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Autore: Eris Gendei    25/09/2007    1 recensioni
Se avete presente la dedica x diario che andava l'anno scorso intitolata Cuore sapete di cosa parlo: la trama è lei, solo rigirata.
Se ciò di cui parlo x voi è ostrogota...beh leggete!
Ma vi avverto che è bella triste!
Genere: Romantico, Triste, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Trascorrevo una vita felice, soddisfacente, circondata da amici e affetti ogni momento; ero sempre sorridente, allegra…si vedeva che ero serena e veramente contenta che fosse finalmente estate.
Se solo avessi saputo che quel solstizio sarebbe stato la firma in calce sulla mia condanna…

La prima cosa che ricordo è che stessi sognando.
Sentivo vagamente un rumore in sottofondo che andava e veniva, cullandomi con il suo ronzio basso e quasi costante il che, aggiunto alla comoda posizione rannicchiata in cui mi trovavo e alla morbida e tiepida superficie su cui tenevo posata la testa, leggermente ciondolante, contribuiva a creare un’atmosfera veramente perfetta per un bel sogno.
E cavoli se il mio sogno era bello: mi sentivo una principessa mentre un bellissimo cavaliere in bermuda, canottiera e sneakers mi prendeva per mano sulla soglia del castello in cui vivevo e mi trascinava gentilmente fino alla magnifica carrozza sportiva rossa fiammante parcheggiata appena fuori dal cancello, apriva la portiera, si accomodava e poi faceva sedere anche me, accanto a lui, ancora mano nella mano, il tutto accaduto in meno di 5 minuti…per fortuna li avevo vissuti al rallenti, così mi ero assaporata ogni attimo come un morso di pesca particolarmente succoso.
C’era però qualcosa che non quadrava: mi sembrava che fosse l’alba, mentre di solito quel genere si avventure nelle favole avvenivano al tramonto, una fuga d’amore verso l’orizzonte immerso nel crepuscolo, e la principessa saliva in carrozza prima del cavaliere.
Non che mi dispiacesse il contrario: nessuno si era accorto del fatto che avessi abbandonato la testa sulla spalla del mio adone e che, involontariamente, dopo 10 minuti mi fossi addormentata tutta rannicchiata addosso a lui, con un vago accenno del mio solito sorriso ebete che spuntava sulle labbra.
Per un attimo avevo visto soltanto il buio rossiccio dell’interno delle palpebre prima di svegliarmi…o forse mi stavo addormentando?
No, decisamente non era possibile che il principe fosse realtà…o forse…

Mi sveglio di soprassalto ad un sobbalzo dell’auto particolarmente forte, più dei precedenti che mi avevano infastidito e avevano cominciato a svegliarmi.
Quello era stato il colpo di grazia.
Mi ritrovo sul sedile posteriore di un’automobile sportiva col cofano rosso, spiaccicata tra lo sportello e un qualcosa di morbido e sodo: ci metto un attimo per capire che la cosa è un braccio.
Lo percorro lentamente con lo sguardo fino ad incontrare due favolosi occhi castani che mi fissavano divertiti, puntati dritti nei miei, passando prima sul sorriso sornione di due labbra belle rosee e carnose, il miglior tipo di labbra da cui si può desiderare di ricevere un bel bacio, un naso leggermente a punta e due zigomi altissimi e ossuti, da fotomodello per riviste stile Vogue: mascella squadrata, fronte alta, sopracciglia arcuate sollevate in una smorfia divertita e degli spettinati ricci castani tutt’intorno.
Si…decisamente il mio principe è reale…e solido, constato stringendo le dita della mano, ancora intrappolata nella presa piacevole e salda di quella di lui.
Ha delle dita bellissime e le unghie ridotte anche meglio delle mie: che grazia che gli è stata concessa a non aver bisogno di smalti e limette per averle perfette!
Ho ancora gli occhi fissi nei suoi quando lui scoppia a ridere gettando indietro la testa ed esclama:”Sei troppo forte quando fai questa espressione ebete! Mi fai sentire inumanamente bello!”
Arrossisco di colpo e distolgo lo sguardo: ancora non mi sembra vero di avere il ragazzo e sono in rodaggio…devo abituarmi all’idea che un elemento dell’altro sesso possa trovarmi tanto bella e interessante da volersi mettere con me.
Per carità, di solito ho un’autostima coi fiocchi e i contro fiocchi ma stare con lui mi ha stravolto la vita: mai più pomeriggi vuoti, attese infinite accanto al telefono che non squilla e bidoni di amiche impegnate a pastrugnarsi con i rispettivi boy friend.
Forse se la smettesse di sussurrarmi “ti amo…” ad ogni occasione sarebbe più facile…è estremamente esaltante sapere che finalmente qualcuno ti corrisponde ma 2 mesi per abituarsi sono decisamente troppo pochi!
Però adoro quando me lo dice…
Insomma…tornando a noi, lui stringe le dita in risposta e affonda il viso nei miei capelli, tempestandomi di minuscoli bacetti silenziosi e sniffando il profumo del mio shampoo…il mango gli piace molto.
Qualcosa (probabilmente gli ormoni) mi impedisce di sentirmi imbarazzata dal fatto che faccia tutto questo in presenza dei suoi genitori e della sorella, isolata nel suo piccolo mondo dalle cuffie dell’i-pod.
Posso chiaramente sentire tutti e tre ridacchiare gentilmente in silenzio ma le mie guance si rifiutano di avvampare ancora…allora mi azzardo a passare casualmente il braccio dietro il poggiatesta per arrivare comodamente ai capelli del mio principe: mi piace da morire intrecciare le dita tra i suoi ciuffi ribelli e piace anche a lui: lo vedo chiaramente chiudere gli occhi e sospirare soddisfatto.
Spero, in un attimo di lucidità, che non si metta a fare le fusa come al solito…per qualcuno che non lo conosca come me potrebbero essere tranquillamente scambiate per suoni equivoci di altro genere…
Per fortuna si limita a sospirare e ammiccare verso di me attraverso lo specchietto retrovisore: sua sorella si preme rapidamente una mano sulla bocca per soffocare la risatina maliziosa che minaccia di scapparle.
Ancora una volta mi impedisco di arrossire ma quando lui si gira verso di me e preme per un attimo le sue labbra sulle mie mi sembra di svenire.
Il cuore prende a battermi così forte che temo tutti possano sentirlo…però sembra che solo lui se ne sia accorto:”Rilassati piccola…” mi sussurra mentre mi accarezza la guancia con l’indice, seguendo la linea della mascella.
Sorrido come una bambina scema e gli pianto un bacio nel collo per ricambiare, tutta in fibrillazione.
“Siamo quasi arrivati!” annuncia all’improvviso la voce allegra di suo padre, scoppiando la nostra piccola e lucida bolla di intimità.
E’ vero.
Dal finestrino vedo la striscia bianca e rifulgente della spiaggia e l’azzurro intenso del mare baciato dal sole caldo delle 11.
Si avvicinano sempre di più, fino a quando la macchina si ferma in un piccolo spiazzo erboso all’imbocco di un sentiero di ciottoli:”Da cui si prosegue a piedi” dice sua madre sorridendo, interpretando correttamente la mia espressione dubbiosa “Sono solo pochi metri e il sentiero è largo.”
Scarichiamo dalla macchina tutto ciò che abbiamo portato e ci avviamo verso la spiaggia brillante in fila indiana, fatta eccezione per noi due, ancora mano nella mano. La madre di lui aveva ragione: in un attimo sbuchiamo tra gli scogli e una ventata di aria salmastra ci avvolge, intridendoci i capelli e la pelle di salsedine vagamente appiccicosa.
Ho sempre adorato il mare e tutto ciò che fa del suo ambiente una cosa unica: il sale che pizzica, il sole bruciante, l’acqua fresca delle onde che ti travolgono e ti buttano sotto…
Manco a dirlo, mi sdraio immediatamente a prendere il sole e così fanno gli altri, tutti tranne la sorella che aggancia un gruppo di ragazzi e ragazze apparentemente della sua età per giocare a frisbee sulla riva, con i piedi a mollo.
Mentre i suoi si lanciano in una discussione riguardo un articolo trovato sul giornale il mio principe mi fa cenno di seguirlo: mi porta in una piccola cavità naturale immersa nell’acqua solo per metà, al riparo da sguardi indiscreti e bellissima.
Mentre sguazziamo per raggiungere una nicchia all’asciutto si mette a canticchiare una canzoncina stupida che tira sempre fuori in situazioni come questa:
“Andiam, andiam, andiamo a limonar…”
Non so perché ma mi fa ridere.
Solitamente sono contro le cose stupide, dagli oggetti alle canzoncine, ma mi sta prendendo un attacco di ridarella a singhiozzo, e mi metto a strombazzare incespicando e finendo in acqua.
E’ geeeeelida!!
Mi metterei a bestemmiare in turco cipriota se lo conoscessi per quanto è fredda l’acqua ma mi devo accontentare di farmi tirare fuori di peso dal mio principe, sputacchiando acqua e annaspando.
Che imbranata che sono a volte.
Evidentemente a lui non importa molto perché mi da giusto il tempo di tornare a respirare normalmente prima di piazzare con decisione le sue labbra sulle mie e baciarmi in quel modo appassionato che solo lui ha di fare.
Mmm, che bella giornata.
Tutto sta andando a meraviglia.
Finché il mio principe non si stacca da me di colpo, si porta le mani al petto, rantolando, e cade in acqua.
Ha tutto il corpo scosso da un tremito incontrollabile e sembra in preda alle convulsioni.
Rimango paralizzata dallo stupore e dalla paura: cosa faccio?!
Prima che la mia testa abbia il tempo di concepire un pensiero coerente mi lancio fuori dalla grotta e corro dai suoi, gridando a più non posso, chiedendo disperatamente aiuto.
Circa una decina di persone, richiamata dalle mie grida, accorre alla piccola grotta, dove il mio principe ha smesso di agitarsi e giace nell’acqua bassa, immobile, gli occhi sgranati e il petto che trema ad ogni respiro.
Non me ne ero resa conto ma sto piangendo, credo più che altro per la paura ma nel vederlo gettato a terra in quel modo le mie lacrime sgorgano ancora più copiose, accompagnate da singhiozzi sommessi e dal naso che mi cola da far schifo.
Ho le mani tutti impastate di moccio e lacrime salate a forza di strofinarmele sul viso e premerle sulla bocca per soffocare i singhiozzi.
Sento un paio di braccia avvolgermi e sua sorella, parecchie spanne più alta di me, mi cinge le spalle, forse più per sorreggere se stessa che me.
“E’ una cosa grave. Deve essere immediatamente operato. Al cuore.” Sento dire.
Tutto ciò che ho dentro, dalle interiora ai pensieri, congela all’improvviso: mi irrigidisco di colpo e sento le mani della ragazza serrarsi e le sue unghie penetrarmi nella carne.
Siamo come pietrificate: il padre di lei ci da una scossa e dopo un attimo seguiamo come due autonome il codazzo di gente che si diparte dalla grotta: in testa quattro uomini stanno portando il suo corpo.

Aspetto.
Aspettiamo.
Il mondo aspetta.
La vita pure.
Sembra che il tempo si sia fermato da quando ho visto la sua barella sparire in sala operatoria…da allora non è più ricomparsa.
Non so dire da quanto tempo sono qui: forse minuti, forse ore, forse giorni, forse un secolo.
Magari il mio principe si è addormentato e dormirà per cento anni, e nel frattempo io dormirò come lui e fra cento anni esatti ci risveglieremo insieme…o io morirò e un’altra principessa lo sveglierà con un bacio.
Non voglio neanche prendere in considerazione questa seconda ipotesi.
Magari è tutto un brutto sogno…
Decisamente, no…i segni delle unghie di sua sorella, una giovane principessa rannicchiata su uno sgabello, che sembra più bassa e più piccola del solito, ci sono ancora sulla mia pelle.
Mi sembra di non stare più vivendo.
Tutto attorno a me è immobile e io mi sono adeguata a questa staticità.
Soltanto il crudo neon sul soffitto pulsa: lo vedo riflesso negli occhi della principessa che ogni tanto mi guarda ora speranzosa e ora disperata.
Vogue non è mai stata così noiosa e priva di senso.
La rivista patinata cade a terra e con lei Dita Von Teese si accascia sul pavimento di linoleum scolorito, consumato dalla polvere che aleggia a pochi centimetri da esso, dal tempo e dai passi che l’hanno calpestato, sporcato.
Un uomo in camice verde acido esce dalla porta che il mio amore ha varcato adagiato su una barella: non so dire se fosse vivo, morto o a metà strada.
Immediatamente tutti alziamo la testa, con una speranza non confermata né sfatata dalla mascherina che copre quasi per intero il viso dell’infermiere, rendendolo impassibile.
Si avvicina e sussurra qualcosa all’orecchio dei suoi.
Non si sente volare una mosca nella stanza, soltanto il rumore del cuore mio e della sorella del mio principe che attendono, assetati di sapere.
Ma quando suo padre si gira capiamo che non è bello ciò che sta per dirci.
Passo una vita a guardarlo parlare con la figlia, piangendo, prima che lei venga da me e me lo riferisca, a parole mozze.
Al mio principe serve un cuore nuovo.
Ma il vero problema è un altro: non c’è nessun cuore da sostituire al suo.
La mia testa si svuota all’improvviso.
Nulla totale.
Vuoto.
Il mio principe morirà.

All’improvviso sento una voce flebile, leggermente rauca, poco più che un sussurro, che rompe il silenzio tombale della stanzetta e sibila:”Il mio.”
Non so bene se mi sto rendendo conto che è la mia voce.
Nessuno sembra avermi sentito così lo ripeto.
“Il mio.”
Tutti i presenti si voltano per guardarmi: gli occhi vacui di sua madre, quelli spenti di suo padre, quelli bagnati della sorella, quelli strabuzzati dell’infermiere…
“Il cuore…gli do il mio. A…a me non serve.”
“E da quando in qua!” dice una voce sarcastica nella mia testa:”Non sapevo che potessi vivere senza un organo essenziale!”
Metto a tacere questa fastidiosa vampa di lucidità e cerco qualche bella frase per convincere i suoi.
L’unica cosa che mi esce però è un ricatto.
“A una condizione…” mi sento dire, mentre squadro a testa alta suo padre, sua madre, la principessa e soprattutto l’uomo in camice.
La mia lingua non è più comandata dalla mi testa, va da se, completamente.
“Voglio vederlo vivo. Un’ultima volta. Prima…prima di…”
Non riesco a completare la frase, la mia parte razionale mi suggerisce la parola e quella irrazionale mi impone di non dirla:sa sentendola pronunciare vacillerei.
E ormai non posso deludere queste persone.
L’infermiere scompare di nuovo in sala operatoria e ne riesce dopo circa un minuto di attesa snervante e imbarazzata da parte mia e dei suoi.
Mi volto, inspiro a fondo e ripeto ancora una volta il mio brevissimo monologo, questa volta più convinta, senza pause lunghe.
I due medici mi guardano come se avessi detto di essere la reincarnazione di Gesù Cristo, ridono tra loro e domandano ai suoi se sono i miei genitori: sentendo la risposta negativa dicono che se non ho il consenso dei miei non se ne fa nulla.
Dopo un attimo di silenzio attonito sento la rabbia pervadermi: in un lampo di pazzia tiro fuori il mio coltellino svizzero (l’avevo portato per staccare qualche bella conchiglia dagli scogli) emetto in chiaro che o mi uccidono loro per una buona causa o lo faccio io inutilmente.
I due medici mi guardano come se fossi una bambina stupida e sorridono, nel chiaro tentativo di farmi passare per patetica.
Poi, senza dire niente, l’uomo in camice bianco mi mette una mano sulla spalla, scuotendo la testa, e mi porta via.
Ho appena il tempo di guardare un’ultima volta quelle tre persone sconvolte, che sarebbero potute diventare parte della mia famiglia, osservarmi attonite mentre vado a morire di mia volontà.
“Giovanna D’Arco va a morire” direbbe qualche mio stupido compagno di classe se fosse qui.
No, non Giovanna D’Arco, magari una Santa, tipo Santa Caterina o un’altra martire.
La stanza in cui mi hanno portato è piccola e quadrata, spoglia e illuminata rudemente da neon accecanti che fanno rilucere le pareti bianche.
“Aspettate…”
Sperano forse che ci abbia ripensato?
“Voglio un foglio e una penna…e un minuto!”
Il mio desiderio è esaudito: mi vengono portati il foglio e la penna e mi viene dato un minuto per scrivere.
La mia vita.
I miei desideri.
Le mie paure.
Tutto ciò che voglio che non si dimentichi.
Anche i miei segreti.
E un saluto per ogni persona che conosco.
Insomma, me ne vado con stile.
Girò il foglio.
Questa pagina sarà solo per lui.
Per salutarlo come si deve.
Come vorrei fare di persona.
Ma non credo che questo sarà possibile.
Guardo un ultima volta fuori dalla finestra e mi chiedo cosa accadrà.
Una breve preghiera. Per me e per lui. E per tutti.
Poi, senza tante cerimonie, vengo stesa su un lettino operatorio e mandata per metà all’altro mondo con dei sedativi che stenderebbero un mostro mitologico.

Apro lentamente gli occhi…o meglio tento di sollevare le palpebre ma sembra che si siano incollate a quelle inferiori.
Ho gli occhi tutti appiccicosi.
Qualcosa mi passa sugli occhi (un fazzoletto?) e riesco ad aprirli un poco.
Vengo accecata da una luce violentissima che mi costringe a richiuderli di scatto.
Dio, che mal di testa.
Sono tutta rintontita e mi sembra di vedere la mia vita passarmi davanti come in diapositive, confondendosi con qualcosa che preme per essere ricordato.
Porto la mano agli occhi per schermarli.
O almeno tento, perché non trovo la mano.
Mi sembra di galleggiare.
Sono già morta?
Morta…questa parola mi riporta alla mente quel pensiero che non riuscivo ad acchiappare.
Spalanco gli occhi all’improvviso, curiosa di vedere il Paradiso.
E invece mi ritrovo chiusa in una bara di vetro, piena di tubicini e flebo, che mi tengono in vita anche senza cuore.
“Sbrigatevi…sta per andarsene…” sento dire, o almeno mi sembra, da voci confuse e fastidiose, rimbombanti.
Mi sembra di essere Biancaneve.
Anche lei aveva una bara di cristallo.
C’è qualcuno che sta piangendo per me?
La mamma…
Sussultò pensando che non l’ho salutata.
Sto per gridare che devo vederla quando vengo fermata da una visione bellissima.
Il mio bel principe è vivo, anche se macilento, e mi guarda sorridendo debolmente al di là del vetro.
Restituisco il sorriso e mi rendo conto che nonostante non abbia più il cuore la testa funziona ancora: e i brividi pure.
Sospiro soddisfatta e faccio un cenno leggero al dottore che regola la macchina che mi tiene in vita.
Guardo il mio principe un ultima volta prima di chiudere definitivamente gli occhi.
E muoio con il sorriso sulle labbra.
Amen.

  
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