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Autore: groffgasm    09/03/2013    6 recensioni
IAN/MICKEY. Ambientata dopo la 3x07.
Quel posto non era degno di essere chiamato casa, così come quell’uomo non era degno di essere chiamato padre. Un padre non dovrebbe crescere un figlio con birra e cocaina. A 8 anni dovrebbe insegnargli a giocare a baseball o basket, non ad impugnare un fucile. Un padre non dovrebbe abbandonare il proprio figlio. Non dovrebbe picchiarlo a sangue. E soprattutto, un padre non dovrebbe far stuprare il proprio figlio da una puttana russa.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Ian Gallagher non era uno che si arrendeva facilmente. Non lo era mai stato. Quando voleva qualcosa, combatteva con tutto se stesso per ottenerla. Nessuno ti regala niente a questo mondo. Era stata Fiona ad insegnarglielo. Così, quando Lip non era stato in grado di aiutarlo ad entrare nell’Accademia Militare degli Stati Uniti, lui si era rimboccato le maniche e aveva promesso a se stesso che ce l’avrebbe fatta da solo, con sangue, fatica, lacrime e sudore. E stava mantenendo la sua promessa.
 
Ma ora c’era una nuova promessa a cui intendeva tener fede. L’aveva fatta la prima notte che aveva speso a casa sua, nel suo letto, con la sua famiglia riunita. La famiglia Gallagher era finalmente tornata a casa ed era fantastico. Ian non avrebbe sopportato un giorno in più lontano dai suoi fratelli e dalle sue sorelle in quel posto orribile. Gli erano mancati tutti terribilmente.
 
Non posso lasciarlo solo. Ha bisogno di qualcuno accanto. Ha bisogno di me. Così come io ho bisogno di lui. Non lo lascerò solo.
 
Era questa la promessa che Ian aveva fatto a se stesso quella notte prima di addormentarsi. Non avrebbe lasciato Mickey Milkovich ad affrontare quella merda di situazione in cui si trovavano da solo. Sarebbe andato a trovarlo ogni giorno. Sarebbe restato con lui su quel tetto per tutto il tempo che poteva. Non avrebbe costretto Mickey a parlare. Non l’avrebbe costretto a guardarlo negli occhi. Non l’avrebbe costretto a far nulla che lui non avesse voluto fare. Sarebbero rimasti in silenzio, se era questo che Mickey voleva. Ma sarebbero stati insieme. Perchè era così che doveva essere. Ian e Mickey. Insieme.
 
Ian si era pentito di come aveva affrontato Mickey quella mattina e di avergli gridato contro prima di andarsene. Scherzarci su non era stata una mossa intelligente da parte sua. Mickey non era ancora pronto per quello. Mickey non era pronto a parlarne. Mickey non era nemmeno pronto a guardarlo negli occhi. Ma lui questo non lo sapeva.  Come poteva saperlo? Ian aveva passato tutta la settimana a cercare Mickey in preda alla disperazione. Era stato costantemente in ansia e in pensiero per lui. Era stato terrorizzato dall’idea che avesse potuto commettere qualche sciocchezza. O che Terry Milkovich avesse potuto fargli ancora del male dando l’ennesima prova di essere la persona più spregevole e disgustosa che Ian avesse mai incontrato.  E in più, lui non ne aveva potuto parlare con nessuno perché nessuno sapeva di lui e Mickey. Solo Lip. Ma Lip non avrebbe capito. Nessuno avrebbe capito il rapporto tormentato, ma a suo modo speciale, che li teneva legati.
 
Quando finalmente l’aveva visto su quel tetto, si era sentito talmente sollevato che avrebbe voluto corrergli incontro e poi saltargli addosso per abbracciarlo e baciarlo. Avrebbe voluto dirgli che era bello rivederlo e che gli era mancato da impazzire. Avrebbe voluto mettere del ghiaccio o della pomata sulle sue ferite e dirgli che sarebbe andato tutto bene. Ma invece non aveva fatto nulla di tutto ciò.
 
Rimedierò, fu l’ultimo pensiero di Ian prima che si addormentasse.
 
 

 
Il mattino seguente, Ian uscì di casa all’alba. Aveva lasciato un biglietto in cucina nel caso in cui qualcuno si fosse chiesto dove fosse andato a quell’ora.
 
Ho una faccenda da sbrigare al negozio. Ian.
 
Quando arrivò sul tetto di quel vecchio deposito, nulla era cambiato dalla prima volta in cui c’era stato. Mickey era ancora lì. Era vestito nella stessa maniera e aveva in mano la stessa pistola. E continuava a mirare e sparare con la stessa rabbia e lo stesso dolore negli occhi. Probabilmente non si era mosso nemmeno un istante da lì. Probabilmente non aveva mangiato né dormito.
 
“Ti ho portato la colazione.” disse Ian avvicinandosi a Mickey con un sacchetto di carta in mano. “Ciambelle al cioccolato. Le tue preferite.”
 
Mickey non batté ciglio. Puntò e sparò.
 
“Capisco che tu non voglia parlare. Ma hai bisogno di mangiare qualcosa almeno.”
 
Nulla. Mickey puntò e sparò ancora.
 
Allora Ian indietreggiò e lasciò il sacchetto su un muretto con la speranza che prima o poi Mickey mollasse quella dannata pistola. Poi restò a lungo in silenzio alla ricerca delle parole giuste da dire.
 
“Mi dispiace per l’altro giorno. Non sarei dovuto andar via così.” Poi fece una pausa. “Ma ciò che ho detto è vero. Non riesco a smettere di pensare a quello che è successo… a te… a noi. Ero così preoccupato per te, Mickey. Ti ho lasciato decine di messaggi in segreteria. Ma non mi hai mai richiamato. Così ho cominciato a cercarti per tutto il quartiere. Ti ho cercato per giorni interi. Nessuno sapeva dove fossi. Ho temuto che…” Ian si fermò ancora. Stavolta perché faceva male. Dannatamente male. “Ho temuto che ti fosse successo qualcosa… che avessi lasciato la città… che non ti avrei mai più rivisto…” Ian si sentì mancar l’aria al solo pensiero.
 
Mickey puntò e sparò. Il suo viso restò impassibile.
 
“Nessuno nella tua stessa situazione dovrebbe restare da solo. Dopo tutto quello che hai passato… hai bisogno di qualcuno, Mickey. E io voglio essere quel qualcuno. Io voglio esserci per te. Voglio solo che tu sappia questo. Che io ci sono e ci sarò sempre, se tu me lo permetterai. So che non ti senti ancora pronto a parlare e io lo rispetto. Ma aspetterò. Che si tratti di un giorno, un mese, un anno… non m’importa. Aspetterò. Ecco quanto tengo a te. E ora prenditi pure gioco di me, dimmi che non hai bisogno di nessuno, dimmi che non siamo una coppia… nulla di tutto ciò potrà cambiare le cose.”
 
Un altro sparo.
 
“Verrò  qui ogni giorno. Prima e dopo il lavoro. Non ti costringerò a dire o fare nulla che tu non voglia. Me ne starò qui in silenzio… ad aspettare.”
 
E così fece Ian. Per una settimana intera salì e scese le scale che portavano su quel terrazzo. Gli portava ogni giorno qualcosa da mangiare per colazione e cena. Per i primi giorni, Mickey non toccò cibo. Ma a partire dal quarto giorno, cominciò a mangiare qualcosa. Era un buon segno, pensò il ragazzo. Perlomeno non sarebbe morto di fame.
 
Ma Mickey avrebbe avuto bisogno di molto altro tempo ancora prima di fare qualcos’altro che non fosse mangiare.
 

 
Erano passate tre settimane da quando Mickey aveva fatto di un terrazzo la sua nuova casa. Tre settimane da quell’incidente che avrebbe segnato la sua vita per sempre. Aveva preso i suoi vestiti e la sua pistola ed era corso via di lì senza guardarsi indietro. Aveva corso più in fretta che poteva, sperando che bastasse a lasciarsi tutto il dolore alle spalle. Gli sarebbe andato bene qualsiasi posto che non fosse stato casa sua. L’odiava. L’odiava da sempre. E ora che suo padre gli aveva dato un’altra ragione per farlo, Mickey non avrebbe speso un minuto in più in quella casa. Quel posto non era degno di essere chiamato casa, così come quell’uomo non era degno di essere chiamato padre. Un padre non dovrebbe crescere un figlio con birra e cocaina. A 8 anni dovrebbe insegnargli a giocare a baseball o basket, non ad impugnare un fucile. Un padre non dovrebbe abbandonare il proprio figlio. Non dovrebbe picchiarlo a sangue. E soprattutto, un padre non dovrebbe far stuprare il proprio figlio da una puttana russa.
Mickey aveva speso i primi sette giorni in completa solitudine. Aveva dormito ben poco. Mangiato ancor meno. Pensato troppo. Non era intenzionale. Anzi, lui voleva smettere di pensare più di qualsiasi altra cosa al mondo. Perché i pensieri di Mickey facevano male più delle ferite sul volto. Lo stavano torturando e lo stavano distruggendo dall’interno. E non si fermavano. Non si fermavano mai.
 
Lo shock. La pistola. Il sangue. Le suppliche. Le lacrime. Lo stupro. Gli occhi di Ian.
 
Lo shock. La pistola. Il sangue. Le suppliche. Le lacrime. Lo stupro. Gli occhi di Ian.
 
Gli occhi di Ian. Era quella la parte che faceva più male. Ian non avrebbe dovuto assistere. Ian sarebbe dovuto andare via. Ian non c’entrava nulla. Non era lui ad essere figlio di Terry Milkovich e non era lui che avrebbe dovuto subire le conseguenze della sua pazzia e della sua crudeltà.
 
E invece no. Ian era stato costretto a guardare Mickey negli occhi mentre una prostituta “cercava di renderlo eterosessuale”. Come se una perfetta sconosciuta seduta sul suo cazzo non fosse abbastanza come punizione per essere gay.
 
Per qualche istante avevano mantenuto il contatto visivo. L’immagine era ancora nitida nella sua mente. Ian era ferito, sanguinava dalla testa ed era così spaventato che tremava. Ma i suoi occhi erano la parte peggiore. Cercavano disperatamente di trattenere le lacrime. Erano piedi di dolore, tristezza e impotenza. Mi dispiace, sembravano dire anche se Ian non aveva colpe. Non abbiamo niente di cui vergognarci. Ti amo, Mickey. Mi dispiace.
 
Ecco perché all’improvviso Mickey aveva afferrato “La Russa” e aveva cominciato a scoparla velocemente dando le spalle a Ian. Perché prima sarebbe finito quell’incubo, prima Ian sarebbe stato lasciato in pace. Perché non poteva sopportare più il peso di quello sguardo. Poteva sopportare il suo dolore ma non era in grado di reggere anche quello che intravedeva negli occhi di Ian. Non quando sapeva di esserne la causa. Faceva troppo male.
 
Ian non meritava tutto ciò. Ian era buono, era gentile, sensibile e onesto. Ian era tutto ciò che c’era di bello a quel mondo. La cosa migliore che gli fosse mai capitata. Tanto che a volte si chiedeva che cosa ci facesse con un delinquente senza futuro come lui. Mickey pensava di non meritarlo. Ma Ian non la pensava così. Ecco perché le ultime due settimane non le aveva passate da solo.
 
Ian era andato a trovarlo ogni giorno, così come gli aveva promesso. Gli aveva portato da mangiare, delle sigarette, un vecchio cuscino. A volte stavano in silenzio per ore. Altre volte ancora, Ian aggiornava Mickey su quello che gli accadeva in famiglia o al negozio.
 
Oggi è venuta una signora con dei capelli stranissimi. Avresti dovuto vederla! Avresti riso tantissimo!
 
Un coglione ha cercato di rubare delle sigarette, ma gli ho tenuto testa. Avresti dovuto vedermi. Saresti stato fiero di me.
 
Ho mangiato una pizza con Lip e Mandy stasera. Te ne ho portato un pezzo.
 
Quel ragazzo proprio non voleva saperne di arrendersi. Mickey avrebbe voluto allontanarlo, respingerlo così come aveva già fatto in passato. Avrebbe voluto dirgli di cercarsi qualcun altro da scopare e da ricoprire di attenzioni. Ma non poteva per il semplice motivo che lui aveva bisogno delle sue attenzioni. Mickey aveva bisogno di lui. Ora più che mai. Anche se non riusciva ancora a guardarlo negli occhi, aveva bisogno della sua presenza e di sapere che Ian non gli avrebbe mai voltato le spalle. Che Ian non era come tutti gli altri. Che a Ian importava davvero di lui.
 
Quella mattina, quando Ian arrivò puntuale come sempre, non trovò Mickey nella sua solita posizione. Si era addormentato per terra nell’angolo, con la testa appoggiata al cuscino che gli aveva portato lui. Ma Ian capì che c’era qualcosa che non andava non appena si avvicinò a lui. Si stava agitando nel sonno. Continuava a muoversi a scatti. Fu chiaro ad Ian che Mickey stava avendo un incubo ma furono le parole che uscirono dalla sua bocca che gli fecero capire che tipo di incubo stava facendo.
 
“Non lui! Per favore, non lui! Lascialo stare!” gridò Mickey, gli occhi ancora chiusi.
“Lascialo andare, brutto pezzo di merda! Lui non c’entra niente!”
 
Fu allora che Ian si sedette per terra accanto a lui e cominciò a scuoterlo con le braccia.
 
“Mickey, svegliati! Mickey, per favore, svegliati!”
 
Mickey aprì gli occhi e la prima cosa che vide fu il viso di Ian a pochi centimetri dal suo. E subito il suo cuore rallentò. Stava bene. Ian era lì con lui e stava bene.
 
“Era solo un incubo… va tutto bene… ci sono qui io… va tutto bene…” continuò Ian.
 
E fu allora che accadde. Il crollo di Mickey.
 
Ian vide i suoi occhi riempirsi di lacrime che presero ben presto a scorrere velocemente sulle sue guance. C’erano così tante emozioni sul volto di Mickey in quell’istante. Quello era il volto di una persona consumata, annientata, distrutta fuori e dentro. Ma l’emozione che predominava era la paura. Paura del futuro, paura di quello che sarebbe successo, paura di perdere Ian, paura di ferirlo, paura di rivedere quello sguardo nei suoi occhi. Era terrorizzato. E Ian non sapeva cosa fare nè cosa dire per farlo stare meglio.
 
All’improvviso Mickey affondò la testa tra le gambe del ragazzo accanto a lui. Ian lo sentì singhiozzare e sentì i jeans bagnarsi a causa delle sue lacrime. Fu straziante vederlo in quello stato. Così cominciò ad accarezzarlo dolcemente sulla testa, tra i capelli.
 
“Non sei solo, Mickey. Io sono qui per te. Andrà tutto bene.”
 
E Mickey gli credette. Forse non sarebbe andata così, non sarebbe andato tutto bene. Ma Mickey aveva bisogno di crederci. Aveva bisogno di aggrapparsi a quel briciolo di speranza che gli era rimasto perché era umano.
 
Ian e Mickey rimasero in quella posizione per molto tempo. Mickey pianse a lungo perché ne aveva il diritto. Sapeva che con Ian poteva farlo. Con lui poteva sfogarsi, poteva lasciarsi andare, poteva piangere come un neonato per ore. Sapeva che poteva essere se stesso e Ian non l’avrebbe giudicato. Quella era una situazione nuova per entrambi. Mickey non si sarebbe mai sognato di piangere tra le braccia di qualcuno che non fosse stato Ian. Quella mattina scaricò tutta la tensione e le preoccupazioni che si era tenuto dentro per settimane attraverso le lacrime. Fu un primo passo verso la direzione giusta, verso la ripresa.
Il cammino che Mickey aveva intrapreso era ancora lungo e faticoso. Ma con Ian al suo fianco, Mickey sapeva di essere già più vicino alla meta.
 

 
Nota: Salve a tutti :3 innanzitutto ci tengo a ringraziare tutti voi che avete letto, recensito o comunque apprezzato la mia prima one shot su Ian e Mickey, Spoon. Siete stati tutti fin troppo gentili <3 Ne ho scritta un’altra per lo stesso motivo dell’altra volta. TROPPI FEELINGS. Poi io sono masochista. Vi dico solo che ieri sera mentre scrivevo ascoltavo delle canzoni di una tristezza infinita. LOL rinchiudetemi. Mando un abbraccio a tutti voi del fandom di Shameless. Unite ce la faremo, ragazze :’(
A presto. Giulia.
 
 
  
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