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Autore: Welt    10/03/2013    3 recensioni
Era finita.
Lui era finito.
Tutto intorno a se era finito.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Han Geng, Heechul
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti!
E' da un po' che pensavo di scrivere su di loro, quindi eccomi qui.
E' una cosa un po' così, cioè io in realtà ci tengo molto a questi pochi righi, ma posso capire che non piaccia proprio a tutti o a  nessuno, una storia del genere.
Ringrazio come sempre  PatheticRomance  che mi corregge sempre le storie.
E si fa un lavoraccio dietro i miei errori di punteggiatura.
Ringrazio anche tutti coloro che la leggeranno, anche se la dovessero trovare orrida, avete comunque perso del tempo dietro alle mie parole, è già molto.
Spero di ricevere i vostri pareri, anche solo per capire dove devo migliorare.
Sono sempre ben accetti!
A presto,
W.

 

Dead



Pesanti lacrime rigavano il suo viso stanco.
Stanco, si, fin troppo stanco per poter ancora provare solo a sorridere.
Non riusciva ad andare avanti da quanto se n’era andato via, lui non riusciva ad andare avanti, a dimenticare le sensazioni che lui aveva provato. Le sue mani tra le proprie, il suo dolce sorriso che gli aveva dedicato più di una volta, le sue labbra contro le proprie e quel corpo contro il suo.
No, non riusciva ad andare avanti e piangeva mentre continuava a ripetersi che un giorno sarebbe riuscito a dimenticare, ma adesso non poteva, adesso non ci riusciva.
Si era aggrappato con tutto se stesso al ricordo di lui, a quel maledettissimo sorriso che non riusciva ad immaginarsi di vivere senza.
Il fiatone per la lunga corsa ancora lacerava il suo petto, sembrava che la sua vita fosse una corsa, una corsa per raggiungerlo, per poter ancora sorridere e ridere con lui. Una corsa per sopravvivere.
Ma lui? Lui non correva dalla sua parte, lui camminava lentamente dalla parte opposta. Heechul nonostante corresse con tutte le sue forze non ce la faceva a raggiungerlo.
Le lacrime continuavano a scorrere copiose sul suo viso, la folle corsa non gli permetteva di respirare nel modo giusto.
Urla di dolore riempirono lo spazio circostante, urla di un dolore straziante e lacerante che, il solo ascoltarle, distrugge tutto ciò che di bello c’è intorno in te. Urla di un così tanto alto grado di dolore che nessuno riusciva a comprendere da dove derivasse tutto ciò. Non poteva un qualcosa di così straziante provenire da una sola anima, era disumano quel suo urlo, era lacerante, era dolore allo stato puro che non si riusciva a contenere.
Le gambe stanche iniziarono a cedere ed il suolo accolse il suo misero corpo dilaniato dal dolore adesso anche fisico.
Un nuovo urlo riempì ancora l’aria intorno a lui, il suo nome riecheggiò  allungo, ma lui non si girò, continuò nel suo lento ed inesorabile allontanarsi lasciandolo lì, steso sulla terra nuda, senza nessun appiglio ormai che valesse la pena di afferrare.
Era finita.
Lui era finito.
Tutto intorno a se era finito.
Le lacrime che aveva fermato precedentemente, anche se con difficoltà, iniziarono a rigargli nuovamente il volto.
Intorno a lui solo urla e distruzione.
Improvvisamente lo scenario cambiò. Era nel loro appartamento, i primi periodi che i due si erano trasferiti.
Poteva già sapere cosa sarebbe successo in quel momento, era un suo ricordo, era la sera della loro effettiva prima volta insieme. Poteva sentire all’interno di se stesso unghia graffiare a sangue il suo corpo martoriandolo come avevano fatto con il suo cuore, poteva sentire nell’aria il sapore di amore e di speranza, di aspettativa.
Voleva urlare, voleva bloccare quei ricordi, ma niente di tutto ciò era possibile.
La sua mente continuava a massacrarlo con quelle scene, con quei ricordi di lui.
Un nuovo scenario.
Sempre il loro appartamento, ma questa volta era un po’ dopo. Avevano finalmente passato un anno insieme come coppia ed adesso stavano festeggiando. Sorrisi dolci, piccoli regali, baci pieni d’amore, sguardi innamorati. Un’altra ennesima fitta di dolore graffiò dall’interno il petto del povero ragazzo che continuava a piangere imperterrito davanti a quelle scene.
Immagini della loro storia insieme. Il primo bacio, il primo viaggio da soli, l’averlo detto ai loro compagni, la convivenza seppur difficile inizialmente.
Tutto rivissuto in maniera sfalsata. Immagini di loro insieme, felici.
Quella felicità dolce, sana, piena di speranza.
E poi eccolo, il ricordo più doloroso di tutti, lui che faceva le valige, lui che partiva, lui che saliva su quell’aereo, lui che gli mandava email, lui che lo chiamava, che lo cercava ed Heechul che l’ignorava troppo preso a combattere contro se stesso e la voglia di lasciarsi morire su quel pavimento per poter davvero occuparsi di qualcos’altro.
La verità era che ogni segnale che lui gli dava lo feriva mortalmente, ancora di più di quanto non fosse già ferito.
Ogni tentativo di riemergere dalle tenebre dov’era caduto era abbattuto dalla sua presenza nella sua vita, seppur se lieve.
Ecco, adesso stava attraversando l’odio. Lo odiava più di quanto fosse possibile per un essere umano fare, lo odiava per averlo amato così passionalmente e dolcemente, avrebbe preferito non averlo mai incontrato, non sapere cosa significasse avere le sue mani sul suo corpo o le sue labbra sulle proprie, avrebbe preferito non saper amare e non aver provato amore.
Un urlo di odio riempì le sue orecchie, stava assistendo ad un altro ricordo. Loro due che litigavano per telefono, loro due che si lasciavano ufficialmente, loro due che chiudevano un capitolo della loro vita.
Un urlo adesso più forte, più doloroso, un ti odio urlato con tutta la foga al telefono e quest’ultimo che andava a finire contro il muro violentemente.
Lacrime, ancora lacrime, sangue adesso. Ci fu il sangue a riempire la sua vista e che, inoltre riempiva le sue mani, altro dolore che riempiva la sua mente.
Ed adesso? Adesso la sua mente cosa gli avrebbe presentato?
Un riflesso vacuo allo specchio gli presentò per la prima volta la sua figura. Magro come se fosse uno scheletro, pallido come se fosse morto, era come se fosse malato, e lo era. Era malato di lui, della sua assenza e non poteva curarsi in nessun modo.
Freddezza subito dopo. Le lacrime erano finite, il sangue non usciva più, non era neanche sicuro che scorresse nelle sue vene.
La sua mente gli fece percorrere altri scenari. Visi preoccupati, visi pieni di pietà, visi pieni di amore.
Amore? Lui non voleva più avere a che fare con quest’ultimo. La freddezza che l’invase distrusse se stesso e chiunque fosse intorno a lui, ogni cosa si lacerò, fino a sparire. Rimase solo.
La sua non era nient’altro che un’ombra di una persona, il riflesso lontano di un essere vivente.
Lui non esisteva più.
Lui era morto.
 
I suoi occhi si riaprirono lentamente da quel sonno ormai abitudinario che faceva e rifaceva.
Lui era morto ormai.
Morto nel momento in cui aveva smesso di vederlo sorridere, morto quando gli aveva detto di odiarlo, morto quando niente l’avrebbe più portato da lui.
Il rumore lontano di un’ambulanza che passava vicino all’ormai solo suo appartamento non lo toccò neanche.
Si chiese come sarebbe stato sentire ancora qualcosa, sentire il suo cuore battere di nuovo, emozionarsi ancora.
Se lo chiese, ma niente l’avrebbe fatto risorgere dalle ceneri, niente l’avrebbe fatto vivere di nuovo.
Lui era morto.
Si alzò dal letto stanco, peggio di quando era andato a dormire, si guardò allo specchio e i suoi occhi ancora rossi dal pianto lo lasciarono indifferente, così come il suo aspetto ancora una volta malato.
Niente del suo aspetto così diverso da prima lo colpì.
Guardò meglio la sua immagine allo specchio e si odiò per come si era conciato per lui, ma non era in grado di reagire.
Respirò profondamente ed una voce conosciuta arrivò alle sue orecchie, una voce che mai avrebbe dimenticato, nonostante ci stesse provando con tutto se stesso.
Il telefono aveva squillato, ma non aveva risposto, come sempre, ma lui non si era arreso e gli aveva lasciato un messaggio.
-Heechul, la settimana prossima torno a Seul per due settimane, pretendo di vederti.-
Il cuore esplose e nella sua mente immagini contrastanti si ripresentarono. Non riuscì a non sorridere per il suo accento però, e tanto meno a come aveva provato a dargli degli ordini.
Non riuscì ad evitare di sorridere sentendo il suo cuore battere finalmente, emozionarsi, da quant’è che non succedeva più?
L’avrebbe aspettato a casa, nel loro appartamento, perché tanto era inutile negare che era qui che sarebbe andato a cercarlo, ed era qui che l’avrebbe trovato.
Era qui che si sarebbero riamati per poi lasciarsi ancora segni del proprio doloroso passaggio addosso.
Era qui che lui avrebbe dovuto riaffrontare di nuovo l’abbandono ed il dolore che ogni volta nasceva più forte di quanto era abituato a sopportare.
Era qui che tutto sarebbe avvenuto.
Inutile dire, però, che attendeva quel giorno come se non ci fosse nient’altro al mondo.
  
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