –con più possibilità di successo- ma ciò non vieta a questi di cambiare idea all’ultimo momento e di lasciare che chi è stato sorteggiato prenda il loro posto.
Succede molto, molto raramente, certo: i Favoriti scelti hanno lottato durissimamente per esserlo. E’ anche questione d’orgoglio. Soprattutto questione di orgoglio, in effetti –che sia proprio, dei propri familiari o del proprio Distretto, d’orgoglio si tratta.
Ma è capitato in passato. Gente che non voleva veramente partecipare, ma era stata pressata.
O che ha avuto un ultimo ripensamento.
 Che ha avuto paura.
Generalmente, quelli sono gli anni in cui il nostro Distretto perde.
Poi ci sono quelli in cui Capitol City –e quindi, gli Strateghi- prende particolarmente in simpatia il tributo di un altro Distretto. Uno particolare. Uno che si è fatto notare.
 E lì noi non ci possiamo fare niente.
Quando ci sono gli Strateghi di mezzo, solo il Presidente, forse, ha voce in capitolo.
Forse.
Ma gli anni peggiori sono quelli in cui perdiamo. In cui perdiamo e basta. Perché i nostri tributi sono troppo deboli. Perché impazziscono durante i Giochi. Perché sono troppo arroganti. O perché si fanno manovrare, così, senza nemmeno accorgersene.
Come Micheal…
Anche la parvenza di sorriso che avevo formato mi abbandona.
Comunque, mi sforzo e, non degnando Connor neanche di un’occhiata, rispondo al saluto di Travis. Non siamo rivali, io e lui. E’ l’unico che possa affermare qualcosa del genere. Non essendo lui in gara per entrare nei Giochi, non abbiamo motivo di confrontarci seriamente. O di studiarci metodicamente. Di essere sospettosi e guardinghi. Così come faccio con gli altri.
Ma ha comunque il mio rispetto.
Lui non è debole, o un codardo.
E’ forte. E’ pronto a partecipare ai Giochi e anche a vincerli, volendo.
Solo che non vuole farlo. Non ne ha bisogno.
Ma ha il coraggio e la forza di ammetterlo e di farsi valere.
E io lo ammiro per questo.
Infatti, riesce a strapparmi un mezzo sorriso, mentre mi siedo.
“Però, che bella espressione gaia espensierata che hai oggi!”, dice, sarcastico, ma non abbandonando il sorriso.
Io gli lancio un’occhiataccia. Non veramente truce, ma pur sempre un’occhiataccia.
“Come non detto”, scherza, alzando le mani in segno di resa. Io lo guardo, divertito, e inizio a mangiare.
Non sono proprio dell’umore giusto, oggi.
Così come ieri.
E il giorno prima.
Sono un idiota.
Ho perso tutta la fiducia che avevo conquistato.
Come ho fatto ad essere così stupido?, mi chiedo per quella che sarà la centesima volta nel giro di due settimane.
Da quando mi sono risoluto a chiedere scusa a Clove, nonostante le dolorose proteste del mio ego, ho tentato di mettere in atto la mia decisione in ogni occasione che mi si è parata davanti.
Quando la incrocio nei corridoi.
Tra una lezione e l’altra.
Provando a fermarla fuori da scuola, prima dell’allenamento.
In effetti, potrei sembrare molto patetico, per uno che non a conoscenza dei fatti.
Cioè chiunque non sia Clove.
Ma questa non è la mia priorità. Non ora.
In realtà c’è una parte di me che si sta opponendo con tutte le sue forze, cercando di farmi desistere. Di convincermi che non è poi così importante.
In fondo, Clove non mi è necessaria per vincere gli Hunger Games. E’ solo per comodità che volevo la sua fiducia e, se fossi riuscito ad ottenerlo, il suo affetto.
Perché entrare nei Giochi con qualcuno che, non solo, combatterà al tuo fianco, ma che non vuole nemmeno vederti morire può costituire un grande vantaggio.
Hai un alleato in più dalla tua parte e un nemico in meno da combattere. Il che può significare la differenza fra la vita e la morte.
E’ tutta questione di dettagli. Di particolari. La minima cosa può fare la differenza.
Ed io ho perso quello che poteva fare un’enorme differenza.
La fiducia della persona più letale e determinata che io abbia mai conosciuto.
“Ehi, amico, quel pollo non ti ha fatto niente di male, non dovresti maltrattarlo così”, la voce di Travis mi richiama alla realtà. In effetti, sovrappensiero, ho iniziato a tagliare il mio pasto un po’ troppo violentemente. Faccio finta di non notare la nota di preoccupazione trasparsa dalla sua voce. Scrollo le spalle con fare noncurante.
Non posso andare avanti così.
Loro non sanno niente, ovvio.
Né potrebbero aiutarmi, comunque.
Né avrei voluto che-
Caaato?”, mi chiama la voce più acuta e stridula che io abbia mai sentito.
Prima ancora di avere il tempo di voltarmi e capire a chi appartenga, vengo travolto da una massa di tanti ricci neri.
E così, rammaricato, capisco chi sia.
Victoria.
Tutte, dicotutte, le ragazze del mio Distretto sono timide e timorose nei miei confronti. Arrossiscono le guardo, anche se per caso. Balbettano se mi rivolgo a loro.
Sono rare quelle che sostengono il mio sguardo, o più semplicemente la mia presenza.
Solo due fanno eccezione.
Una è Clove.
 Sfrontata. Esuberante. Coraggiosa. Altera. Determinata. Tagliente. Fredda. Spietata. Forte.
Di certo non potrebbe mai farsi intimorire da me. Figurarsi.
Clove non si fa intimorire da nessuno.
Lei mi sfida.
Lei m’insulta.
Lei mi mette alla prova.
L’altra,invece, - purtroppo per me- è Victoria.
E’ la figlia del Sindaco del Distretto Due, per cui, sono stato praticamente costretto a frequentarla, fin da piccolo.  Noi figli di “pezzi grossi” –come li definiscono in gergo- ci conosciamo tutti, nel bene o nel male.
E conoscere Victoria è decisamente un male.
Appiccicosa. Viziata. Incapace. Fastidiosa.
Pur essendo una Favorita, è la ragazza più civettuola ed invadente che io abbia mai conosciuto.
Ed è l’unica, l’unica ad essere così sfacciata con me.
Mi getta le braccia intorno al collo, sistemandosi comodamente sulle mie gambe mentre, con un sorriso a trentadue denti, inizia a stritolarmi. Letteralmente.
E io, molto gentilmente ed elegantemente, me la tolgo di dosso, buttandola sulla panchina.
Giuro, Victoria non la sopporto proprio.
E’ così frivola. Così svergognata.
L’unica cosa che le importa sono i ragazzi.
Ragazzi, ragazzi e ragazzi.
Ma c’è da dire che anche lei interessa molto a loro. Infatti, l’unica qualità che posso pienamente riconoscerle è la bellezza. E’ alta, sinuosa, con magnetici occhi verdi. Sono innumerevoli i ragazzi che le sbavano dietro.
Non ha esattamente una buona reputazione, ecco.
Lei si lamenta –squittisce, per l’esattezza- quando la faccio sedere sulla panca, ma torna subito a sorridere.
Ringrazia il Cielo che non ti ho scaraventato a terra…
Sul serio, non l’ho mai sopportata. Con l’umore che mi ritrovo, sarebbe meglio per lei lasciarmi stare.
Magari tenendosi a qualche chilometro di distanza.
Travis sta guardando la scena con un sorriso bonario dipinto in volto, leggendo la stizza sul mio. Connor invece mi guarda invidioso.
Evidentemente, lui gradirebbemolto le attenzioni di Victoria.
Questo pensiero mi fa spuntare un sorriso sarcastico e riporto la mia attenzione al cibo.
O almeno, ci provo.
“Su, Cato! Non si saluta?”, continua lei imperterrita, ignorando volutamente il mio comportamento ostile.
Almeno, spero che sia volutamente. Perché, voglio dire, si deve pur essere accorta del mio comportamento, no? Non è così tanto stupida.
“Ciao, Victoria”, faccio io sarcastico, senza il minimo entusiasmo e neanche degnandomi di alzare gli occhi dal mio pollo. Sento Travis ridacchiare.
“Oooh! Non so che ti prende, ultimamente!”, inizia Victoria con tono petulante. “Non ti si vede neanche più in giro!”, aggiunge, con un inequivocabile sguardo malizioso.
Io non sono mai stato un tipo donnaiolo. Mai.
Non ho neanche mai avuto una relazione seria, seria veramente.
Ah no, non farò lo stesso sbaglio di Michael.
Non posso avere neanche un punto debole.
E i legami sono punti deboli.
E anche avere undeboleper le donne lo è.
L’ho imparato a caro prezzo.
Perciò quello a cui Victoria si riferisce è completamente privo di fondatezza.
E’ lei quella che si è fatta mezzo Distretto, non io.
Probabilmente, è per questo che non la sopporto. Perché non ha alcun senso della dignità, o dell’onore.
Si allena per i Giochi, ma è totalmente incapace. Eppure, suo padre vorrebbe che ne prendesse parte.
Certo, potrebbe usare la bellezza come arma a suo favore, ma non potrebbe mai basare una sua ipotetica vittoria solo su questo.
La bellezza aiuta, non fa tutto il lavoro. Finnick Odair, del Distretto Quattro, ha vinto perché era bravo, perché era forte. La bellezza gli ha solo ottenuto sponsor. Se non fosse stato capace non sarebbe arrivato da nessuna parte.
Inviperito, la guardo in cagnesco.
Lei mette su il broncio. Connor, intanto, cerca di attaccare bottone, per alleggerire l’atmosfera –o più semplicemente, per attirare la sua attenzione-.
Ricomincio a contare.
Uno. Due. Tre. Quattro…
Riuscirò a trovare una soluzione prima o poi, no?
Forza, cervello, lavora, lavora…
Continuo a tagliare il pollo e mangiare, come un automa.
Dieci. Undici. Dodici. Tredici…
O forse dovrei solo aspettare che ricominci ad allenarsi?
Sarebbe più facile, allora.
Sento lo sguardo di Travis seguire i miei movimenti.
Venti. Ventuno. Ventidue. Ventitrè…
Perché? Perché sono così stupido?
L’ho persa, persa…
Ignoro lo sguardo truce di Connor.
…Ventisette. Ventotto. Ventino-
Insomma, Cato! Cosa c’è che non va?”, sbotta Victoria. Mai la sua voce mi è sembrata fastidiosa come ora. E questo è tutto dire.
“Victoria, per caso hai bisogno di sottotitoli per capire il mio atteggiamento?”, sbotto io, imbufalito. “Perché”, continuo, “per tua informazione, significa non rompetemi le palle se non volete che a rompersi sia la vostra faccia, ok?”, le ringhio contro.
Non ho proprio lavoglia di reggerla, adesso.
“E tu mi stai decisamente rompendo le palle”, finisco, minaccioso.
Bene. Io l’ho avvertita.
Lei, tuttavia, non sembra per niente turbata. Anzi, sorride.
Questa ragazza ha dei seri problemi mentali…
“Aaah!”, esclama, contenta. “Ho capito!”. Ridacchia.
Ma no? Te l’ho solourlato contro…
Giuro, è un miracolo che stia ancora respirando.
Ma lei non aveva finito di parlare. “E’ per Clove”, afferma, soddisfatta.
Io per poco non mi soffoco con il cibo. Come diamine…?
“…Ti sei innamorato!”, esclama, estasiata.
 La guardo, lentamente. Non so se arrabbiarmi, offendermi, o semplicemente scoppiarle a ridere in faccia.
Lo crede sul serio? E’ veramente così tanto stupida?
A giudicare dalla sua espressione gongolante, sì, lo crede sul serio.
Così, io scoppio a ridere. Istericamente. Tutta la rabbia, la tensione, la frustrazione di questi ultimi giorni- di queste ultime due settimane- si mischiano insieme in un'unica, grande, eccessiva risata.
Lei, evidentemente non si aspettava questa reazione.
“Ma su! E’ ovvio!”, continua, imperterrita.
Io ormai ho le lacrime agli occhi. Sembro un folle.
Forse lo sono.
Sicuramente lo sono.
“La cerchi nei corridoi… La guardi quando pensi nessuno guardi te… Ti irrigidisci se qualcuno la insulta…”, argomenta lei, soddisfatta. Connor e Travis sono pietrificati.
Hanno avvertito la bufera in arrivo.
“Davvero, non te ne sei accorto?”, continua lei, gongolante. Non si è accorta del cambio di atmosfera.
O forse ha solo pensato di avermi convinto.
Io ho smesso di ridere.
E presto smetterà anche lei…
Sta sorridendo beatamente, compiaciuta delle proprie abilità di detective.
Intanto, io sto decidendo se farla fuori con il coltello o più semplicemente con le mani.
“Victoria”, inizio, praticamente ringhiando, “io ti tratto male perché sei un’insopportabile civetta, non perché sono innamorato di qualcun altro!”. Non sto urlando solo perché c’è gente. Altrimenti…
“Ooh, che tenero, non lo sai proprio…”, ha un sorriso benevolo dipinto in volto che mi sta praticamente istigando a picchiarla.
Le afferro i polsi, violentemente, fissandola dritta negli occhi. Lei, evidentemente, capisce chenon c’è niente di cui scherzare e la sua espressione si pietrifica. Invece, i nostri due commensali non li sento neanche più respirare.
No”, continuo. “Non è come la conti tu”, le soffio in viso. “Puoi inventarti qualsiasi storia per giustificare perché io ti tratti da schifo, ma la verità è che faccio così perché sei una fastidiosa sgualdrina. Io e Clove siamo partner di allenamento, fine della storia. E’ chiaro?”. I miei occhi sono due fessure, ormai.
Mi domando come mai non si sia incenerita sotto il mio sguardo.
Travis, evidentemente, nota che i polsi di Victoria stanno diventando violacei, quindi, cerca di fermarmi.
“Amico, non ne vale la pena.”
Io non lo guardo neanche.
Eccome, se ne vale la pena.
Mi sento offeso. Insultato.
Implicitamente, è come se mi avesse dato del debole. Come se mi avesse detto che sono stupido abbastanza da affezionarmi ad una persona e non imparare la lezione da quello che è successo.
E questo va solo ad aggiungersi alla rabbia che ormai è permanente in me.
Non si deve neanche azzardare…
Sento suonare la campanella e capisco che è ora di andare.
Lancio un’occhiata feroce alla ragazza di fronte a me, prima di lasciarla.
“Salvata dalla campanella”, le soffio contro.
Lei si massaggia i polsi, tirando un sospiro di sollievo e mi guarda mentre me ne vado.
Più infuriato di prima.
Ah no, gliela farò vedere io…
Mi crede veramente così debole? Così stupido? Così tanto da affezionarmi a chi dovrò affrontare nei Giochi? E’ così che mi vede la gente?
Come un debole?
come Michael?
No. Non lo permetterò.
Io non sono debole.
Io uscirò da questa situazione.
Io vincerò gli Hunger Games.
Io posso farcela.
Io sono forte. E glielo dimostrerò.
A Victoria. A Hugo. A mio padre. Al mio Distretto.
Io sono forte abbastanza. Io ne valgo la pena. Io vinco.
Ora devo solo concentrarmi.
Ho ancora molti mesi per lavorarci, penso, non tutto è perduto.
Ce la farò. Lo giuro.
La prima mossa, ora, sarà ri-lavorarmi Clove.
Se no…se no, non ci arriverà mai ai Giochi.
Glielo impedirò io.
Un sorriso mi si dipinge in volto mentre esco a rotta di collo dalla mensa, diretto all’Accademia.
Oh sì, vinco io.
Io sono più forte.
Iosono Cato.
 
 
 
 
 
 
 
 

N.d.A.

* “Cosa dovremmo fare adesso per riempire gli spazi vuoti
In cui rimbomba la fame?
Dovremmo partire attraverso il mare di visi
Alla ricerca di più applausi?
Dobbiamo comprare una nuova chitarra?
Dobbiamo guidare una macchina più potente?
Lavorare duro tutta la notte?
Dobbiamo fare a botte?
Lasciare accese le luci?
Gettare bombe?
Fare tournée nell’Est?
Contrarre malattie?
Sotterrare ossa?
Sfasciare case?
Inviare fiori per telefono?
Ubriacarci?
Andare in analisi?
Rinunciare alla carne?
Mai dormire?
Tenere la gente come gli animali?  
Ammaestrare cani?
Far correre i topi?
Riempire l’attico di contanti?
Sotterrare tesori?
Accumulare piaceri?
Tutto ciò senza mai riposarci
Con le nostre spalle al muro.”
Vediamo cosa ne pensate voi ;)
 
Em em.
Ehiiiilà, gente.
Sì, non mi sono dimenticata di voi. Giuro.
Solo, il blocco dello scrittore si è particolarmente affezionato a me, ecco.
E poi, era un capitolo diffiiiiicile! Non ci sono azioni. E’ tutta psicologia >.<
Viaggio approfondito nella psicologia di Cato. Gran bella roba. Sul serio, in confronto io sono una persona felice senza neanche un problema al mondo.
Vi prego, perdonaaatemi ç_ç
ANYWAY.
Che ne dite? Che ne dite? Che ne dite? Non sono per niente sicura del risultato. E’, credo, primo capitolo di questo genere, no?
Quelli movimentati sono molto più facili ç^ç
E poi bho. Ho una cotta per Travis *^*
E dire che è comparso così dal nulla. Non l’avevo previsto. E’ sbucato dalle mie dita, senza avvisare o dire niente.
….e di questo misterioso Michael? Che mi dite? Chi è secondo voi? :)
Sono curiosa.
 
 
COMUNQUE, io vi devo la mia interpretazione della canzone dell’altro capitolo.

Devo ammettere che le interpretazioni che mi avete dato voi non le avevo minimamente pensate. 
Ma sono meravigliose. 
Sul serio, mi sento molto stupida. Io avevo pensato semplicemente a Cato e Clove, al loro modo di essere Favoriti, di fare finta, di distruggersi da soli (“Le nostre macchine nutrono la fornace, Se ci prenderanno, bruceranno anche noi”). Al loro fingersi qualcun altro, al loro credere di sapere chi sono essendo solo delle maschere (“Saprai ancora chi sei, quando capirai chi sei?”). Al loro essere sempre in bilico fra quello che vorrebbero fare, quello che farebbero e quello che devono fare (“Ti aggrapperai alla tua ragione?Con il peso sui tuoi talloni, Riesci comunque a mantenere il tuo equilibrio? Riesci a vivere sul filo del coltello?”).
 
Vi prego, fatemi sapere cosa ne pensate. Sono molto in ansia per questo capitolo.
Aiuto.
….non ci provo neanche a farvi promesse sui prossimi capitoli, anche se il lavoro adesso dovrebbe essere più facile. Ho tutta la storia più o meno in mente.
Ho anche il finale alternativo, fate un po’ voi.
Dipenderà tutto dai miei impegni che, badate bene, sono tutti scolastici, quindi non ci posso fare più di tanto. E come prova di questo vi basti che sto scrivendo queste parole alle 0.11 di notte.
Oh no. Ora sono 0.12.
COMUNQUE.
Me ne vado.
Con affetto…
Vostra, A.
 
P.S. Qualcun di voi sa dirmi come si tagga su EFP? Me piccola stupida no sapere >.<
   
 
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