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Autore: Phenex    11/03/2013    0 recensioni
Egli non avrebbe agito per odio e per risentimento, lo avrebbe fatto per amore, per poter ancora una volta sentir cantare il suo angelo.
Genere: Drammatico, Horror, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Ancora non andava bene. Mancavano dei pezzi, mancavano degli organi, mancava il suo sorriso e soprattutto, la cosa più importante: la voce.

Era passato così tanto tempo da quando aveva sentito quel dolce angelo dialogare con lui e con gli altri che, a malincuore, adesso stentava a ricordarne il suono esatto. Eppure sapeva che senza quella voce non avrebbe mai potuto continuare a vivere. Era stato come perdere un organo importante, come non essere più in grado di camminare, di respirare, di ridere o di piangere.

Ogni tentativo di riavere quella dolce melodia era però soltato uno dei tanti castelli di carta che lo avevano ingannato. Le cose belle non potevano durare pensava. Erano solo illusioni dettata dal fattore della speranza e la speranza era la fonte di ogni dolore, sino a quando ne fosse stato munito la crudeltà avrebbe potuto fargli del male. Così la aveva abbandonata, niente più castelli di carta, niente più illusioni, solo un lungo e sterminato calpo incolto di prevedibilità ed insoddisfazione. Poi un regalo gli piovve dal cielo, sotto forma di uno strillo talmente straziato da rimarcare alla perfezione quel grido di dolore così intenso che albergava in lui da quando aveva respirato per la prima volta quarant'anni prima. Aveva raccolto quello strillo e lo aveva trasformato in una dolce risatina, poi in frasi senza senso, poi ancora nelle parole di un angelo ed infine nella melodia della sua esistenza.

Si era illuso davvero molto con quell'ultimo castello di carta talmente imponente che un mazzo intero non sarebbe bastato a costruirlo. Ma proprio perché era così spesso ed alto che il suo crollo gli causò un dolore superiore a quanto avesse mai potuto sopportare in tutti quegli anni di vita.

Adesso c'era solo il silenzio e l'oscurità di quella cantina. Anche se lui continuava a versare lacrime, nessun singhiozzo, nessun lamento riecheggiava al suo interno, sino a che quell'intera struttura non si trasformò in un rudere abbandonato e sporco.

Il mondo aveva tagliato le ali al suo angelo e poi lo aveva abbandonato con lui nell'intercapedine dell'inferno, isolato da tutto e tutti. Quanto si era preso? Troppo, ecco quanto. Non c'era neanche bisogno di farne un elenco di quante cose gli abitanti di quella realtà gli dovessero. Quel pensiero di vendetta che inizialmente lo aveva spaventato adesso diventava sempre più invitante e gradevole, ma non era la collera a muoverlo. Sulla possibilità di dover pareggiare i conti con la crudeltà del mondo, in lui si era montato un nuovissimo e splendido castello di carta. Egli non avrebbe agito per odio e per risentimento, lo avrebbe fatto per amore, per poter ancora una volta sentir cantare il suo angelo.

 

 

~ Contrast of Love ~

 

 

Natalia era infreddolita e stanca. Le notti diventavano sempre più gelide e lei non aveva un riparo sicuro dalle gelide spine del freddo. Avvolta in qui pochi stracci, lerci e malridotti, aveva continuato a camminare in mezzo al centro abitato, nella speranza che qualcuno provasse pena per lei. Però le persone erano divenute così schive nei confronti del prossimo che non la avrebbero ospitata neanche se fosse stata ferita ed in procinto di morire. Quella situazione era così scomoda, essere delle creature indifese scambiate per mostri era il peggiore dei mali. Ella non poteva aggregarsi al gruppo di pecore indifese per scaldarsi e neppure poteva difendersi dai lupi malvagi che gironzolavano a piede libero in attesa di una come lei, un'esclusa indifesa ed in condizioni così orribili da essere incapace di correre in caso di pericolo.

Mentre abbandonava le schiere di abitazioni e lasciava che la notte più buia divenisse sua alleata contro eventuali minacce, si scostò con mano tremolante una ciocca degli ispidi capelli castani che le pizzicavano le guance con le punte. Al tocco erano unti e sporchi, da quanto tempo non li lavava? Giorni o forse mesi. Una bambina di dieci anni che vaga da sola per tutto quel tempo e non solo è ancora viva, ma è anche sana di mente. Tuttavia quella era condizione che non poteva durare in eterno. I crampi della fame la stavano uccidendo ed il suo corpo le implorava continuamente pietà, doveva mangiare e riposarsi, certo, ma non poteva farlo. Non sapeva dove dormire e soprattutto neanche cosa mangiare.

La risposta a tutti i suoi problemi gli giunse finalmente con l'emergere di una sagoma nera dalle tenebre. Un uomo piuttosto magro, con il viso sporco ed una tuta da lavoro di colore blu macchiata di schizzi corvini e logorata dal tempo, sembrava averla vista da molto lontano ed essersi avvicinato di proposito. L'istinto gli disse immediatamente di fuggire. Sciocco istinto, dove poteva trovare le forze per scappare da un uomo adulto in quelle condizioni?

Lo sconosciuto si piegò in avanti, facendo si che i lisci capelli neri gli scivolassero sul volto, poi si alzò di nuovo e prese un paio di passi di distanza da ciò che aveva lasciato a terra.

Nell'oscurità Natalia non riuscì subito a distinguere quelli che erano un pezzo di pane ed una barretta di cioccolata, ma quando vi riuscì non poté evitare di fiondarcisi debolmente con le ultime forse che le restavano. Mentre si avvicinava continuava a tenere d'occhio lo sconosciuto, si chiese se il cibo non fosse in qualche modo avvelenato, ma non importava più di tanto, era meglio la speranza di sopravvivere con l'incognita del rischio della sicurezza di morire tra i strazi della fame.

Finalmente raggiunto il pane e la cioccolata si piegò sulle ginocchia e cominciò a mangiarli avidamente , come mai aveva fatto prima di allora, così facendo non si accorse che l'uomo si era nuovamente avvicinato e si era chinato sulle gambe per osservarla. Dedusse così che, se avesse voluto farle qualcosa, lo avrebbe già fatto senza farsi troppi problemi.

Una volta terminato il pasto, Natalia rimase seduta di fronte a quel misterioso benefattore, incrociando lo sguardo di quegli occhi neri come la notte. Quest'ultimo mosse lentamente le mani e cominciò a toccarle dolcemente il viso, poi passò alle labbra. Quando gli fece cenno di aprire la bocca lei, anche se confusa e titubante, obbedì. L'uomo le accarezzò la lingua, poi sbirciò dentro la gola ed infine le tolse le mani di dosso, scrutandola con aria soddisfatta e porgendole quello che sembrava un foglietto di carta. Su di questo vi era la sua foto, probabilmente appartenuta a tempi in cui non era così magro e sporco, ed il suo nome: Noah Eligor. La sua mano si allungò di nuovo ed andò a toccare con la punta del dito indice il petto di lei.
Ella rimase a fissarlo per qualche secondo incredula, poi comprese finalmente che gli stava chiedendo di presentarsi.

« Mi chiamo Natalia. »

Gli rispose, mentre comprendeva dal foglietto di carta di fronte al suo naso che quell'uomo era un dottore e probabilmente prima la aveva toccata in quel modo per assicurarsi che non fosse stata colpita dall'epidemia che girovagava per quelle terre da molto tempo.

Noah si alzò da terra e le fece segno di seguirlo. Cosa doveva fare? Non fidarsi più del dovuto? Decise di seguirlo comunque facendo nuovamente leva sul fatto che la sua situazione non poteva di certo peggiorare.

L'uomo la fece camminare per diversi minuti, sino a che dalle tenebre non emerse una grossa struttura abbandonata. Natalia dedusse che si trattasse si un vecchio centro ospedaliero, anche se comunque la cosa la sorprese alquanto, visto che non era facile trovarne in quel mondo devastato dalla guerra e dalla malattia. Mentre si avvicinavo cominciò a pensare che forse tutto sarebbe cambiato, che finalmente avrebbe potuto di nuovo contare su qualcuno, oltre che all'incapace se stessa. Continuò a seguire il suo benefattore sino a che non la guidò dentro la struttura. Dentro era molto più tetro di quanto la totale oscurità esterna potesse fare. Mura distrutte, porte scardinate, materiale medico a pezzi e deboli luci al neon che ancora emettevano qualche spasmo luccicante. A completare quella sinistra ambietazione intervenne il crollo di tutte le buone speranze di Natalia. L'uomo la aveva afferrata improvvisamente alle spalle e sbattuta a terra con forza. Lei tentò di ribellarsi, ma il peso dell'aggressore la schiacciava e le impediva di muoversi, senza contare che l'oscurità le mostrava solo deboli flash concreti di quanto stesse accadendo. Fu sicura però di una cosa, l'aggressore stava brandendo una siringa contenente un liquido estraneo. In un ultimo disperato atto di difesa, grazie ad una buona dose di fortuna, riuscì a lanciare un calcio nel punto giusto, allontanando il diabolico dottore da lei. Non poteva però fiondarsi nuovamente fuori, perché l'aggressore si frapponeva tra lei e l'uscita, una situazione che le fece comprendere il motivo della gentilezza di questi. Se la avesse aggredita all'esterno savrebbe potuta scappare meglio, oppure le sue urla avrebbero attirato qualcuno. Invece in quel posto dimenticato da Dio non poteva fare altro che cercare di nascondersi. Così fece, si lanciò verso una rampa di scale sotterranee e le seguì tutte sino a ritrovarsi di fronte ad una grossa porta. Mentre faticava per spingerla ed aprirla, sentiva i passi del dottore farsi sempre più vicini a lei, tanto che le sembrò di poter percepire il suo respiro sulla schiena. Quando finalmente fu oltre il pesante portone notò che essero era munito di un lucchetto che si sbrigò a far roteare in modo da impedire il suo inseguimento. Inizalmente sentì qualche forte tonfo abbattersi sullo spesso metallo, poi udì i passi dell'uomo tornare sulle scale e risalire. Per il momento era salva. Si accorse così di essere capitata in una stanza piuttosto particolare. Innanzitutto era illuminata da un neon che non lampeggiava in modo sinistro e fastidioso, in secondo vi era anche un letto arrangiato su quello che un tempo era probabilmente un divanetto a due posti ed infine, proprio al centro, vi erano due barelle mediche, una vuota ed una coperta da un telone azzurro.

Natalia tentò di calmarsi, tirò un forte sospiro e chiuse gli occhi per qualche secondo. Il suo corpo tremava dalla paura e dal freddo, mentre la sua testa continuava a pensare così velocemente da farle male. Restò così in totale silenzio, sino a che non si accorse di un debole suono, a malapena percettibile, il suono di un respiro affaticato e nauesato dal vivere stesso.

Si guardò in giro, sino a capire che il respiro poteva provenire solo da un posto: la barella coperta dal telo azzurro.

A passi tremolanti si avvicinò, cercando di continuare a guardarsi intorno. Il solo terrore di vedere la figura del dottore, pronto a scagliarsi su di lei, le faceva nuovamente tornare il tremore su tutto il corpo. Tuttavia, quando fu abbastanza vicina alla barella medica e scostò, con insicurezza, la tendina per poter vedere chi vi fosse all'interno, comprese che in quel posto un pazzo armato di siringa era il minore dei mali.

Distesa sopra la barella c'era una ragazzina della sua stessa identica età che respirava a fatica, quasi come se stesse trattenendo la vita con i denti. Osservano le condizioni di quel corpicino martoriato da chissà quale male, Natalia condivise la voglia dell'anima di abbandonare quell'involucro di carne.

Il ventre ed il bacino erano coperti con delle rozze fasciature dove si potevano facilmente vedere grosse macchie di sangue, le gambe erano mozzate dal ginocchio in giù, mentre il viso era ridotto ad un ammasso di metallo e carne. L'unica cosa rimasta intatta erano i lunghi e lisci capelli biondi, per il resto quello poteva essere descritto come uno scarto di creazione dello stesso Dio.

Quando gli occhi inniettati di sangue della bambina deforme si fiondarono su di lei, Natalia non potè fare a meno di urlare. Nello stesso mento due braccia la agguantarono da dietro. Tentò di dimenarsi, ma la puntura di un ago sul suo collo fu l'ultima cosa che sentì, prima di perdere i sensi.

 

 

Si svegliò più volte e ancor più volte ricrollò nell'incoscienza. Ogni volta che riusciva a destarsi sentiva come un nuovo vuoto nel suo corpo. Non era più in grado di muoversi. Anche le palpebre sembravano non essere più sotto il suo controllo. Tutto proseguì come un lungo sogno, sino a che la realtà non venne nuovamente a bussare alla sua porta, riportandola nel mondo di tutti i giorni, sporco, buio e malato di guerre ed epidemie.

« Sei sveglia Natalia? »

La accolse una voce così flebile e dolce da farle quasi provare piacere all'apparato uditivo. Natalia non riusciva ancora a muoversi ed una mascherina per l'ossigeno le premeva sulla bocca. Si trovava distesa e non riusciva a vedersi, sapeva solo di essere in grado di comandare solo i propri occhi, che spinse verso l'origine della voce che aveva udito. Di fianco a lei c'era una splendida ragazzina dalla pelle bianca e liscia, i capelli dorati e gli occhi azzurri. Nonostante il freddo, quell'angioletto dal timbro di voce soave come il suono di un'arpa, indossava solo un camice bianco da dottore.

"Forse sono morta e questo è il paradiso." si perimise ottimisticamente di pensare Natalia, mentre la ragazza angelo le passava una mano sul viso accarezzandola amorevolmente.

« Io e mio padre ti dobbiamo molto Natalia. Tu non lo sai, ma ci hai dato così tanto. »

L'attenzione di Natalia fu sottratta da quelle parole dall'immagine del dottor Noah Eligor che emerse proprio in quel momento accanto alla bambina dai capelli color oro. Il suo primo istito fu di urlare, ma si accorse di non esserne in grado. Cercò di dimenarsi, ma neanche in questo riuscì. Così, dopo uno sforzo inumano per portare lo sguardo se se stessa, si rese conte che il suo corpo era stato menomato, privato di alcuni arti e di alcuni organi, ridotto a poco più che ad un vegetale. Numerosi tubi collegati a vari macchinari le entravano dentro la pelle, mantenendola in vita, mentre grazie alle carezze dall'angelica ragazzina, riusciva a percepire che anche il suo visto era cosparso di numerose cicatrici accuratamente ricucite.

« Non piangere. Io so come ci si sente, fidati di me. »

La rassicurò, continuanto a toccarla con amore e calma, mentre il dottore andava a lavorare sui macchinari, per assicurarsi di non perdere la sua "paziente".

« Starai pensando che mio papà sia un mostro vero? Non farlo, lui l'ha fatto per amore e nell'amore non c'è mai niente di sbagliato. Io e lui abbiamo sempre fatto tanto per gli altri, adesso è giusto che anche voi ci aiutate facendo dei sacrifici non trovi? »

Quelle parole per Natalia erano prive di significato, non le comprendeva. Cosa doveva a quei due? Perché la avevano ridotta in quel modo?

« Mio papà è sempre stato un uomo buono ed intelligiente, ma Dio lo ha fatto nascere senza voce. Lui è muto. Così, incapacedi interagire con gli altri e costantemente preso in giro, fu costretto ad isolarsi. Starsene da solo lo aiutò a sviluppare una forte intelligenza ed una grande capacità nel campo della tecnica e della medicina. Però non era felice, aveva la fama, ma non bastava a riempire quel vuoto emotivo che si era portato dietro per anni. Allora trovò me, in lacrime, abbandonata in mezzo ai rifiuti e con pochi anni di vita.

Mi ha amata sin da subito e, come mi racconta sempre, nel momento in cui mi prese in braccio la prima volta smisi di piangere e gli sfoggiai il mio primo sorriso.

Col tempo divenni la sua voce, parlavo per lui in tutte le situazioni, non era più costretto a scrivere qualsiasi cosa, da un semplice saluto ad un ordine al mercato.

Decidemmo insieme di usare la sua intelligenza per aiutare i sfortunati. Così quando ci proposero di venire a vivere in uno di questi villaggi stroncati dalle epidemie, dove persone più sfortunate morivano di continuo quando potevano essere salvate da una mente esperta, risposi io per lui con un eccitato "Sì!" senza neanche chiderglielo, non avevamo mai avuto bisogno di comunciare, siamo sempre stati una cosa sola. »

Lo sguardo del piccolo angelo si contorse ed il suo viso si tinse di un'amara tristezza.

« Però non avevamo preso in considerazione l'ignoranza delle persone che vivevano in questi posti. Ci accusarono di aver portato l'epidemia accogliendo i pazienti che non abitavano in queste zone, così misero a fuoco e fiamme la struttura. Mio padre era fuori e fu costretto a vedere l'ospedale bruciare... mentre io ero ancora dentro. Per tutto questo tempo ha cercato di tenermi in vita, vivendo come un vagabondo, ma alla fine aveva capito che non poteva accettare quanto era successo. Voleva indietro me, il suo angelo, la sua voce, il suo amore. Così comprese che se il mondo ci toglieva ciò che a noi era più caro quando si voleva solo dare, allora era nostro diretto prendere agli altri ciò di cui ci avevano privato. Ed eccoci qui. Non vederla come una cosa orribile, papà troverà il modo di farti tornare a vivere un giorno, ma per adesso... cerca di sopportare. »

 

~ Quando non ti resta più nulla, quando pensi che la vita ti abbia fatto nascere al solo scopo di schernirti, quando per te non c'è niente in questa realtà... é allora che un angelo scende dal cielo per aiutarti.

Una volta scoperto il vero amore una persona diventa in grado di fare qualsiasi cosa. Non importa di quale forma si tratti, si può amare la propria moglie o il proprio fratello così come si può amare un ideale o un animale. Resta però comunque il fatto che quando la rabbia si sfoga, l'odio trova spiegazione, la violenza viene soddisfatta, il sadismo placato, la tristezza ed il rammarico sconfitti, l'amore resta sempre in piedi. Ma adesso pensate, quanta rabbia sareste disposti a generare, quanto odio sapreste nutrire, quanta violenza sapreste spargere, quanto sadismo vendicativo possedereste, quanta tristezza generereste pur di proteggere ciò che amate? Che cosa ironica, qualcosa di così bello che rende possibile tutto il dolore che affligge la nostra debole razza. L'amore è davvero pericoloso.

 

Dr. Noah Eligor

 

 

 

 

   
 
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