Titolo: Time After
Time;
Pairing: Klaine, ma
(senza fare spoiler) vi anticipo
che farò riferimento a altri pairing;
Rating: Arancione (con
riserva);
Disclaimer: I
personaggi
di Glee appartengono esclusivamente a Ryan Murphy e alla Fox;
Note: Vi avviso
che questa è la mia prima fanfiction. Si tratta di un
piccolo esperimento che
-dopo tante indecisioni- ho deciso di pubblicare qui. Il vostro
feedback mi
sarà davvero utile per capire come e dove migliorare! Non
voglio anticipare
niente ma spero che vi piaccia il taglio che ho dato alla storia e che
non vi
diano fastidio il linguaggio e i contenuti. Buona lettura e grazie per
essere
passati di qui! ;)
Prologo:
Sunday x Playground
“They
say that the shortest path between two points is a straight line.
But what happens if that path gets blocked?”
(Touch,
Season 1,
Episode 8)
La domenica
era il giorno preferito di Kurt.
La mattina
veniva svegliato dal profumo di pancake proveniente dalla cucina e,
prima di
alzarsi, si concedeva qualche ruzzolone tra le coperte del lettone di
mamma e
papà dove gli era permesso dormire una volta alla settimana.
Dopo aver
fatto colazione coi genitori e sgridato -per finta-
il padre Burt per
aver esagerato con lo sciroppo d’acero, Kurt aiutava la madre
Elizabeth a preparare
il pranzo da portare al picnic e riponeva nello zainetto i 3 must per
la
perfetta giornata da passare al parco: il libro del Piccolo Principe
che non si
stancava mai di farsi leggere, l’album e i pastelli per
buttare giù qualche
schizzo per il suo guardaroba immaginario delle principesse Disney e il
servizio da tè che gli era stato regalato per i suoi 6 anni.
Durante il
tragitto in macchina per raggiungere il parco, Kurt supplicava
Elizabeth perché
cantasse per lui e la scelta ovviamente ricadeva su Time
After Time di Cyndi Lauper. Mamma, ti
prego...ancora una
volta! Questa canzone è bellissima e la tua voce
è bellissima e... tu sei
bellissima! Kurt glielo ripeteva all'infinito e non
perché fosse un
ruffiano ma perché ne era realmente convinto. Lei era il suo
modello e Kurt era
convinto che al mondo nessuna donna avrebbe mai potuto eguagliarla.
Arrivati al
parco, Burt stendeva una coperta e cominciava ufficialmente
l’intenso picnic
domenicale della famiglia Hummel. Se qualcuno glielo avesse chiesto,
Kurt
avrebbe definito la sua vita proprio come la domenica: perfetta. Poco
importava
che gli altri bambini non giocassero con lui o che nessuno oltre ai
suoi
genitori apprezzasse la sua collezione di abiti per rifornire
l’armadio della
Sirenetta dopo il suo trasferimento sulla terraferma. C’era
il suo papà, c’era
la sua bellissima mamma e c’era un invidiabile servizio da
tè…e sarebbe stato
per sempre così.
La domenica
era il giorno più odiato da Blaine.
La giornata
cominciava quando Max, l'esuberante cucciolo di husky che dormiva al
suo
fianco, iniziava a leccargli la faccia. Dopo essersi rigirato
insoddisfatto nel
letto per sfuggire alla luce che filtrava dalla finestra -Uffa,
mai una
volta che mi ricordi di chiudere i balconi!- Blaine si alzava
per controllare
se ci fosse qualcuno a casa.
I suoi
genitori gestivano un'importante attività di import-export e
per questo il
padre Carl era sempre in viaggio mentre la madre Meredith era
perennemente
chiusa nel suo ufficio a lavorare giorno e notte. Blaine ammirava la
loro
dedizione ma avrebbe tanto voluto passare con loro almeno la domenica,
come
facevano gli altri bambini. Aveva anche un fratello più
grande, Cooper, ma
ultimamente sembrava distante, era sempre arrabbiato e passava la
giornata
nella sua stanza. Quando i genitori erano a casa spesso li sentiva
discutere
animatamente perché, da quel che Blaine poteva capire,
Cooper non aveva
intenzione di andare al college e prendere in mano l'impresa di
famiglia.
Dopo essersi
fatto preparare dalla domestica una tazza di latte ricolma di cereali,
Blaine
passava la domenica mattina accoccolato sul divano insieme
all’inseparabile
palla di pelo per godersi qualche film Disney. Andando avanti
di questo
passo non raggiungerò mai l’altezza del principe
Eric…devo cercare nella
libreria di casa un qualche manuale per accelerare la crescita!
La giornata
proseguiva più o meno sempre nella stessa maniera,
inesorabilmente lenta e
ripetitiva: compiti, pianoforte, televisione e qualche corsa in
giardino con
Max. Se era abbastanza fortunato, il maggiordomo Paul avrebbe
accompagnato lui
e l'amico peloso al parco per un paio d'ore. Per gli altri bambini
magari non
era niente di speciale, ma per Blaine passare qualche ora al parco
significava
evadere da quella villa così grande ma allo stesso tempo
così stretta che a
volte sembrava soffocarlo.
Se qualcuno
glielo avesse chiesto, Blaine avrebbe definito la sua vita proprio come
la
domenica: monotona. Poco importava che i suoi genitori lo riempissero
di
giocattoli costosi che facevano invidia a tutti gli amichetti. Lui si
sentiva
perennemente annoiato. Per questo aveva deciso che sarebbe cresciuto,
sarebbe
diventato un bellissimo principe e avrebbe fatto tutto quello che
voleva quando
voleva e dove voleva… non sarebbe stato mai più
così.
E' in una di
queste domeniche perfette e monotone che Kurt e Blaine si incontrarono
per la
prima volta.
Era
primavera inoltrata e quel parco agli occhi di Kurt poteva benissimo
essere il
paradiso. Adorava respirare quell'aria profumata di fiori e, di tanto
in tanto,
si perdeva a contare i mille colori della natura che lo circondava.
Dopo aver
estratto il suo servizio da tè, Kurt iniziò a
distribuire sui suoi piattini i
biscotti preparati con Elizabeth quella mattina. All'improvviso
un'ombra si
lanciò su di lui -o meglio sul contenuto dei piattini- e di
riflesso il bambino
chiuse gli occhi urlando per lo spavento. L'ombra misteriosa, per tutta
risposta, lo leccò in pieno viso e Kurt, riaprendo gli
occhi, si trovò faccia a
faccia con un paffuto cucciolo di husky. Elizabeth e Burt risero a
crepapelle
ma Kurt non fece a tempo a metabolizzare lo shock che un piccolo razzo
si
fiondò sul cane.
“Maaaaaaax!
Sei cattivo! Perché sei scappato via? Oh ma...”
Kurt era
rimasto basito di fronte alla cascata di riccioli neri parlante che si
era
gettata sul cucciolo ma rimase ancora più sorpreso quando
incrociò lo sguardo
di quello che doveva essere un bambino più o meno della sua
età. Quello era un
colore che non aveva mai contato tra quelli della natura. Oro?
Quel ragazzino
però sembrava essersi paralizzato sul posto. Era rimasto
lì impalato a bocca
aperta e incapace di finire la sua frase. Kurt concluse che forse si
trattava
di un qualche prototipo di robot a cui si era inceppato qualche
ingranaggio. Così
si spiega lo strano colore dei suoi occhi. Il robot
inghiottì la saliva e
si fece serio. Un robot che inghiotte la saliva?
Kurt e il robot
riccioluto si osservarono per qualche istante in silenzio, l'uno
incerto sul da
farsi e l'altro assorto in qualche strana macchinazione.
Dopo qualche
istante, i due occhi dorati si illuminarono e il robot
regalò a Kurt un sorriso
radioso prima di lasciare il cane e lanciarsi su di lui stringendolo in
un
abbraccio.
“Ti
ho
trovato!” disse.
“Eh?”
rispose Kurt, rosso in volto e incapace di ragionare dopo
quell'improvviso
slancio di affetto.
“Come
nel
film... io ho seguito Max e ti ho trovato!” disse felice
l'altro.
Kurt rimase
in silenzio. Al robot manca decisamente qualche rotella!
“Aspetta!”
disse ancora il bambino staccandosi da Kurt e guardandolo dritto negli
occhi
con aria inquisitoria “Tu non hai mai visto la
Sirenetta?”
“Uhm...
s-sì... è il mio film Disney preferito
ma...” balbettò Kurt.
“E
allora
non capisci?” lo interruppe l'altro di nuovo raggiante
“Max ti ha trovato...
proprio come nel cartone... e io beh... da grande sarò un
principe... come
Eric! E tu... beh potresti essere Ariel perché hai gli occhi
azzurri e sei
molto bello!”
Mentre il
bambino dagli occhi dorati continuava a farfugliare spiegazioni
riguardo al suo
strano ragionamento, Kurt pensò che per qualche istante il
suo cuore si fosse
fermato. Gli aveva appena detto che era bello? Molto bello?
“Penso
di
aver capito” rispose infine “Ma quindi... tu non
sei un robot?”
“Un?
Un
robot? No... io... non credo! Io sono il principe Eric, te l'ho detto!
Allora,
vuoi giocare con me?”
“S-sì...
mi
piacerebbe molto giocare con te! Ho fatto anche dei disegni... vuoi
vederli?”
“Certo!”
Proprio come
nel film Disney, Kurt e Blaine si erano trovati.
Kurt
mostrò
al nuovo amico tutti i suoi disegni per il guardaroba di Ariel e Blaine
ne
rimase estasiato. Poi iniziarono a giocare ripetendo a memoria le
battute del
film, fingendo di prendere il tè e rincorrendo Max. Blaine
era rimasto
incantato quando Kurt gli aveva raccontato a memoria la storia del
Piccolo
Principe mostrandogli le figure del suo libro mentre Burt e Elizabeth
osservavano la scena divertiti e felici che il bambino avesse
finalmente
trovato un amichetto della sua età con cui giocare.
Tra una
risata e l'altra, all'improvviso Blaine si fece serio e si
appropriò della mano
di Kurt.
“Non
voglio
andare a casa. Voglio rimanere qui con te per sempre!”
“Anche
io
voglio rimanere qui con te!”
“Nel
finale
della Sirenetta... Ariel e Eric si sposano... perché
così nessuno può più
separarli!”
“Vuoi
chiedermi di sposarti?” chiese Kurt, ridendo di gusto.
“S-sì...
sì!
Perché così nessuno potrà mai
separarci!” rispose Blaine. Era serio.
Per
l'ennesima volta quel giorno, Kurt era rimasto senza parole. Non si
sarebbe mai
aspettato di ricevere una proposta di matrimonio a soli 8 anni.
Una voce
interruppe il suo flusso di pensieri.
“Piccolo,
sei davvero un bambino adorabile ma forse prima di sposarlo dovresti
chiedere
il permesso ai suoi genitori, non ti pare?” disse Elizabeth
con tono scherzoso.
Il bambino
arrossì lievemente e, ancora tenendo ben stretta la mano di
Kurt, si voltò
verso Elizabeth e Burt.
“Ha
ragione,
signora! S-sono stato molto maleducato... mi dispiace. Ma... io ho
pensato che,
insomma, vorrei davvero sposare suo figlio!”
La
serietà di
Blaine fece scoppiare a ridere i due adulti.
“Penso
di
non avere nulla in contrario, ragazzo, anche se mi sembri un po' troppo
giovane
per questo impegno. “ disse Burt.
“Ma
ho già 7
anni, signore!”
“Ok,
ok! Mi
hai convinto! Non ci resta che scoprire cosa ne pensa la tua
Sirenetta!” disse
ancora l'uomo facendogli l'occhiolino.
Blaine si
voltò verso Kurt che, in tutto questo, non aveva ancora
espresso la sua
opinione e stava valutando pro e contro di un matrimonio
così imprevisto.
Sicuramente quel bambino era davvero bellissimo, gentile e educato, era
stato
approvato dai suoi genitori, aveva il cane che a lui era stato sempre
negato e,
anche se era più piccolo di lui, sembrava già
molto responsabile. Per quanto si
sforzasse non riusciva a trovargli un difetto e, se l'amore si misurava
in
battiti del cuore, allora Kurt era certo che non avrebbe mai amato
nessuno
quanto Blaine perché il suo cuore stava battendo
all'impazzata.
“I-io...
s-sono d'accordo!” disse infine.
“Allora
da
oggi sei il mio fidanzato!” rispose l'altro, senza nascondere
il suo
entusiasmo.
Oddio! Ha
detto che sono il suo fidanzato! Lo ha detto davvero! Io, Kurt Hummel,
sono il
fidanzato di...un momento...come ha detto che si chiama?
“Io...io
però credo di non sapere ancora come ti ch-”
“Signorino
Blaine!” lo interruppe una voce severa proveniente da uomo
vestito di nero che
aveva messo a guinzaglio Max e osservava torvo il suo... fidanzato
Blaine?
Che bel nome Blaine!
“Dov'era
finito? Le avevo detto di non allontanarsi!” disse l'uomo non
degnando di uno
sguardo la famiglia Hummel.
“Scusami.
Stavo solo...” tentò di dire Blaine, rafforzando
la presa sulla mano di Kurt.
“Andiamo!
É
terribilmente in ritardo per l'ora del tè e sua madre oggi
ha fatto
l'impossibile per poterle fare compagnia!” lo interruppe di
nuovo l'uomo,
afferrando la mano libera di Blaine.
Prima di
lasciare prematuramente il suo fidanzato, Blaine si avvicinò
al viso di Kurt
stampando un piccolo bacio sulla sua guancia.
“Aspettami,
mi raccomando! Promettimelo! Non dimenticarti che adesso sei il mio
fidanzato!”
continuò a urlare Blaine mentre si lasciava trascinare via
svogliatamente
dall'uomo.
“Te
lo
prometto! Io... il mio nome è Kurt Hummel... e penso che ti
aspetterò per
sempre!” gridò finalmente Kurt ma Blaine era
già lontano.
"Kurt...anche
noi dobbiamo tornare a casa! Quei nuvoloni non promettono nulla di
buono!"
esclamò infine la madre indicando le nuvole scure che
cominciavano ad
addensarsi in cielo.
"Va
bene...ma torneremo domenica prossima, vero?" chiese il bambino.
"Ma
certo! E sono sicura che il tuo amichetto sarà qui ad
aspettarti!"
Kurt
passò
al parco ancora molte domeniche ma non rivide più Blaine.
Poi, quell'anno, la
sua vita subì un drastico cambiamento e decise che non ci
sarebbe tornato mai
più.
Nove anni
dopo...
La domenica
era il giorno preferito di Blaine.
La mattina
poteva svegliarsi tardi e, prima di alzarsi, amava crogiolarsi nei
ricordi
della sera precedente. C'era sempre qualche festa esclusiva a cui
veniva
invitato e con gli amici della Dalton non mancavano mai gli aneddoti
indimenticabili da immagazzinare nella propria memoria. Solo quando Max
cominciava a lamentarsi per avere un po' di attenzione, Blaine si
decideva
finalmente ad alzarsi.
Mentre
faceva colazione consultava l'agenda e programmava attentamente le
attività per
riempire al meglio la sua giornata senza far mancare un po' di tempo
per il
pianoforte, la chitarra, la boxe e qualche telefonata agli amici. La
vita di
Blaine era decisamente impegnata perché lui era il
secondogenito della famiglia
Anderson e, come tale, doveva essere perfetto e impeccabile in ogni
occasione.
Dopo che Cooper era praticamente scappato di casa per inseguire i suoi
sogni a
Los Angeles, era infatti toccato a Blaine soddisfare le aspettative dei
genitori e per qualcuno con la sua determinazione e forza di
volontà raggiungere
l'eccellenza non era certo un miraggio. Questo ovviamente equivaleva a
rinunciare in parte alla vita spensierata di un normale adolescente ma
Blaine
sembrava non preoccuparsene.
Tuttavia,
non importa quali fossero i suoi impegni, ogni domenica il ragazzo
riusciva
comunque a ritagliarsi un po' del suo tempo per prendere il suo SUV e
partire
con Max alla volta del parco della periferia di Lima. Non avrebbe
saputo
spiegare il motivo del suo amore per quel luogo ma era
inconsapevolmente
diventata una sua piccola tradizione domenicale e adorava trascorrere
lì i
pomeriggi. Solo lì si sentiva davvero libero e rilassato.
Solo durante quel
paio d'ore al parco Blaine si concedeva un ruzzolone sul prato e
qualche risata
un po' più sguaiata del solito quando Max si lanciava su di
lui facendolo
cadere. Adori davvero imbrattare tutte le mie maglie di marca
con le tue
impronte, eh cagnaccio?
Prima del
tramonto, Blaine rientrava a casa per un tè con la madre.
Anche quella era
diventata una piccola tradizione della sua domenica. Ogni volta la
donna si
informava di tutti i progressi del figlio e si scusava per le lunghe
assenze
che lei e il marito dovevano fare per lavoro. Questi piccoli momenti
sembravano
bastare a Blaine. Aveva da tempo messo a tacere quella parte del suo
cuore che
si sentiva sola e infelice. Tutto ciò che desiderava era
rendere i genitori
fieri di lui e non si sarebbe mai permesso di mostrarsi in qualche modo
insoddisfatto ai loro occhi. Non li avrebbe mai delusi e se il prezzo
da pagare
per questo era indossare una soffocante maschera di perfezione Blaine
l'avrebbe
fatto senza tirarsi indietro.
Per questa
ragione, quando i suoi genitori durante una rara cena assieme lo
avevano reso
partecipe delle difficoltà economiche dell'impresa di
famiglia dovute a degli
investimenti sbagliati, Blaine non aveva esitato ad accettare il
trasferimento
dalla Dalton -la cui retta era ridicolamente alta- a una scuola
pubblica nella
vicina cittadina di Lima. Certo, non sarebbe più stato
circondato dall'élite
della gioventù dell'Ohio e sicuramente si sarebbe dovuto
accontentare di un
livello di insegnamento di seconda categoria ma per un lui non sarebbe
stato
difficile trasformare anche la più squallida delle scuole in
un istituto quanto
meno rispettabile.
La domenica
prima dell'inizio della scuola, Blaine non aveva trovato il tempo per
abbattersi all'idea di non indossare la sua divisa. Era elettrizzato
dalla
nuova sfida che gli si poneva davanti. Aveva fantasticato
più del dovuto sulla
sua entrata ad effetto al liceo McKinley e sul programma di riforma che
avrebbe
proposto non appena fosse stato eletto come rappresentante d'istituto e
per
questo non si era accorto delle nuvole che avevano oscurato il tramonto
del
sole dietro le cime degli alberi del parco. Una lieve brezza di vento
lo fece
rabbrividire e le prime gocce di pioggia che annunciavano un imminente
temporale lo ridestarono dai suoi pensieri. Era decisamente in ritardo
per il
tè con la madre. Mise a guinzaglio Max e si
affrettò a lasciare il parco.
Mentre
raggiungeva la macchina, Blaine indugiò con lo sguardo su
uno strano ragazzo
fermo davanti l'entrata del parco. Aveva i capelli scompigliati, con
dei ciuffi
rosa che sembravano sfuggiti a un tentativo di acconciatura. Una maglia
stropicciata e decisamente troppo grande sbucava fuori da un paio di
pantaloni
neri strettissimi che delineavano la sua figura magra e slanciata. Il
vento
avrebbe potuto facilmente sollevarlo e trascinarlo via se non fosse
stato
trattenuto a terra dal pesante paio di anfibi che portava ai piedi. Le
borchie,
i tatuaggi e i piercing malamente camuffavano il suo viso da bambino,
deturpato
da lacrime scure che si confondevano con la pioggia. Il ragazzo tremava
e
singhiozzava sforzandosi di tenere gli occhi chiusi, come se in questo
modo
potesse isolarsi e tenere lontano tutto il resto del mondo. Cosa
c'è qui
fuori che ti fa tanta paura?
Se a Blaine
fosse stato concesso, si sarebbe fermato, avrebbe stretto quel ragazzo
tra le
braccia e lo avrebbe consolato. Gli avrebbe detto di non piangere per
non rovinare
quel viso d'angelo e magari con un po' di coraggio si sarebbe permesso
di
offrirgli un caffè. Ma per Blaine tutto questo era
socialmente sconveniente. Abbracciare
un mezzo rifiuto della società? Offrire un caffè
a un ragazzo? Sperando di
ottenere cosa? Un appuntamento magari? Dovrei misurarmi la febbre! Semplicemente
tutto questo era inconcepibile per un Anderson. Per questo, Blaine si
limitò a
rivolgergli un ultimo sguardo di sufficienza e mise in moto la macchina
per
tornare a casa. C'era ancora qualche dettagli da limare prima del
grande
giorno.
La domenica
era il giorno più odiato da Kurt.
Si svegliava
sempre di soprassalto. A volte erano gli incubi e a volte la nausea.
Più spesso
erano entrambi. Cercava di decifrare dove fosse, con chi e come fosse
arrivato
lì. É mattina? Pomeriggio? Ma
non si sforzava troppo. Non aveva
importanza. L'importante era raggiungere il bagno per poter vomitare.
Per
ridestarsi dal giramento di testa che lo coglieva subito dopo si
gettava sotto
la doccia sperando di lavare via anche le sue colpe, i suoi errori, i
suoi
incubi. Ma più tornava in sé più
avrebbe dovuto ritornare ubriaco e privo di
coscienza. A volte indugiava a guardare la sua immagine allo specchio.
Il viso
magro e pallido, il trucco sbavato che l'acqua non era riuscita a
rimuovere, le
profonde occhiaie, i capelli scompigliati. Ciò che vedeva
non faceva che
aumentare la sua nausea. Si rivestiva velocemente -Dove
diavolo è finita la
maglietta? Beh, non gli darà fastidio se ne prendo in
prestito una, no? Boxer,
pantaloni, anfibi... Cosa manca? Ah già! La mia maschera di
indifferenza!-
e correva via evitando di imbattersi nell'amante occasionale che lo
aveva
ospitato per la notte. Era piuttosto facile per Kurt trovare compagnia
allo
Scandals, il locale alternativo dove si esibiva come cantante ogni
sabato sera.
Era invece più difficile dare spiegazioni il giorno
successivo: odiava le
chiacchiere post-scopata e odiava quello sguardo da
“É stato fantastico!”,
“Possiamo rivederci?”, “É
significato qualcosa anche per te?”. In realtà,
Kurt
odiava semplicemente se stesso.
Col tempo,
chi aspirava a una seconda volta con Kurt aveva imparato a non fare
domande e a
fingere di non aspettarsi mai qualcosa in più. Questo era
quello che Kurt
Hummel offriva loro. Prendere o lasciare. Questo era Kurt Hummel. Era
un angelo
bello e dannato vocato all'autodistruzione, un pericoloso e
intossicante mix di
fascino, sfrontatezza e innocenza perduta che piombava nelle loro vite
quando
meno se lo aspettavano. Era impossibile non desiderarlo ma era
altrettanto
impossibile sperare di possederlo. Per questo, quando lui se ne andava
con la
sua espressione vuota ma segnata dall'infelicità nessuno lo
tratteneva.
Sapevano che lo avrebbero ritrovato prima o poi. Sarebbe ripiombato
nelle loro
vite forse per i soldi, forse per non aver trovato di meglio per
passare la
notte o forse per l'alcool che lo rendeva docile e facilmente
avvicinabile.
Una volta
solo, ogni domenica Kurt lasciava che le sue gambe lo trascinassero
davanti al
parco nella periferia di Lima ma non riusciva mai a varcarne la soglia.
Non vi
aveva più messo piede dopo quel giorno di nove anni fa. Kurt
odiava la domenica
perché ogni volta, mentre osservava il sole che tramontava e
le famigliole
felici che facevano ritorno alle proprie case, il suo cuore veniva
attanagliato
da un senso di cupa malinconia che sembrava dilaniarlo. Non voleva
essere lì ma
non riusciva a farne a meno. Questo era parte dell'autolesionismo di
Kurt. E
ogni volta, mentre il mascara sembrava sanguinare dai suoi occhi
rigando con
lacrime nere il suo viso di porcellana, Kurt si ritrovava a
canticchiare quello
stupido motivetto di Cyndi Lauper.
If
you're lost you can look and you will find me... time after time.
Dio, odio
quella canzone! Odio piangere! Odio essere così dannatamente
debole!
Non importa
quale maschera Kurt decidesse di indossare davanti agli altri ogni
giorno. Irriverenza?
Sensualità? Cinismo? Crudeltà? Arroganza? Cosa
propone il Kurt Hummel's
Carnival Show oggi? Di fronte all'ingresso di quel parco che
ancora
profumava dei suoi ricordi d'infanzia, Kurt tornava ad essere solo un
ragazzino
terrorizzato e prematuramente disilluso dalla vita. Era un giocattolo
rotto,
una fragile bambola che dopo aver tanto lottato per riparare le sue
crepe aveva
finito per gettarsi via e lasciarsi vivere.
Infine, una
volta scesa la sera, Kurt lasciava che fosse l'inconscio a guidarlo
talvolta
allo Scandals dove per una qualche insensata ragione si sentiva
protetto e
intoccabile, talvolta a casa di qualche sbandato incapace di dire di no
a
qualche moina e a un paio di occhioni da cerbiatto. Qualche volta,
invece, si
ritrovava davanti alla casa del padre e della sua nuova famiglia. Quella
non
è più casa mia. Quando suonava il
campanello, la casa si immergeva nel
silenzio. La porta gli veniva aperta senza fare domanda.
A volte
aveva sentito il padre rimproverargli qualcosa.
Non avevamo
tue notizie da più di una settimana! Ti costa tanto fare una
telefonata?
A volte
aveva sentito la matrigna piagnucolare qualche frase fatta.
Oh tesoro,
eravamo così in pensiero! Sei stanco? Hai fame?
A volte
aveva sentito il fratellastro farfugliare qualcosa senza senso.
Hey coso,
Rachel ha detto che vorrebbe passare una serata come ai vecchi tempi.
Come ai vecchi
tempi? Sul serio Finn?
Queste voci
rimbombavano nella testa di Kurt senza che però lui
riuscisse a trovare una
risposta. A malapena raggiungeva la sua stanza, si faceva scivolare nel
letto e
si lasciava cullare dal buio che regnava dentro e fuori di lui fino al
sopraggiungere del sonno e degli incubi che portava con sé.
Con il tempo
poi anche la famiglia Hummel-Hudson aveva smesso di fare domande. Lo
osservavano impotenti aspettandosi che da un momento all'altro quel
guscio
vuoto si sgretolasse davanti ai loro occhi. Neppure Burt faceva
più domande al
figlio perché bastava incrociare lo spento blu del suo
sguardo per avere già
tutte le risposte.
Quella
domenica davanti al parco Kurt sembrava particolarmente inconsolabile e
non
riusciva davvero a smettere di tremare. Il mondo sembrava girare
così
velocemente intorno a lui mentre lui si sentiva così
invisibile e perso. Chiuse
gli occhi sperando che tutto scomparisse. Le lacrime continuavano a
scendere,
il mondo continuava a girare e il cuore continuava a fare male. Non si
accorse
della pioggia che cominciava a cadere. Non si accorse del ragazzo che
gli
passava vicino e non sentì i suoi occhi dorati posarsi su di
lui.
Alla
fine,
le sue gambe presero la strada che portava a casa Hummel-Hudson. Aveva
decisamente
bisogno di dormire e l'amica Quinn gli aveva scritto numerosi messaggi
per
ricordargli che l'indomani sarebbe ricominciata la scuola. Non che
gliene
importasse veramente qualcosa ma doveva fingere, indossare la sua
maschera e
lasciarsi trasportare alla deriva dalla corrente. Se finire il liceo
poteva
evitare domande, casini e discussioni con il padre, allora valeva la
pena
presentarsi ogni mattina in quell'inferno. In fondo, non sarebbe
comunque stato
un inferno peggiore di quello che già albergava nella mente
e nel cuore di Kurt
Hummel.