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Autore: ElvasRevenge    09/03/2013    1 recensioni
"Respiravamo entrambi a fatica, forse per la sabbia che inalavamo in continuazione o forse perché – molto più probabilmente – qualche paura si era incastrata nelle nostre trachee, tra la bocca e il naso, ostruendo il passaggio all'aria e alla sensazione di freschezza che essa portava con sé. E con le trachee erano tappate anche le nostre gole, strette in una morsa d'acciaio che irrigidiva le corde vocali, come se fossero state chiuse in un nodo, come degli strumenti musicali che suonavano in sordina. Strumenti impolverati, un po' ammaccati, che qualcuno aveva dimenticato di accordare per troppo tempo, comunque."
Le sensazioni di un Killjoy che attende insieme a Gerard il ritorno dei propri compagni da una pericolosa missione.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gerard Way, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Quando il mondo improvvisamente diventò blu, io ero ancora lì accanto a lui. Respiravamo entrambi a fatica, forse per la sabbia che inalavamo in continuazione o forse perché – molto più probabilmente – qualche paura si era incastrata nelle nostre trachee, tra la bocca e il naso, ostruendo il passaggio all'aria e alla sensazione di freschezza che essa portava con sé. E con le trachee erano tappate anche le nostre gole, strette in una morsa d'acciaio che irrigidiva le corde vocali, come se fossero state chiuse in un nodo, come degli strumenti musicali che suonavano in sordina. Strumenti impolverati, un po' ammaccati, che qualcuno aveva dimenticato di accordare per troppo tempo, comunque.

E mi ricordo che gli occhi mi bruciavano come carboni ardenti, ché lì, all'accampamento, non dormivi mai, perché se non era il turno di guardia a costringerti a stare sveglio, erano l'ansia e l'apprensione a impedirti di socchiudere le palpebre.

E che eravamo sporchi e malandati, sempre con i gomiti incrostati di sabbia, che bruciava sulle ferite e graffiava la pelle, e forse a vederci saresti fuggito, perché avevamo l'aria di gente schiva e incazzata; gente esplosiva, dicevano.

Di notti come quella, quando mi ritrovai appiattita contro una piccola duna ad inalare sabbia accanto a Gerard, ne ho passate tante.

I nostri respiri in sordina riempivano l'aria, rendendola carica d'apprensione, e sottolineavano quel silenzio un po' forzato e un po' necessario, mentre ombre oscure si dipingevano sulle guance di Gerard, si riflettevano nei suoi occhi fermi, immobili, quasi vitrei, provvisti di uno squadro penetrante e affilato, che sembrava scandagliare la città fino ai bassifondi più impensabili, come se l'oscurità fosse solo un velo insignificante.

Ogni tanto lo sentivo tossicchiare, starnutire, mugolare qualcosa con le labbra serrate affondate nelle mani, vicine alla ricetrasmittente color verde militare che stringeva convulsamente da quasi tutto il pomeriggio. Più passava il tempo, più sue mani si flettevano, si piegavano, i muscoli si tendevano e le nocche sbiancavano, le dita si attorcigliavano come se fossero state fatte di gelatina, l'attesa si faceva pesante come un macigno.

Torneremo, aveva detto Mikey. Poi aveva aggiunto che Ray sarebbe andato con loro e avrebbe portato la ricetrasmittente e no, no, lui resterà fuori, dovrà avvisarvi dell'esito della missione, ok? Usciremo...usciremo prima che salti tutto in aria...E non guardarmi così, sai che è necessario, Gerard, ascolta...no, non c'è altra maniera, ne abbiamo già parlato, per favore, Gerard...torneremo.

E Gerard aveva annuito, il suo mento era andato su e giù un paio di volte mentre Frank e suo fratello salivano in macchina, poi, quando il rombo del motore si disperse nell'aria, i suoi occhi cominciarono a dire altro, anzi, no, urlavano, gridavano in silenzio, no, fermatevi! Tornate indietro brutti bastardi!

E ora quello sguardo lo rivedevo nei suoi occhi, vedevo la disperazione, la rabbia, il desiderio di correre verso la città e mandarla in frantumi con un calcio, perché in fondo quelle case non valevano più delle nostre stupide vite martoriate, un po' barcollanti e un po' salde.

Era passata un'ora da quando il suono attutito dell'esplosione era arrivato alle nostre orecchie e ci aveva scosso, costringendoci a chiudere gli occhi anche per un solo istante, per mormorare una preghiera o qualche parola di speranza, come se dire qualcosa sarebbe bastato al nostro cuore per essere meno vuoto. Dopodiché una piccola nuvoletta di fumo si elevò sopra i tetti di Battery City, fluttuando nell'aria, riportandomi alla mente quella mattina di settembre a New York, quasi venti anni prima.

Ray, Ray, dove cazzo sei?, Urlai alla mia mente vuota. Ti prego, cerca di metterti in contatto, ti prego. Ti prego, fa che Mick, Frank e Grace siano usciti prima dell'esplosione. Ti prego.

Fu in quel momento che sentii il mio cuore farsi più gonfio, nemmeno l'avessero preso a pugni, quei bastardi dei draculoidi con le loro stupide tute bianche. Era così pesante, così teso che per un momento sentii il bisogno di strapparmelo dal petto, strizzarlo, spremerlo, far defluire le sensazioni come acqua da una spugna, e poi risistemarmelo lì, nel mezzo del petto forato, con le arterie scucite e le costole rotte. Tanto tutto si aggiusta.

 

E' tutto a posto Kat?

Certo che sì, coscienza. Ora puoi anche tornare a dormire. E' tutto regolare. Basta crederci. Basta pensare che prima o poi quelle arterie strappate si ricuciranno da sole, che i mattoni torneranno al loro posto e che la ricetrasmittente squillerà prima o poi. E magari, già che ci siamo, meglio sperare anche che il fuoco non si spenga, altrimenti sai che freddo.

 

Ti ricordi quando tua madre ti disse che prima o poi tutti dobbiamo morire?

No. No, perché non l'ha mai fatto. Nessuno ti ha mai detto che prima o poi tutto finirà e, per quanto tu voglia scavare nei tuoi ricordi, non saprai mai il modo in cui l'hai appreso. Semplicemente, perché l'hai sempre saputo. Con la vita invece è diverso. Vivi, e non sai di vivere. Respiri, parli, corri, combatti, eppure hai sempre bisogno di qualcosa che ti ricordi che sei vivo. E in quel momento ero troppo stanca per pensare di essere viva, ma comunque troppo umana e razionale per pensare di essere morta.

Poi, qualcosa mi risvegliò. Era stato un calore improvviso sulla mano, seguito da un colpo di tosse, poi gli occhi di Gerard entrarono nel mio campo visivo e accolsero il mio sguardo perso e un po' confuso, rassicurandomi.

E quasi ebbi l'illusione che stesse sorridendo. Quasi, ma fu solo per un secondo.

Dopodiché un piccolo suono immediato irruppe nell'aria e lo schermo della ricetrasmittente si illuminò di verde. Gerard esitò un attimo. Potevo leggere l'incertezza nei suoi occhi, che da vitrei erano diventati due tinozze d'acqua limpida e fresca, mentre sotto quel liquido argenteo ancora bruciavano fiamme scricchiolanti.

Poi il suo pollice sfiorò il tasto verde sulla destra e io sussultai. Il cuore riprese a pompare sangue più velocemente di prima, urtando contro lo sterno, quasi gridando, combattendo per uscire, che ormai anche il mio petto sembrava essere troppo piccolo per contenerlo tutto.

Inizialmente sentimmo solo dei suoni indistinti, come se qualcuno stesse bruciando qualcosa dall'altra parte dell'apparecchio, e mi ci vollero pochi secondi per capire che stavo trattenendo il respiro, come nel tentativo di soffocare quel turbine che si era messo in moto nel mio petto. E forse qualche sensazione riuscì addirittura a lasciare l'involucro martoriato del mio cuore, perché sentii male al torace, proprio sotto il seno, come se qualcosa si fosse incastrato tra una costola e l'altra e stesse premendo per uscire fuori. E per un momento provai l'impulso di prendere quell'apparecchio elettronico e urlarci dentro, dire a Ray che doveva muoversi, che il cuore stava per esplodermi e che prima di ritrovare le mie arterie e le mie costole sparse dappertutto sulla sabbia volevo sapere se tutto era finito bene.

Poi, come un miraggio, una voce indistinta e crepitante come un fiamma risuonò nell'aria dopo tanto, tantissimo tempo di silenzio.

E allora mi resi conto che non mi importava più di tanto se il cuore fosse esploso o meno, perché alla fine ogni cosa si aggiusta, ci mette tempo, ma si aggiusta. Anche le costole sarebbero tornate al loro posto e di quel turbine di sensazioni sarebbero rimasti solo un sacco di fantasmi e qualche cadavere rinsecchito appeso alla mia gabbia toracica. E ogni volta che avrei respirato forse avrei potuto percepire la loro pressione contro i polmoni e ne avrei avuto paura.

Poi le mani di Gerard cominciarono a sudare, me ne accorsi perché la ricetrasmittente slittava tra le sue dita, dopodiché cadde a terra tra la sabbia e il sale, inerme. Senza pensarci un secondo ci abbassammo entrambi e accostammo l'orecchio all'altoparlante. Quasi potevo sentire il suono dei nostri cuori che martellavano all'unisono.

Le prime parole risuonarono chiare dopo pochi secondi.

Il momento della verità era arrivato.

Trattenni il respiro.

Qualcuno dall'altra parte sussurrò: “Qui Jet Star, passo.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il fatto è che non sapevo come terminarla e quindi mi è sembrato più carino lasciare il finale sospeso.

Ok, speriamo che non faccia schifo. DD:

  
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