Six
Fool
Moons
*
-Che cosa ho fatto?!
-Mi ha vista
squartare l'utero di quella prostituta. Hai fatto bene a farla
fuori, o avrebbe raccontato tutto alla polizia.- pausa. -E non fare
quella
faccia, Grell. Non è di certo la prima donna che fai fuori,
no?
-Non capisci, Madame?
Lei non è una donna come le altre.
-Come, prego?
-Lei è una
shinigami, come me. E non sono del tutto sicura che lasciarla
qui sia una buona idea.
–Che cosa
vuoi dire con questo?
-Madame, tu non
capisci: noi shinigami possiamo essere uccisi solo dai
nostri simili. Non possiamo permetterci che venga scoperta.
Cercherebbero il
suo assassino e arriverebbero a me in un secondo. E non oso pensare a
cosa
potrebbe accaderci, se ci beccassero!
-E allora cosa ne
facciamo?
-L'unica cosa da fare
è liberarsene, e al più presto.
Sentì
bussare alla porta più e più volte. Finalmente
aprì, indossando il
suo sorriso più inquietante.
Ma tutto
ciò che trovò dall'altra parte fu il corpo di una
donna senza
vita, e l’ombra di un uomo che scappava di corsa.
Il becchino sorrise
mentre, afferrando il cadavere per il polso, lo
trascinava all’interno del suo emporio.
-Bene, bene,
cos’abbiamo qui.- ridacchiò.
–Un’ospite davvero particolare.
Osservò
l’utero della donna, lacerato senza pietà da colpi
inferti da una
motosega, e i suoi occhi, vacui e incoscenti.
-Che delitto
eccellente.- disse, sull'orlo delle risate.
Aprì gli
occhi all’improvviso, ed ebbe paura. Il buio la circondava,
la
sensazione sulla sua pelle era quella del legno ruvido. Ma fu il dolore
lancinante
che la sferzava proprio in mezzo alle gambe che la spinse a reagire.
Urlò
forte, e urlò ancora.
Ma l’urlo
le si rovesciò addosso. Capì dove si trovava e
perché.
La shinigami era
stata seppellita viva.
Raschiò
con le unghie il coperchio della bara, tentando di romperlo. Si
maledisse: era vero, cercava spesso la compagnia delle donne, ma aveva
deciso
di aggirarsi in un vicolo particolarmente buio e deserto proprio quella
notte. Aveva
pagato cara la sua ingenuità: lì aveva trovato il
cadavere di una prostituta, e
di conseguenza la sua morte. Si chiese perché mai avessero
tentato di
ucciderla: non ne vedeva il motivo. Lei era sempre stata
così timida, cortese,
non aveva mai fatto del male a nessuno. Aveva, sì, provato a
sostenere l’esame
per poter mietere anime. Ma i suoi risultati erano stati
ritenuti
insoddisfacenti ed era stata costretta a fare lavoro
d’ufficio a vita. Come
tutte le shinigami donna, d’altronde. Quella era stata
l'unica azione vagamente
ardita che avesse mai compiuto, sebbene il suo insegnante le avesse
consigliato
più volte di farsi da parte. Già, il suo
insegnante.
Grell Sutcliff. All’epoca, aveva fatto di tutto per imparare da lui, per essere come lui. Mai avrebbe pensato che proprio lui sarebbe diventato il suo carnefice.
Il primo
mese di prigionia lo passò barcamenandosi tra
questi
pensieri. Impiegò il secondo mese, invece, facendosi domande
senza risposta.
Si chiese cosa
c’entrasse lui con quella donna, che aveva malauguratamente
visto, mentre asportava l'utero di quella prostituta. La fortuna le
aveva
decisamente voltato le spalle, quella notte. Si chiese se lui
l’avesse
riconosciuta mentre la attaccava. Non si era nemmeno accorto che lei
era la sua
vecchia allieva?
Probabilmente no. Era
piombato dall'alto su di lei, forse da sopra un
tetto, e l'aveva trapassata da parte a parte con la falce.
Perché almeno non
era andato fino in fondo? Avrebbe dovuto ucciderla e basta, almeno
così non
sarebbe stata costretta a soffrire così tanto, nel disperato
tentativo di evadere
dalla sua fossa. I dubbi la torturavano atrocemente.
I mesi
divennero tre, e pian piano i dubbi si dissolsero per far posto
al rancore.
Aveva finalmente
rotto il coperchio della bara e ora scavava nella terra
buia e umida. Ne sentiva il penetrante odore nelle narici, il sapore
tra i
denti e l’irritante granulosità dritta negli
occhi. Ed era tutta colpa di Grell.
Gli dei della morte più di tutti dovrebbero capire
l’importanza della vita. È un
abominio che uno di loro uccida, pensò, e semplicemente non
dovrebbe esistere.
Grell non sarebbe dovuto esistere. Avrebbe dovuto soffrire,
così come stava
soffrendo lei, che era viva e morta allo stesso tempo.
Nel buio se lo vedeva
quasi davanti. Con quei lunghissimi capelli rosso
sangue e il sorriso appuntito, sadico. Con quel volto, quelle movenze,
quel
modo di parlare quasi stucchevole che riservava solo agli uomini. E gli
occhi
perennemente luminosi, di malizia.
Si sentiva talmente
urtata da quei particolari.
O forse erano la
fame, la sete, la stanchezza e il terrore a irritarla?
Forse. Era infastidita anche solo dal fatto che si ricordasse tante
cose di
lui. Grell stesso cominciava a infastidirla, forse arrivava perfino a
detestarlo. Ma restava comunque il suo chiodo fisso.
Così
passò il quarto mese, in cui il rimorso divenne rabbia
cieca.
Come mi chiamo? Di
che colore sono i miei capelli? Che forma ha il mio
viso?
Non riusciva
più a rispondere a nessuna di queste domande. Cominciava a
dimenticarsi di sé stessa.
C’era un
colore, impresso a fuoco nella sua mente. Rosso.
Forse era un colore
che le piaceva? Forse era il colore dei suoi capelli?
Oppure apparteneva a qualcun altro? Impossibile a dirsi.
E c’era un
sorriso, dai denti affilati. Forse di Grell. Ma come faceva a
essere completamente sicura che fosse proprio di Grell, che non fosse
il suo,
invece?
Amava gli uomini?
Probabile. Tra i suoi ricordi, rivedeva il civettare
senza pietà con uomini stoici e freddi come il ghiaccio.
Sì, gli uomini. Lei...
lei li amava. Lei ardeva di passione per loro? Non poteva essere
altrimenti. O
almeno così sperava.
Si ricordava piccole
cose, futili memorie, e niente di più che sporadici
episodi passati. Inezie che dovevano per forza appartenerle.
Ma quella era davvero
lei? Poteva essere, come poteva non essere.
E infondo, era un
po’ la stessa cosa, no? Sorrise nel buio del sottosuolo,
mordendosi il labbro fino a penetrare la carne viva.
Il quinto mese era
passato, che la rabbia cieca era scesa inesorabilmente
nella pazzia.
Il sesto mese era
stremata. Urlava, rideva e piangeva. Si strappava i
capelli dal dolore, si faceva del male. Scavava nella terra, sempre
più umida,
sempre più soffocante, tra grida e scoppi di risa. Scalciava
come una belva.
Stanca e disperata, spinse nuovamente le mani verso l’alto.
E le sue dita
sfondarono l’aria, gelida e immobile, non più la
terra.
Aria vuota, semplice
e leggera. Sgranò gli occhi, incredula.
Scavò
ancora, e ancora, sempre più forte, angosciata e speranzosa,
finché
l’ultimo strato di terra non cedette e lei si
sollevò all’improvviso, esposta
al gelo delle notti di Londra.
I suoi occhiali ormai
erano completamente ricoperti di sangue rappreso e
polvere, ma perfino non vedere nulla le andava bene. Scoppiò
a ridere e si
aggrappò al terreno.
-Oh, ma la mia voce!
La mia voce è... diversa!- sogghignò.
–Non me la
ricordavo così squillante! O forse... Forse sì!
Forse lo è sempre stata.
Sorrise e si morse di
nuovo le labbra con i denti. Appuntiti, come quelli
degli squali.
E, se fosse riuscita
a vedersi riflessa da qualche parte, avrebbe visto
anche i suoi capelli, corti e ribelli, dal colore del vino rosso.
Gli
shinigami, si sa, possono cambiare aspetto. E lei lo aveva fatto, ma
inconsapevolmente, e non solo.
Il suo chiodo fisso
l’aveva cambiata del tutto, da dentro a fuori.
In lei non
c’era più una singola traccia di ciò
che era stata. Era
intrappolata tra due mondi che non le appartenevano più.
Sé stessa
e Grell Sutcliff.
-Ma... un secondo...
Io?- si interruppe, tossendo e sputando ghiaia e
sangue. –Io come mi chiamo?!
-G... Forse Gr...
Gre...?- farfugliò, frustrata dalla sua amnesia.
–G...
Gra... Gr...? Grace!
Grace? Quello sarebbe
potuto davvero essere il suo nome?
Esplose in una risata
irrefrenabile. La sua voce rintoccò insieme alla
mezzanotte, rimbalzò tra le tombe e su per le pareti. Era
l’unica anima viva
del cimitero in cui dimorava, e questo la faceva sentire immensamente
onnipotente.
-Mi
andrebbe bene qualsiasi nome. L’importante è che
io possa
riavere ciò che mi spetta!- si infuriò di botto.
–Io sono una dea della morte. Io devo
mietere anime. Sono nata per questo, e fosse l’ultima cosa
che faccio,
riprenderò il mio posto! Perché io sono...-
sorrise. –Io sono Grace DEATH!
Abbassò lo
sguardo, verso quello che un tempo era il suo utero. Lo squarcio
non si era rimarginato del tutto, probabilmente non si sarebbe mai
rimarginato:- Ma prima, devo pur vendicami del mio aguzzino. Sono
davvero,
davvero arrabbiata con lui. Dovrei dargli una lezione come si deve...-
Alzò la
testa e sghignazzò scompostamente, al colmo dell'eccitazione.
-Ma guarda! E io che
pensavo che sarei impazzita a stare sei mesi
sottoterra, e invece ne sono uscita esattamente come ci sono entrata!
Note
d’autrice:
Finalmente,
dopo una lunga attesa,
sono riuscita a scrivere qualcosa che mi soddisfacesse. Avevo
intenzione di pubblicarla una volta conclusi tutti i capitoli. Ma il
mio computer sembra stia per rompersi definitivamente da un momento
all'altro. Così preferisco che almeno questa parte sia
pubblicata.
So che ci sono alcuni punti leggermente “deliranti” e poco chiari nella storia, ma è esattamente così che la volevo. Confusa e delirante, come la mente di Grace.
Grace è il mio personaggio originale, un personaggio di cui vado particolarmente fiera. Magari non è esattamente il personaggiò più "nuovo" del mondo, ma va bene così, è esattamente come la volevo, e non la cambierei mai.
Al
prossimo capitolo.
*Six fool moons: è un gioco di parole tra il termine full moon, luna piena, e fool, che vuol dire “pazzo, stolto”.