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Autore: Remiel    10/03/2013    3 recensioni
Protagonista di questa storia è la semidea Cithara, figlia di Apollo, che scoprirà di possedere sin dalla nascita una dote particolare...
Arrivata al Campo Mezzosangue in seguito al rapimento della madre, Thara farà la conoscenza di varie persone tra le quali Emile, figlio di Ermes, incaricato di accompagnarla alla scoperta del mondo delle divinità e dei suoi poteri di semidea, e Raven, figlio di Apollo e capo dormitorio, nonché capo della banda musicale del Campo.
Il mistero del rapimento della madre di Thara si infittisce con la sparizione di altre donne. Chi le sta portando negli Inferi, e a che scopo?
Dal Cap.2
"Mi accorsi che era tempo di andare all’entrata e scesi le scale circolari con calma, assaporando il rimbombo del rumore che i piccoli tacchi delle ballerine producevano a contatto col marmo bianco. Chiusi gli occhi, deliziata da questo suono, mentre riconoscevo senza problemi prima un La, poi un Do provocato da un passo più deciso, un Fa… Questo era il vero dono che mi aveva fatto mio padre: la Musica."
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La storia è "ambientata" nel mondo di Percy Jackson, più che essere una fanfiction vera e propria... Dunque, buona lettura anche a chi non conosce i libri!:)
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gli Dèi, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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[A Dream Within A Dream - The Glitch Mob]
[Falling Inside the Black - Skillet]
[The Pure and the Tainted - Blue Stahli]
 
«…Cithara, ti senti bene? Sei pallida.»
Raven aveva smesso di battere il tempo per la banda quando si era accorto che non stavo suonando, e mi si era avvicinato con aria preoccupata.
«Scusa, mi gira un po’ la testa… Ma sto bene.»
Non era affatto vero, stavo da schifo. La mia occhiata apatica dovette allarmarlo, perché mi mise una mano sulla fronte per controllare se avessi la febbre.
«Non sembri calda ma… Senti, lascia perdere le prove per oggi e vai a riposare, ok?»
Annuii senza obiettare, misi nella custodia il violino e lasciai la stanza dopo aver salutato con un cenno i miei fratelli.
Il caldo vento estivo mi investì una volta fuori dall’edificio, facendomi desiderare una bella rinfrescata sotto la doccia.
Cosa mi stava succedendo?
Erano almeno tre notti che non riuscivo a dormire decentemente, tutti i miei sogni sembravano popolati da incubi che al risveglio mi lasciavano una sensazione orrenda. Non riuscivo a ricordare i dettagli e, anzi, per la maggior parte delle volte si trattava solo di immagini molto confuse, ma sentivo l’inspiegabile urgenza di provare a tenerli a mente. Avevo tentato con un sonnifero naturale a base di valeriana, senza nessun risultato, e la tensione di tutte quelle notti insonni si stava facendo sentire.
…Stavo impazzendo.
Sospirai rumorosamente, imboccando il corridoio verso la mia stanza. Quando ero entrata nella Casa numero sette? Avevo addirittura fatto le scale senza accorgermene…!
Posai lo strumento sopra la scrivania, accanto al libro sui mostri mitologici preso in prestito da Loren e, quando lo sguardo mi cadde sulla pagina aperta sul Leone di Nemea, aggrottai le sopracciglia. Emile aveva ragione, sembrava che le fiammate sparate dal felino non fossero previste, visto che non erano menzionate in nessuno scritto.
Mi sedetti sul letto con prudenza, per via del giramento di testa, e aspettai un poco prima di coricarmi.
Avevo il terrore di rivivere ancora quei sogni senza senso o  di scoprire che non sarei più riuscita a dormire serenamente. Era una paura stupida, lo confesso, eppure era più forte di me: cadere nel panico per una situazione sulla quale non ho il controllo fa parte del mio essere.
Provai a chiudere gli occhi e ignorare la luce che filtrava dalle tende, inspirando profondamente.
Il mio ultimo pensiero cosciente fu per Emile, il primo (per ovvi motivi) ad accorgersi del mio indebolimento di quei giorni. Era stato tutto così repentino, e pensare che mancava poco a quando saremmo dovuti andare da Kimon! Non era davvero il momento di abbandonarsi alla stanchezza…
Il sonno arrivò all’improvviso e tutto divenne buio.
 
L’aria aveva qualcosa di stantio, così come la stanza incavata nella roccia, pregna di umidità, e la luce debole delle candele che tremolava, minacciando di spegnersi da un momento all’altro.
Avanzai di qualche passo nell’oscurità, incerta, con le mani dritte davanti a me, finché non incontrai la fredda superficie della pietra. “Dove sono…?”
Un rantolio alle mie spalle mi fece rabbrividire e mi voltai di scatto. Adagiate per terra c’erano delle figure femminili; quelle di cui riuscivo a scorgere il volto sembravano piuttosto sofferenti.
Mi avvicinai per osservarle meglio e notai che i polsi e le caviglie delle donne erano ancorate al muro tramite delle catene che emanavano un bagliore sinistro. Non dovetti dar loro un’altra occhiata per capire che si trattava di manette intrise di magia.
Contai rapidamente le sagome femminili: uno, due, tre… erano otto in tutto. Possibile che fossi finita nel luogo dove tenevano prigioniere le donne rapite?
Il cuore prese a battermi forte mentre mi abbassavo all’altezza dei loro visi, cercando quello di mia madre. Lo trovai.
I lunghi capelli ebano, mossi come i miei, le cadevano scomposti davanti agli occhi. Aveva il volto emaciato e teneva il braccio attorno alle spalle di un’altra prigioniera più giovane che le si era accoccolata accanto per trovare conforto.
«Mamma!!! Mamma, sono io!» urlai, cercando di abbracciarla. Rimasi atterrita quando vidi che le mie braccia le stavano passando attraverso. Sembravo aver preso la consistenza di un fantasma.
«Mamma… Puoi sentirmi almeno?» mormorai speranzosa, provando anche a scuotere una mano davanti ai suoi occhi.
Le sue iridi ambrate non diedero segno di avermi vista e rimasero annebbiate, rivolte verso il pavimento. Tirando su col naso, portai le mani al viso per asciugare le lacrime che avevano iniziato a scorrere copiose. Le ero così vicina ma non potevo fare niente per farle sentire la mia presenza…! Mi sentivo dannatamente impotente.
Un lampo di luce illuminò per un secondo la stanza e un brivido gelido percosse la maggior parte delle prigioniere, mentre dei passi lievi riecheggiarono nell’aria.
«…Vi siete decise a parlare?» La voce femminile della nuova arrivata suonava fredda e aggressiva. Non riuscivo a vederla in viso, ma mi parve di distinguere un bagliore rosso nella penombra.
Fu mia madre a parlare.
«Anche se sapessimo dove si trova, non te lo diremmo mai! Non riuscirete nel vostro intento.»
Ero totalmente rapita dal barlume di determinazione negli occhi di mia madre, non l’avevo mai vista con un’espressione così determinata.
La donna rise sarcastica, portandosi la mano davanti alle labbra.
«…Devo dire che mi colpisce la tua caparbietà, Ca… No, aspetta. Com’è che ti fai chiamare adesso…? …Ah giusto, Lynette. Proprio un bel nome, si riferisce forse al Linnet, il Fanello, uccellino canterino? Trovo che ti doni!»
Lo sguardo di mia mamma s’indurì.
«Vi fermeranno.»
«Ancora con questa storia? Guarda in faccia la realtà. Nessuno sa nulla. Nessuno verrà a liberarvi.» La donna prese un respiro profondo. «…E nessuno potrà fermarci. Il piano è già stato messo in atto.»
Mia madre non rispose e le altre prigioniere non sembravano intenzionate ad aprir bocca.
«Nem? Quei due ti hanno detto qualcosa?» Non mi ero accorta della presenza di un’altra figura alle spalle della nuova venuta fino a quando  non si rivolse a lei.
Anche questa era una donna, avvolta da un lungo abito nero che la rendeva quasi invisibile nell’oscurità della stanza. Alla domanda dell’altra, scosse la testa.
«Niente di sicuro, ma sono sulle sue tracce. Dovrebbero essere in grado di portarla qui entro la luna piena.» A differenza della prima, la voce della donna nell’ombra era più grave, con una nota di mestizia.
L’altra sorrise compiaciuta.
«Visto? Tutto procede secondo i piani. Ovunque si sia nascosta la prenderemo e completeremo il rituale.»
Si allontanò verso quello che mi pareva uno specchio a figura intera dalla superficie acquosa e si voltò un’ultima volta.
«Buonanotte, uccellino!» Poi, con un lampo, lei e la donna nell’ombra passarono attraverso lo specchio e la stanza ripiombò nell’oscurità.
Il sospiro provato di mia madre mi strinse il cuore.
«…Secondo te abbiamo davvero qualche possibilità di sventare i loro piani?» le chiese la ragazza di fianco a lei, quella stretta nel suo abbraccio protettivo.
«Sono certa che ci troveranno. Non sono stupidi sull’Olimpo, non lasceranno che le cose si compiano, creerebbero problemi anche a loro.»
La ragazza annuì, leggermente rincuorata, e tornò a poggiare la testa sulla spalla di mia madre.
Sembrava che si conoscessero, eppure non riuscivo a ricordare di aver mai visto quel volto…
La stanza intorno a me cominciò a tremolare, i contorni si fecero più labili.
«Mamma….!» Allungai la mano verso di lei, tentando per l’ultima volta di attirare la sua attenzione. Questa volta alzò lo sguardo nella mia direzione e mi sembrò consapevole della mia presenza.
Durò solo un attimo.
 
Mi svegliai di soprassalto. “Solo un sogno, era solo un sogno” continuavo a ripetermi, ma ormai non ne ero più tanto sicura.
Se quella che avevo avuto era una visione reale, allora c’era da preoccuparsi. A quanto avevo capito, mancava solo una donna all’appello e tra pochi giorni i rapitori avrebbero avuto campo libero nell’attuazione del loro piano. Il problema era che ancora non avevo la più pallida idea di cosa intendessero fare.
Almeno mamma stava bene… Eleuse però non era con lei, e questo pensiero mi provocò una fitta allo stomaco. D’altro canto, potevano averla imprigionata da qualche altra parte, se era stata catturata…
Scossi la testa. Forse ero semplicemente troppo stanca e la mia mente aveva sublimato i brutti presentimenti in quel sogno molto vivido, simile a una visione. Mi ripromisi di chiedere a uno dei miei fratelli se fosse possibile per un semidio avere dei sogni premonitori o cose del genere, tanto più se figlio di Apollo, il dio dei grandi Oracoli.
In quel momento Emile aprì di soppiatto la porta della mia stanza dopo aver bussato.
«Oh, sei sveglia? …Come stai? Raven mi ha detto che avevi una brutta cera alle prove.»
Sorrisi mentalmente: da quando stavo con Emile, tra lui e mio fratello si era stabilita una sorta di tacita tregua. Certo, continuavano a scambiarsi battutine acide e occhiate torve di tanto in tanto, ma non si erano più sfidati apertamente e tentavano di mantenere un atteggiamento di neutra tolleranza.
Emile si sedette sul letto, affianco a me, accarezzandomi i capelli lentamente, come se avesse paura che potessi spezzarmi sotto il suo tocco. Posai la testa sul suo petto e lo abbracciai.
«Non preoccuparti, sono solo un po’ stanca… Non ho dormito molto bene le ultime notti.» L’ultima volta che mi era stato concesso un sonno ristoratore era stato quattro giorni prima, quando eravamo tornati dalla missione.
Alzai lo sguardo su Emile e sorrisi, vedendolo accigliarsi.
«…E prima che tu possa dire qualcosa, no, non è assolutamente colpa tua! Anzi, la tua presenza mi tranquillizza, dovresti saperlo.»
Anche la sua espressione si distese e mi rivolse un timido sorriso rassicurato.
«Ne sono felice.» Quando si chinò a baciarmi, rimase qualche secondo a fissarmi negli occhi. «Thara… Se hai un problema sentiti libera di parlarne con me. Vorrei poterti aiutare…»
Socchiusi le palpebre e rabbrividii leggermente al ricordo di mia madre in catene, costretta in quella grotta buia.
«…Lo so. Grazie, Emile» dissi, rispondendo al suo bacio con dolcezza. Non ero ancora pronta a rivelare a qualcuno del sogno, perché volevo convincermi che fosse solo frutto della mia fantasia.
«Che ore sono?» gli chiesi, cambiando argomento.
Lui mi sorrise.
«È ora di cena. Gli altri ti hanno tenuto il posto al vostro tavolo, come al solito. Erano preoccupati perché non ti avevano più vista da dopo le prove ma non volevano venire a svegliarti, così hanno chiesto a me.»
Immaginavo che Martha c’entrasse qualcosa con la delega ad Emile, doveva aver convinto lei Raven a raccontargli di oggi pomeriggio.
«Allora andiamo, non vorrei farli aspettare!»
Lo presi per mano e uscii dalla stanza assieme a lui, lasciandomi alle spalle quel brutto sogno.
 
La cena fu piuttosto tranquilla, e con la pancia piena le sensazioni sgradevoli della visione mi parvero più lontane. Avevo rassicurato Martha, Loren e Raven sulle mie condizioni di salute e adesso stavo tornando verso la casa di Apollo con Emile.
«Oggi vai a letto presto, mi raccomando.» Sorrisi.
«Va bene, papà.»
Emile si mise  a ridere, stringendomi di più a sé.
«Ehi, non sto scherzando! Hai bisogno di riposo…»
Avevo troppa paura di tornare a sognare mia madre... Nascosi il viso nella sua maglietta con un sospiro.
«…Solo se rimarrai con me fino a quando non mi sarò addormentata.»
Le dita di Emile presero ad accarezzarmi dolcemente i capelli.
«Ma certo.»
Chiusi gli occhi, assaporando la brezza estiva.
«…Ti dispiace se prima di andare in camera ci sdraiamo un po’ sull’erba?» Avevo bisogno di aria fresca, un cielo stellato e la presenza di Emile al mio fianco. Con lui accanto a me, tutto il resto perdeva di significato.
Emile annuì e ci adagiammo supini su uno spiazzo d’erba, lontano dai rumori del Campo. Lasciai cadere la testa sul suo petto, socchiudendo gli occhi.
«…So che sei tesa, ma non devi avere paura» disse lui, dopo avermi baciato i capelli. «Ti proteggerò a qualunque costo e torneremo tutti a casa.»
Era proprio quello che mi preoccupava…! Quel “a qualunque costo”. La profezia parlava di un qualcosa che sarebbe andato perduto, e avevo la terribile sensazione che potesse benissimo trattarsi di una persona.
Non potevo sopportare di perdere Emile, mia mamma o Eleuse… Era un’idea inconcepibile.
«Lo so, Emile… Solo, non voglio che tu faccia follie.»
Lui mi sorrise in modo dolce, e a un tratto arrossì.
«Thara… Io ti amo. Sarò all’antica, ma non permetterò che ti sfiorino, nemmeno con un dito.»
Nella penombra della sera ero arrossita anch’io, perché era la prima volta che Emile pronunciava quelle parole. Aveva sempre detto “Mi piaci moltissimo, mi fai impazzire”… Mai “Ti amo”.
Lo baciai, un po’ intimidita, e sorrisi a mia volta.
«… Anch’io ti amo.»
Il suo volto s’illuminò e mi abbandonai tra le sue braccia, dimentica di tutto, venendo completamente avvolta dal suo profumo. Intorno a me, il mondo divenne buio.
 
Ero sdraiata su qualcosa di scomodo e freddo. Sbattei le palpebre un paio di volte, prima di aprirle e realizzare di essere sulla panchina di un parco.
Mi guardai attorno spaesata: l’ultima cosa che ricordavo era di essere sull’erba accanto a Emile, come avevo fatto a uscire dal Campo?
Mentre facevo queste considerazioni, realizzai che c’era qualcosa che non andava nei miei occhi. Riuscivo a vedere ma le cose mi apparivano come sfocate, dai contorni evanescenti, e in un attimo capii di essere di nuovo in un sogno e seppi che era diverso da quello in cui avevo visto mia madre. Lì i profili erano ben definiti e avevo osservato i fatti nello stesso momento in cui stavano avvenendo, mentre adesso… Avevo la certezza che si trattasse di un sogno premonitore e che tutto dovesse ancora accadere.
L’ansia della consapevolezza di poter cambiare il futuro mi prese il petto in una morsa, spingendomi a guardarmi nuovamente intorno per recuperare qualche indizio. Dove mi trovavo?
Un grande orologio che  torreggiava su di un palo segnava le 22:43 e mi stupii del fatto che il parco fosse totalmente deserto a quell’ora. In alto, una pasciuta luna piena brillava sinistra: doveva essere il giorno del plenilunio, quello in cui io ed Emile saremmo dovuti andare da Kimon.
Mi mossi circospetta sui ciottoli, cercando di fare meno rumore possibile. In teoria nessuno avrebbe dovuto potermi vedere, ma la prudenza non era mai troppa.
Il silenzio era innaturale, come se non aspettasse altro che di essere spezzato. Avanzai ancora qualche passo nell’ombra, verso la fine del parco, fino a trovare una targhetta di bronzo.
Aguzzai gli occhi per leggere: delle lettere in corsivo recitavano la scritta “Seward Park”. Ero passata qualche volta in quel parco con mia madre!
“Bene, adesso so che siamo a New York” pensai, troppo timorosa di esprimere qualcosa ad alta voce.
A un tratto, il silenzio venne riempito da un suono, prima lontano e poi sempre più insistente, di zoccoli e ruote.
“Cavalli..?!”
Il rumore era tutto attorno a me, come un rombo, non aveva una provenienza precisa.
Mi guardai alle spalle, improvvisamente conscia che qualunque cosa stesse producendo quel frastuono sarebbe spuntata da lì, e vidi ‒come al rallentatore‒ una sagoma di donna sbucare tra gli alberi, inseguita da quello che sembrava un carro trascinato da quattro cavalli neri espiranti fiamme dalle narici.
Quasi urlai dal terrore quando questi presero a venire verso di me, la donna sempre in testa che correva a  perdifiato, voltandosi di tanto in tanto per constatare che la distanza tra lei e gli inseguitori stava pericolosamente diminuendo.
«Aha, è inutile che scappi mia cara, ormai ti abbiamo in pugno!» urlò uno dei due uomini sulla biga, quello più magro. Un minaccioso bagliore rosso scaturiva dai suoi occhi ed ebbi la sensazione che, se lo avessi guardato troppo a lungo, sarei potuta essere ingoiata da quelle pupille inquietanti.
L’altro, un omone enorme dalle fattezze di un marines dei film d’azione, guidava i cavalli ridendo in modo sguaiato, come se il fatto di inseguire una povera donna indifesa lo eccitasse.
Il gruppo mi raggiunse passandomi attraverso, proprio come quando avevo provato ad abbracciare mamma nella visione, e continuò la propria corsa ancora per poco. La donna inciampò con un grido e i due le furono addosso in un attimo, caricandola sul carro e mettendola a tacere con un colpo ben assestato dietro la nuca.
Il cocchio ripartì a una velocità sovrumana, lasciando dietro di sé una scia di polvere.
Il parco sprofondò nuovamente nel silenzio.
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Dopo essermi svegliata dal sogno premonitore, non ero più riuscita a riposare. Avevo passato le restanti ore a fissare il soffitto della mia camera ‒dove probabilmente mi aveva portata Emile, in braccio (ancora arrossivo al pensiero e all’idea che qualcuno potesse averci visto)‒ e ora avevo gli occhi cerchiati dall’ennesima nottata insonne.
Avevo intenzione di correre da Emile per raccontargli tutto e chiedere aiuto, ma dovetti aspettare dopo colazione per potergli parlare con calma.
«Cithara… Stai bene? Sei ancora più pallida di ieri» mi chiese Raven, decisamente preoccupato.
Elusi la domanda con un sorriso e un cenno del capo.
«Sono solo un po’ stanca, tutto qui.»
Lui non insistette, ma per il resto della colazione continuò a lanciarmi occhiate circospette di sottecchi.
 
«Ehi bella addormentata, ti sei riposata un po’?» fece Emile, portando un braccio attorno alla mia vita.
«Scusa per ieri sera, credo di essermi addormentata su di te…»
Lui ridacchiò.
«A quanto pare ho un effetto soporifero o qualcosa del genere, perché quando ti sei poggiata a me sei quasi svenuta! …Se è servito a farti dormire, però, sono contento.»
«Ecco, in realtà…»
Gli raccontai del sogno.
Mentre scendevo nei dettagli, Emile assunse un’espressione pensierosa. Annuiva di tanto in tanto, passandomi una mano distratta tra i capelli.
«…Penso di aver intuito chi sono quei due sulla biga, ma non capisco perché dovrebbero essere invischiati in questa faccenda» disse infine, cadendo in un mutismo che non era da lui.
«Secondo te cosa dovremmo fare?»
Sapevo già quale sarebbe stata la sua risposta.
«...Andare a Seward Park.» Aveva omesso di dire “da soli, di sera, uscendo senza permesso dal Campo”. Chissà perché, avevo la sensazione che Chirone non ne sarebbe stato affatto contento.
«E da lì riusciremo ad arrivare da Kimon in tempo?» Era piuttosto ovvio che usando i mezzi convenzionali non ne saremmo stati in grado.
Emile mi rivolse un sorriso enigmatico, forse un po’ sarcastico.
«Sono sicuro che sarà lui a venire da noi. Mi era sembrato abbastanza annoiato e volenteroso di aiutarci, l’altra volta… Sì, verrà lui.»
Non capivo perché fosse così certo, ma l’alternativa era di lasciare la donna al suo destino e addentrarci negli Inferi senza un piano. Magari, se fossimo riusciti a salvarla o catturare uno degli inseguitori, avremmo potuto sapere qualcosa in più sui piani di Ade… Sempre che si trattasse di lui. Dopo le visioni iniziavo a nutrire qualche dubbio.
Sospirai, abbandonando la testa sulla spalla di Emile.
«Spero tu abbia ragione.»
Restammo per un po’ così, in silenzio, seduti di fronte al laghetto in cui erano solite specchiarsi le figlie di Afrodite, finché lui non riprese a parlare.
«Alla fine sarebbe domani sera.»
«Già.» Non avevo la più pallida idea di come saremmo riusciti a sgattaiolare fuori dal Campo senza farci scoprire.
«…Devo andare a completare i preparativi, allora» disse, alzandosi con aria assorta. Aveva in mente qualcosa. «Tu non strafare, ci vediamo a pranzo!» concluse infine, schioccandomi un bacio sulla fronte e lasciandomi da sola a pensare.
 
Nonostante la stanchezza, l’idea di rimanere con le mani in mano non mi allettava per niente, quindi avevo deciso di esercitarmi un po’ col tiro con l’arco prima di rilassarmi suonando il violino.
Finalmente riuscivo a padroneggiare l’arma con destrezza: le frecce colpivano tutte il bersaglio e le braccia non si intorpidivano più così facilmente. Non brillavo di certo per potenza (i dardi scagliati da me non penetravano a fondo nell’obiettivo, come quelle di Raven o Loren), ma avevo acquisito una certa velocità nell’incoccare la freccia e prendere la mira. Speravo che queste mie abilità sarebbero potute tornarmi utili contro i due tipi del carro, anche se non sarei stata al massimo delle mie capacità.
Per suonare il violino decisi di rifugiarmi in camera, lontano da tutto. Lasciai libero sfogo alle emozioni, premendo i polpastrelli fino a sentirli pulsare e rimanere senza fiato per il bruciore.
“Posso farcela… Ho Emile, noi due insieme possiamo farcela” continuavo a ripetermi per calmare il battito del cuore, che minacciava di impazzire ogni volta che pensavo a cos’avremmo fatto una volta salvata la donna e raggiunti gli Inferi. Se fossimo riusciti a salvare la donna.
Scossi la testa, sedendomi davanti alla scrivania con un sospiro. Dovevo smetterla di preoccuparmi a quel modo o, una volta davanti al pericolo, avrei ceduto al panico senza sapere cosa fare.
Il ramoscello d’alloro, regalatomi da Raven in segno di benvenuto dopo che avevo accettato di far parte della banda, giaceva sul tavolo, ormai quasi rinsecchito. Lo accarezzai dolcemente, attenta a non staccare le fragili foglie accartocciate, iniziando a intonare un motivetto a labbra chiuse.
“Padre… Non ti ho mai chiesto nulla in particolare, ma adesso… Ti prego, dammi la forza di tornare vittoriosa.”
La Melodia che stava prendendo forma mi risultava estranea, eppure, sentivo di conoscerla in qualche modo. Come se fosse intrisa del mio essere e scorresse da me, in un flusso di note che spingevano prepotentemente dalla gola per venire alla luce. Per essere liberate.
Chiusi gli occhi, continuando a carezzare l’alloro, il flebile motivetto che cresceva d’intensità fino a diventare una vera e propria canzone, e delle parole s’insinuarono nella musica.
 
«Melo̱día,
Óla eínai éna kai éna eínai óla
I̱ zo̱í̱ mou, i̱ zo̱í̱ sas.
To rév̱ma roí̱ mésa sto Sýmpan,
af̱thórmi̱ti̱.
Epistrofí̱ sto Néa Zo̱í̱.»
♫♪♫
 
Sapevo che dovevano suonare qualcosa come:
“Melodia,
Tutto è Uno e Uno è Tutto
la Mia Vita, la Tua Vita.
Il Flusso scorre nell'Universo,
spontaneo.
Torna a nuova Vita.”
…Ma cosa significavano?
Riaprii gli occhi, improvvisamente spossata, per trovarmi davanti a uno spettacolo sconcertante.
L’alloro era tornato verde e rigoglioso come appena tagliato dall’albero, c’erano addirittura alcune gemme di foglie nuove, appena nate.
 
Ero rimasta imbambolata a fissare il ramoscello d’alloro per non so quanto, prima di decidermi a uscire dalla stanza e andare a pranzo. Dovevo avere un’espressione ancora scossa, perché a tavola Raven non la smetteva di fissarmi, a metà tra l’incuriosito e l’ansioso. Avevo deciso tra me che non avrei parlato con nessuno dell’accaduto, speravo forse che si trattasse solo di un’allucinazione da mancanza di sonno.
Quando finalmente mi ritrovai con Emile al solito posto, rimasi colpita nel notare la presenza di una terza persona.
«…Raven?» Aveva abbandonato il tavolo abbastanza in fretta rispetto ai suoi standard, ma di certo non immaginavo fosse per incontrare Emile.
Stava discutendo sommessamente con il biondo, aggrottando le sopracciglia.
«Thara! Spero non ti dispiaccia, gli ho raccontato del tuo sogno.»
«N-no, è che…» Potevo comprendere la tregua che si era stabilita tra loro da quando stavo con Emile, ma addirittura arrivare a tanto…!
Raven mi sorrise beffardo.
«Il caro Noir si è accorto di non essere in grado di risolvere tutto da solo e ha deciso di chiedermi aiuto.»
Emile lo guardò torvo, sbuffando.
«Consiglio, prego. Volevo solo avere una conferma.»
Continuai a spostare lo sguardo da uno all’altro, mentre i due perseveravano nel punzecchiarsi cercando di chiarirmi il significato del sogno, finendo solo col fare ancora più confusione nella mia povera mente rallentata dal sonno. Alla fine, decisi di zittirli.
«Scusate… Non credo di aver capito molto. Chi erano i due sulla biga?»
Mio fratello sospirò.
«Te l’ho già detto… Da come l’hai descritta, sembrerebbe essere la biga di Ares. Quelli erano senza dubbio Phobos e Deimos, anche se non riesco a spiegarmi cosa dovrebbero c’entrare con Ade. A meno che…»
«…A meno che Ade non si sia alleato con Ares, cosa non del tutto improbabile» concluse Emile.
«Phobos e Deimos?» Dal canto mio, ero ancora rimasta ai nomi delle due divinità minori. Alzai uno sguardo imbarazzato su Emile, chiedendogli spiegazioni.
«Uh, non te li ricordi? Te ne avevo parlato in una delle prime lezioni del corso accelerato…» No, non li ricordavo. I primi giorni ero ancora troppo impegnata a deprimermi per mia madre e osservare Emile intimidita, per badare alle sue parole. Scosse la testa e riprese a parlare. «Phobos incarna la Paura e destabilizza le persone utilizzando le loro fobie. Deimos invece è il Terrore, con i suoi poteri può gettare le folle nel panico. Sono entrambi figli di Ares e hanno l’incarico di guidare la sua biga… Tutto chiaro?»
«Oh.» Bene! A quanto pareva, erano dei tipi tosti da abbattere. Mi sfuggì un anso di frustrazione quando abbandonai le spalle, demoralizzata.
«È per questo che, nonostante la mia indubbia forza sia abbastanza da sopperire alla mancanza di talento di Noir, ho pensato fosse meglio chiedere la partecipazione di qualcun altro!»
«Ma cosa…?! Se l’altro giorno ti ho battuto all’Arena!»
«È stata solo fortuna, non vantarti.»
Il bisticcio sarebbe di certo continuato se Alyssa non fosse apparsa, quasi evocata dalle parole di Raven.
«Eccoti! Stavo giusto parlando di te.»
La rossa si scostò i capelli con una mano, posando i suoi occhi di ghiaccio sui miei prima di sciogliersi in un sorriso.
«Finalmente si passa all’azione! Sono felice che tu abbia mantenuto la promessa.»
Raven non perse tempo a spiegarle che non era stata una mia idea quella di chiamarla (cosa della quale gli fui grata), e passò a spiegare il piano per l’indomani.
«In realtà non è così complicato. Tutti e quattro faremo in modo di sparire dalla circolazione senza destare sospetti, l’importante è riuscire a trovarsi per le 22:15 vicino all’albero di Talia ed evitare sguardi indiscreti. La dracma d’oro la porterai tu Noir, sono sicuro che riuscirai a recuperarne una in qualche modo…»
«Per quello non ci sono problemi… È in questi casi che risulta utile essere figli di Ermes» annuì il biondo.
«…Nel dubbio, prendine alcune in più. Forse vorranno un’aggiunta, visto che siamo in quattro.»
Interruppi Raven, incuriosita.
«A cosa serve la dracma?»
Alyssa ‒che era rimasta in silenzio fino a quel momento‒ si mise a ridere come se avessi appena fatto una battuta molto divertente.
«Ahahah… Dai, non è ovvio? Non andremo mica a piedi fino a New York!»
Emile le lanciò un’occhiataccia.
«Smettila, non è mai salita sul taxi delle Sorelle.»
La ragazza sollevò le spalle con una finta espressione dispiaciuta e mi fece l’occhiolino.
«Allora è meglio non rovinarti la sorpresa, lo vedrai domani.»
---
«Eh? Vai già a letto, Thara?»
Sorrisi a Martha, sperando che la mia agitazione non trasparisse dal volto.
«Sì, ho un po’ di sonno.» Sbadigliai platealmente, a conferma delle mie parole.
Mia sorella mi passò una mano sulla fronte per poi accarezzarmi i capelli in modo affettuoso.
«E va bene, allora riposati pure… Vedi di rimetterti in fretta che non manca molto al grande Concerto di fine estate! Non vorrai mica ammalarti proprio adesso» rise lei.
Mentre le davo la buonanotte, deglutii al pensiero di non tornare viva dalla spedizione e mettere a repentaglio anche la vita di Emile, Alyssa e Raven. “Mi auguro che riusciremo ad assistere al Concerto ancora vivi e vegeti…”
Aspettai l’avvicinarsi dell’orario stabilito in camera e uscii di soppiatto, ben attenta a non farmi notare dai miei fratelli. La brezza serale mi accolse, scompigliandomi i capelli sciolti e facendomi rabbrividire.
Trovai Emile e Alyssa già pronti sotto l’albero di Talia, rivestiti entrambi di un’armatura leggera di cuoio, che fissavano l’oscurità in silenzio.
«Greenwood… Metti questo, ti proteggere» fece la rossa, porgendomi un corpetto simile al suo. Rimasi colpita dal suo gesto, non mi aspettavo sarebbe stata così premurosa nei miei confronti.
«Ti ringrazio! Sei molto gentile Alyssa.»
«Di niente, Greenwood. Devi essere ben equipaggiata in uno scontro, o rischierai di essere solo d’impiccio se non sarai in grado di proteggerti.» Lasciai correre l’ultima frase, che suonava più come un insulto velato che un consiglio, e le sorrisi.
«Ehm, hai ragione… Comunque puoi chiamarmi per nome, mi farebbe piacere» le dissi, affrettandomi poi ad aggiungere «Sempre che non ti dia fastidio!»
Mi parve di vederla arrossire nell’abbassare gli occhi al terreno.
«Oh, uh, okay… Allora va bene, Cithara.» Sembrava un po’ tesa anche lei. Non credevo che l’avrei mai vista agitata, i figli di Ares mi erano sempre sembrati solo esaltati davanti alle nuove imprese, come se fossero tutti un branco di incoscienti.
“Un momento… Alyssa è figlia di Ares, ma lo sono anche Phobos e Deimos!”
«Alyssa? Forse è un po’ tardi chiedertelo adesso ma… Sei sicura di voler affrontare due tuoi fratelli?»
Sulle prime non sembrò capirmi, poi le si illuminarono gli occhi.
«Ah, intendi Phobos e Deimos? …Figurati. Può solo che farmi piacere dare una lezione a quei due, li ho visti un paio di volte e li detesto dal profondo.» Prese un respiro. «…Grazie per l’interessamento comunque, non devi preoccuparti.»
Annuii, poco convinta, tornando a cercare con gli occhi Raven, nelle tenebre della sera.
«…Dove diamine si è cacciato quel corvaccio?» borbottò Emile, dando voce ai miei pensieri. A dispetto della circostanza spiacevole, mi ritrovai a sorridere del soprannome affibbiato a mio fratello.
«Ehi Noir, chiama il taxi. L’orario è già passato da un pezzo, se non ci muoviamo rischiamo di mandare tutto all’aria.» Alyssa aveva ragione.
Emile ci fece cenno di seguirlo e uscire dalla barriera, sussurrando qualcosa in greco antico e gettando la dracma  a terra con un gesto insofferente. Mi aspettavo che la moneta tintinnasse, invece questa venne letteralmente inglobata dal terreno, che iniziò ad emettere sinistri gorgoglii, finché una grande pozza liquida dal colore simile al sangue non andò a formarsi lì dove prima era caduta la dracma.
Sussultai impaurita arretrando, quando uno strano taxi color fumo ‒o meglio, della consistenza del fumo!‒ affiorò dalla pozza.
Una testa brizzolata, dai lunghi capelli selvaggi, si sporse dal finestrino.
«Serve un passaggio?» chiese la vecchia signora, con voce roca. Non sapevo perché, ma il non poter vedere i suoi occhi, coperti dalla massa di capelli, mi inquietava.
«Tre per Seward Park, New York» rispose Emile, aprendo lo sportello posteriore per farmi salire.
Lo guardai a occhi sgranati, ancora un po’ allarmata, prima di decidermi a salire sulla macchina e stringermi per far posto a lui e alla rossa.
«Perdonatemi, possiamo aspettare un minuto prima di partire? Dovrebbe arrivare un’altra persona…» bisbigliai una volta seduta. Mi rispose un’altra voce rauca, realizzai così che la vecchietta non era sola: ce n’erano ben tre!
«Il tassametro scorreee!»
«Tempesta!!! Non urlarmi nell’orecchio! …Per il trasporto di un’altra persona ci vuole un pedaggio extra, un pedaggio extra! Giusto Vespa?»
«Un’altra dracma, sì, Rabbia!» rispose quella che pareva l’autista, muovendo energicamente la testa avanti e indietro.
«Sì sì, ce l’abbiamo… Sempre che arrivi quell’altro» sbuffò Emile, accanto a me. «Si sta così stretti qua dentro…! Ehi, e se lo facessimo mettere nel bagagliaio?»
Mi scappò una risata e anche Alyssa si fece sfuggire un sorriso.
«Non credo che Raven sarebbe d’accordo!» replicò la rossa.
La portiera dalla sua parte si aprì, e la testa corvina di mio fratello fece finalmente capolino.
«Scusate, ho avuto qualche problema a eludere la sorveglianza di Martha… Certo che quella ragazza sa essere davvero caparbia!»
Emile diede la seconda dracma alla vecchietta di nome Tempesta, che iniziò a litigare con le altre due su chi dovesse tenerla, mentre Raven prendeva posto nel taxi, non senza qualche difficoltà.
«È piccolo qui… Noir? Hai pensato a metterti nel bagagliaio per farci un po’ di spazio?» fece lui, beffardo.
Emile sogghignò.
«Stavamo proprio riflettendo, prima che entrassi, che forse quello dovrebbe essere il tuo posto in quanto ritardatario! Si stava meglio senza di te.»
«Ah, ti sei forse pentito di aver chiesto il mio aiuto?»
«Non ti ho chiesto di accompagnarci, hai fatto tutto tu.»
«Uhm, io la ricordavo diversamente… “Oh, Lionhard, devi aiutarmi! Si tratta di Thara!”…» fece Raven, scimmiottando Emile, con un tono di voce quasi femmineo. Il biondo avvampò.
«Cooosa?!? …Ringrazia solo che non posso prenderti da qui, quando scendiamo ti faccio vedere io!»
I due continuarono ad azzuffarsi per tutto il tragitto e ormai non sapevo se essere più impensierita dal loro battibecco o dalla guida pessima della vecchietta Vespa. Specialmente da quando Alyssa, per giustificare l’andatura spericolata del taxi, mi aveva sussurrato che le Sorelle Grigie avevano a disposizione un solo occhio per tutte e tre.
Disperata, chiusi le palpebre e mi raggomitolai nel mio sedile, pregando silenziosamente di arrivare sana e salva a Seward Park.
 
 
 
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Nota dell’Autrice:
Perdonatemi se vi ho fatto aspettare un mese, prima di aggiornare! çAç Sono stata totalmente inghiottita dalle giornate frenetiche universitarie.
Spero tanto che questo capitolo non sia risultato troppo deprimente (insomma, dopo la parte felice e allegra del cap. precedente qui si scende in una depressione pazzesca...!XD) e che abbiate potuto apprezzarlo. :')
Ho aggiornato il cap.10, aggiungendo un disegno di Kimon (Ipno), se siete interessati a vedere le fattezze del mitico dio del sonno!:D
Vi lascio con un disegno della mamma di Thara.
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Un bacione, al prossimo aggiornamento! ;) 

Remiel
   
 
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