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Autore: Shiniii    10/03/2013    0 recensioni
Sherlock era vivo.
Le rivelazioni, Le concessioni, La scoperta, La tristezza e la felicità, La cura...La Minaccia.
Tutto è cambiato e sta per cambiare ancora,
E non finirà mai.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Lestrade , Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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“Addio John”

Sherlock si lascia cadere, lentamente, inesorabilmente. La sua giacca che svolazza all'indietro, la sua espressione vuota. La sua fine, la peggiore fine a cui John avrebbe mai potuto assistere.

 

John si alzò come se avesse appena ricevuto un secchio d'acqua gelida sul viso. Seduto sul letto, sguardo nel vuoto, si chiese quante volte quell'incubo avrebbe tormentato la sua mente, e quanto avrebbe dato se quello fosse stato solo un incubo e non un ricordo.

Si costrinse a non pensare, senza risultato, come sempre. Ormai erano passati mesi, e John aveva abbandonato tutto il resto, come Sherlock aveva abbandonato lui. Niente blog, niente casi, niente persone da vedere. Usciva a malapena e solo per sopravvivenza.

John aveva vissuto una vita grigia in cui aveva incontrato un colore che nessuno conosceva, che nessuno vedeva davvero. E ad un tratto era tornato cieco. Così d'improvviso, aveva perso il meglio della sua vita. Tutti coloro che avevano avuto la possibilità di parlargli, avevano ribadito che per lui sarebbe stato meglio dimenticare, metterci una pietra sopra, andare avanti, voltare pagina. Ma John non poteva, non voleva. Dimenticare Sherlock sarebbe stato come dimenticarsi come era bello vivere. Così, anche sapendo che il destinatario non le avrebbe mai lette e che di certo questo non lo avrebbe aiutato, da due mesi circa aveva cominciato a scrivere delle lettere a Sherlock. Lettere in cui parlava della sua rabbia, della sua tristezza, di come odiava tutto ora che non c'era lui. John era arrabbiato con Sherlock. Lui gli era sempre stato accanto e non lo aveva mai tradito, non aveva mai dubitato di lui. Si fidava di Sherlock. Ma prima di morire gli aveva detto di non credere in lui, che lui non era come aveva fatto credere di essere. John era frustrato dal fatto che Sherlock credeva che non fosse abbastanza sveglio da capire che non era così, era frustato dal fatto che non si fosse confidato, che non avesse cercato di trovare una soluzione insieme. Era come se Sherlock non lo considerasse abbastanza importante per chiedergli consiglio sul vivere o morire.

Scriveva ogni lettera con cura, sapendo che se Sherlock l'avesse letta avrebbe saputo capire dal modo in cui segnava le lettere il suo stato d'animo. Avrebbe notato una lacrima o due cadute sul foglio. Portava ogni lettera al cimitero, riponendola dentro un vaso effettivamente troppo grande per i fiori che venivano inseriti all'interno, in modo che nessuno le vedesse.

John chiuse la lettera, la mise nella tasca della giacca, e prima di uscire si guardò allo specchio per capire se avesse una faccia presentabile o no. No, si vedeva che aveva pianto, che stava male. Ma non importava, a nessuno sarebbe importato.

 

Ogni volta che percorreva il piccolo tratto di prato per arrivare alla tomba, sentiva una fitta al cuore. La lapide nera, le lettere dorate, quell'immagine era stampata nella sua mente dal primo momento in cui l'aveva vista. John cambiò il fiore al vaso. Ne sceglieva sempre uno con un significato preciso, che sicuramente Sherlock avrebbe carpito. La calendula, “Dolore”.

Si guardò intorno e tolse il fiore ormai secco, ma nel momento in cui andò per sostituirlo, si accorse che le lettere erano scomparse. Fitta al cuore. Chi le aveva prese? John non poteva permettere assolutamente a nessuno di leggere quelle lettere, e se fosse vivo persino a Sherlock. Aveva messo se stesso in quelle lettere, e alcune le aveva scritte mentre era in uno stato davvero disperato, rivelando cose che aveva paura di rivelare persino a se stesso. Ma a chi potevano interessare? A Mycroft? No, non avrebbe senso.

Si diresse con fretta al custode del cimitero, un signore anziano e forse non troppo sveglio.

“Mi scusi?”

John dovette ripetere a voce più alta

“ Mi scusi?”

“Si? Chi è?”

“Senta, ha per caso visto qualcuno avvicinarsi alla tomba nera, qualla di Sherlock Holmes?”

Gliela indicò.

Il custode rispose di no, e John espirò affranto.

“Oh, no aspetti, sì ho visto qualcuno. Un ragazzo, sì, con la barba e un giaccone scuro che gli copriva mezza faccia. Mai visto prima”

John lo guardò di traverso, non conosceva nessuno così. Ma il vecchio poteva anche sbagliarsi e aver visto quell'uomo davanti ad un'altra tomba.

John fece per andare alla macchina, ma si fermò a metà strada, interrotto dal suono di un messaggio
 

Vieni al 30 di Burbey street.

Numero privato, nessuna firma. Molto probabilmente quel messaggio era collegato alle lettere, non si sa in che modo. Infondo a chi interesserebbero?

John decise di andare all'appuntamento, senza pensarci troppo. Infondo non aveva nulla da perdere.

 

Arrivato a Burbey street, John si chiese per l'ennesima volta perchè le persone di divertissero tanto a incontrarlo in posti abbandonati e dimenticati da Dio. Si trovò davanti un vecchio edificio che assomigliava ad una specie di tenuta abbandonata. John scese dall'auto, e guardingo si avvicinò all'entrata. La porta scricciolò, aprendosi con facilità. Il posto era visibilmente trascurato, ma un tempo doveva essere la casa di una grande famiglia.

“C'è Nessuno?”

John udì un rumore provenire da una una porta alla sua sinistra. Ci si diresse, e si accorse che era un corridoio con grandi vetrate che davano sulla campagna, rotte e impolverate.

Scorse una figura seduta su una panca accanto al muro. Aveva la testa bassa, vestito di nero. Capelli mossi sul viso, barba, pelle chiara.

L'uomo alzò la testa.

E John rischiò di avere un infarto.

 

Sherlock?

 

John, spaventato, sorpreso, pallido. Le gambe cedevano.

 

“John..”

 

E' Vivo? Cosa? Come? Perchè?

 

John rimase in silenzio per un minuto buono, mentre Sherlock lo guardava, sapendo di dovergli lasciare un po' di tempo per metabolizzare.

Mille domande pasavano per la testa di John. Non sapeva se essere felice o arrabbiato, mai si era immaginato di poterlo rivedere e era stato colto perfettamente impreparato. Voleva urlare, voleva scappare, non capiva se viveva qualcosa di vero o era diventato pazzo.

Sherlock era trascurato, sembrava un'altro. Non si era tagliato la barba, i suoi occhi erano stanchi e non aveva la solita aria fiera. Era afflitto, deperito. Stava male.

John riprese fiato, e lentamente formulò qualcosa di più o meno chiaro nella sua mente.

“Perchè”

“Per te.”

“Cosa?”

John stava per sbraitare. Era stato male, troppo male, per riuscire a prendere la situazione in modo calmo e sereno.

“L'ho fatto per te. O morivo io, o uccidevano te.”

“Spiegati meglio” John non capiva più niente.

“Moriarty aveva appostato dei cecchini che ti avrebbero sparato se non fossi morto.”

“Perchè adesso? Perchè non sei venuto da me subito? Perchè non me lo hai detto e ti sei inventato quella storia? Sapevi che non ci avrei mai creduto!”

“John..”

John era fuori di sé. Non capiva nulla, non sapeva più che pensare o cosa fare. Non riusciva a stare fermo e gli seriviva tempo per capire. Ma non voleva aspettare, doveva sapere tutto e subito.

“John volevo che tu mi odiassi, e non avevo altri modi. Non sapevo cosa tu avresti pensato o come avresti reagito, credevo fosse meglio per te”

“E cosa è cambiato? Perchè adesso? Credi che io non sia stato male Sherlock?”

“So che sei stato male..”

“No non lo sai! Tu non sai come io..”

John si interruppe. Il poco tempo passato permise al suo cervello di connettere i fatti. Sherlock aveva letto le lettere, che ora erano accanto a lui.

Si guardarono, entrambi con occhi quasi in lacrime, chi per un motivo, chi per un altro.

“John anche io sono stato male. Non sai come sia essere il motivo per il quale la persona che ami soffre, e non sapere quale sia la cosa migliore per lui perchè..”

John lo interruppe.

“Che ami?”

Sherlock lo guardò, sapendo che prima o poi sarebbe saltato fuori. Sherlock non ha mai avuto nessuno nella sua vita di tanto importante come John, e in questi mesi l'aveva capito. Anzi, l'aveva capito prima, molto prima. Si meravigliò di se stesso per averci messo tanto. Odiava ogni ragazza con cui John usciva, controllava sempre cosa faceva, si preoccupava per lui e se poteva cercava di evitargli problemi e preoccupazioni di ogni tipo.

John continuò

“Non avevi il coraggio...”

“Preferivo che tu mi odiassi e che grazie a questo riuscissi a stare meglio, piuttosto che farti correre pericoli per continuare a viverti accanto. E costringerti a vivere una situazione in cui sarebbe saltato fuori che io ti amavo e tu no.”

Sherlock era crollato, come una persona che sa di non avere più niente e che quindi non si preoccupa tanto di tutti i segreti che tanto a lungo aveva tenuto nascosti.

John era interdetto. Rimase in silenzio ma visibilmente scosso e segnato da tutte le emozioni che stava provando. Uscì rapidamente e rimase nella sala principale, immobile.

Voleva piangere, e probabilmente l'avrebbe fatto. La confusione nella sua testa era totale, ma mano a mano le cose iniziavano a prendere posto. Non era chiaro come Sherlock avesse fatto a sfuggire alla morte, e dove fosse stato tutto questo tempo, ma John cercò di fissare i suoi pensieri sulla persona di Sherlock. Cercava di evitare da sempre a se stesso di pensare a lui come qualcos'altro, qualcosa di più di un amico. Ma doveva ammettere che non ci riusciva mai. Ne aveva paura, e nella sua immaginazione voleva solo fermare il tempo per poter stare con lui senza che nessuno se ne accorgesse. Voleva guardarlo da vicino, toccare la sua pelle; voleva fissare i suoi occhi e odorare il suo collo. Nei momenti in cui l'alcool non gli permetteva di mettersi freni, ricordava di aver immaginato altro. Mettere la mano sotto la sua maglietta, spogliarlo e osservarlo, toccare ogni parte del suo corpo. E baciarlo. Sentire che sapore hanno le sua labbra. Accantonava sempre questi pensieri il più lontano possibile, con il terrore che Sherlock potesse leggergli in faccia che tutto quello che voleva era lui. E dopo essere stato tanto male, in una parte del suo cervello, lo aveva capito anche lui, che lo amava. Non lo aveva mai ammesso a se stesso. Non viveva più da quando Sherlock non gli era accanto. E da sempre si era preoccupato per Lui, ogni giorno. Ne era affascinato più di qualsiasi altro essere umano. Sherlock era speciale, unico, e suo. Ricordava la gelosia che aveva provato quando era comparsa Irene.

John scosse la testa come se si fosse ricordato di avere un corpo. Fece un sospiro, cercò di ordinare le idee, più o meno. Si avvicinò al corridoio, e sentì piangere. Sherlock. Era accasciato a terra, distrutto. Sherlock non aveva più niente a cui aggrapparsi, e probabilmente si era detto più volte che sarebbe stato meglio morire per davvero.

John gli si avvicinò, lentamente, come se ne avesse paura. Sherlock non alzò lo sguardo ma smise di piangere.

“Chi ti ha dato il diritto di pensarlo.”

“Cosa?” Sherlock alzò la testa

“Chi ti ha dato il diritto di pensare che io non ti amassi.”

John si accasciò di fronte a lui, guardandolo fisso negli occhi. Poteva carpire lo stupore di Sherlock e riusciva finalmente e riconoscerlo. Come se dentro di lui si fosse riaccesa la scintilla della vita.

Poteva guardarlo bene ora, e da vicino. Poteva accorgersi del dolore che aveva provato. Il suo viso bagnato dalle lacrime, gli occhi rossi. John per la prima volta si sentì in potere di fare quello che voleva senza che Sherlock gli ordinasse qualcos'altro.

Sherlock rischiò di crollare di nuovo, con la sua volce tremolante.

“Perdonami”

“Mi hai fatto del male. Non farlo più”

Sherlock annuì, tranquillizzato, e John si accorse che la sua mano era finita sul viso di Sherlock, per togliere le lacrime e per accarezzarlo.

Potevano sentire i loro odori, i loro respiri, vicini com'erano.

E John decise finalmente di dargli il bentornato.

Si avvicinò, chiudendo gli occhi lentamente, avendo paura. Le loro labbra si toccarono.

E John si rese conto quant'era dolce, l'ambrosia degli dei. Quanto fosse bello il colore che nessun'altro poteva vedere.

 

PERFAVORE RECENSITE ç-ç

  
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