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Autore: poison_erica    11/03/2013    3 recensioni
"Nel mondo di Shugo Chara la vita va avanti, Amu e i suoi amici crescono, ma non tutti al mondo hanno chiara la strada da seguire. In un altro luogo, una ragazza deve fare i conti con il suo carattere timido e distaccato che la porta ad isolarsi dagli altri. La nascita dei suoi tre Shugo Chara e l'incontro con un ragazzo misterioso, a cui sembra essere legata da qualcosa di più profondo di una semplice amicizia, la aiuteranno a fare chiarezza sul suo cuore e su chi vorrebbe essere veramente."
E' la prima storia che pubblico, spero di ricevere molti commenti, sia positivi che negativi, così da poter migliorare sempre di più. Se mi dimostrerete che questa storia vi è piaciuta allora continuerò a scriverla. Grazie a tutti!
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Forse è non dovrei dirlo, forse non dovrei nemmeno pensarlo, ma anche se è sbagliato non posso fare a meno di desiderarlo. Essere una persona diversa, questo è il mio sogno. Vorrei essere forte, ma gentile allo stesso tempo, simpatica e piacevole. Vorrei poter avere il carattere giusto per farmi degli amici. Vorrei poter essere definita carina, o ancora meglio, vorrei saper affascinare. Vorrei avere quella determinazione che mi permetta di raggiungere i miei obbiettivi. Determinazione, bellezza, amici. Ecco i miei tre desideri.
Eppure, per quanto mi sforzi non riesco a raggiungere i risultati che vorrei. Mi sento sempre più inutile, non riesco mai ad emergere sugli altri. Forse sono io che sto sbagliando, forse dovrei accettare di essere quella che sono, inferiore agli atri, e rinunciare a questa mia assurda pretesa. Forse è così che deve andare…
  Non è vero! Tu puoi cambiare, puoi ancora brillare sugli altri! Devi solo volerlo, e io ti starò vicino. Credici, e non ti abbandonerò mai.
 
  Un sogno?
Aprii gli occhi e mi ritrovai avvolta nella soffice coperta del mio letto con la luce che entrava dalla finestra e illuminava la stanza.
  Che strano, sembrava tutto così reale.
Girai appena la testa cercando con lo sguardo qualcosa sulla scrivania. Le 6:45 di mattina.
Mi alzai quasi di scatto dal letto con la terribile consapevolezza del ritardo i cui mi trovavo.
Poche parole mi risvegliarono del tutto strappandomi al dolce torpore della stanchezza:
  6:45. Lunedì. Scuola. Ritardo. O mio Dio.
La dura realtà della scuola mi attendeva: professori, studio, compiti, interrogazioni, verifiche. Non ero ancora pronta per il nuovo anno, e ancora peggio: ero in ritardo!
Saltai giù dal letto con l’intento di prendere qualcosa dall’armadio e di infilarmi in bagno prima che qualcun altro potesse occuparlo, ma prima che potessi fare qualsiasi cosa mi ritrovai per terra con la faccia contro il tappeto rosso e un piede (quello che mi aveva fatta inciampare, per inciso) ancora avvolto nella coperta.
  Grandioso. È il primo giorno di scuola, sono in ritardo e sono pure inciampata!  
Ancora disorientata, sfilai il piede dal letto, saltai in piedi e corsi verso l’armadio. Non avevo tempo per scegliere, ma già sapevo cosa era meglio evitare. Afferrai al volo una semplice maglietta blu a maniche lunghe e dei jeans andando dritta verso il bagno.
Pur essendo il primo giorno di scuola, e pur sapendo che anche quest’anno le classi erano state riformate e che pertanto se volevo trovare degli amici dovevo fare una buona impressione, optai per un abbigliamento semplice, che mi mantenesse nell’anonimato. Del resto non ero mai stata una ragazza molto socievole, fatta eccezione per i miei primi dieci anni di vita, ma ormai quel periodo era passato. Ormai avevo 17 anni, non ero più una sciocca bambina sempre pronta a ridere. Certo, a quel tempo avevo molti più amici, ma ormai quella me stessa non esisteva più. Avevo passato gli anni successivi nel tentativo di apparire più seria e composta, ma così facendo avevo finito per allontanarmi dai miei amici. E la mia scuola non mi aiutava certo a farmene di nuovi. Il liceo in cui andavo riformava le classi ogni anno, così se per caso riuscivo a fare amicizia con alcune ragazze della mia classe potevo star certa che l’anno successivo avrei dovuto ricominciare da capo.
La cosa peggiore era che se una parte di me voleva fare amicizia con più persone possibili, l’altra aveva il terrore di attirare l’attenzione e preferiva stare da sola, piuttosto che correre il rischio di commettere delle gaffe. E indovinate un po’ qual era il lato che aveva la prevalenza? Ovviamente, il secondo.
Uscii dal bagno dopo essermi data una veloce spazzolata ai capelli lisci capelli castani, lasciati sciolti sulle spalle. Erano una delle poche cose che apprezzavo di me, compresi gli occhi del medesimo colore.
Evitai accuratamente di guardare il mio riflesso nello specchio per non deprimermi ulteriormente. Non avevo voglia di scoprire se anche oggi la mia faccia mi avrebbe fatta sembrare uno zombie.
Mi diressi verso il letto disfatto con l’intento di riordinarlo. Alzai la coperta e…?!
  ……………………………………………?
  Ma che…? Cosa…? 0_0?!
Rimasi paralizzata con la mano ancora alzata a tenere la coperta. Non riuscivo a connettere i neuroni, il mio cervello era andato in black out.
Fissai il letto per alcuni istanti, istanti che mi sembrarono un’eternità.
Poi, come se mi fossi riscossa da un sogno, sbattei le palpebre e ripresi il controllo delle mie facoltà mentali. Solo che non ero del tutto sicura di quello che vedevo.
  Sono sveglia? O sto ancora dormendo?
Mi mossi come un automa e, senza accorgermi di sembrare uno di quegli stupidi personaggi dei cartoni animati, mi diedi un colpo in testa con la mano libera.
  Ahi! Oh, allora sono sveglia.
Provai a chiudere gli occhi e a riaprirli. Niente da fare, ero davvero sveglia. E la cosa peggiore era che ero impazzita!
Sì, dovevo per forza essere impazzita, altrimenti come avrei potuto spiegare la presenza di tre uova sul mio letto? Non semplici uova, ma uova colorate che non avevano nulla a che fare con quelle che si mangiavano. Tre piccole uova: una aveva onde gialle, arancio e rosse che ne coloravano il guscio, un’altra era ricoperta da arabeschi neri sul guscio viola, mentre l’ultima era di un colore blu notte sul quale comparivano puntini di luci simili a stelle con alcuni spicchi argentati di luna.
  Ma che significa? Perché ci sono delle uova nel mio letto?
Insospettita, mi aspetto che si tratti di uno scherzo, chissà, forse di mio fratello. No, che senso avrebbe mettermi delle uova nel letto? Se voleva farmi credere di averle covate avrebbe dovuto usare uova normali. No, per quanto mio fratello sia stupido e molesto, non avrebbe mai potuto fare una cosa così insensata. Ma chi altri resta da accusare, i miei genitori? Quelle uova non ci sono certo finite da sole nel mio letto.
  Ancora titubante, mi avvicino allungando con cautela un dito per toccarle.
Sono calde, penso piacevolmente sorpresa.
  << Allora >> mi azzardo a dare forma ad un pensiero << presto si schiuderanno. >>
  << SARAAA! >> gridò mia madre dalla cucina facendomi prendere un colpo << Sbrigati, devi andare a scuola. >>
O cavolo! La scuola!Me n’ero completamente dimenticata.
  << A-arrivo! >> mi affretto a rispondere prima che possa salire in camera.
Come un razzo prendo le uova e le nascondo dentro un borsello che infilo nello zaino. Non me la sento di lasciarle a casa. Anche se non so bene che cosa siano, è più prudente portarle con me, così potrò tenerle al sicuro.
Di corsa scendo le scale e arrivo in cucina, dove mi aspetta la solita colazione. Saluto velocemente mia madre e mi siedo a tavola ingurgitando latte e mangiando biscotti. Mio padre è già al lavoro, mentre mio fratello sta ancora dormendo.
  Beato lui che è ancora in vacanza!, penso invidiosa della sua buona sorte.
Anche se vorrei chiederle delle spiegazioni sulle uova, dovrò aspettare fino a sera. Sono già abbastanza in ritardo!
Corro in bagno, mi lavo i denti, prendo lo zaino e mi precipito fuori dalla porta di casa senza aspettare la risposta di mia madre al mio “Ciao!”.
Come al solito, devo correre a perdifiato per tutto il tragitto fino all’autobus per non perderlo e solo dopo aver superato le porte un millesimo di secondo prima che si chiudessero ho modo di fermarmi. Mi piego in due appoggiando le mani sulle ginocchia in modo da riprendere fiato. Sono stanca e come sempre già penso al momento in cui uscirò da scuola, ma in qualche modo sento che stavolta è diverso.
Stringo lo zaino contro il petto, come se cercassi di sentire quelle uova, e so già che una volta a casa non farò domande, né a mia madre né a nessun’altro, perché dentro di me so che non vi è niente di razionale in tutto questo. Sorrido tra me e me all’assurdo pensiero che già da un po’ mi ronza nella testa, perché pensare che quelle uova possano essere nate da me è davvero un’assurdità. Eppure allo stesso tempo è anche qualcosa che mi rassicura e che mi fa sentire felice. Sì, felice.
In quel momento, sento che qualcosa in me sta cambiando, che io stessa sono destinata a cambiare, eppure la cosa non mi spaventa affatto. Anzi, non vedo l’ora che accada.
Penso di nuovo alle mie uova – perché ormai ne sono sicura, sono mie – e mi chiedo quando si schiuderanno e che cosa ne uscirà da esse.
  Ancora non lo so. Ma non vedo l’ora di scoprirlo!
  
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